Dissident Voice, 7 marzo 2012 (trad. Ossin)



Il riemergere della Cina come potenza mondiale - 2° parte
James Petras

Prosegue qui il saggio di James Petras sulla Cina e il suo riemergere come Potenza mondiale. La prima parte si può leggere alla pagina:

PRIMA PARTE


La transizione cinese verso il capitalismo
A partire dal 1980, il governo cinese ha operato un drammatico cambiamento della sua strategia economica: durante i tre decenni seguenti ha aperto il paese ad importanti investimenti esteri; ha privatizzato migliaia di industrie ed ha avviato una politica deliberatamente diretta alla concentrazione dei redditi, al fine di ricreare una classe dominante di miliardari legati ai capitalisti stranieri.  Il progetto della classe dirigente politica cinese era di “acquisire” le conoscenze tecniche necessarie ad introdursi nei mercati esteri, con l’intermediazione delle imprese estere cui avrebbero fornito un’abbondante mano d’opera a buon mercato. Lo Stato cinese ha dirottato massicci finanziamenti pubblici per creare un’alta crescita capitalista, smantellando il suo sistema gratuito di assistenza sanitaria e di educazione pubblica. Ha smesso di sovvenzionare la costruzione di abitazioni per centinaia di milioni di contadini e operai di fabbrica, per fornire fondi a speculatori immobiliari che hanno costruito appartamenti privati di lusso e grattacieli di uffici. La nuova strategia capitalista cinese, come la sua crescita a due cifre, si è radicata nei profondi cambiamenti strutturali e negli investimenti pubblici massicci resi possibili dall’ex governo comunista. “L’impennata” del settore privato cinese ha avuto come base l’immensa spesa pubblica effettuata dal 1949.


La nuova classe capitalista trionfante e i suoi collaboratori occidentali si sono vantati di essere gli artefici del “miracolo economico” cinese e della sua ascesa al secondo posto nell’economia mondiale. Questa nuova élite cinese è meno motivata a menzionare il posto della Cina per ciò che concerne le diseguaglianze di classe, perché di peggio si trova solo negli Stati Uniti.


La Cina: dalla soggezione agli imperialisti alla competitività internazionale
La crescita sostenuta del settore industriale cinese è stato il risultato di investimenti pubblici molto mirati, di profitti elevati, di innovazioni tecniche e di un mercato interno protetto. Il capitale straniero ha certamente fatto profitti ma sempre nel quadro delle priorità e delle regole imposte dallo Stato cinese. La “strategia di esportazione” dinamica del regime ha prodotto enormi surplus commerciali che hanno fatto della Cina uno dei più grandi creditori del pianeta, soprattutto verso gli Stati Uniti. Per mantenere la sua dinamica industriale, la Cina ha dovuto importare grandi quantità di materie prime, cosa che l’ha spinta a fare importanti investimenti all’estero ed a concludere accordi commerciali con i paesi esportatori di minerali e di prodotti agricoli come l’Africa e l’America Latina. Dal 2010, la Cina, soppiantando gli Stati Uniti e l’Europa, è diventata il partner principale di molti paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina.


La Cina moderna, come quella del periodo dal 1100 al 1800 è diventata una potenza economica mondiale grazie alla sua prodigiosa capacità di produzione. Il commercio e gli investimenti si sono fatti nel quadro di una stretta politica di non ingerenza negli affari interni dei loro partner commerciali. A differenza degli Stati Uniti, la Cina non ha fatto guerre senza pietà per il petrolio: al contrario, ha firmato contratti vantaggiosi. E la Cina non fa guerre nell’interesse dei Cinesi all’estero, come gli Stati Uniti fanno per Israele in Medio oriente.


Il rapporto tra la potenza economica cinese e la sua potenza militare è all’opposto di quello degli Stati Uniti, un grosso impero militare parassita la cui influenza economica internazionale continua a ridursi.

Le spese militari USA sono 12 volte superiori a quelle della Cina. L’esercito USA svolge il ruolo principale nella strategia di Washington per impedire alla Cina di diventare una potenza mondiale.



