ProfileUSA, 23 settembre 2018 - La seconda ultima parte del viaggio di Ron Unz tra i misteri dell'omicidio del presidente JF Kennedy. I colpevoli più probabili? Lindon B. Johnson e il Mossad israeliano...                             
 
Unz.com, 25 giugno 2018 (trad.ossin)
 
Pravda statunitense: l'assassinio di JFK, parte II - Chi è stato?
Ron Unz
 
 
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Una diga potente può trattenere un'immensa quantità d'acqua ma, se si rompe, l'inondazione che si produce può spazzare via tutto ciò che incontra sul suo cammino. Avevo passato quasi tutta la mia vita a non dubitare che un cecchino solitario di nome Lee Harvey Oswald avesse ucciso il presidente John F. Kennedy, e che un altro cecchino solitario avesse tolto la vita al fratello minore Robert pochi anni dopo. Quando ho capito che erano solo favole,  assai poco credute da molta parte delle stesse élite politiche che pubblicamente le accreditavano, ho cominciato a considerare altri aspetti di questa importante storia, e soprattutto a chiedermi chi potesse essere autore di questa cospirazione e quali ne fossero le motivazioni.
 
Il mezzo secolo trascorso e le morti, naturali o meno, di quasi tutti i testimoni contemporanei riducono drasticamente ogni speranza di dare risposte definitive a queste domande. Nel migliore dei casi, è possibile individuare le possibilità e le plausibilità, piuttosto che le alte probabilità, per non parlare delle certezze. E data la totale assenza di prove concrete, la nostra esplorazione delle ragioni dell'assassinio deve necessariamente affidarsi ad una prudente speculazione.
 
Da una distanza così considerevole di tempo, una visione d’insieme può essere un ragionevole punto di partenza che ci permetterà di concentrare l’attenzione sui pochi elementi dimostrativi dell’esistenza di un complotto che sembrano abbastanza certi. I libri recenti di David Talbot e James W. Douglass costituiscono una buona sintesi delle prove accumulate nel corso di decenni da un esercito di diligenti ricercatori. La maggior parte dei sospetti cospiratori sembra aver avuto forti legami con il crimine organizzato, la CIA o vari gruppi di attivisti anti-castristi, o almeno importanti relazioni con queste categorie. Lo stesso Oswald si adattava sicuramente a questo profilo, anche se era molto probabilmente solo quel semplice "capro espiatorio" che sosteneva di essere, così come Jack Ruby, l’uomo che lo ha subito ridotto al silenzio, e i cui rapporti con gli ambienti criminali erano antichi e diffusi.
 
Un'insolita catena di eventi ha fornito alcune delle prove più evidenti del coinvolgimento della CIA. Victor Marchetti, un ufficiale della CIA di carriera, ha scalato la piramide gerarchica, fino a diventare assistente speciale del vicedirettore, una posizione di una certa importanza, finché si è dimesso, nel 1969, per divergenze politiche. Sebbene abbia combattuto una lunga battaglia contro la censura governativa per il suo libro, “La CIA e il Culto dell'intelligence” , ha mantenuto stretti legami con molti ex colleghi dell'agenzia.
 
Negli anni 1970, le rivelazioni del Comitato Church del Senato e del Comitato ristretto per gli assassini avevano provocato forti reazioni pubbliche contro la CIA, e cresceva il sospetto di un possibile coinvolgimento della CIA nell'assassinio di JFK. Nel 1978, il capo del controspionaggio della CIA, James Angleton, e un collega fornirono a Marchetti un’informazione esplosiva, affermando che l'agenzia avrebbe potuto ammettere un suo coinvolgimento nell’assassinio, che aveva visto in azione tre cecchini, dando però la colpa a E. Howard Hunt, un ex ufficiale della CIA che era diventato famoso durante Watergate, facendo di quest’ultimo – e di altri colleghi altrettanto screditati – il capro espiatorio della situazione. Marchetti ha pubblicato la storia in The Spotlight, un settimanale tabloid nazionale gestito da Liberty Lobby, un'organizzazione populista di destra con sede a Washington. Sebbene sia stato quasi totalmente ignorato dai media mainstream, The Spotlight era all’epoca al culmine della sua influenza, con quasi 400.000 abbonati, un numero di lettori pari alla somma di quelli di The New Republic , The Nation e National Review .
 
L'articolo di Marchetti suggeriva che Hunt si trovasse effettivamente a Dallas quando Kennedy venne assassinato, e questa affermazione provocò l’avvio di una  causa per diffamazione, con una richiesta di risarcimento danni così alta da provocare – se accolta - il fallimento della testata. Il ricercatore Mark Lane, da tempo impegnato sul tema dell’assassinio di JFK, si rese conto della situazione e offrì i suoi servigi a Liberty Lobby, sperando di potere utilizzare le procedure legali, compresi i mezzi istruttori e  il potere di citazione, come mezzo per ottenere ulteriori prove sull'assassinio e, dopo varie sentenze e gli appelli, il processo si è finalmente chiuso solo nel 1985.
 

Come raccontò Lane nel suo bestseller del 1991, Plausible Denial, la sua strategia in generale si rivelò abbastanza efficace, non solo permettendogli di vincere la causa contro Hunt, ma anche di ottenere la testimonianza giurata di un ex agente della CIA sul suo coinvolgimento personale nella cospirazione, insieme ai nomi di molti altri partecipanti. E sebbene Hunt abbia continuato per decenni a negare completamente ogni connessione con l'assassinio, verso la fine della sua vita ha fatto una serie di interviste video-registrate in cui ha ammesso di essere stato effettivamente coinvolto nell'assassinio di JFK e nominato diversi degli altri cospiratori, pur sostenendo che il suo ruolo era stato solo marginale. La confessione esplosiva di Hunt sul letto di morte è stata riportata in un importante articolo di Rolling Stone del 2007, ed è stata anche oggetto di una analisi approfondita nei libri di Talbot, specialmente il secondo, ma resta ancora ampiamente ignorata dai media.
 
Parecchi di questi presunti cospiratori, venuti fuori dalla stessa alleanza di gruppi già in precedenza coinvolti nei vari tentativi del governo degli Stati Uniti di assassinare Castro o rovesciare il suo governo comunista, avevano sviluppato un forte rancore nei confronti del presidente Kennedy a causa di ciò che essi consideravano il suo tradimento durante il fiasco della Baia dei Porci e i suoi esiti. Di conseguenza, vi è una naturale tendenza a considerare questa animosità come il fattore centrale che ha spinto all’assassinio, ed è questa tendenza ad animare le opere di Talbot, Douglass, e di molti altri saggisti. Essi concludono che Kennedy è morto per mano di anticomunisti della linea dura, arrabbiati per la sua debolezza nei confronti di Cuba, della Russia e del Vietnam, sentimenti certamente diffusi negli ambienti politici della destra al culmine della Guerra Fredda.
 
