ProfileIntervento, 1° febbraio 2018 - Inventata di sana pianta, la “minaccia nucleare iraniana” è un inganno che mira a neutralizzare un grande paese non allineato. Sovrano, non indebitato, tenacemente attaccato alla propria indipendenza, l’Iran ha potenzialità che spaventano i controllori dell’ordine imperiale...

 

Oumma, 30 gennaio 2018 (trad. ossin)
 
La favola della minaccia nucleare iraniana
Bruno Guigue
 
Impressionati dalla verbosità poliglotta di Macron a Davos, i media francesi hanno accuratamente tenuto nascosto un fatto più importante: Donald Trump chiederà al Congresso 716 miliardi di dollari per il Pentagono in relazione al bilancio di esercizio  2019. Questo incremento del 7% rispetto al budget 2018 non servirà a rimpiazzare i Boutons de culotte (formaggi caprini, ndt). Stando a un documento confidenziale pubblicato dallo Huffington Post, il Pentagono considera la possibilità di una risposta atomica nel caso di “imponenti attacchi convenzionali”. Documento di orientamento strategico, il progetto di Nuclear Posture Review per il 2018 prevede dunque un ammodernamento dell’arsenale atomico, il cui costo viene valutato da un’agenzia federale, il Congressional Budget Office, in 1200 miliardi di dollari su 30 anni.
 
 
Questo progetto di massiccio riarmo, però, non sembra emozionare le popolazioni, né appassionare gli osservatori. Ma c’è da dire che si è fatto di tutto perché l’albero nascondesse la foresta. Da quindici anni i dirigenti occidentali continuano ad agitare lo spauracchio della “minaccia nucleare iraniana”. Questa favola geopolitica viene distillata dai media dominanti nei loro articoli, come fosse evidente che un paese senza la bomba sia più pericoloso di un paese che l’ha già utilizzata, e che intende potenziare il mostruoso arsenale di cui già dispone. Per far digerire frottole di questo tipo, la propaganda ripete allora una idea semplice: “il programma nucleare iraniano minaccia il trattato di non proliferazione nucleare”. E’ curioso però che nessuno si sia mai preoccupato di rispondere: “Se ci tenete tanto a questo trattato, perché non cominciate ad applicarlo voi?”
 
Le potenze occidentali, infatti, non hanno mai fatto il minimo tentativo per convincere Israele, l’India e il Pakistan ad aderire al TNP. Rifiutando di aderire al trattato, questi tre paesi hanno costituito un arsenale fuori legge. Sottrarsi ad ogni controllo è qualcosa che dovrebbe quanto meno suscitare più preoccupazioni di una bomba iraniana che non esiste. E non è tutto. Il trattato prevede anche un disarmo nucleare che i cinque Stati “legalmente” dotati di armi atomiche (USA, Francia, Regno Unito, Cina, Russia) hanno superbamente ignorato. All’origine di questo fallimento, la denuncia da parte degli Stati Uniti del Trattato Start II con Mosca, con l’istallazione di uno scudo antimissile in Europa. Peggio ancora, gli Stati Uniti hanno continuato a sviluppare un arsenale la cui finalità di “uso preventivo” è affermata dalla Nuclear Posture Review del 2002. Consentendo l’utilizzo di armi nucleari di primo attacco, questa revisione dottrinale ha aperto un fantastico vaso di Pandora.
 
A voler credere alla propaganda abituale, il mondo civilizzato deve tenersi pronto a rispondere all’attacco devastante dei mullah iraniani, questi “folli di dio” col turbante, decisi a provocare l’apocalisse. Ma la realtà è lontana anni luce da questo delirio ideologico. Infatti l’establishment statunitense non ha ancora superato il trauma della rivoluzione iraniana, carica di umiliazione simbolica (gli ostaggi di Teheran) e di fallimento geopolitico (la caduta dello Scià). Pezzo su pezzo, Washington ha quindi costruito una demonologia nella quale la Repubblica islamica viene presentata come una dittatura malefica, il cui comportamento erratico farà pesare sul pianeta un pericolo mortale. Frottole alla grande, evidentemente, la cui unica funzione è quella di ostacolare lo sviluppo di una grande nazione disobbediente all’ordine imperiale.
 
I fatti parlano da soli. Accusato di volerla fabbricare, l’Iran non detiene l’arma nucleare. Sono gli Stati Uniti ad essere la prima potenza nucleare, e sono i soli ad averne fatto uso. Unico Sato del Medio Oriente a possedere la bomba (più di 400 testate nucleari), Israele gode da parte sua di un privilegio che non intende perdere: ha il diritto di detenere l’arma suprema a condizione di non vantarsene. Con la complicità dell’Occidente, l’ambiguità israeliana raggiunge un duplice obiettivo. Produce un effetto dissuasivo perché la bomba esiste, senza suscitare reazioni internazionali perché resta inteso che non esiste. Questo incredibile regime di favore trasforma la questione nucleare in una storia contorta: una bomba puramente virtuale dovrebbe darci i sudori freddi (Iran), mentre un arsenale colossale ma ufficialmente inesistente non dovrebbe suscitare alcuna inquietudine (Israele).
 
