Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement) 1 gennaio 2017 (trad. ossin)

 

Stati Uniti: le vere ragioni dell’espulsione dei diplomatici russi

Eric Denécé

 

Il presidente statunitense Barack Obama ha ordinato, venerdì 30 dicembre, l’espulsione di trentacinque diplomatici russi, in servizio alla ambasciata di Russia a Washington e al consolato russo di San Francisco, accusandoli di essere degli «agenti dei servizi di informazione» di Mosca

 

 

Senza precisare i particolari, la Casa Bianca ha affermato che essi avrebbero «agito in modo non conforme al loro ruolo di diplomatici» e ha assegnato loro 72 ore per lasciare il paese. Inoltre il dipartimento di Stato ha decretato la chiusura di due edifici di proprietà russa negli Stati del Maryland, vicino a Washington, e di New York, perché sarebbero stati «utilizzati da responsabili russi a fini di intelligence».

 

Molestie e cyber-attacchi? Di cosa gli Stati Uniti accusano la Russia?

 

La Casa Bianca ha precisato che queste rappresaglie costituiscono «una risposta alle crescenti interferenze, esercitate nel corso degli ultimi due anni, contro il personale diplomatico [statunitense] in Russia da parte delle forze di sicurezza e di polizia». Interferenze che sarebbero andate «ben al di là delle regole che disciplinano i comportamenti diplomatici internazionali». Barack Obama ha aggiunto che l’iniziativa del suo governo segue «gli avvertimenti da noi rivolti ripetutamente al governi russo, in privato e in pubblico. Si tratta di una risposta necessaria e adeguata alle attività dirette a nuocere agli interessi statunitensi in violazione delle norme di comportamento internazionale».

 

Il presidente statunitense ha anche annunciato che saranno disposte sanzioni contro «nove entità e individui», tra cui due servizi di informazione russi, il GRU (informazione militare) e il FSB (servizio di sicurezza interno) e i loro responsabili. Il primo viene accusato dalla Casa Bianca di avere, grazie ai suoi agenti e ai suoi strumenti tecnici, «falsificato, alterato (...) alcune informazioni con l’obiettivo o il risultato di interferire nel processo elettorale statunitense nel 2016». Quanto al FSB, viene accusato di complicità con il GRU. Ma curiosamente non si parla del SVR, che pure è il principale servizio di informazioni russo presente all’estero.

 

Inoltre, tre imprese russe sospettate di avere fornito un «sostegno materiale» alle operazioni di pirateria informatica saranno anche giuridicamente e finanziariamente sanzionate da parte dell’amministrazione statunitense. «Le sanzioni non si fermeranno qui» ha aggiunto Barack Obama, avvertendo che gli Stati Uniti prenderanno altre misure «nel momento che decideremo noi, ivi comprese operazioni che non saranno rese pubbliche».

 

In realtà questa espulsione di funzionari russi – la più importante dal 2001 [1] – intende sanzionare la supposta ingerenza di Mosca nella campagna presidenziale statunitense, nel corso della quale il partito democratico sarebbe stato vittima di cyber-attacchi che avrebbero favorito l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca.

 

Secondo un rapporto pubblicato il 29 dicembre dal dipartimento di sicurezza interno (Department of Homeland Security/DHS) e lo FBI[2], due gruppi di hacker che sarebbero legati alla intelligence russa – chiamati APT 28 o Cozy Bear e APT 29 o Fancy Bear – vengono ritenuti responsabili «di pirateria informatica contro un partito politico statunitense» nell’estate 2016. Secondo le autorità statunitensi, il primo sarebbe legato al FSB, mentre il secondo sarebbe una emanazione del GRU[3].

 

Questi attacchi contro i server e computer del Partito democratico hanno avuto per effetto la pubblicazione di diverse migliaia di mail e documenti interni del movimento, più tardi messi on line su Wikileaks, che hanno portato alla luce le manovre del clan Clinton per intralciare la candidatura di Bernie Sanders e rivelato molti intrallazzi e irregolarità interne. Esse hanno ampiamente contribuito a indebolire la campagna di Hillary Clinton. Ma, per il momento, il governo USA ha fornito pochi elementi che dimostrino un collegamento tra i diplomatici dichiarati persona non grata ai presunti cyber-attacchi dell’estate scorsa.