Se una simile chiave di lettura è certamente possibile, essa è tuttavia lungi dall’essere certa. Possiamo facilmente immaginare che la maggior parte dei partecipanti di livello inferiore agli eventi di Dallas fossero guidati da tali motivazioni, ma che le figure centrali, quelle che hanno organizzato la trama e hanno messo in moto le cose, avessero diverse motivazioni. Finché tutti i cospiratori erano d'accordo sull'eliminazione di Kennedy, non c'era bisogno di un'assoluta uniformità di movente. In effetti, gli uomini che avevano rapporti di lunga data col crimine organizzato, o con precedenti in operazioni di intelligence clandestine, avevano certamente esperienza di segreto operativo, e molti di loro forse non si aspettavano certamente di conoscere le identità, per non parlare delle precise motivazioni, degli uomini posti la vertice della straordinaria operazione che stavano intraprendendo.
 
Bisogna fare anche una netta distinzione tra il coinvolgimento di individui singoli e quello di un'organizzazione in quanto organizzazione. Ad esempio, il direttore della CIA John McCone era leale verso Kennedy, era stato nominato per fare pulizia un paio di anni prima dell'assassinio, e sicuramente era innocente della morte del suo patron. D'altra parte, le tante prove dimostrative della partecipazione di numerosi funzionari e agenti della CIA all'azione, hanno naturalmente sollevato il sospetto che anche alcuni tra i loro superiori di alto rango fossero coinvolti, forse perfino come principali organizzatori della cospirazione.
 
Questi argomenti ragionevoli potrebbero essere anche stati amplificati da ragioni di pregiudizio personale. Molti dei principali autori che hanno investigato sull'assassinio di JFK negli ultimi anni erano dei liberal convinti, e potrebbero aver permesso che la loro ideologia offuscasse il loro giudizio. E spesso hanno cercato gli organizzatori dell'eliminazione di Kennedy tra quelle figure di destra che non amavano, anche quando si trattava di conclusioni tutt'altro che plausibili.
 
Ma consideriamo i presunti motivi che possono aver spinto degli anti-comunisti intransigenti, collocati vicino ai vertici della gerarchia della sicurezza nazionale, a organizzare l'eliminazione di Kennedy per le sue esitazioni di fronte alla possibilità di una soluzione militare definitiva dell’incidente della Baia dei Porci e della crisi missilistica cubana. Erano davvero così sicuri che il presidente Johnson avrebbe fatto delle scelte politiche tanto migliori, da convincersi a mettere a rischio la propria vita o la loro posizione organizzando una cospirazione mirante ad assassinare un presidente statunitense?
 
Una nuova elezione presidenziale era prevista a meno di un anno di distanza e il cambiamento di posizione sui diritti civili sarebbe probabilmente costata a Kennedy la perdita di quasi tutti gli Stati del Sud che avevano costituito il suo margine di vittoria elettorale nel 1960. Una serie di dichiarazioni pubbliche o di rivelazioni imbarazzanti avrebbero potuto essere sufficienti a fargli perdere la presidenza attraverso mezzi politici tradizionali, eventualmente a favore di un hard-liner della Guerra Fredda come Barry Goldwater o qualche altro repubblicano. I militaristi o i magnati del business, spesso sospettati dai ricercatori che hanno lavorato sul caso  JFK, erano davvero così disperati da non poter attendere qualche mese e vedere che cosa sarebbe successo?
 
Basato su prove estremamente circostanziate, il libro di Talbot del 2015 The Devil's Chessboard, una sorta di seguito di “Brothers”, ipotizza che l'ex direttore della CIA di lunga data, Allan Dulles, potrebbe essere stato il cervello dell’operazione, con motivazioni legate alle sue opinioni estremiste sulla Guerra Fredda e al rancore personale dovuto al licenziamento del 1961.
 
Se è certamente possibile un suo coinvolgimento in linea di ipotesi, in concreto la cosa appare dubbia. Dulles era un pensionato di settant'anni, con una lunghissima e illustre carriera di servizio pubblico e un fratello che aveva servito come segretario di stato di Eisenhower. Aveva appena pubblicato “The Craft of Intelligence”, che stava ricevendo un trattamento molto favorevole nei media dell'establishment, e si era  impegnato in una grande tournée di presentazione del libro. Avrebbe davvero rischiato tutto - compresa la reputazione della sua famiglia nei libri di storia - per organizzare l'omicidio di un presidente legalmente eletto - un atto senza precedenti e di natura completamente diversa dal tentativo di spodestare qualche leader guatemalteco in nome dei supposti interessi nazionali americani? Certamente sfruttare le sue ampie entrature nei media e nell’intelligence, per far trapelare rivelazioni imbarazzanti sulle avventure sessuali di JFK durante l'imminente campagna presidenziale, sarebbe stato un mezzo molto più sicuro per tentare di raggiungere un risultato equivalente. E lo stesso vale per J. Edgar Hoover e molte altre potenti figure di Washington che odiavano Kennedy per ragioni simili.
 
Viene più facile pensare invece che queste persone abbiano avuto un certa consapevolezza della trama in corso o possano addirittura averla facilitata o avervi partecipato in misura limitata. E una volta che essa avesse avuto successo, e che il loro nemico personale fosse stato sostituito, sicuramente sarebbero stati estremamente disponibili a dare una mano nell’insabbiamento delle indagini e nella protezione della reputazione del nuovo regime, un ruolo che Dulles avrebbe potuto interpretare nel suo ruolo di membro più influente del Commissione Warren. Ma si tratta di atti ben diversi dall’organizzare l’assassinio di un presidente.
 
 
Proprio come era accaduto con l'establishment della sicurezza nazionale, anche molti leader della criminalità organizzata erano furiosi per le iniziative dell'Amministrazione Kennedy. Alla fine degli anni '50, Robert Kennedy aveva intensamente preso di mira la mafia, quando era consigliere giuridico capo  della commissione senatoriale Labor Rackets Committee. Ma durante le elezioni del 1960, il patriarca della famiglia Joseph Kennedy usò i suoi antichi collegamenti mafiosi per ottenere il sostegno alla campagna presidenziale di suo figlio maggiore e, a detta di tutti, i voti controllati dalla mafia di Chicago e altrove contribuirono all’elezione di  JFK alla Casa Bianca, insieme a Robert Kennedy come suo procuratore generale. Frank Sinatra, un entusiasta sostenitore di Kennedy, aveva anche contribuito a facilitare questo accordo usando la sua influenza per convincere i leader scettici della mafia.
 