Sottratto ad ogni controllo internazionale, il programma nucleare sionista beneficia fin dalle origini di una impunità totale. Gli Occidentali stigmatizzano il rischio di proliferazione, ma la storia della bomba israeliana dimostra che essi ne sono direttamente responsabili. Ben Gourion ha avviato il programma nucleare sionista fin dagli inizi degli anni 1950, e la Francia gli è immediatamente corsa in soccorso. Un accordo segreto col socialista Guy Mollet, nel 1956, ha permesso allo Stato ebraico di acquisire dimestichezza con la tecnologia nucleare, e la centrale di Dimona è stata costruita con l’aiuto di tecnici francesi. Uniti nella lotta contro il nazionalismo arabo, la Francia e Israele hanno suggellato un patto, del quale la sciagurata spedizione di Suez fu il principale fatto d’armi.
 
Prendendo il testimone dell’alleanza francese alla fine degli anni 1960, gli Stati Uniti non si sono mostrati da meno. Secondo l’accordo concluso tra Lyndon Johnson e Golda Meir, nessuna pressione deve farsi su Israele per costringerla ad aderire al trattato di non proliferazione. In cambio Israele mantiene una posizione ambigua sulla realtà del suo arsenale nucleare. Deroga compiacente alla legge internazionale insomma, contro lo scrupoloso rispetto della legge del silenzio. Nell’attesa, gli Occidentali si accaniscono sull’Iran, attribuendogli un immaginario progetto militare, mentre intanto Tel Aviv moltiplica le minacce contro Teheran. La Repubblica Islamica, però, non ha mai aggredito i paesi vicini. Non altrettanto può dirsi di Israele, che ha bombardato l’Egitto, la Siria, il Libano, la Giordania, l’Iraq, la Tunisia, senza parlare dei territori palestinesi quotidianamente presi a bersaglio.
 
Diffondendo una cortina fumogena su questa realtà, la propaganda occidentale tratta il regime iraniano come fosse una “teocrazia fanatica”. Ma non è stato un mullah ad aver dichiarato che “il nostro Stato è l’unico in comunicazione con dio”. E’ stato invece Effi Eitam, ex-ministro israeliano e capo del partito nazional-religioso. Imbevuto di un orientalismo da quattro soldi, il discorso dominante descrive la Repubblica Islamica come un covo di fanatici appassionati di escatologia che sognerebbero di immolare Israele con la bomba atomica! Che peccato che i nemici giurati dell’Iran non ci abbiano gratificato di considerazioni altrettanto ispirate sulla bomba israeliana: eppure questa fa aleggiare una minaccia non puramente virtuale. Tra la pretesa sionista di “comunicare direttamente con dio” e l’ostinazione mistica di Tel Aviv a possedere l’arma suprema, si sarebbe potuto scoprire , anche qui, una singolare “escatologia”.
 
Altro paradosso non privo di gusto: l’Occidente accusa l’Iran di voler fabbricare la bomba, ma è stata la Repubblica Islamica a prendere l’iniziativa di interrompere il programma nucleare nel 1979. Incoraggiato dagli USA, lo Scià aveva firmato ricchi contratti con la Francia e la Germania per la costruzione di centrali nucleari. L’opposizione era contraria, considerando l’operazione onerosa per un paese ricco in idrocarburi, e il programma venne subito sospeso dal governo della Repubblica Islamica. C’è stato bisogno della sanguinosa guerra Iran-Iraq (1980-1988) perché le cose cambiassero. Solo di fronte all’aggressione irachena, il governo iraniano si è reso conto della sua debolezza davanti ad una coalizione che faceva blocco su Saddam Hussein. La partecipazione delle potenze occidentali, le forniture di armi chimiche all’Iraq, la distruzione in volo di un Airbus iraniano, gli hanno fatto prendere coscienza del pericolo.
 
E’ in questo contesto che i dirigenti iraniani hanno visto nel nucleare civile un atout tecnologico, un attributo della sovranità e una fonte di fierezza nazionale. Il possesso dell’arma nucleare, di per sé, è considerata cosa empia dalle autorità religiose, e nessun programma nucleare militare è stato ufficialmente avviato in Iran. I suoi accusatori hanno sempre preteso il contrario, ma senza fornire la minima prova. Il discorso ossessivo contro Teheran, in realtà, confonde deliberatamente due cose: la capacità tecnologica di produrre armi nucleari, e la decisione politica di produrre tali armi. Siccome questa capacità è stata raggiunta, si accusa Teheran di voler produrre la bomba. Ma questo ragionamento è palesemente perverso, perché invece di chiedere conto a chi la bomba ce l’ha, ci si accanisce contro uno Stato che non la vuole.
 
Inventata di sana pianta, la “minaccia nucleare iraniana” è un inganno che mira a neutralizzare un grande paese non allineato. Sovrano, non indebitato, tenacemente attaccato alla propria indipendenza, l’Iran ha potenzialità che spaventano i controllori dell’ordine imperiale. I dirigenti iraniani hanno firmato l’accordo del 2015 perché hanno più a cuore lo sviluppo del loro paese. Vogliono che siano revocate le sanzioni, per poter provvedere ai bisogni di una popolazione di 80 milioni di abitanti. L’accordo sul nucleare sottomette questo grande paese ad un regime di controllo internazionale senza precedenti, ma Teheran l’ha accettato. Accusando l’Iran di “sostenere il terrorismo”, Trump vuole interrompere questo processo di normalizzazione. Pressato dai mercanti di armi, lavora alla demonizzazione dell’Iran in modo grottesco. L’imperialismo non disarma mai e le menzogne continueranno. Ma l’Iran sa che il tempo gioca a suo favore, e saprà resistere alle provocazioni di una superpotenza in declino.
 
 
 
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