 

Oltre questi ipotetici atti di pirateria informatica destinati a «influenzare l’elezione presidenziale», Washington accusa Mosca di diversi cyber-attacchi contro strutture finanziarie, università e altre istituzioni statunitensi.

 

Alla fine di dicembre, alcuni dirigenti del DHS, dello FBI e dell’Ufficio del direttore della intelligence nazionale (DNI) hanno comunicato i codici dei malware Grizzly Steppe[4] ai responsabili della sicurezza delle infrastrutture critiche nazionali (settore finanziario, servizi pubblici, trasporti, energie, ecc). I responsabili dei servizi pubblici del Vermont hanno risposto di averli individuati nei sistemi di controllo della rete elettrica. Tanto è bastato, perché la notizia fosse immediatamente divulgata dai media, suscitando nelle strutture governative il timore che i «pirati informatici legati ai servizi russi stessero tentando attivamente di violare le infrastrutture critiche del paese, per compiere attacchi distruttori».

 

Non sono tardate le reazioni indignate di rappresentanti politici locali dell’amministrazione Obama: il 30 dicembre il governatore democratico del Vermont, Peter Shumlin, dichiarava che «tutti gli Statunitensi dovrebbero essere allarmati e scandalizzati dal fatto che Vladimir Putin, uno dei peggiori manigoldi del mondo, abbia tentato di inserirsi nella nostra rete elettrica, sulla quale noi contiamo per mantenere il nostro stile di vita, la nostra economia, la nostra sanità e la nostra sicurezza (...). Questo episodio dovrebbe evidenziare l’urgenza che il nostro governo federale persegua e ponga fine a questa ingerenza russa». Poco dopo, il senatore democratico del Vermont, Patrick Leahy, rincarava la dose, gettando altro olio sul fuoco: «questo va oltre i classici episodi di pirateria informatica: in questo caso si è cercato di accedere ai servizi pubblici per manipolare la rete elettrica e bloccarla in pieno inverno».

 

Una sbalorditiva mancanza di prove

 

Cosa pensare delle accuse statunitensi e delle misure adottate dalla Casa Bianca, tanto le affermazioni della Casa Bianca sono veementi ma anche confuse?

 

Quanto al supposto hacking dei computer del Partito democratico, al momento ancora nessuno ha avuto accesso alle informazioni messe insieme dalla CIA che «proverebbero» il coinvolgimento russo. Di conseguenza è probabile che siano stati estrapolati frammenti di informazioni per giungere alla conclusione che l’attacco cibernetico al partito democratico proveniva dai Russi. Ma queste non sono prove. Nonostante ciò, fin dal 7 ottobre un comunicato comune del DHS e del DNI affermava «avere la convinzione che questa operazione veniva dalla Russia e non poteva essere stata lanciata se non con il consenso delle più alte autorità [5]».

 

D'altronde, nel seno stesso della comunità statunitense della intelligence, le accuse suscitano un dibattito: una parte della CIA non è d’accordo con le conclusioni cui si è giunti e la maggioranza dello FBI – anche se taluni dei suoi dirigenti hanno fatto un incredibile voltafaccia il 29 dicembre – ritiene che il dossier contenga solo pettegolezzi e nessuna prova a carico. Senza escludere la «pista russa», lo FBI è molto più prudente di quanto si ritenga a Langley, giungendo a «conclusioni molto diverse da quelle della CIA».

 

Vari media, come The Intercept, rilevano anche che tutte le fonti anonime della CIA che scrivono sulle colonne del Washington Post per accusare Mosca non forniscono elementi probanti a sostegno delle accuse che lanciano. Altri osservatori considerano che le prove tecniche presentate – come l’utilizzazione di un word processing configurato in russo – o il fatto che gli atti di pirateria siano stati effettuati per lo più nelle ore diurne del fuso orario di Mosca, siano insufficienti a incriminare la Russia. Infine, Julian Assange, il fondatore di Wikileaks, ha dichiarato in un’intervista che la fonte da cui il sito ha ricevuto le mail non era la Russia [6].

 

Quanto ai cyber-attacchi «individuati» nel Vermont, i dirigenti della società Burlington Electric, che gestisce la rete elettrica locale, hanno dichiarato che il malware è stato trovato in «un computer portatile che non era connesso ai sistemi di controllo della rete» e che è stato immediatamente isolato. I responsabili della sicurezza di Burlington hanno ammesso di non essere in grado di determinare quando il malware è entrato nel computer, né se gli «hacker russi» avevano l’intenzione di turbare il funzionamento del sistema o di osservare se fosse possibile violarlo. Da notare che i rappresentanti del dipartimento dell’energia e del DHS si sono rifiutati di fare qualsiasi commento.