Tuttavia, invece di ripagare un simile decisivo supporto elettorale con favori politici, il Procuratore generale Robert Kennedy, forse all’oscuro di tali accordi, scatenò immediatamente una guerra totale contro il crimine organizzato, molto più intensa  di qualsiasi cosa precedentemente fatta a livello federale, e i capi della criminalità lo considerarono come un colpo a tradimento da parte della nuova amministrazione. Quando Joseph Kennedy venne colpito da un ictus paralizzante alla fine del 1961, essi persero anche la speranza che avrebbe usato della sua influenza per far rispettare gli accordi conclusi l'anno precedente. Le intercettazioni dell'FBI rivelano che il leader della mafia Sam Giancana decise di uccidere Sinatra per il suo ruolo in questo affare fallito, risparmiando la vita del cantante solo in considerazione di quanto amasse personalmente la voce di uno dei più famosi italo-statunitensi del XX secolo.
 
Questi leader della criminalità organizzata, e alcuni dei loro più stretti collaboratori come il boss di Teamster Jimmy Hoffa, svilupparono certamente un aspro odio verso i Kennedy, e questo ha portato naturalmente alcuni autori a indicare la mafia come  probabile organizzatrice dell'assassinio, ma personalmente credo sia improbabile. Per molti decenni, i capi della criminalità statunitense avevano avuto un rapporto complesso e vario con alcune figure politiche, che erano a volte loro alleati. altre  loro persecutori, e sicuramente ci saranno stati molti tradimenti nel corso degli anni. Tuttavia, non sono a conoscenza di un solo caso di una figura politica, anche moderatamente nota sul piano nazionale, che sia mai stata vittima di un omicidio di mafia, e sembra alquanto improbabile che l'unica eccezione possa essere stata quella di un presidente popolare, che la mafia considerava probabilmente completamente fuori dalla loro portata. Per contro, se qualcuno ben piazzato nella sfera politica dei Kennedy avesse messo a punto un complotto per eliminarlo, avrebbe potuto assicurarsi la cooperazione entusiasta di diversi dirigenti mafiosi.
 
Inoltre, le tante prove di un coinvolgimento di molti agenti della CIA nella cospirazione suggerisce che essi siano stati reclutati e organizzati da una figura alta nella loro stessa gerarchia di intelligence o del mondo politico, piuttosto che da leader del mondo parallelo della criminalità organizzata. E per quanto i capi del crimine sarebbero stati certo in grado di organizzare materialmente l'assassinio, sicuramente non avevano alcun modo di orchestrarne il successivo insabbiamento da parte della Commissione Warren, né ci sarebbe stata alcuna volontà da parte della leadership politica statunitense di proteggere i leader della mafia dalle indagini e dalle punizioni appropriate per un atto così atroce.
 
 
Quando un marito o una moglie vengono trovati assassinati, senza alcun sospetto o motivo evidente, la polizia privilegia normalmente le indagini sul coniuge superstite, e molto spesso questo sospetto si rivela fondato. Allo stesso modo, se leggete sui vostri giornali che in qualche oscuro paese del Terzo Mondo due leader ferocemente contrapposti, entrambi con nomi impronunciabili, hanno condiviso il supremo potere politico fino a quando uno di loro è stato improvvisamente vittima di un misterioso assassinio da parte cospiratori sconosciuti, è evidente che i sospetti debbano addensarsi sul rivale. La maggior parte degli statunitensi dei primi anni '60 non percepiva la politica del proprio paese in tale ottica, ma forse si sbagliava. Nella mia qualità di ultimo arrivato nell’enorme mondo sotterraneo dell’analisi del complotto contro JFK, la mia attenzione si è immediatamente concentrata sul vice presidente Lyndon B. Johnson (LBJ), il successore immediato del leader assassinato e il più evidente beneficiario del crimine.
 
I due libri di Talbot e quello di Douglass, per un totale di circa 1500 pagine, dedicano solo pochi paragrafi al sospetto che Johnson potesse essere coinvolto nel complotto. Il primo libro di Talbot riferisce che, immediatamente dopo l'assassinio, il vicepresidente aveva espresso ai suoi aiutanti la frenetica preoccupazione che potesse essere in corso un colpo di stato militare o che potesse scoppiare una guerra mondiale, e suggerisce che queste poche parole casuali dimostrerebbero la sua evidente innocenza, sebbene un osservatore più cinico potrebbe chiedersi se quelle osservazioni non fossero state pronunciate esattamente con questa intenzione. Il secondo libro di Talbot cita le affermazioni di un sospetto cospiratore di basso livello, secondo il quale Johnson avrebbe personalmente organizzato il complotto, e ammette che anche Hunt credeva la stessa cosa, ma tratta accuse così poco convincenti con considerevole scetticismo, dedicando una sola frase alla possibilità che Johnson potrebbe essere stato effettivamente un sostenitore passivo o addirittura un complice del complotto. Douglass e Peter Dale Scott, autore dell'influente libro del 1993 Deep Politics and the Death of JFK , sembrano non aver mai nemmeno preso in considerazione una simile ipotesi.
 
Ragioni ideologiche sono probabilmente alla base di tanta reticenza. Sebbene i liberal abbiano finito col detestare LBJ alla fine degli anni 1960 per la sua escalation nell'impopolare guerra del Vietnam, negli ultimi decenni questi sentimenti si sono sfumati, mentre i dolci ricordi del varo della legislazione sui diritti civili e il suo programma della “Grande Società” hanno riscattato la sua immagine in quel campo ideologico. Inoltre, questi provvedimento legislativi sono rimasti a lungo bloccati al Congresso e sono diventati legge solo per merito dell’avanzata democratica del 1964 che seguì il martirio di JFK, e potrebbe essere difficile per i liberal ammettere che i loro sogni più cari si debbano solo ad un atto di parricidio politico.
 
Kennedy e Johnson potrebbero essere stati rivali fortemente ostili, ma sembra che ci siano state poche profonde differenze ideologiche tra i due uomini, e la maggior parte delle figure di spicco del governo di JFK hanno continuato a servire sotto il suo successore, sicuramente un'altra fonte di enorme imbarazzo per qualsiasi liberal che fosse giunto a sospettare che il primo era stato assassinato da una cospirazione ordita dal secondo. Talbot, Douglass e molti altri uomini di sinistra hanno preferito puntare il dito contro dei cattivi assai più congeniali, come gli estremisti, i combattenti anticomunisti della Guerra Fredda e gli elementi della destra, in particolare i principali funzionari della CIA, come l'ex direttore Allan Dulles.
 
Un ulteriore fattore che aiuta a spiegare l'estrema riluttanza di Talbot, Douglass e altri a considerare Johnson come un sospetto, potrebbe essere la realtà dell'industria editoriale. Negli anni 2000, il tema della cospirazione contro JFK era oramai passato di moda e veniva trattato con sufficienza dai circoli tradizionali. La solida reputazione di Talbot, le sue 150 interviste originali e la qualità del suo manoscritto hanno infranto quella barriera e sedotto The Free Press, un editore di tutto rispetto, mentre in seguito otteneva una recensione molto positiva da parte di un universitario assai eminente sul New York Times Sunday Book Review, nonché un passaggio di un'ora trasmesso su C-Span Booknotes. Ma se avesse dedicato tutto il suo spazio a esprimere il sospetto che il nostro 35 ° presidente fosse stato assassinato dal nostro trentaseiesimo, sicuramente il peso di quell'elemento extra di "oltraggiosa teoria del complotto" avrebbe condannato il suo libro ad un oblio che non lascia tracce.
 