 

L’Ascesa della Cina: la storia si ripete?
La crescita della Cina è stata di circa il 9% annuo e la qualità e il valore dei suoi prodotti migliorano rapidamente. Al contrario, gli Stati Uniti e l’Europa hanno ristagnato intorno all’1% di crescita dal 2007 al 2012. I creativi dotti e i tecnici cinesi hanno assimilato le ultime invenzioni occidentali (e giapponesi) e le hanno migliorate, riducendone anche i costi di produzione. La Cina ha rimpiazzato le “istituzioni finanziarie internazionali”, controllate da Stati Uniti ed Europa (FMI, banca mondiale e banca latino-americana di sviluppo) come principale fornitore di prestiti dell’America Latina. La Cina continua ad essere il primo investitore nelle risorse minerarie ed energetiche africane. La Cina ha soppiantato gli Stati Uniti come primo partner commerciale dell’Arabia Saudita, del Sudan, primo acquirente di petrolio iraniano e sta per diventare il primo acquirente di prodotti petroliferi venezuelani. Oggi le Cina è il primo fabbricante ed esportatore mondiale e domina perfino il mercato statunitense, giocando anche il ruolo di ancora di salvezza finanziaria, grazie ai suoi 1300 miliardi di dollari di bond del Tesoro USA.


Pressati dai lavoratori,  contadini e braccianti, i governanti cinesi hanno sviluppato il mercato interno aumentando i salari e la spesa sociale per riequilibrare l’economia ed evitare lo spettro dell’instabilità sociale. Al contrario, negli Stati Uniti, i salari e i servizi pubblici vitali si sono ridotti in modo allarmante in termini assoluti e relativi.


Tutto ciò lascia presagire che la Cina possa prendere il posto degli Stati Uniti come prima potenza economica mondiale nei prossimi dieci anni, se l’impero USA non l’attaccherà e se le profonde diseguaglianze di classe cinese non provocheranno una sollevazione generale.


Minacce serie pesano sull’ascesa della Cina nel mondo. Diversamente a ciò che è accaduto nel passato, la potenza economica della Cina moderna non si accompagna a mire imperialiste. La Cina è seriamente in ritardo a confronto degli Stati Uniti e dell’Europa per ciò che concerne la capacità di fare guerre di conquista. Ciò ha certamente permesso alla Cina di disporre di maggiori risorse finanziarie per realizzare la potenza economica, ma la Cina è oggi senza difesa davanti alla superiorità militare USA, il suo enorme arsenale , le sue basi avanzate e le sue posizioni geomilitari strategiche al largo delle coste cinesi e nei territori vicini.


Nel XIX° secolo l’imperialismo inglese ha distrutto la posizione della Cina sulla scena internazionale  grazie alla propria superiorità militare impadronendosi dei porti cinesi – a causa della fiducia della Cina nella propria “superiorità commerciale”.


La conquista dell’India, della Birmania e della maggior parte dell’Asia ha consentito all’Inghilterra di fissare delle basi coloniali e reclutare eserciti locali di mercenari. Gli Inglesi e i loro alleati mercenari hanno circondato e isolato la Cina, cosa che ha destabilizzato il mercato cinese e permesso di imporle brutali accordi commerciali. L’esercito dell’Impero inglese imponeva alla Cina che cosa dovesse importare (e l’oppio costituiva il 50% delle esportazioni inglesi nel 1850) neutralizzando la sua maggiore competitività attraverso tariffe preferenziali.


Oggi gli Stati Uniti proseguono la stessa politica: la flotta USA pattuglia e controlla le vie commerciali marittime della Cina e le sue fonti di petrolio off shore a partire dalle sue basi. La Casa Bianca di Obama e Clinton sta per preparare una risposta militare rapida, a partire dalle sue basi in Australia, Filippine e altri luoghi dell’Asia. Gli Stati Uniti intensificano i loro sforzi per ostacolare l’accesso cinese alle risorse straniere strategiche, sostenendo i separatisti “di estrazione popolare” e gli “insorti” in Cina occidentale, Tibet, Sudan, Birmania, Iran, Libia, Siria e altrove. Gli accordi militari statunitensi con l’India e l’instaurazione di un regime fantoccio intercambiabile in Pakistan hanno costituito passi avanti nel progetto di isolare la Cina. La Cina resta fedele alla sua politica di “sviluppo armonioso” e di “non ingerenza negli affari interni degli altri paesi”  e si è mantenuta neutrale quando l’esercito imperialista degli Stati Uniti e dell’Europa  ha attaccato uno dei partner commerciali cinesi con l’obiettivo principale di contrastare l’espansione commerciale pacifica della Cina.