 

Quindi, per quanto concerne questi due fatti, allo stato attuale delle cose non vi sono prove certe, né commissione parlamentare, né inchiesta giudiziaria, né unanimità in seno alla comunità della intelligence. Al punto che il motivo ufficiale dell’espulsione dei diplomatici russi non è l’ipotetico hacking dei computer del Partito democratico, ma un vago pretesto di «interferenze diplomatiche», ciò che la dice lunga sulla debolezza degli elementi a carico. Il nuovo presidente Donald Trump ha d’altronde posto in dubbio la veridicità delle informazioni all’origine delle accuse contro Mosca.

 

Come dire che siamo nella più totale confusione, che suscita ovviamente dubbi rilevanti sulla verità dei fatti presentati. Una gran parte dei giornalisti statunitensi sono consapevoli di trovarsi al centro di una manipolazione orchestrata dalla amministrazione uscente e si mantiene piuttosto prudente.

 

Quando pure alcune delle accuse siano fondate, va ricordato che la Casa Bianca in fondo accusa gli hacker di avere rese pubbliche delle mail autentiche, che mettevano a nudo le turpitudini di Hillary Clinton e del suo entourage, a seguito di cui lo FBI avrebbe dovuto incriminare la candidata, cosa che non ha fatto. Insomma gli «hacker russi» hanno svolto il ruolo di Whistleblowers, che viene sempre incoraggiato da Washington in tutto il mondo, quando si tratta di corruzione, frode o terrorismo. Del resto nessuno sembra avere criticato i Democratici per la loro colpevole incapacità di proteggere il loro sistema informatico, sebbene la loro candidata fosse la moglie di un ex presidente e una ex ministro degli Affari esteri!

 

Quanto al coinvolgimento di Mosca, resta tutto da provare. Affermare che Trump è stato eletto grazie al sostegno di Putin non ha senso perché, in questo caso, l’operazione sarebbe stata estremamente ingenua e avrebbe avuto per effetto di vedere smascherato questo sostegno e di screditare il candidato, cosa che sarebbe stata assolutamente controproducente.

 

La «virtù» statunitense offesa; da che pulpito viene la predica

 

Espellendo i trentacinque diplomatici russi, Barack Obama ha anche invitato i paesi «amici e alleati» degli Stati Uniti a «lavorare insieme per contrastare i tentativi della Russia di minare le buone pratiche internazionali e ingerirsi nei processi democratici». In questa vicenda Washington si erige a vittima innocente di una cyber-aggressione contraria al diritto internazionale, condanna senza esitazioni queste pratiche e denuncia la volontà di Mosca di interferire nel processo democratico degli Stati Uniti. Se non sapessimo che non v’è discorso sulla castità più eloquente di quello fatto da una prostituta, faremmo un salto per la sopresa!

 

Lo spionaggio è un classico tra gli Stati. Innegabilmente i Russi, come le altre nazioni, spiano i loro principali rivali, concorrenti e alleati. Ma se durante la guerra fredda i Sovietici erano di gran lunga i più aggressivi, in seguito la situazione si è rovesciata. La crescita esponenziale della comunità statunitense dei servizi di informazione e dei mezzi a sua disposizione fanno degli Stati Uniti il paese del mondo che spia più degli altri, con la scusa della guerra contro il terrorismo (GWOT). Sentire Washington lamentarsi dell’aggressività dei servizi russi – cosa peraltro vera, negli Stati Uniti come in Europa – dà da pensare. Usare simili argomenti dimostra una evidente mala fede.

 

Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, Washington ha operato più interventi politici clandestini nel mondo – orientando i risultati di elezioni o sostenendo dei colpi di Stato[7] – di quanto non abbia fatto l'URSS. Gli Statunitensi hanno perfino teorizzato il Regime Change, che hanno perseguito, agendo per ONG «democratiche» interposte, in occasione delle «rivoluzioni arancioni» degli anni 1990, della «primavera» araba a partire dal 2011, o della pseudo rivoluzione del Maidan in Ucraina (2014), o ancora apertamente violando il diritto internazionale con l’invasione dell’Iraq nel 2003.