 
Tuttavia, se mettiamo da parte certi accecanti paraocchi ideologici e le considerazioni pratiche dell'editoria statunitense, la prova del coinvolgimento di Johnson sembra a prima vista abbastanza convincente.
 
Consideriamo un punto molto semplice. Se un presidente viene colpito da un gruppo sconosciuto di cospiratori, il suo successore normalmente avrebbe avuto il più forte incentivo possibile per rintracciarli, per timore di poter essere la loro vittima successiva. Eppure Johnson non fece nulla, se non nominare la Warren Commission che insabbiò l'intera faccenda, dando la colpa a un erratico "cecchino solitario" convenientemente morto. Questo sembrerebbe un comportamento straordinariamente strano per un innocente LBJ. Questa conclusione non comporta necessariamente che Johnson ne sia stato l'ideatore, e nemmeno un partecipante attivo, ma solleva un fortissimo sospetto che almeno abbia avuto una certa consapevolezza della trama, e abbia avuto un buon rapporto personale con alcuni dei principali manovratori.
 
Una conclusione simile è supportata da un'analisi inversa. Se la trama è riuscita e Johnson è diventato presidente, i cospiratori sicuramente si sono sentiti ragionevolmente sicuri che sarebbero stati protetti piuttosto che rintracciati e puniti come traditori dal nuovo presidente. Anche un omicidio pienamente riuscito comporta enormi rischi, a meno che gli organizzatori pensassero che Johnson avrebbe fatto esattamente quello che ha fatto, e l'unico modo per esserne certi era quello di sondarlo su questo punto, almeno in un modo vago, ottenendone il suo passivo consenso.
 
Sulla base di queste considerazioni, sembra estremamente difficile credere che una cospirazione contro JFK possa essere avvenuta senza che Johnson ne fosse stato preavvertito, o che non sia stata una figura centrale del successivo insabbiamento.
 
 
E poi i particolari della carriera di Johnson e la sua situazione politica alla fine del 1963 rafforzano notevolmente questi argomenti di carattere generale. Un utilissimo correttivo all’approccio "See No Evil" verso Johnson degli studiosi liberal del caso JFK è il libro “The Man Who Killed Kennedy : The Case Against LBJ” di Roger Stone, pubblicato nel 2013. Stone, un politico repubblicano di lunga data che iniziò con Richard Nixon, presenta potenti argomenti capaci di dimostrare che Johnson era il tipo di individuo che avrebbe potuto facilmente prestare la sua mano all'omicidio politico, e anche che aveva forti motivi per farlo.
 
Tra le altre cose, Stone raccoglie una massa enorme di informazioni convincenti su decenni di pratiche estremamente corrotte e criminali di Johnson in Texas, comprese affermazioni abbastanza plausibili secondo cui esse potrebbero aver incluso diversi omicidi. In un bizzarro incidente del 1961 che prefigura stranamente la teoria del "cecchino solitario" della Commissione Warren, un ispettore del governo federale che indagava su un importante caso di corruzione in Texas, in cui era coinvolto un vicino alleato di LBJ, venne trovato morto, con cinque proiettili nel petto e nell'addome sparati da un fucile. Ciò nonostante, la morte venne ufficialmente dichiarata un "suicidio" da parte delle autorità locali, e questa conclusione è stata riportata senza sollevare dubbi nelle pagine del Washington Post.
 
Sicuramente uno degli aspetti salienti della carriera di Johnson è quella di essere nato poverissimo, di aver ricoperto incarichi governativi a bassa retribuzione per tutta la sua vita, e che ciò nonostante ha prestato giuramento come presidente più ricco nella storia statunitense moderna , avendo accumulato una fortuna personale di oltre $ 100 milioni attuali, coi profitti finanziari dei suoi benefattori imprenditoriali, da lui riciclati attraverso gli affari della moglie. Questa strana anomalia è così poco ricordata attualmente, che un eminente giornalista politico ha espresso totale incredulità quando gliene parlai una decina di anni fa.
 
 

Stone delinea in modo efficace la difficile situazione politica che Johnson dovette affrontare alla fine del 1963. Inizialmente era entrato nella corsa presidenziale del 1960 come uno dei democratici più potenti del paese e come evidente favorito, almeno rispetto al molto il giovane Kennedy, che surclassava quanto a statura politica, e un po’ anche disprezzava. La sua sconfitta, che comportò una grande quantità di accordi sotterranei dall’una e dall’altra parte, fu un enorme colpo personale. Il mezzi con cui riuscì poi a farsi nominare vice presidente non sono del tutto chiari, ma sia Stone che Seymour Hersh in The Dark Side of Camelot suggeriscono che il ricatto personale possa essere stato un fattore più importante dell’equilibrio geografico dei voti. In ogni caso, la vittoria del 1960 di Kennedy sarebbe stata molto più difficile se il Texas non fosse caduto per un soffio nel campo democratico, e la frode elettorale della potente macchina politica di Johnson sembra quasi certamente essere stata un fattore importante.
 
In tali circostanze, Johnson si aspettava naturalmente di svolgere un ruolo importante nella nuova amministrazione, e formulò anche richieste grandiose per un enorme portafoglio politico, ma si trovò invece immediatamente messo da parte e trattato con totale disprezzo, diventando presto un personaggio trascurato, senza autorità o influenza. Col passare del tempo, i Kennedy pianificarono anche di sbarazzarsi di lui e, pochi giorni prima dell'assassinio, stavano già discutendo su chi piazzare al suo posto per le elezioni future. Gran parte della lunga storia di corruzione estrema di Johnson, sia in Texas che a Washington, stava venendo alla luce in seguito alla caduta di Bobby Baker, il suo principale scagnozzo politico, e, con un forte incoraggiamento da parte di Kennedy, Life Magazine stava preparando un'enorme dossier sulla sua storia sordida e spesso criminale, ponendo le basi perché fosse processato e, forse, condannato ad una lunga pena. A metà novembre 1963, Johnson sembrava una figura politica disperata, inesorabilmente alla fine, ma una settimana dopo era il presidente degli Stati Uniti, e tutti quegli scandali vorticosi furono improvvisamente dimenticati. Stone sostiene anche che l'enorme spazio che la rivista aveva riservato al dossier su Johnson venne invece riempito dalla storia dell'assassinio di JFK.
 