La Cina manca di una strategia politica ed ideologica per proteggere i propri interessi economici all’estero e questo ha incoraggiato gli Stati Uniti e la NATO a promuovere dei regimi ostili a Pechino. L’esempio che colpisce di più è quello della Libia, dove gli Stati Uniti e la NATO sono intervenuti per rovesciare un governo indipendente diretto dal presidente Gheddafi col quale la Cina aveva firmato accordi commerciali del valore di diversi miliardi di dollari. Il bombardamento di città, porti ed istallazioni petrolifere della Libia da parte della NATO ha costretto la Cina a rimpatriare 35.000 ingegneri petroliferi ed operai edili cinesi in pochi giorni. La stessa cosa è successa in Sudan dove la Cina aveva investito miliardi per sviluppare l’industria del petrolio. Gli Stati Uniti, Israele e l’Europa hanno armato i ribelli sudanesi per mettere caos nella produzione petrolifera e attaccare i Cinesi che lavoravano nel settore petrolifero. In entrambi i casi la Cina ha lasciato gli imperialisti USA ed europei attaccare i suoi partner commerciali e danneggiare i suoi investimenti senza reagire.


Quando c’era Mao Zedong, la Cina contrastava attivamente l’aggressione imperiale. Essa sosteneva alcuni movimenti rivoluzionari e taluni governi indipendenti del Terzo mondo. Oggi la Cina non sostiene più attivamente né governi né movimenti capaci di proteggere i suoi accordi commerciali e i suoi investimenti all’estero. L’incapacità della Cina ad opporsi all’intensificarsi dell’aggressione militare Usa contro i suoi interessi economici è dovuta a profondi problemi strutturali. La politica estera della Cina si fonda su grossi interessi commerciali, finanziari e industriali che contano sulla propria “competitività economica” per guadagnare fette di mercato e  non capisce niente dei fondamenti militari e securitari della potenza economica mondiale. La classe politica cinese è profondamente influenzata da una nuova classe di miliardari che hanno rapporti strettissimi con i fondi sociali occidentali e che hanno assimilato i valori occidentali senza sottoporli a critica. La prova, essi mandano i figli a studiare nelle università di élite negli Stati Uniti ed in Europa. Essi vogliono “intendersi con l’Occidente” completamente. Siccome non capiscono come si costruisce un impero militare, non reagiscono come si dovrebbe ogni volta che gli imperialisti ostacolo il loro accesso alle risorse e ai mercati. L’approccio “prima di tutto gli affari” della Cina ha forse funzionato fintanto che essa era solo una pedina sulla scacchiera economica mondiale e finché gli imperialisti statunitensi hanno considerato la sua “apertura al capitalismo” come un’occasione per mettere le mani sulle imprese pubbliche cinesi e saccheggiare la sua economia. Ma quando la Cina (a differenza dell’ex URSS) ha deciso di mantenere il controllo dei capitali e di sviluppare una “politica industriale” pianificata e controllata dallo Stato, dirottando i capitali occidentali e i trasferimenti di tecnologia verso le imprese di Stato che sono riuscite a penetrare nei mercati interni ed esteri statunitensi, Washington ha cominciato a protestare ed a parlare di misure di ritorsione. Gli enormi surplus commerciali della Cina a confronto con gli Stati Uniti hanno provocato una reazione a doppio taglio da parte di Washington. Washington ha venduto grandi quantità di bond del Tesoro USA ai Cinesi ed ha avviato una strategia globale per frenare i progressi cinesi. Poiché gli Stati Uniti non avevano la capacità economica di impedire il declino del loro paese, hanno fatto ricorso al loro solo “vantaggio comparativo” – la superiorità militare fondata su una rete di basi offensive dislocate su tutto il pianeta, di regimi vassalli, di ONG e di mercenari ideologici o armati.


