L’Humanité, 26 luglio 2014 (trad. ossin)



La striscia di Gaza è un campo di rovine

dall’inviato speciale Pierre Barbancey


La tregua di dodici ore, che è stata prolungata fino a mezzogiorno di questo sabato, ha permesso di constatare i danni umani e materiali dei diciannove giorni di bombardamenti israeliani. Reportage


Gaza (Palestina). La tregua di dodici ore, accettata dalla resistenza palestinese e da Israele, ha permesso agli abitanti di Gaza di prendere fiato. Uscire senza timore di essere abbattuti da una bomba, comprare delle provviste, fare scorta di acqua… Di mattina, invece dell’insopportabile vibrazione sonora provocata dai droni nel cielo, è stato perfino possibile ascoltare il cinguettio degli uccelli. I Palestinesi non si fanno però ingannare. Questo arresto provvisorio dei bombardamenti non significa un ritorno alla normalità, seppure l’espressione “normale” possa avere un senso in questa striscia di Gaza sottoposta a un blocco da più di sette anni.


Con questa tregua si è levato il velo sul crimine commesso da Israele. A nord, Beit Hanoun è un campo di rovine. Le esplosioni sono state così intense, le distruzioni tanto numerose – in alcune strade non è rimasto in piedi nemmeno un edificio – che tutto è stato ricoperto da una pellicola grigia, accrescendo la desolazione dei luoghi. Le migliaia di persone costrette a scappare nelle ultime settimane, ritornano, senza grandi speranze. Alcuni frugano tra le rovine ancora fumanti alla ricerca di qualche effetto personale. Altri si affrettano a ammassare materassi che sollevano sul tetto di un’automobile. Altri ancora recuperano gli utensili di cucina. Tutti sono consapevoli del fatto che la loro vita a Beit Hanoun è dietro le loro spalle. “Chi può ricostruire tutto questo?” chiede Ahmed Hamad rabbioso. Vale però la pena di  sollevare questa questione. Israele distrugge e gli altri paesi mettono mano alla saccoccia, tra cui la Francia ufficiale che pure ha sostenuto l’aggressione israeliana.



Nonostante la tregua, Israele prosegue lo stesso la sua opera di distruzione della Striscia di Gaza


Col pretesto di voler demolire i tunnel scavati dalla resistenza, come avevano già fatto i Vietnamiti quando erano in guerra con gli Stati Uniti, Israele si è appropriato di frange di territorio palestinese. A Beit Hanoun, delle dune di terra, sollevate da carri e bulldozer, impediscono qualsiasi accesso alle zone frontaliere. Nel quartiere martire di Chudjaiya, a Gaza city, identiche scene di desolazione, di case distrutte, di vacche e asini morti, ricoperti da mosche e vermi. E poi ovviamente, quando sono giunti i soccorsi e hanno potuto sgombrare le macerie, sono stati trovati decine di corpi. Taluni, coperti di polvere, sono sparsi nelle strade, a volte in un mare di sangue secco. Così, almeno 100 cadaveri sono stati recuperati tra le macerie dopo l’arresto delle ostilità, 29 a Chajaya, una banlieue a est della città di Gaza, Zeitoun e Touffah, 13 nei campi di rifugiati di Deir al-Balah, Bureij e Nousseirat (centro), 32 a Beit Hanoun (nord) e 11 a Khan Younes e Rafah (sud).


E vi sono zone ancora inaccessibili, come il villaggio di Khozaa dove abbiamo tentato di andare. Fin dal mattino, gli abitanti che ne erano fuggiti, tentano di tornare alle loro case. Ma, anche lì, dei terrapieni sono stati realizzati dagli Israeliani e un carro va avanti e indietro come un catenaccio impossibile da aprire. Dei soldati hanno preso posizione in una casa limitrofa. Si vede il volto di alcuni di loro che si avvicinano alle finestre. Una donna forma una bandiera e avanza con essa sulla strada, verso il carro.

Un coraggio incredibile che rafforza la determinazione di tutti quelli che sono là. La seguono. Ma i soldati sono intrattabili. “Io voglio sapere dove sono i miei figli, comincia a gridare la Palestinese con la bandiera bianca, che non vuole dare il suo nome. Voglio sapere se sono vivi, morti o feriti. I miei figli sono adulti e non hanno voluto scappare. E’ un’altra Nakba (catastrofe) del 1948?”. Due uomini si fanno coraggio e di dirigono, con le braccia alzate, verso la casa dove si trovano i soldati israeliani. Fatica sprecata. E però non si danno per vinti. Si levano le camice per mostrare che non portano cinture esplosive – ossessione degli Israeliani – e avanzano ancora. Il rifiuto è più fermo: i soldati mostrano le armi. Un ultimo avvertimento che tutti capiscono.

Nemmeno le ambulanze possono raggiungere il villaggio. Un’ora dopo, attraverso un altro accesso, due carretti preceduti da una moto con una bandiera bianca, appaiono alla curva di una strada sterrata. A bordo, dei vecchi, uomini e donne, estenuati, parte dei quali è stata presa in carico dai servizi di soccorso. “Guardatemi, dice uno di loro, madido di sudore e con gli abiti luridi.

Guardate che cosa fanno gli Israeliani. Tutto è distrutto. Ci sono un centinaio di morti”. Almeno un migliaio di Palestinesi è stato ucciso e circa 600 feriti, in grande maggioranza civili, nella Striscia di Gaza dall’inizio dell’offensiva israeliana l’8 luglio. L’Unicef fa un bilancio di almeno 192 bambini uccisi e l’Agenzia per l’aiuto ai rifugiati di Palestina (UNRWA) parla di più di 160.000 Palestinesi ricoverati nei suoi rifugi, alcuni dei quali – come abbiamo constatato noi stessi – sono stati bersaglio dei bombardamenti israeliani.

 

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