Oltre a documentare efficacemente la sordida storia personale di Johnson e la sua fine imminente per mano dei Kennedy alla fine del 1963, Stone aggiunge anche numerose affascinanti testimonianze personali, che possono essere più o meno affidabili. Secondo lui, il suo mentore, Nixon, si trovava nella stazione di polizia di Dallas dove Jack Ruby sparò a Oswald. Stone racconta che Nixon impallidì, spiegando di aver conosciuto personalmente il sicario sotto il nome di Rubenstein. Quando lavorava in un comitato della Camera, nel 1947, Nixon era stato consigliato da un alleato, e noto avvocato della mafia, di assumere Ruby come investigatore, sentendosi dire che "era uno dei ragazzi di Lyndon Johnson". Stone sostiene anche che Nixon una volta precisò che lui, anche se aveva a lungo aspirato alla presidenza, a differenza di Johnson, "non era disposto a uccidere per questo.
 
Stone ha trascorso più di mezzo secolo come spietato osservatore politico, una posizione che gli ha fornito un accesso personale unico alle persone che hanno partecipato ai grandi eventi del passato, ma che comporta anche la reputazione di insincerità propria di quella professione, e dunque occorre valutare attentamente l’influenza che possono avere avuto queste diverse situazioni. Personalmente, tendo a dare fiducia alla maggior parte delle storie dei testimoni oculari che Stone fornisce. Ma anche i lettori più scettici dovrebbero trovare utile la vasta raccolta di sordidi dettagli sulla storia di LBJ che il libro fornisce.
 
 
Infine, un episodio storico apparentemente non correlato aveva, in origine, concentrato i miei sospetti sul coinvolgimento di Johnson.
 
Subito prima dello scoppio della guerra dei sei giorni del 1967, Johnson aveva inviato la USS Liberty, la nostra più avanzata nave per la raccolta di informazioni, al largo, in acque internazionali, per monitorare da vicino la situazione militare. Si dice che Johnson avesse concesso ad Israele il via libera ad un attacco preventivo, ma temendo il rischio di un conflitto militare coi Sovietici a causa dell’appoggio di questi ultimi alla Siria e all’Egitto, aveva rigorosamente circoscritto i limiti delle operazioni militari, inviando la Liberty per tenere d’occhio gli sviluppi e forse per "mostrare a Israele chi era il capo".
 
Corretta o meno che sia questa ricostruzione, gli Israeliani hanno subito lanciato un attacco a tutto campo contro la nave quasi priva di difese, nonostante la grande bandiera statunitense che sventolava, tentando di affondarla con aerei da caccia e torpediniere in un attacco durato diverse ore, mitragliando anche le scialuppe di salvataggio perché non vi fossero sopravvissuti. Il primo attacco aveva preso di mira l'antenna principale per le comunicazioni, e la sua distruzione, unita alle interferenze delle comunicazioni messe in atto da Israele, impedì qualsiasi comunicazione con altre forze navali statunitensi nella regione.
 
Nonostante queste condizioni molto difficili, un membro dell'equipaggio è riuscito eroicamente a riparare un'antenna sostitutiva durante l'attacco e, provando numerose frequenze diverse, è riuscito ad aggirare le interferenze e a contattare la Sesta Flotta degli Stati Uniti, informandola della situazione disperata. Eppure, sebbene siano stati per due volte inviati dei jet per salvare la Liberty e respingere gli assalitori, ogni volta essi sono stati richiamati, sembrerebbe per ordine diretto delle più alte autorità del governo degli Stati Uniti. Quando gli Israeliani capirono che altre forze statunitensi erano state informate della situazione, interruppero l’attacco e la Liberty, gravemente danneggiata, riuscì a trascinarsi fino al porto più vicino, con oltre 200 marinai feriti e morti, che rappresentavano la più grande perdita di militari statunitensi dopo la seconda guerra mondiale.
 
Sebbene numerose medaglie siano state conferite ai sopravvissuti, la notizia dell'incidente fu totalmente coperta da top secret e, con una iniziativa senza precedenti, perfino le medaglie d’oro del Congresso vennero assegnate solo in una  cerimonia privata. I sopravvissuti furono anche severamente minacciati di immediato deferimento alla corte marziale se avessero rivelato quanto accaduto alla stampa o a chiunque altro. Nonostante le prove schiaccianti che l'attacco era stato intenzionale, una corte d'inchiesta navale presieduta dall'ammiraglio John S. McCain, Jr., padre dell'attuale senatore, ha insabbiato l'incidente presentandolo come un tragico incidente e un completo oscuramento dei media ha soppresso i fatti . La vera storia cominciò a venir fuori solo anni dopo, quando James M. Ennes, Jr., un sopravvissuto della Liberty , decise di correre il rischio di gravi conseguenze legali e pubblicò Assault on the Liberty nel 1979 .
 
Nel caso di specie, le intercettazioni effettuate dalla NSA delle comunicazioni israeliane tra i jet d'attacco e Tel Aviv, tradotte dall'ebraico, hanno pienamente confermato che l'attacco era stato del tutto deliberato e, dal momento che molti dei morti e feriti erano impiegati della NSA, la soppressione di questi fatti ha scioccato i loro colleghi. Il mio vecchio amico Bill Odom, il generale a tre stelle che gestiva la NSA per Ronald Reagan, in seguito ha astutamente aggirato le restrizioni dei suoi padroni politici, facendo di queste intercettazioni incriminanti una parte del programma standard di formazione Sigint richiesto per tutti gli agenti dei servizi segreti.
 
Nel 2007 un insolito insieme di circostanze ha finalmente rotto un blackout di trent'anni nei media mainstream. L'investitore immobiliare Sam Zell, un miliardario ebreo estremamente devoto a Israele, aveva messo in atto un buyout leveraged della Tribune Company , società madre del Los Angeles Times e del Chicago Tribune, investendo solo una scheggia del proprio denaro, la maggior parte del finanziamento provenendo dai fondi pensione dell'azienda che stava acquistando. Acclamato come "il danzatore sulla tomba" per i suoi scaltri investimenti finanziari, Zell si è vantato pubblicamente che quella transazione gli aveva assicurato tutti i vantaggi finanziari, con relativamente poco rischio. Un simile approccio si rivelò per lui giudizioso, quando il complesso accordo fallì e, sebbene Zell ne sia uscito quasi indenne, i redattori e i giornalisti persero decenni di contributi pensionistici, mentre massicci licenziamenti presto devastarono le redazioni di due dei più grandi e prestigiosi giornali. Forse per coincidenza, ma proprio in occasione del fallimento, alla fine del 2007, il Tribune pubblicò un lungo articolo di 5.500 parole sull'attacco alla Liberty , che rappresenta la prima e unica volta in cui un resoconto così completo dei fatti veri è mai apparso nei media mainstream.
 