Washington si è affidata al suo vasto apparato di sicurezza visibile e invisibile per arrecare danni ai partner commerciali della Cina. Washington conta sulle sue relazioni di vecchia data con leader corrotti, oppositori, giornalisti e nababbi mediatici perché vi sia una imponente copertura propagandistica a difesa della sua offensiva militare contro gli interessi cinesi all’estero.


La Cina non possiede niente di comparabile all’apparato planetario di sicurezza USA, in quanto pratica una politica di non ingerenza. All’offensiva a tutto campo dell’Occidente imperialista, essa non ha opposto che qualche iniziativa diplomatica, come degli opuscoli in lingua inglese per spiegare la sua politica, il ricorso al diritto di veto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU per contrastare i tentativo degli USA di rovesciare il regime indipendente di Assad in Siria e per opporsi alle sanzioni drastiche contro l’Iran. Ha anche vigorosamente protestato quando la segretaria di Stato Hilary Clinton ha espresso dei dubbi al vetriolo sulla “legittimità” dello Stato cinese, dopo il voto contrario alla risoluzione degli USA all’ONU che preparava un attacco contro la Siria.


Gli strateghi militari cinesi sono sempre più coscienti, e inquieti, dell’intensificarsi della minaccia militare contro la Cina. Hanno chiesto ed ottenuto un aumento del 19% del bilancio militare negli ultimi 5 anni (2011-2015). Ma anche con questo aumento il budget militare della Cina è ancora cinque volte inferiore a quello degli Stati Uniti e la Cina non dispone di basi all’estero mentre gli Stati Uniti ne hanno 750. Le operazioni dei servizi segreti cinesi all’estero sono quasi inesistenti. Le sua ambasciate sono gestite da e per interessi commerciali a corto raggio che non hanno capito niente della brutale politica della NATO di rovesciamento del regime in Libia e non hanno informato Pechino di che cosa questa avrebbe significato per lo Stato cinese.


Vi sono altre due debolezze strutturali che impediscono alla Cina di diventare una potenza mondiale.  Esse derivano dalla classe intellettuale fortemente “occidentalizzata” che ha recepito senza discernimento la dottrina economica degli Stati Uniti sulla libera circolazione delle merci ignorando la militarizzazione della sua economia. Questi intellettuali cinesi ripetono come pappagalli la propaganda USA sulle “virtù democratiche” delle campagne elettorali presidenziali che costano miliardi di dollari, sostenendo una deregolamentazione finanziaria che avrebbe consentito a Wall Street di appropriarsi delle banche e delle ricchezze cinesi. Molti intellettuali e consulenti d’affari si sono formati negli Stati Uniti e sono influenzati dai loro rapporti con universitari statunitensi ed istituzioni finanziarie internazionali direttamente legati a Wall Street ed alla City di Londra. Hanno fatto fortuna e sono diventati dei consulenti pagati profumatamente  che hanno posti prestigiosi nelle istituzioni cinesi. Essi identificano la “liberalizzazione dei mercati finanziari” con le “economie di punta” che secondo loro consentirebbero di meglio integrarsi nel mercato mondiale piuttosto che considerarle come la fonte principale della crisi economica mondiale attuale. Questi “intellettuali occidentalizzati” somigliano ai “Compradores” del 19° secolo che sottostimavano, per non dire negavano, le conseguenze a lungo termine della penetrazione imperiale occidentale. Essi non capiscono che la deregolamentazione finanziaria negli Stati Uniti ha provocato la crisi attuale, né che provocherebbe il controllo dell’Occidente sul sistema finanziario cinese – che avrebbe come conseguenza di dirottare il risparmio interno cinese verso attività non produttive (la speculazione immobiliare), di provocare una crisi finanziaria e finalmente di impedire alla Cina di assumere una posizione dominante.


