Le trombe (e i tromboni) del Giudizio
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Le trombe (e i tromboni) del Giudizio
Nicola Quatrano
Venerdì 14 novembre 2015, il Corriere della Sera ha aperto in prima con una bufala: “Ebreo accoltellato in strada a Milano. Ci sentiamo tutti minacciati” (1) Una bufala non nel fatto in sé, ma nell’enfasi con cui è stato presentato e nei commenti che lo hanno accompagnato. E infatti nessun altro giornale italiano ha fatto altrettanto.
A ben ragione. Altri quotidiani (per esempio, la Repubblica) hanno infatti riportato le precisazioni fatte a caldo dalla polizia, secondo cui “non ci sono evidenze che possano far pensare a una matrice antisemita”, tanto più che l’aggressore non ha rivendicato in alcun modo il carattere antiebraico del gesto, parlava italiano ed era addirittura biondo con la carnagione chiara (2) – particolari, questi, sfuggiti al Corsera.
Che, dal canto suo, probabilmente insoddisfatto per il tono prudente usato dagli esponenti della comunità ebraica milanese, ha cercato altrove per i commenti. Riuscendo a scovare addirittura l’ex presidente della comunità ebraica romana, Riccardo Pacifici, che aveva già pronto il verdetto: “Sono stati i Palestinesi” (3).
L'editoriale è stato poi affidato a Pierluigi Battista, il “giornalista tifoso” (4), che si era già esercitato il giorno prima (5) con un editoriale che stigmatizzava la decisione dell’Unione Europea di “etichettare” le merci israeliane prodotte nei territori palestinesi illegalmente occupati da Israele (misura di minimo rispetto per il consumatore che, in tal modo, sarà posto nella condizione di sapere da dove provengono quelle mercanzie, e liberamente scegliere se acquistarle o meno). E lo ha fatto con quei toni incongruamente enfatici che sembrano venirgli naturali quando parla di Israele (6), salvo a tacere di fronte, per esempio, al concretissimo titolo di “Libero” apparso all’indomani dei fatti di Parigi, a quel “Bastardi islamici”, che è davvero un invito all’odio contro un’intera comunità.
Ma tant’è, torniamo alla bufala dell’accoltellamento. Dirò subito che PG Battista ha avuto cura di precisare, in un punto poco visibile dell’editoriale (verso la fine del primo lungo paragrafo), che “è ancora tutto da verificare quello che è accaduto ieri sera a Milano, la dinamica dell’aggressione, l’identità dell’attentatore, lo spunto da cui è partito l’agguato”. Ma lo ha fatto dopo avere già emesso la sentenza, come un giudice che condanni all’ergastolo, per poi chiarire che bisogna ancora stabilire se il condannato sia colpevole e, addirittura, se il delitto sia stato davvero commesso.
Ed ecco la (prematura) sentenza:
“Un ebreo colpito da sei coltellate da un uomo incappucciato in periferia a Milano, davanti a una pizzeria kosher, è una notizia che sgomenta e allarma, anche in mancanza di particolari più circostanziati. Quella che viene definita l’«Intifada dei coltelli», del resto, non prevede nella sua carica di odio distinzioni, distinguo: si colpisce l’ebreo come incarnazione del «sionista», dovunque si trovi, per la sola colpa di esistere. In Europa, del resto, sono stati colpiti supermercati kosher, scuole ebraiche, sinagoghe, luoghi di ritrovo, singoli ebrei braccati e assaliti per strada. In Italia, che pure ha conosciuto nel 1982 l’attentato di fronte al Tempio Maggiore di Roma in cui perse la vita un bambino di due anni, speravamo che l’ombra lunga del terrore antiebraico non avrebbe insanguinato le nostre città”.
Attenzione, questa è solo l’ambientazione. Il pezzo forte viene dopo, quando l’editorialista se l’è presa col presidente iraniano Rouhani (del quale era annunciata una visita in Europa, annullata poi dopo i fatti di Parigi). “Tutto questo – si legge - avviene alla vigilia della visita in Italia del presidente iraniano Rouhani. Ogni accostamento con i fatti di Milano, beninteso (bontà sua, ndr) sarebbe arbitrario….”. Eppure (e il passaggio è accompagnato da un crescendo di tromboni) “è da una parola carica di angoscia, ‘odio’, che occorre partire per una riflessione che sia capace anche di inquadrare l’agguato all’ebreo accoltellato davanti a un ristorante kosher…”.
Ma come, obietterebbe un ingenuo, non s’era detto che “è ancora tutto da verificare quello che è successo a Milano”? Quisquilie, risponderebbe Totò, (e pinzillacchere).