A detta di tutti, Johnson era un individuo dotato di un fortissimo ego e, quando ho letto l'articolo, sono rimasto colpito dalla sua totale sottomissione allo Stato ebraico. L'influenza delle donazioni elettorali e la copertura mediatica favorevole sembravano del tutto insufficienti a spiegare la sua reazione a un incidente che era costato la vita a così tanti militari statunitensi. Cominciai a chiedermi se Israele non fosse stata in grado di giocare una carta vincente straordinariamente potente, mostrando in tal modo a LBJ "chi era veramente il capo". E quando ho scoperto che l’uccisione di JFK si doveva ad una cospirazione assassina, un anno o due dopo, sospettai di sapere quale avrebbe potuto essere la carta vincente. Nel corso degli anni, ero diventato amico del compianto Alexander Cockburn e, appena ci capitò di pranzare insieme, gli illustrai la mia idea. Per quanto egli abbia sempre respinto le ipotesi di complotto nella vicenda JFK come una totale assurdità, trovò comunque la mia ipotesi assolutamente intrigante. 
 
A prescindere da tali speculazioni, le strane circostanze dell'incidente della Liberty hanno certamente dimostrato la relazione eccezionalmente stretta tra il presidente Johnson e il governo di Israele, nonché la possibilità che i media mainstream tenessero per anni nascosti eventi di natura straordinaria.
 
 
E’ importante tenere a mente queste considerazioni, nel momento in cui iniziamo a esplorare la teoria più esplosiva e sottovalutata dell'assassinio di JFK. Quasi venticinque anni fa il compianto Michael Collins Piper pubblicò “Final Judgment”, presentando un complesso molto ampio di prove circostanziali che Israele e il suo servizio segreto del Mossad, insieme ai loro collaboratori statunitensi, abbia probabilmente giocato un ruolo centrale nella cospirazione.
 
Per decenni dopo l'assassinio del 1963, praticamente nessun sospetto aveva mai sfiorato Israele, e di conseguenza nessuna delle centinaia o migliaia di libri pubblicati negli anni '60, '70 e '80 sui complotti assassini ha lasciato intendere un qualche ruolo del Mossad, anche se sono state fatte tutte le altre possibili ipotesi, dal Vaticano agli Illuminati. Kennedy aveva ricevuto oltre l'80% del voto ebraico nelle elezioni del 1960, ebrei statunitensi avevano ruoli di primo piano nella sua Casa Bianca, e il presidente era molto incensato da personalità mediatiche, celebrità e intellettuali ebrei che andavano da New York a Hollywood alla Ivy League . Inoltre, individui di origine ebraica come Mark Lane ed Edward Epstein erano stati tra i primi a denunciare che l’omicidio di JFK era frutto di un complotto, e le loro teorie controverse erano sostenute da influenti celebrità culturali ebraiche come Mort Sahl e Norman Mailer. Dato che l'amministrazione Kennedy era ampiamente percepita come filo-israeliana, non sembrava esserci alcun motivo per un qualsiasi coinvolgimento del Mossad, e  accuse bizzarre e totalmente prive di fondamento di tal genere dirette contro lo stato ebraico non erano per nulla suscettibili di suscitare interesse in una industria editoriale massicciamente filo-israeliana.
 
Tuttavia, all'inizio degli anni '90, giornalisti e ricercatori molto apprezzati iniziarono a raccontare le circostanze relative allo sviluppo dell'arsenale israeliano di armi nucleari. Il libro di Seymour Hersh del 1991 “The Samson Option: Israel’s Nuclear Arsenal and American Foreign Policy” parla degli sforzi estremi dell'amministrazione Kennedy per costringere Israele a consentire ispezioni internazionali del suo presunto reattore nucleare non militare a Dimona, impedendone in tal modo la sua utilizzazione per la produzione di armi nucleari . “Dangerous Liaisons : The Inside Story of the U.S.-Israeli Covert Relationship”, di Andrew e Leslie Cockburn è apparsa nello stesso anno, e ha trattato lo stesso tema.
 
Benché completamente sconosciuto al pubblico, il conflitto politico degli anni '60 tra i governi statunitensi e israeliano sullo sviluppo delle armi nucleari rappresentava una delle principali priorità della politica estera dell'amministrazione Kennedy, che aveva fatto della non proliferazione nucleare una delle sue iniziative centrali di politica internazionale. È degno di nota il fatto che John McCone, scelto da Kennedy come direttore della CIA, fosse stato in precedenza membro della Commissione per l'energia atomica sotto Eisenhower, e fu proprio lui a far trapelare il fatto che Israele stava costruendo un reattore nucleare per produrre plutonio.
 

Le pressioni e le minacce di carattere finanziario segretamente applicate a Israele dall'amministrazione Kennedy alla fine divennero così gravi da portare alle dimissioni del primo ministro israeliano David Ben-Gurion nel giugno 1963. Ma questa forte pressione si interruppe quasi del tutto quando Kennedy venne sostituito da Johnson nel novembre dello stesso anno. Piper fa notare che il libro di Stephen Green del 1984 “Taking Sides : America’s Secret Relations With a Militant Israel” aveva già documentato che la politica mediorientale degli Stati Uniti si era completamente invertita dopo l'assassinio di Kennedy, ma questa importante scoperta aveva attirato poca attenzione all'epoca.
 
Gli scettici verso l’ipotesi di un complotto di natura istituzionale nella vicenda dell’assassinio di JFK hanno spesso sottolineato l'estrema continuità nelle politiche sia estere che interne tra le Amministrazioni Kennedy e Johnson, sostenendo che questo solleva gravi dubbi circa la fondatezza di una simile ipotesi. Se questo è vero in termini generali, l’atteggiamento degli USA nei confronti di Israele e del suo programma di armi nucleari rappresenta un'eccezione molto notevole a questo schema.
 
I tentativi dell’amministrazione Kennedy di limitare fortemente l’influenza delle lobby politiche filo-israeliane potrebbe essere stata un'ulteriore importante preoccupazione per i funzionari israeliani. Durante la sua campagna presidenziale del 1960, Kennedy si era incontrato a New York con un gruppo di ricchi sostenitori di Israele, guidati dal finanziere Abraham Feinberg, che gli avevano offerto un enorme sostegno finanziario in cambio di un'influenza dominante nella politica mediorientale. Kennedy riuscì a coinvolgerli con vaghe assicurazioni, ma considerò l'incidente così inquietante che il mattino dopo cercò il giornalista Charles Bartlett, uno dei suoi più cari amici, e espresse il suo sdegno per il fatto che la politica estera statunitense potesse cadere sotto il controllo dei partigiani di una potenza straniera, promettendo che, se fosse diventato presidente, avrebbe cambiato le cose. E senza dubbio, una volta insediato suo fratello Robert come Procuratore generale, quest'ultimo promosse un importante iniziativa legale per costringere i gruppi filo-israeliani a registrarsi come agenti stranieri, il che avrebbe drasticamente ridotto il loro potere e la loro influenza. Ma dopo la morte di JFK, questo progetto è stato rapidamente abbandonato e, risultato dell’accordo, fu solo l’accettazione della principale lobby pro-Israele di ricostituirsi come AIPAC.
 
