Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement, 16 marzo 2014 (trad. Ossin)



Arabia Saudita-Qatar : la rottura ?

Alain Rodier


Il 5 marzo 2014, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti (EAU) e il Bahrein hanno richiamato i loro ambasciatori dal Qatar, che accusano di sostenere alcune organizzazioni e individui che “minacciano la sicurezza e la stabilità degli Stati del Golfo” e di ospitare un “media ostile” (Al Jazeera). Più precisamente Riyadh rimprovera al Qatar di non rispettare un accordo stipulato nel novembre 2013, in base al quale tutti gli Stati della regione si sono impegnati ad “astenersi da qualsiasi ingerenza negli affari nazionali degli altri firmatari”. E’ stata infatti Riyadh a trascinare i due Stati vicini nel conflitto aperto che la oppone al Qatar fin dallo scoppio delle rivoluzioni arabe. Questo fenomeno, relativamente poco seguito dai media occidentali, è di una importanza fondamentale per gli equilibri politico-religiosi del Vicino e Medio Oriente. Occorre ricordare che il Qatar sostiene i Fratelli Mussulmani mentre l’Arabia Saudita appoggia i salafiti.



Gli avversari dei Saud

L’influenza del piccolo Emirato è tanto temuta dalla famiglia Saud da provocare queste reazioni che possono sembrare esagerate? Infatti Riyadh si spinge fino a chiedere la chiusura dell’emittente Al Jazeera, di diversi Istituti di Ricerca con sede a Doha (1) e l’estradizione di alcuni “banditi”, qualcuno dei quali ha ottenuto il passaporto del Qatar. In realtà, dietro il Qatar, sono due i nemici della monarchia wahhabita ad essere nel mirino: i Fratelli Mussulmani e l’Iran.


Infatti il 7 marzo Riyadh dichiarava che l’organizzazione dei Fratelli Mussulmani era oramai considerata “terrorista” dal Regno. Ora, Doha aveva riposto molte speranze nelle loro performance dopo le rivoluzioni arabe. La Storia ha dimostrato che la loro crescita, non solo è stata stoppata di netto in Egitto col colpo di Stato del generale – poi maresciallo – Sissi, dove i Fratelli sono anche qui considerati una organizzazione terrorista, ma essi sono stati costretti a lasciare il potere anche in Tunisia, a inizio 2014. Resistono ancora in Libia, ma siccome qui il paese è diviso tra diverse fazioni, non saranno in grado di unificarlo sotto la loro direzione. Uno dei più influenti predicatori dei Fratelli Mussulmani ospiti del Qatar è l’egiziano Yussef al Qaradawi (assai presente in Al Jazeera), che professa un anti-semitismo, un anti-occidentalismo ed un anti-sciismo virulenti. I Sauditi reclamano la sua testa, sia in senso proprio che figurato. La sua estradizione viene chiesta anche dal nuovo governo egiziano.



I Fratelli Mussulmani – Riyadh: una storia d’amore finita male

Eppure i Fratelli Mussulmani sono stati molto ben visti in Arabia Saudita fino agli anni 1990. Infatti molti dirigenti della confraternita, perseguitati nei loro paesi dai “nazionalisti”, avevano trovato rifugio nel Regno wahhabita. Un primo intoppo si produsse però durante l’invasione sovietica dell’Afghanistan. L’Arabia Saudita, fedele alleata degli Stati Uniti, si lanciò nel sostegno diretto della resistenza afghana, fornendo combattenti e aiuto logistico (2). I Fratelli, diffidenti nei confronti di Washington, si limitarono invece a fornire un aiuto umanitario ai rifugiati presenti in Pakistan.


Ma la vera rottura si è consumata durante l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq nel 1990. In quella occasione, infatti, i Fratelli Mussulmani presero posizione a favore di Bagdad. Bisogna ricordare che, all’epoca, l’Arabia Saudita temeva che le forze di Saddam Hussein si potessero spingere fino a Riyadh! Colmo di ingratitudine, la confraternita aveva anche cominciato a sostenere sottobanco alcune contestazioni contro la famiglia Saud. A questo punto è inutile precisare che cosa Riyadh pensava dell’arrivo dei Fratelli Mussulmani al potere in Egitto e in Tunisia! Il Qatar, che ha apertamente sostenuto questi nuovi governi, si è allora attirato l’ira della famiglia reale saudita, che ha anche considerato con sospetto il suo interventismo in Libia e nel Sahel.



Le ambigue relazioni tra i Fratelli Mussulmani e i mullah iraniani

Per quanto sorprendente possa apparire, le relazioni intrattenute tra i mullah iraniani e i Fratelli Mussulmani sono complesse ma non necessariamente ostili. Così, secondo il giornalista Michael Prazan, “bisogna essere consapevoli che, da un punto di vista ideologico, vi è pochissima differenza tra la rivoluzione islamica iraniana, che qui bisogna tener distinta dal clero sciita, e la confraternita (…) Khomeini citava molto spesso nei suoi discorsi Sayyid Qutb, che è la più importante figura intellettuale dei Fratelli Mussulmani, oltre ad essere il maggior teorico della jihad moderna e il padre spirituale di AlQaida”.