Questi quadri yuppy cinesi imitano lo stile consumista occidentale nei suoi aspetti peggiori e le loro opinioni politiche risentono di questo stile di vita e del loro identificarsi con gli Occidentali, ciò che li rende incapaci della minima solidarietà con la loro classe operaia.


Vi è un fondamento economico ai sentimenti filo-occidentali dei neo-compradores cinesi.  Essi hanno trasferito miliardi di dollari in conti su banche estere, comprato case e appartamenti lussuosi a Londra, Toronto, Los Angeles, Manhattan, Parigi, Honk Kong e Singapore. Essi hanno un piede in Cina (la fonte della loro ricchezza) e un altro in occidente (dove consumano e nascondono le loro ricchezze).


I compradores occidentalizzati sono profondamente integrati nel sistema economico cinese e hanno legami familiari coi dirigenti politici, i membri dell’apparato del partito e dello Stato. Meno stretti i loro rapporti con l’esercito e con i movimenti sociali in crescita, anche se alcuni studenti “dissidenti” e intellettuali militanti del “movimento democratico” sono sostenuti dalla ONG imperialiste occidentali.  Guadagnando in influenza, i compradores indeboliscono le potenti istituzioni economiche dello Stato che sono all’origine della percezione della Cina come potenza economica internazionale, esattamente come nel 19° secolo facevano gli intermediari dell’impero inglese. Nel 19° secolo, in nome del “liberalismo”, gli Inglesi hanno reso più di 50 milioni di Cinesi dipendenti dall’oppio in meno di un decennio. Oggi, con la scusa della “democrazia e dei diritti umani”, le navi USA pattugliano al largo delle coste cinesi. Le élite che hanno pilotato l’ascesa della Cina hanno creato delle diseguaglianze monumentali tra le migliaia di nuovi miliardari e multi-milionari e le centinaia di milioni di lavoratori, di contadini e lavoratori emigrati impoveriti.


La rapida accumulazione di ricchezza dei Cinesi è avvenuta per mezzo dell’intenso sfruttamento dei lavoratori, spogliati della rete di sicurezza sociale e della regolamentazione del lavoro che il comunismo aveva loro garantito. Milioni di famiglie cinesi sono oggi impoverite a profitto dei promotori/speculatori immobiliari che costruiscono torri di uffici e appartamenti di lusso per l’élite locale e straniera. Queste caratteristiche brutali del capitalismo cinese hanno prodotto rivendicazioni massicce e crescenti sui temi del lavoro e della casa. Lo slogan dei promotori/speculatori: “Arricchirsi è meraviglioso” non inganna più nessuno. Nel 2011 vi sono stati più di 200.000 movimenti popolari nelle fabbriche delle città della costa e nei villaggi rurali. La prossima tappa sarà certamente l’unificazione di queste lotte in nuovi movimenti sociali nazionali che in nome della lotta di classe rivendicheranno il servizio sanitario ed educativo del quale beneficiavano durante il regime comunista e una più equa distribuzione della ricchezza. La lotta per gli aumenti salariali può trasformarsi in lotta per una maggiore democrazia sui luoghi di lavoro. Per rispondere a queste rivendicazioni popolari, i nuovi compradores liberali occidentalizzati della Cina non potranno proporre il loro “modello americano” come esempio perché i lavoratori statunitensi stanno per essere spogliati di tutto quello che i Cinesi chiedono che si renda loro.


La Cina lacerata dall’intensificazione dei conflitti di classe e delle lotte politiche non potrà mantenere la sua dinamica di ascesa progressiva verso la leadership economica mondiale. L’élite cinese non è in grado di affrontare la minaccia militare imperialista statunitense finché gli alleati degli USA, i compradores, fanno parte dell’élite liberale interna e d’altra parte la società è profondamente divisa con una classe lavoratrice sempre più ostile. Bisogna porre fine allo sfruttamento selvaggio dei lavoratori cinesi per potere affrontare l’accerchiamento militare statunitense della Cina e la destabilizzazione economica dei suoi mercati esteri. La Cina possiede immense risorse. Con riserve che ammontano a 1.500 miliardi di dollari. La Cina può finanziare un servizio sanitario nazionale e di educazione pubblica in tutto il paese.