 
Il libro “Final Judgment” ha avuto una serie di ristampe dopo la sua apparizione originale del 1994, e alla sesta edizione pubblicata nel 2004, è giunto a oltre 650 pagine, incluse numerose lunghe appendici e oltre 1100 note a piè di pagina, la stragrande maggioranza delle quali tratte da fonti interamente mainstream. Il testo è liberamente riproducibile, conseguenza del totale boicottaggio di tutti gli editori, mainstream o alternativi, ma io l’ho trovato notevole e, in generale, abbastanza convincente. Nonostante il blackout più estremo da parte di tutti i media, il libro ha venduto più di 40.000 copie nel corso degli anni, rendendolo una specie di  bestseller sotterraneo, e sicuramente è stato letto da tutti coloro che si sono occupati dell’assassinio di JFK, anche se quasi nessuno di essi lo ha mai menzionato. Sospetto che questi scrittori abbiano compreso che anche solo il semplice riconoscimento dell'esistenza del libro, se non altro per metterlo in ridicolo o respingerlo, avrebbe potuto rivelarsi fatale per la loro carriera nei media e nell'editoria. Piper è morto nel 2015, a 54 anni, per quei problemi di salute e di alcolismo che sono spesso associati ad una triste povertà, e altri giornalisti potrebbero essere stati riluttanti a rischiare lo stesso triste destino.
 
Come esempio di questa strana situazione, la bibliografia del libro di Talbot del 2005 contiene circa 140 voci, alcune piuttosto oscure, ma non contiene “Final Judgment”, né il suo ricco indice include alcuna voce per "ebrei" o "Israele". In effetti, ad un certo punto, menziona molto delicatamente che i dirigenti dello staff del senatore Robert Kennedy erano tutti ebrei, affermando "Non c'era un cattolico tra loro". Il seguito del libro del 2015 è altrettanto circospetto, e sebbene l'indice contenga numerose voci relative agli ebrei, tutti questi riferimenti sono in relazione alla seconda guerra mondiale e ai nazisti, compresa la sua discussione sui presunti legami nazisti di Allen Dulles, la sua principale bestia nera. Il libro di Stone, mentre condanna senza timore il presidente Lyndon Johnson per l'assassinio di JFK, esclude stranamente "ebrei" e "Israele" dal lungo indice e “Final Judgment” dalla bibliografia, e il libro di Douglass segue lo stesso schema.
 
Inoltre, le inquietudini estreme che l’ipotesi di Piper sembra aver suscitato tra i ricercatori dell'assassinio di JFK possono spiegare una strana anomalia. Sebbene Mark Lane fosse egli stesso di origini ebraiche e con radici di sinistra, dopo la sua vittoria per Liberty Lobby nel processo per diffamazione di Hunt, lavorò per molti anni con quella organizzazione e sembra essere diventato piuttosto amico di Piper, uno dei suoi principali scrittori. Secondo Piper, Lane gli disse che “Final Judgment” era un "un solido dossier" sul ruolo importante svolto dal Mossad nell'assassinio, e che egli considerava la teoria di Piper come pienamente complementare alla sua focalizzazione sul ruolo della CIA. Sospetto che proprio queste possibili associazioni tra le teorie di Mark Lane e di Piper spieghino perché Lane sia stato quasi completamente eliminato dai libri di Douglass e di Talbot del 2007, e citato nel secondo libro di Talbot solo quando la cosa era assolutamente imprescindibile. Per contro, i redattori del New York Times non sono altrettanto interessati agli aspetti nascosti dell’omicidio di JFK e, ignorando questa polemica nascosta, hanno concesso a Lane il lungo e brillante necrologio che la sua carriera meritava pienamente.
 
L’analisi dei soggetti sospettati di un crimine comprende anche la valutazione dei precedenti. Come ho già detto, non mi viene in mente alcun precedente in cui il crimine organizzato abbia tentato di assassinare una figura politica statunitense, anche solo moderatamente nota sul piano nazionale. E, nonostante alcuni casi sospetti, lo stesso vale per la CIA.
 
Al contrario, il Mossad israeliano e i gruppi sionisti che hanno preceduto l'istituzione dello stato ebraico sembrano aver avuto un lungo curriculum di omicidi, compresi quelli di personalità politiche di alto rango che normalmente potrebbero essere considerati intoccabili. Lord Moyne, ministro di Stato britannico per il Medio Oriente, fu assassinato nel 1944 e il conte Folke Bernadotte, il negoziatore della pace delle Nazioni Unite inviato per aiutare a risolvere la prima guerra arabo-israeliana, subì lo stesso destino nel settembre 1948. Neanche un presidente statunitense poteva considerarsi totalmente al sicuro da tali rischi, e Piper nota che le memorie della figlia di Harry Truman, Margaret, rivelano che i militanti sionisti avevano tentato di assassinare suo padre usando una lettera con sostanze chimiche tossiche nel 1947, quando credevano che non fosse troppo solerte nel sostenere  Israele, sebbene quel tentativo fallito non sia mai stato reso pubblico. La fazione sionista responsabile di tutti questi assassini era guidata da Yitzhak Shamir, che in seguito divenne un leader del Mossad e direttore del suo programma di assassini durante gli anni '60, prima di diventare infine Primo Ministro di Israele nel 1986.
 
Se le rivelazioni fatte nel bestseller degli anni '90 dal disertore del Mossad Victor Ostrovsky sono vere, Israele ha persino preso in considerazione l'assassinio del presidente George HW Bush nel 1992 a causa delle sue minacce di tagliare gli aiuti finanziari a Israele per le sue politiche di insediamento in Cisgiordania, e sono stato informato che l'amministrazione Bush prese sul serio, in quel momento, la rivelazione. E sebbene non l'abbia ancora letto, il recente e ampiamente apprezzato libro Rise and Kill First: The Secret History of Israel's Targeted Assassinations del giornalista Ronen Bergman rivela che nessun altro paese al mondo ha utilizzato con tanta regolarità l'assassinio come strumento standard della politica statale.
 
Ci sono altri elementi degni di nota che tendono a supportare l'ipotesi di Piper. Una volta accettata l’idea che JFK sia stato assassinato da una cospirazione, l'unico individuo di cui si conosca con certezza la partecipazione al complotto è Jack Ruby, e i suoi rapporti con il crimine organizzato erano quasi esclusivamente con quell’ala ebraica poco menzionata, comandata da Meyer Lansky, un sostenitore estremamente fervido di Israele. Lo stesso Ruby aveva legami particolarmente forti con il luogotenente di Lansky, Mickey Cohen, che dominava la malavita di Los Angeles e che era stato personalmente coinvolto nella vendita di armi a Israele prima della guerra del 1948. Infatti, secondo il rabbino di Dallas Hillel Silverman, Ruby aveva in privato spiegato la sua uccisione di Oswald dicendo "L'ho fatto per il popolo ebraico".
 