 

Occorre anche ricordare che la NSA ha intercettato i leader politici dell’intero pianeta – ivi compresi i più fedeli alleati -, che essa sorveglia tutte le comunicazioni elettroniche mondiali e che ha sviluppato delle capacità di attacco informatico senza pari nel mondo.

 

Sono stati gli Stati Uniti a lanciare i primi cyber-attacchi in Iran, per sabotare, con l’aiuto dei servizi israeliani, il programma nucleare iraniano. Questa storia è ricostruibile in dettaglio nei documenti di Snowden, la cui autenticità non è stata mai messa in dubbio. La NSA è anche penetrata nelle reti informatiche di diverse agenzie e ministeri cinesi. Questi sono atti di guerra. E gli attacchi di droni e gli omicidi mirati realizzati nell’ambito della guerra contro il terrorismo appartengono alla medesima logica. Ebbene, gli Stati Uniti hanno sempre liquidato con disprezzo e tranquillamente ignorato ogni critica e accusa loro rivolta per tali azioni, negando agli altri Stati e alla comunità internazionale il diritto di giudicarli. Vedere quindi oggi la Casa Bianca denunciare una violazione delle regole internazionali – peraltro senza prove credibili – di cui il paese sarebbe stato vittima dimostra bene l’unilateralismo che caratterizza Washington dalla fine della Guerra Fredda.

 

La vera posta della crisi per l’amministrazione Obama

 

Del resto questa vicenda interviene in un contesto assai particolare, i cui caratteri conviene ricordare.

 

- L'Establishment di Washington è stato completamente colto alla sprovvista dalla vittoria di Donald Trump e ha capito che si faranno grandi pulizie e molti di loro perderanno le loro posizioni politiche e i vantaggi economici legati alle loro alleanze internazionali.

 

- Appena eletto, il futuro presidente ha chiaramente manifestato la propria estrema diffidenza nei confronti della comunità dei servizi di informazione e soprattutto della CIA, che sospetta avere avuto una forte e nefasta influenza sulla politica dei suoi due predecessori.

 

- Appena designato come futuro Consigliere per la Sicurezza nazionale, il generale Michael Flynn[8] ha annunciato che avrebbe riorientato l’Agenzia – della quale critica apertamente l’operato – verso la ricerca e l’analisi delle informazioni e ha designato un nuovo direttore incaricato di rimetterla al passo [9]. Flynn ha dichiarato che in futuro affiderà tutte le operazioni clandestine al Comando delle operazioni speciali (USSOCOM[10]/JSOC[11]) – quindi al Pentagono -, cosa cui la CIA è determinata ad opporsi con tutti i mezzi.

 

- Donald Trump, Mike Flynn, ma anche il futuro segretario di Stato, Rex Tillerson – attuale presidente di Exxon-Mobil – non hanno fatto mistero della loro volontà di stabilire nuove relazioni di fiducia e partnership con la Russia di Putin, cosa che si scontra con le posizioni dell’attuale amministrazione e con i suoi interessi.

 

Ci troviamo dunque in modo evidente in una vicenda americano-americana dove due clan si scontrano per rinnovare o conservare il potere... prima del 20 gennaio, data della presa di possesso da parte di Donald Trump. Quindi Barack Obama e la sua amministrazione si impegnano chiaramente a:

 

- deteriorare la situazione in vista dell’avvio della presidenza Trump e, in mancanza d’altro, rimettere in discussione la validità della sua elezione,

 

- sabotare il riavvicinamento russo-statunitense.

 

Ricordiamo anche che l’espulsione dei funzionari russi interviene a distanza di qualche giorno dalla liberazione di Aleppo da parte della coalizione russo-siriana e dall’accordo di cessate il fuoco tra Russi, Siriani, Iraniani e Turchi senza la partecipazione di Washington. Si tratta di due grandi delusioni della politica estera statunitense. Ricordiamo infine che Edward Snowden, la bestia nera dei servizi di informazione statunitensi, sta sempre a Mosca. Non meraviglia quindi che Washington moltiplichi le provocazioni vendicative verso la Russia.

