ProfileCrisi siriana, agosto 2015 - A prima vista gli attacchi aerei turchi in Siria, cominciati la scorsa settimana contro lo Stato Islamico (IS), sembrano indicativi di un mutamento di posizione di Ankara nei confronti del gruppo terrorista... (nella foto, Recep Erdogan)

 

 

Bhadrakumar, 20 luglio 2015 (trad. ossin)


Il patto del diavolo di Obama col turco Erdogan

MK Bhadrakumar

 

A prima vista gli attacchi aerei turchi in Siria, cominciati la scorsa settimana contro lo Stato Islamico (IS), sembrano indicativi di un mutamento di posizione di Ankara nei confronti del gruppo terrorista. L’esercito turco ha battezzato questa operazione “Yalcin Nane”, dal nome del sottufficiale turco rimasto ucciso durante uno scontro di confine con IS, giovedì scorso (che a sua volta seguiva un supposto attentato suicida avvenuto in una città della frontiera turca lunedì, che ha provocato 32 morti)

Sembra evidente che Ankara trovi opportuno lanciare Yalcin Nane come una ferma risposta ai presunti attacchi di IS contro la Turchia. Qualche cinico potrebbe anche insinuare che l’immagine di “duro” asseconda anche il progetto del presidente Recep Erdogan di cavalcare l’onda del nazionalismo e andare ad un voto anticipato che spera possa migliorare i mediocri risultati di giugno scorso, che hanno negato al suo Partito della giustizia e dello sviluppo la maggioranza parlamentare.

La grande questione tuttavia resta: la politica turca verso la Siria è cambiata? Erdogan ha posto termine al suo sostegno clandestino nei confronti dei gruppi islamisti estremisti e ha deciso, alla fine, di prendere IS alla gola?

Il fatto è che l’ambiguità è una sorta di seconda natura per la diplomazia turca e che è difficile credere che Ankara possa rompere i suoi legami con IS. The Guardian ha pubblicato un articolo esclusivo, il 26 luglio scorso, sostenendo che quello di Erdogan potrebbe essere solo un nuovo travestimento.

Secondo The Guardian, Washington potrebbe effettivamente avere esercitato pressioni su Erdogan e averlo forzato, suo malgrado, ad agire contro IS. Sembra che Washington sia in possesso di prove assai compromettenti, consistenti in “centinaia di chiavi USB e documenti” che dimostrano come le “relazioni dirette tra responsabili turchi e membri di IS” siano “indissolubili”.

The Guardian ha citato un responsabile europeo che ha detto: “Non si tratta di una revisione del loro pensiero (turco). E’ prima di tutto una reazione al fatto che si sono trovati contro gli USA ed altri”.

Quello che l’articolo di The Guardian accredita è che Erdogan, per qualche misteriosa ragione, abbia improvvisamente cambiato idea e deciso di accogliere la richiesta USA di autorizzare l’aviazione statunitense a lanciare degli attacchi contro IS in Siria, a partire dalla base aerea di Incirlik, nell’est della Turchia”.

Con tutta evidenza, Erdogan ha fatto un passo indietro dopo avere negato l’uso di Incirlik l’anno scorso. Ma quel che più interessa è che il presidente Barack Obama abbia anche lui fatto una mezza giravolta e, ribaltando la sua politica, abbia accettato la costante richiesta di Erdogan di imporre “una zona di esclusione aerea limitata” al nord della Siria, vicino alla frontiera turca, cosa che gli Statunitensi avevano fin qui sempre rifiutato.

La zona di esclusione aerea proposta in Siria è assai ridotta, a paragone di quella imposta sul nord dell’Iraq dopo la guerra del Golfo nel 1991 – solo un centinaio di chilometri di lunghezza e tra i 30 e i 50 chilometri di profondità. Ma tuttavia, in tal modo, si è creato un precedente che impegna le forze aeree statunitensi e turche ad agire congiuntamente sul territorio siriano, pur in assenza di un mandato dell’ONU. Infatti né gli Stati Uniti né la Turchia si sono preoccupate di chiedere l’autorizzazione del governo internazionalmente riconosciuto di Damasco.

Evidentemente la Zona di esclusione aerea impone delle restrizioni agli aerei militari del governo siriano. Ma l’obiettivo prioritario turco è che nessuna entità curda indipendente prenda forma nel nord della Siria.