Va inoltre menzionato un aspetto intrigante del film JFK di Oliver Stone. Arnon Milchan, il ricco produttore di Hollywood che sostenne il progetto, non era solo un cittadino israeliano, ma avrebbe anche giocato un ruolo centrale nell'enorme progetto di spionaggio finalizzato a fornire tecnologia e materiali statunitensi al progetto israeliano di armi nucleari, proprio quella impresa che l’amministrazione Kennedy aveva tentato di bloccare. Milchan è stato a volte descritto come "il James Bond israeliano". E sebbene il film abbia una durata di ben tre ore, evita scrupolosamente di citare alcuni dei dettagli che Piper in seguito considerò come indizi di un coinvolgimento israeliano, sembrando invece puntare il dito contro il fanatico movimento anticomunista statunitense e la direzione del complesso militare – industriale durante la Guerra Fredda.
 
Riassumere oltre 300.000 parole della storia e dell'analisi di Piper in pochi paragrafi è ovviamente un'impresa impossibile, ma quanto più sopra detto fornisce un assaggio ragionevole dell'enorme massa di prove circostanziali raccolte a favore dell'ipotesi di Piper.
 
 
Sotto molti aspetti, gli studi sull'assassinio di JFK sono diventati una disciplina accademica e le mie credenziali sono piuttosto limitate. Ho letto forse una dozzina di libri sull'argomento, e ho anche provato ad affrontare i problemi con la tabula rasa e gli occhi innocenti di un neofita, ma qualsiasi esperto serio avrebbe certamente digerito decine o addirittura centinaia di volumi sull’argomento. Mentre l'analisi generale del libro di Piper mi ha colpito come abbastanza persuasiva, una buona parte dei nomi e dei riferimenti non erano familiari, e semplicemente non ho le basi per valutare la loro credibilità, né se la descrizione del materiale presentato sia accurata.
 
In circostanze normali, avrei esaminato le recensioni o le critiche prodotte da altri autori. Ma, per quanto  “Final Judgment” sia stato pubblicato un quarto di secolo fa, la quasi-assoluta coltre di silenzio che circonda le tesi di Piper, in particolare da parte dei ricercatori più influenti e credibili, rende questo impossibile.
 
Tuttavia, il fatto che Piper non sia riuscito a trovare un editore regolare e gli sforzi diffusi posti in atto per impedire la divulgazione della sua teoria, hanno prodotto ironicamente un risultato positivo. Da quando il libro è andato fuori stampa, anni fa, ho facilmente ottenuto il diritto di includerlo nella mia raccolta di libri controversi in HTML, e ora lo ho fatto, consentendo così a chiunque su Internet di leggere comodamente l'intero testo e decidere da solo, controllando facilmente la moltitudine di riferimenti o cercando particolari parole o frasi.
 
 
Questa edizione comprende in realtà molte opere più brevi, originariamente pubblicate separatamente. Uno di questi, composto da una lunga sessione di domande e risposte, descrive la genesi dell'idea, e risponde a numerose domande che la concernono, e per alcuni lettori potrebbe rappresentare un punto di partenza migliore.
 
 
Ci sono anche numerose interviste a Piper o presentazioni facilmente reperibili su YouTube, e quando ho guardato due o tre di esse un paio di anni fa, ho pensato che riassumessero efficacemente molti degli argomenti principali, ma non riesco a ricordare quali fossero.
 
 
L'assassinio di Kennedy è sicuramente uno degli eventi più drammatici e più mediatizzati del ventesimo secolo, ma la prova schiacciante che il nostro presidente sia morto per mano cospiratori piuttosto che di un eccentrico "cecchino solitario" è stata quasi interamente soppressa dai nostri principali media durante i decenni che seguirono, esponendo al ridicolo e all’oblio quelli che si sono invece intestarditi a cercare la verità. In effetti, il termine stesso "teoria del complotto" è diventato ben presto un insulto rivolto contro tutti coloro che mettevano in discussione le narrative istituzionali, e ci sono forti prove che tale uso peggiorativo sia stato deliberatamente promosso da parte delle agenzie governative, preoccupate del fatto che gran parte degli Statunitensi stavano diventando scettici nei confronti della implausibile storia contrabbandata dalla Commissione Warren. Ma, nonostante tutti questi sforzi, questo potrebbe essere il momento in cui la fiducia dei cittadini nei confronti dei media nazionali ha iniziato il suo precipitoso declino. Una volta che un individuo ha concluso che i media mentivano su qualcosa di così monumentale come l'omicidio del JFK, inizia naturalmente a chiedersi quali altre bugie potrebbero esserci.
 
Anche se adesso sono convinto che l’uccisione di JFK sia stato l’esito di una  cospirazione, penso che dopo tanti decenni non vi sia più alcuna speranza reale di raggiungere una conclusione certa sull'identità dei principali organizzatori o sulle loro motivazioni. Coloro che non sono d'accordo con questa valutazione negativa sono liberi di continuare a setacciare l'enorme montagna di prove storiche complesse e di discutere le loro conclusioni con altri che hanno interessi simili.
 
Tuttavia, tra i principali sospettati, penso che il partecipante più probabile sia stato Lyndon Johnson, sulla scorta di una ragionevole valutazione dei mezzi, delle motivazioni e delle opportunità, nonché sull'enorme ruolo che, ovviamente, deve aver giocato nel facilitare il successivo insabbiamento da parte della Commissione Warren. Tuttavia, anche se un sospetto così ovvio deve essere stato immediatamente evidente a qualsiasi osservatore, Johnson sembra aver ricevuto solo una piccola parte dell'attenzione che i libri riservano regolarmente ad altri sospetti molto meno plausibili. Quindi la chiara disonestà dei media mainstream nell'evitare il riconoscimento di una cospirazione sembra essersi accompagnata a un secondo livello di disonestà dei media alternativi, che hanno fatto del loro meglio per evitare che fosse individuato il più probabile autore.
 
E il terzo livello della disonestà mediatica è il più estremo di tutti. Un quarto di secolo fa, “Final Judgment”  forniva un'enorme massa di prove circostanziali che suggerivano un ruolo importante, perfino dominante, del Mossad israeliano nell'organizzare l'eliminazione sia del nostro 35 ° presidente che del suo fratello minore, uno scenario che sembra secondo nell’arco delle probabilità solo rispetto a quello del coinvolgimento di Johnson. Eppure le centinaia di migliaia di parole di analisi di Piper sembrano essere svanite nell'etere, con pochissimi tra i maggiori ricercatori disposti ad ammettere di aver letto un libro scioccante che ha venduto oltre 40.000 copie, quasi interamente per un passaparola sotterraneo.
 
Quindi, anche se i partigiani impegnati possono continuare i loro infiniti dibattiti, in gran parte infruttuosi, su "Who Killed JFK", penso che l'unica conclusione certa che possiamo trarre dalla notevole storia di questo evento cruciale del XX secolo è che tutti noi abbiamo vissuto per molti decenni nella realtà artificiosa della "nostra Pravda statunitense".
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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