La prima pagina del Corsera del 13 novembre 2015
Con la paziente condiscendenza di un professore che ascolta la lezione malamente imparata da uno studente non molto dotato, l’editorialista del Corsera ha espresso moderato apprezzamento per le parole di Rouhani, quando ha dichiarato di “amare l’ebraismo” e “rispettare le religioni monoteiste”. Tuttavia (e qui, ancora si è dato fiato alle trombe, anzi ai tromboni): “c’è un ‘però’ che raggela gli animi e torna a demonizzare l’esistenza stessa dello Stato di Israele, proprio quando i cittadini ebrei e israeliani sono colpiti dall’odio degli accoltellatori, dai militanti del terrore che non fanno distinzione tra ‘ebrei’ e ‘sionisti”.
E qual è questo terribile “però” che si eleva al di sopra del concerto di trombe (o di tromboni) del Giudizio Universale (di Batista)? Semplice: “Il presidente iraniano dice di capire ‘l’odio’, non per gli ebrei, ma per lo Stato di Israele”.
Noi, che siamo semplici di spirito, ci rallegreremmo del fatto che Rouhani abbia respinto senza ambiguità ogni inaccettabile sentimento antisemita (l’odio per gli ebrei in quanto ebrei) e abbia riconosciuto come “comprensibile” solo quell’accettabilissimo sentimento che è l’odio verso uno Stato (siamo nati in un mondo diviso tra chi odiava gli USA e chi odiava l’URSS, e la cosa non provocava reciproci genocidi). Tanto più che non si vede come i Palestinesi, per esempio, possano non odiare uno Stato che ha sottratto loro case e terre, e continua a espandersi, a loro spese, con continui insediamenti di coloni nei territori occupati dal 1967.
Ma si tratta di argomenti da semplici di spirito, appunto. Perché il nostro giudice (dopo avere già “sputato” una sentenza prima ancora di accertare i fatti) ne aveva già pronta un’altra:
“Ecco perché le parole di Rouhani, che pure sembrerebbero prendere le distanze dal pregiudizio antiebraico, ricadono nello stesso pregiudizio che ha sempre impedito e continuerà ad impedire la possibilità di una soluzione pacifica dei conflitti nel Medio Oriente. (…) Perché il riconoscimento della legittimità dello Stato di Israele è la precondizione della pace, ed è la premessa necessaria affinché anche lo Stato di Israele non possa che imboccare la strada maestra dei «due popoli, due Stati». L’alternativa è un «odio» imperituro, l’antiebraismo che si camuffa con l’antisionismo, una guerra che non avrà mai fine. E i fatti come quello di Milano, che aprono interrogativi angosciosi e impongono a tutti di soppesare le parole e di cancellarne per sempre una: «odio» .
Non inganni la tortuosità del ragionamento, il significato è in realtà molto semplice: il nostro ha affermato che l’avversione verso lo Stato di Israele è un “pregiudizio” antisemita (contro gli ebrei in quanto ebrei) che si nasconde dietro l’antisionismo (l’avversione, non per gli ebrei, ma per lo Stato di Israele). E questa affermazione gli è servita per ribadire il vero e unico pregiudizio presente in tutto il ragionamento, che è quello suo: vale a dire che l’antisionismo è sempre antisemita.
Non ci si permetta, dunque, di criticare lo Stato di Israele, non ci si permetta di opporsi all’espansionismo colonialista di questo Stato, perché equivale ad essere antisemiti. Era a dimostrare questo altrimenti indimostrabile assunto, dunque, che serviva la bufala.
Bambino palestinese arrestato dai soldati israeliani
Triste destino quello dei Palestinesi, costretti a subire un’occupazione illegale, terribili vessazioni e sofferenze, senza potere nemmeno odiare l’oppressore, pena l’essere banditi dal consorzio umano in quanto antisemiti.
Eppure l’odio dei Palestinesi verso lo Stato di Israele non è un “pregiudizio”, ma un “giudizio”, frutto di molti anni di occupazione e di sofferenze. E non ha nulla di antisemita, come dimostrano le migliaia di ebrei che contestano e lottano contro l’occupazione e l’espansione delle colonie in territorio palestinese.
E, soprattutto, non ha bisogno di “bufale” montate di sana pianta, per trovare giustificazioni.
Note;
(3)«Quando è partita l’intifada dei coltelli avevano promesso di colpire gli ebrei in Israele e in ogni parte del mondo, e lo hanno fatto. Questa è la più grave aggressione avvenuta in Italia dall’attentato del 1982 alla sinagoga di Roma nel quale perse la vita il piccolo Stefano Gaj Taché, di soli due anni»
(6) “Qui l’Europa, dimentica del passato atroce in cui i negozi degli ebrei venivano perseguitati e le merci degli ebrei confiscate o boicottate, decide di dare una mano alla campagna che i regimi autoritari del Medio Oriente imbastiscono contro l’unica democrazia di quell’area, cioè lo Stato di Israele” (che, in virtù della sua sedicente democrazia, sarebbe dunque autorizzata ad occupare illegalmente territori non suoi e sfruttarne le risorse).