Teheran ha sempre saputo fare prova del più grande pragmatismo in materia di politica estera, usando a suo profitto anche correnti che sembrano agli antipodi delle sue credenze profonde. E’ stato così che i Fratelli Mussulmani hanno permesso agli sciiti di mantenere una costante presenza nel mondo sunnita, particolarmente in missioni di intelligence e in termini di accessorietà,  per svolgere una politica di influenza nello stile “biliardo a tre sponde”. L’esempio più illuminante resta il sostegno dato congiuntamente dalle due parti alla palestinese Hamas. Si è dovuto attendere che Hamas adottasse una posizione anti-Assad in Siria perché Teheran decidesse di interrompere il suo aiuto al movimento. In un primo tempo questo non ha costituito una difficoltà per Hamas, che ha chiuso i suoi uffici in Siria per riaprirli a Doha e nella Striscia di Gaza. I problemi sono cominciati quando il presidente Morsi è stato rovesciato in Egitto: il flusso di approvvigionamenti dall’Egitto si è allora prosciugato.


L’Iran, il vero avversario del regime saudita

Senza tornare sulla opposizione ideologica che divide storicamente sciiti e sunniti, l’Iran viene considerato come l’avversario primario del regime saudita nel Vicino Oriente. La volontà espansionista di Teheran, dopo l’arrivo al potere dell’ayatollah Khomeini che voleva riunificare il mondo mussulmano sotto la sua direzione, venne all’epoca considerata come una diretta aggressione. Oggi Riyadh tenta con tutti mezzi di opporsi a quella che considera “la volontà egemonica di Teheran”: la costituzione di una “crescita sciita” che unirebbe il Bahrein, l’Iran, l’Iraq, la Siria e il Libano. E’ d’altronde assolutamente vero che i mullah vedrebbero certamente di buon occhio la caduta della famiglia Sud, considerata come troppo vicina agli Statunitensi.


Il conflitto per procura  che si è combattuto in Siria rientra in questo ambito. Il regine di Bachar el-Assad viene direttamente (e operativamente) sostenuto dall’Iran e dalla sua creatura libanese, Hezbollah; l’opposizione è appoggiata dall’Arabia Saudita, dal Qatar e da altri… E’ qui che tutto si complica. Il piccolo emirato, agli inizi il più fedele sostenitore dell’Esercito Siriano Libero – insieme alla Turchia che pure è sotto l’influenza dei Fratelli Mussulmani – ha piano piano cominciato a sostenere alcuni gruppi islamici radicali che si sono rivelati essere affiliati diretti o indiretti della nebulosa Al Qaida, soprattutto il Fronte Al- Nusra.


Anche l’Arabia Saudita aveva seguito il movimento, ma si è poi resa conto che i jihadisti internazionalisti potevano rappresentare un rischio per l’esistenza stessa del regime di Riyadh. Infatti uno degli obiettivi poco conosciuti della nebulosa messa in campo da Osama bin Laden è di rovesciare la dinastia dei Saud. Si rimprovera infatti alla famiglia reale di avere autorizzato delle forze “empie” (gli Statunitensi) a stazionare nel paese che ospita i luoghi santi dell’islam. Per gli ideologi jihadisti che fanno riferimento ad Al Qaida, i Saud sono dunque degli “apostati” (insomma, dei traditori). Ora, numerosi jihadisti internazionalisti sono di origine saudita e rappresentano un rischio rilevante in vista del loro rientro nel paese. Se negli ultimi dieci anni l’Arabia Saudita è riuscita a neutralizzare qualsiasi velleità di ribellione sul suo territorio scacciando i membri di Al Qaida nella penisola arabica (AQPA) verso lo Yemen, non è sicuro che la nuove generazione di jihadisti si lascerà trattare allo stesso modo, soprattutto se sono segretamente sostenuti dal Qatar, o perfino dall’Iran, assai presente nel nord-Yemen (3). Una buona decina di agguerriti combattenti di origine saudita, reduci dai teatri siriano e iracheno, sono già stati segnalati in Yemen, dove avrebbero galvanizzato le truppe della AQPA.



La guerra contro l’EIIL in Siria, un pretesto per riassumere il controllo della situazione?

Una rottura in seno alle forze islamiche radicali si è prodotta  a causa dell’aspirazione dello “Stato islamico dell’Iraq e del Levante” (EIIL) di sganciarsi dalla direzione centrale di Al Qaida comandata da Al Zawahiri.