 

La reazione russa

 

La Russia ha «categoricamente» respinto le accuse, giudicandole «indecenti». A titolo di reciprocità, Sergueï Lavrov, il ministro degli Affari esteri, ha subito proposto a Vladimir Putin di dichiarare persona non grata trentuno diplomatici dell’ambasciata degli Stati Uniti a Mosca e quattro del consolato di San Pietroburgo e di vietare loro l’uso di una casa di campagna nella periferia di Mosca e di un edificio che serve loro da deposito nella capitale. Ma il presidente russo ha dichiarato che non avrebbe espulso nessun diplomatico statunitense, desiderando non rispondere a questo «nuovo gesto di inimicizia dell’amministrazione statunitense uscente» mirante «a destabilizzare ancor più le relazioni russo-statunitensi», proprio mentre si è in attesa dell’assunzione delle funzioni da parte del nuovo presidente per ristabilire con lui relazioni di fiducia tra i due paesi. Donald Trump ha subito lodato «l’intelligenza» del presidente russo. Deve constarsi l’astuzia con la quale Vladimir Putin ha saputo evitare la trappola tesagli dall’amministrazione USA, disinnescando in tal modo una crisi che avrebbe potuto provocare maggiori tensioni.

 

Lo psicodramma dei supposti e non comprovati attacchi di pirateria russi potrebbe non avere ancora raggiunto il suo culmine, in quanto restano ancora tre settimane prima dell’investitura di Donald Trump. Ma già questa vicenda, nella quale il grottesco fa a gara con l’assurdo, si afferma come una delle storia più surrealiste delle relazioni internazionali contemporanee.

 

Conseguenza della crescita esponenziale dei supporti informativi (internet, reti sociali, media audiovisivi) dalla metà degli anni 1990 e poi con l’entrata in scena degli Spin Doctors a partire dal 2002, il mondo è entrato in una nuova era di manipolazione delle informazioni e delle opinioni. La combinazione di uno Storytelling efficace e della capacità di gestire i canali di informazione internazionali permette di fare apparire il falso ancora più vero del vero [12]. Le fantasiose giustificazioni dell’invasione dell’Iraq nel 2003 e il «romanzo» delle «rivoluzioni» arabe a partire dal 2011, le false presentazioni della crisi ucraina e del conflitto siriano ne sono solo gli esempi più visibili.

 

Accusando il Cremlino di voler manipolare e distruggere la democrazia USA, una parte dell’Establishment d'oltre Atlantico si è lanciata in un tentativo patetico quanto disperato avente come obiettivo di permettere ai suoi esponenti di conservare i loro posti di potere e proseguire la politica internazionale di tensione che hanno avviato all’inizio degli anni 2000, l’unica che, ai loro occhi, permette di assicurare la perennità del dominio politico ed economico degli Stati Uniti sul mondo.

 

 

Note:

 

    [1] 50 agenti dovettero allora lasciare il suolo statunitense.

    [2] https://www.us-cert.gov/sites/default/files/publications/JAR_16-20296A_GRIZZLY%20STEPPE-2016-1229.pdf

    [3] Moltissimi atti di pirateria vengono attribuiti a questi due gruppi, tra cui quello che ha preso di mira TV5 Monde nel 2015.

    [4] Nome dato dagli Statunitensi alla sedicente operazione russa.

    [5] https://www.dhs.gov/news/2016/10/07/joint-statement-department-homeland-security-and-office-director-national

    [6] http://www.foxnews.com/politics/2016/12/16/wikileaks-founder-assange-on-hacked-podesta-dnc-emails-our-source-is-not-russian-government.html

    [7] Guatemala, Iran, Vietnam, Indonesia, Argentina, Filippine, Bosnia... per citare solo qualche esempio noto, senza parlare degli interventi nella vita politica europea durante la Guerra Fredda, soprattutto in Francia e in Italia.

    [8] Ex ufficiale delle forze speciali ed ex direttore dei servizi di informazione militare (DIA).

    [9] Critica soprattutto la scelta di avere impiegato gli analisti sul campo, senza possibilità di tirarsi indietro, cosa che ha notevolmente alterato la capacità di analisi dell’Agenzia. E’ peraltro deciso a restringere la sua autonomia, ritenendo sia diventato un vero e proprio «esercito privato» che impone regolarmente la sua visione della situazione internazionale alla Casa Bianca.

    [10] United States Special Operations Command.

    [11] Joint Special Operations Command.

    [12] Il 30 dicembre, alcuni funzionari statunitensi hanno «informato anonimamente» alcuni media che la Russia aveva chiuso la scuola anglo-statunitense di Mosca come rappresaglia per l’espulsione dei suoi diplomatici. La CNN è stata la prima a divulgare questa informazione, largamente ripresa dalle reti sociali... che è in modo del tutto evidente priva di ogni fondamento!

 

 

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