 



In parole povere, il quadruplo patto faustiano tra Obama e Erdogan funziona in questo modo:

•    Erdogan fa in modo che Obama non renda pubblici i suoi rapporti segreti con IS e compra il silenzio di quest’ultimo autorizzando gli aerei da guerra USA a servirsi della base di Incirlik;
•    Come contropartita, Obama accoglie favorevolmente l’insistenza di Erdogan per la creazione di una zona di esclusione aerea nel nord della Siria, come una prima tappa verso la creazione di una base operativa sul territorio siriano a cavallo della frontiera turca, che potrà essere utilizzata da elementi ribelli (sostenuti dalla Turchia, dall’Arabia Saudita e dal Qatar) per tentare di rovesciare il governo di Bachar el Assad;
•    Sia Erdogan che Obama se ne infischiano di ottenere per la loro zona di esclusione aerea all’interno della Siria, un mandato del Consiglio di Sicurezza dell’ONU;
•    Erdogan ha le mani libere per schiacciare i ribelli curdi consentendo, come contropartita, agli aerei da guerra USA di operare liberamente e facilmente in Iraq e in Siria.

A prima vista sembrerebbe una formula che profitta a entrambi. Obama potrà evitare un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nel sostegno ai progetti turco-saudo-qatarini in Siria, ma accontenta Ankara e Riyadh, dopo la botta dell’accordo nucleare con l’Iran.

La partecipazione USA alla zona di esclusione aerea vuol dire che la Turchia non organizzerà una aggressione unilaterale in Siria, una cosa che gli USA vogliono evitare.

Però anche Ankara accontenta gli Stati Uniti, giacché l’uso della base di Incirlik è estremamente importante per l’aviazione USA – che altrimenti dovrebbe percorrere 1000 miglia prima di raggiungere le postazioni di IS in Siria, mentre la cosa sarà molto più agevole a partire da Incirlik, che si trova proprio sulla frontiera siriana – e renderà la campagna aerea contro IS molto più intesa e, speriamo, efficace.

Nella complicata psicologia di Erdogan, potrebbe avere giocato l’idea che, dopo l’accordo con l’Iran sul nucleare, se Washington e Teheran cominciassero a collaborare nella lotta contro IS, ciò ridurrebbe l’importanza strategica della Turchia per l’Occidente. Insomma. Erdogan ha deciso che avrebbe un senso per la Turchia aprire le sue basi aeree meridionali all’aviazione degli Stati Uniti, presentandosi essa stessa come uno Stato in prima linea nella lotta di Obama contro IS.

Ironia della sorte, quel che accade non è molto diverso da quanto gli amici pachistani di Erdogan hanno già fatto in passato, offrendo il loro paese come uno Stato in prima linea sul fronte della lotta degli Stati Uniti contro il terrorismo, in cambio dell’aiuto statunitense. Certo è che il Pakistan è rimasto fedele al patto e ha estorto miliardi di dollari di aiuti USA – fino a quando è arrivato il contraccolpo che ha trasformato il paese in un campo di battaglia per i terroristi. Il tempo ci dirà se il patto faustiano di Erdogan con Obama avrà un risultato differente.

Dall’altro lato, cosa Obama ci guadagni da questo patto faustiano resta incerto. Indubbiamente il secondo fronte della Turchia contro i Curdi può, non solo complicare la guerra do Obama in Iraq, ma segna anche la fine del processo di pace e di dialogo di Erdogan coi Curdi, dopo due anni di cessate il fuoco. Secondo gli strateghi regionali statunitensi, è una cosa buona che uno dei loro alleati chiave della NATO si ritrovi in un pantano?

Fatto interessante, l’unica ad applaudire gli attacchi aerei turchi in Siria è la screditata alleanza dell’opposizione siriana, che è evidentemente sostenuta da Ankara.

La Casa Bianca ha ripetuto il suo solito mantra tutte le volte che l’esercito turco ha lanciato azioni punitive contro i separatisti curdi – vale a dire che Ankara ha il diritto di difendersi. Cos’altro Obama potrebbe dire in questi casi? Paradossalmente anche le milizie curde sono alleate degli Stati Uniti nella lotta di Obama contro IS.

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