ProfileIntervento, 3 dicembre 2017 - L’isteria del Russia-gate ha scavalcato l’Atlantico, con gli Europei che danno ai Russi la colpa del Brexit e del malcontento catalano. Ma che dire delle operazioni di influenza israeliane e di quelle statunitensi, si chiede Robert Parry...

 

Consortium News, 16 novembre 2017 (trad. ossin)

 

Il Russia-gate contagia l'Europa

Robert Parry

 

L’isteria del Russia-gate ha scavalcato l’Atlantico, con gli Europei che danno ai Russi la colpa del Brexit e del malcontento catalano. Ma che dire delle operazioni di influenza israeliane e di quelle statunitensi, si chiede Robert Parry

 

 

Da quando il governo USA ha messo in palio 160 milioni di dollari a dicembre per la lotta contro la propaganda e le disinformazioni russe, oscuri accademici e avidi think tank fanno la fila per spartirsi il bottino e partecipare a questa corsa all’oro, diffondendo l’isterico Russia -gate fino in Europa.

 

Di questi tempi, sembra che qualsiasi evento non gradito all’establishment – dal Brexit al referendum per l’indipendenza della Catalogna – venga imputato alla Russia ! La Russia ! La Russia !

 

Il protocollo di questi « studi » prevede di trovare degli account Twitter o delle pagine Facebook che siano più o meno « collegati » alla Russia (per quanto non si capisca mai bene come la cosa venga accertata) e di  denunciare quei commenti « connessi alla Russia » sugli accadimenti politici in Occidente. Tutto ciò parte dal pregiudizio che i popoli creduloni degli Stati Uniti, del Regno Unito e della Catalogna attendessero le direttive segrete del Cremlino per decidere come votare, o essere facilmente ingannati.

 

Stranamente, però, la maggior parte delle presunte « interferenze » sembra esservi stata dopo l’evento in questione. Per esempio, più della metà (56%) dei famosi 100 000 $ in annunci Facebook nel 2015-2017, che si ritiene siano stati fatti a sostegno dell’elezione di Donald Trump, è successiva alle elezioni statunitensi dell’anno scorso (ed è interessante paragonare la somma investita al totale delle entrate pubblicitarie di Facebook, 27 miliardi di dollari).

 

Allo stesso modo, un nuovo studio britannico dell’Università di Edimburgo, che accusa la Russia di essersi ingerita nel voto sul Brexit, ha scoperto che più del 70% dei tweet riguardanti questa vicenda, e provenienti da siti asseritamente legati alla Russia, sono stati postati dopo il referendum sulla separazione dall’Unione Europea. Ma, ehi, non lasciate che fatti e logica si frappongano ad una narrazione che intende suggerire che chiunque abbia votato per Trump, per il Brexit o per l’indipendenza della Catalogna sia un « utile idiota » di Mosca !

 

Questa settimana, il Primo Ministro britannico, Theresa May, ha accusato la Russia di tentare di « indebolire le società libere » e di « seminare la discordia in Occidente ».

 

Che dire di Israele ?

 

Tuttavia, un altro problema fondamentale di questi « studi » è che non sono accompagnati da « controlli », concetto utilizzato nella scienza per verificare un’ipotesi rispetto ad alcune linee di base, per determinare se il fenomeno osservato sia inusuale o solo un normale accadimento.

 

In questo caso, per esempio, sarebbe utile individuare un altro paese che, come la Russia, abbia un numero importante di cittadini anglofoni ma non di madre lingua inglese – e che mostrano un interesse significativo per gli affari esteri – e verificare se le persone di questi paesi riescano ad avere un peso nei media sociali con le loro opinioni sugli avvenimenti politici negli Stati Uniti, nel Regno Unito, ecc.

 

Forse il governo degli Stati Uniti potrebbe utilizzare parte di quei 160 milioni di dollari per uno studio sui comportamenti degli Israeliani su  Twitter/Facebook, per capire se comprino spazi pubblicitari per intervenire nel dibattito statunitense e britannico, in questioni che riguardino direttamente o indirettamente il governo israeliano. Potremmo così capire quanti account Twitter/Facebook siano « collegati » a Israele; potremmo esaminare se dei « troll » israeliani molestino i giornalisti o i siti di informazione che si oppongono alle politiche e ai politici neoconservatori occidentali; potremmo accertare se Israele faccia qualcosa per nuocere ai candidati che percepisce come ostili agli interessi israeliani; se così fosse, potremmo anche calcolare quanti soldi questi attivisti e blogger « legati a Israele » investono nelle pubblicità Facebook; e potremmo rintracciare tutti i robot tweet che si occupano di rafforzare i messaggi favorevoli a Israele.

 

Nessuna speranza

 

Se disponessimo di questi dati sull’attività degli Israeliani, potremmo capire fino a che punto sia inabituale per i Russi esprimere le loro opinioni sulle vicende occidentali. Vero è che Israele è un paese assai più piccolo, con i suoi 8,5 milioni di abitanti a paragone dei 144 milioni della Russia, ma si potrebbe fare un calcolo pro-capite – e anche senza questo, non mi stupirei affatto di constatare che l’ingerenza di Israele nella elaborazione delle politiche statunitensi sia molto superiore all’influenza russa.

 

E’ anche vero che i leader israeliani hanno spesso sostenuto politiche che si sono rivelate disastrose per gli Stati Uniti, come l’incoraggiamento del Primo Ministro Benjamin Netanyahu alla guerra in Iraq, cui la Russia si era opposta. Infatti, sebbene la Russia venga adesso definita sistematicamente come un nemico degli Stati Uniti, non si troveranno esempi di pressioni sugli Stati Uniti, da parte del presidente Vladimir Putin, che siano anche solo per una frazione tano dannosi per gli interessi statunitensi, come lo fu la guerra in Iraq.

 

E, giacché ci siamo, forse potremmo fare un conto di quanto denaro entità « legate agli Stati Uniti » hanno speso per influenzare paesi come la Russia, l’Ucraina, la Siria e molti altri punti caldi in tutto il globo.

 

Ma ovviamente niente di tutto questo sarà fatto. Se solo provate a valutare il ruolo delle operazioni « legate a Israele » nell’influenzare il processo decisionale occidentale, sarete accusati di antisemitismo. E se questo non vi fermasse, seguirebbero editoriali furiosi del New York Times, del Washington Post e di altri media mainstream USA che vi bollerebbero come « cospirazionisti ». Chi può anche solo osare di pensare che Israele sia pronta a qualunque cosa per influenzare le decisioni occidentali?

                                                                                                             

E se ricercaste dati comparativi sulle interferenze occidentali negli affari interni di altre nazioni, sareste accusati di paragonare cose non paragonabili, perché quello che fanno il governo statunitense e i suoi alleati è bene per il mondo, mentre quello che fa la Russia è la fonte di ogni male.

 

Dunque affrettiamoci a sviluppare questi algoritmi che servano a fiutare, isolare e sradicare la « propaganda russa » o altri punti di vista devianti, per meglio assicurarsi che Statunitensi, Britannici e Catalani votino nel modo giusto.

 

 

 

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