La Cina ha i mezzi per realizzare un “programma di edilizia pubblica” per i 250 milioni di lavoratori emigranti che vivono nella miseria nera. La Cina può imporre un sistema di imposte progressivo ai suoi miliardari e milionari e finanziare cooperative per i piccoli contadini e le industrie rurali per riequilibrare l’economia. Il programma di sviluppo dell’energia alternativa, come i pannelli solari e l’eolico è un primo passo verso la soluzione del grave problema dell’inquinamento. Il degrado dell’ambiente e i problemi di salute che porta con sé inquietano decine di milioni di persone. 

Finalmente la migliore difesa della Cina contro le conquiste imperialiste è ancora un regime stabile, basato sulla giustizia sociale per le sue centinaia di milioni di abitanti ed una politica estera di sostegno dei movimenti e regimi stranieri che si oppongono alle potenze imperialiste e la cui indipendenza è vitale per la Cina. Quello di cui c’è bisogno è di una politica attiva basata su programmi militari congiunti e mutualmente vantaggiosi e della solidarietà diplomatica. Vi è già un piccolo gruppo di intellettuali cinesi che ha sollevato la questione della minaccia militare statunitense crescente e che dice “NO alla diplomazia fatta sulla bocca dei cannoni”.


La Cina moderna ha molte risorse e vantaggi di cui non disponeva la Cina del 19° secolo quando l’impero inglese l’ha sottomessa. Se gli Stati Uniti continuano la loro politica aggressiva di escalation militare contro la Cina, Pechino può provocare una seria crisi fiscale collocando sul mercato una parte delle centinaia di miliardi di bond del Tesoro Usa che detiene.  La Cina, una potenza nucleare, dovrebbe allearsi ad un vicino che dispone anch’esso dell’arma atomica e che è anch’esso minacciato, la Russia, per affrontare e far tacere la bellicosa e vociferante segretaria di Stato Usa, Hillary Clinton. Il presidente della Russia, Putin, aumenterà le spese militari dal 3% al 6% del PIL durante il prossimo decennio per contrastare l’offensiva delle basi missilistiche di Washington alle frontiere russe e frenare i tentativi del regime di Obama di rovesciare governi alleati come quello della Siria.


La Cina possiede potenti rete commerciali, finanziari e di investimento nel mondo oltre a partner economici potenti. Questi legami sono diventati essenziali per la crescita di molti paesi del mondo sviluppato. Attaccando la Cina, gli Stati Uniti dovranno vedersela con l’opposizione di molti membri della potente élite internazionale che trae profitti dal mercato. Pochi paesi e poche delle loro élite vorranno assumersi il rischio di legare il loro destino ad un impero economicamente instabile che si mantiene grazie a distruttive occupazioni militari coloniali.


In altri termini, la Cina moderna, come potenza internazionale, è incomparabilmente più forte che all’inizio del 18° secolo. Gli Stati Uniti non hanno la potenza coloniale che possedeva l’impero inglese dopo le Guerre dell’Oppio. Inoltre molti intellettuali cinesi e la vasta maggioranza dei cittadini cinesi non hanno alcuna intenzione di lasciare i “compradores occidentalizzati” di oggi vendere il loro paese. Niente accelererebbe di più la disgregazione politica della società cinese né accelererebbe di più lo scoppio di una seconda rivoluzione sociale cinese che dei dirigenti timorosi che si sottomettessero ad una nuova era di saccheggio imperialista occidentale.



James Petras è un professore di sociologia della Binghamton University, New York, a riposo. Lotta da 50 anni per l’uguaglianza ed è consigliere dei senza terra e senza lavoro di Brasile e Argentina. E’ co-autore di Globalization Unmasked  (Zed Books). Il suo ultimo libro è: The Arab Revolt and the Imperialist Counterattack.   



 Per consultare l'originale:

http://dissidentvoice.org/2012/03/chinas-rise-fall-and-re-emergence-as-a-global-power/


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