Il pretesto per “silurare” Doha è stato presto trovato. Riyadh ha cominciato a sostenere i movimenti jihadisti opposti all’EIIL, il più importante dei quali è il Fronte Islamico (FI). L’occasione fa l’uomo ladro e si è decretato che qualsiasi volontario saudita si recasse in Siria per unirsi all’opposizione armata sarebbe stato considerato come un criminale (4). Tutto ciò consente all’Arabia Saudita di giocare su diversi tavoli:


- Tentare di unificare l’opposizione siriana sotto la propria influenza ed emarginare il Qatar;


- Continuare a lottare contro il regime di Bachar el-Assad e, per forza di cose, contro il suo alleato iraniano;


- Dimostrare che il regime si oppone ai terroristi che operano fuori dal territorio siriano.


Quest’ultimo punto è fondamentale per restituire una immagine positiva del regno in Occidente e per preservarlo da ogni sorta di rischio di sedizione in patria.    


La famiglia Saud ha capito che Washington stava per disimpegnarsi nel Vicino Oriente, a profitto dell’Estremo Oriente. Gli approcci fatti dagli Stati Uniti verso Teheran e l’abbandono brutale degli “amici” Mubarak e Ben Ali hanno inquietato moltissimo Riyadh. Non c’è più fiducia tra i due paesi. Infatti lo sforzo di “normalizzazione” avviato da Washington, che spera di lasciare una situazione relativamente stabile nella regione, passa forse per la destituzione della famiglia reale saudita.


Se i Fratelli Mussulmani sembrano oggi incontrare grandi difficoltà, non per questo essi sono da considerarsi neutralizzati. Prima di tutto essi sono ancora presenti, ai più alti livelli, in Turchia e in Maghreb. Inoltre, abituati a vivere in clandestinità, cellule sono in via di riorganizzazione in Egitto, dove la popolazione continua a dipendere dagli aiuti sociali che essi possono apportare. Inoltre la confraternita è ancora ben vista dai circoli neoconservatori statunitensi, che si augurano che essa possa ancora giocare un ruolo nel futuro. Come per il passato, l’Iran si farà certamente un dovere di accogliere alcuni Fratelli costretti all’esilio (5).


Il Qatar mantiene un profilo basso, soprattutto dopo che l’emiro Hamad bin Khalifa Al Thani ha ceduto il potere al figlio Tamin ben Hamad Al Thani, nel giugno 2013. Tuttavia, a fine febbraio, il ministro degli affari esteri del Qatar ha effettuato un viaggio ufficiale in Iran, cosa che ha irritato al massimo grado Riyadh. Occorre dire che il Qatar condivide con l’Iran la più grande riserva di gas del mondo, situata nel Golfo Persico, in parti uguali nelle acque territoriali dei due Stati (6). Pompare nella stessa riserva obbliga ad avere relazioni bilaterali armoniose. Bene è stato che il sostegno del Qatar agli insorti siriani si sia molto ridotto, soprattutto a causa delle iniziative dell’Arabia Saudita – con grande soddisfazione di Teheran.


La situazione resta dunque per il momento instabile – è un eufemismo – nel Vicino Oriente. L’Arabia Saudita ha le sue debolezze, ma conserva la sua forza: l’oro nero. Se gli Statunitensi si mostrano meno interessati, gli Europei sono là per riempire parzialmente il vuoto. Soprattutto c’è un alleato di circostanza particolarmente interessante: lo Stato di Israele! Infatti, se la causa palestinese non costituisce una priorità per Riyadh, dall’altro lato i due paesi hanno dei nemici comuni: l’Iran, i Fratelli Mussulmani e i jihadisti internazionalisti. Un paradosso resta tuttavia il fatto che una parte di essi beneficia da anni dell’aiuto finanziario, se non direttamente delle strutture governative del Regno, certamente dei ricchi Sauditi, seguaci della causa salafita.
 

Note:


(1)  Tra cui il Brookings Doha Center e il Centro Arabo di ricerche e di studi politici, diretto dall’ex deputato arabo-israeliano Azmi Béchara, considerato vicino alla famiglia regnante.

(2)  Cosa che è stata all’origine della fondazione di Al Qaida, influenzata dal Palestinese Abdullah Azzam. Inizialmente aderente alla Confraternita dei Fratelli Mussulmani, ha poi sviluppato una sua propria ideologia della jihad mondiale.

(3)  Le tribù al-Houthi, in lotta contro l’attuale governo di Sanaa, vengono discretamente sostenute logisticamente da Teheran. Benché anch’essi in conflitto con i radicali sunniti di AQPA, la duttilità degli Iraniani può far pensare che essi potrebbero servirsi del nord-est dello Yemen come base arretrata per sostenere una ribellione sunnita in Arabia Saudita.

(4)  Guarda Note d'Actualité n°347, «  Al-Qaida. L'affaiblissement vient de l'intérieur », marzo 2014

(5)  Se i fondamentalisti sunniti hanno sempre mostrato grande aggressività nei confronti degli sciiti, non è vero il contrario

(6)  Conosciuto col nome di South Pars sul versante iraniano e North Dome su quello del Qatar.

 

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