Napoli, 21 giugno 2010  – 35 anni fa, esattamente il 21 giugno 1975, moriva tra atroci tormenti Jolanda Palladino. Qualche giorno prima si trovava per caso nel corteo di auto che festeggiava la vittoria del partito comunista alle elezioni comunali, una bottiglia molotov scagliata di un gruppetto di militanti del MSI si è infilata nel tettuccio aperto della sua Fiat 500, incendiandola. Così i fascisti sono riusciti a rovinare la festa, come era loro intenzione, poco importa che a pagarne le conseguenze sia stata una ragazza innocente. Pubblichiamo l’articolo di Nicola Quatrano uscito su La Repubblica, in occasione del trentennale della morte



La Repubblica — 21 giugno 2005

Quel pomeriggio da cani
 
Pomeriggio da cani, al piano terra del civico 169 di via Foria, sede della sezione missina "Berta". I rappresentanti di lista erano andati e venuti tutto il pomeriggio con i dati degli scrutini, allora si faceva così, non c' erano le proiezioni. Il segretario della sezione Michele Florino era stato eletto consigliere comunale, ma la soddisfazione non bastava a compensare il malumore e il risentimento per la vittoria dei "rossi", che ora osavano attraversare via Foria con le loro auto imbandierate e chiassose.
Alle 22 la sezione chiuse e i ragazzi prepararono delle bottiglie incendiarie per dare una lezione ai comunisti. Si appostarono lungo la scalinata di via Michele Tenore, di lì avrebbero potuto risalire dopo l' azione e rifugiarsi nei vicoli dove erano conosciuti e protetti. Su quei gradini il giorno successivo la polizia troverà ancora 4 bottiglie incendiarie pronte per l' uso e una tanica contenente mezzo litro di benzina e sempre lì, solo tre giorni prima, un netturbino aveva già trovato altre 4 bottiglie molotov. Erano molti, assiepati sulle scale, ma si conoscono solo i nomi dei tre ragazzi che saranno arrestati: Umberto Fiore, cameriere di 20 anni, Giuseppe Torsi, operaio di 19 anni, Bruno Torsi, apprendista di 16 anni. Iolanda Palladino aveva quasi ventuno anni. Diplomata geometra, primo anno di Giurisprudenza, lavoro nei cantieri, qualche comparsa negli spettacoli di Mario Merola, il progetto di diventare avvocato. Tutto normale, normalissimo, solo la bellezza era davvero speciale. Quando usciva in compagnia della sorella Nilde, bionda e bellissima attrice di sceneggiate, "se fermavano 'e rilorge", il tempo si bloccava in una sospensione ammirata.
Erano le nove di sera nell' appartamento di via Carmignano, proprio alle spalle della chiesa del Carmine, il telefono bloccato e un fidanzato a cui dover dire qualcosa di urgente. Uscì con gli abiti di casa, camicione e zoccoli, tanto sarebbe ritornata subito. Una corsa in 500 a piazza Garibaldi, poi il ritorno lungo via Foria. Faceva caldo, aprì il tettuccio.
La soccorsero Vincenzo Giacco e Orlando Giannuzzi Savelli. Che poi testimonierà: «La ragazza da sola è venuta dalla parte mia e poi si è fermata immobile con il vestito in fiamme. Un giovane voleva gettarle un secchio d' acqua ma io glielo ho impedito pensando che potesse fare più male che bene. Nessuno si avvicinava o si fermava. Mi tolsi la camicia per spegnere le fiamme e, aiutato da un signore di mezza età, ho fatto salire la ragazza sulla mia auto e mi sono diretto all' ospedale Incurabili. La ragazza stranamente mi ha chiesto di fumare e io mi sono rifiutato di darle una sigaretta, pensando che potesse farle male. Poi ha chiesto se l' auto si era incendiata e se i capelli le si fossero bruciati. Diceva: "Avrei potuto fare a meno di uscire"».
La corsa agli Incurabili, le prime cure e poi il dolore atroce, insopportabile. «La ragazza gridava soltanto» ricorda il medico del pronto soccorso. Il trasferimento al Cardarelli, poi al centro grandi ustionati del Sant' Eugenio di Roma, la morte il 21 giugno. Lucida per tutti e quattro gli interminabili giorni di agonia, terribilmente lucida e consapevole, nonostante i sedativi, la mattina del 21 volle confessarsi.
Umberto Fiore scappò a Ischia. Quando la polizia lo rintracciò, si decise a confessare o, come sostiene qualcuno, accettò di fare da capro espiatorio. Fiore e i fratelli Torsi furono rinviati a giudizio con l' accusa di omicidio volontario, Florino per favoreggiamento. La Corte d' Assise di Roma condannò gli imputati a pene dai sei anni e otto mesi ai due anni e dieci mesi. Assolse Florino per insufficienza di prove. Le pene furono ridotte in appello e in parte condonate.
E la famiglia Palladino dimenticata. Nessun risarcimento dallo Stato, nessuna memoria da parte di una città che odia la memoria, solo il dono dell' amministrazione Valenzi, un pezzo di terra nel nuovo cimitero. Qui sorge la cappella dove riposano ormai in tanti: Iolanda, la madre e il padre, la sorella Teresa stroncata da un male incurabile a soli 32 anni e la bellissima Nilde, morta a 52 anni. Resta il fratello Ciro, e c' è una giovane e bella Iolanda Palladino, sua figlia, che vive a Malcontenta, lontano dalla città inospitale. Nel trentennale di un omicidio dimenticato sui muri di via Foria campeggia un manifesto dal titolo "Giustizia ingiusta". Non parla delle miti condanne per la morte di Iolanda, protesta per gli indulgenti 16 anni inflitti agli assassini di Fabio Nunneri, un' altra vittima ventenne accoltellato al cuore mentre cercava di mettere pace in una rissa. Si fa notare in calce la firma del senatore Michele Florino.


NICOLA QUATRANO


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