Primavera mauritana
di Nicola Quatrano

Il volto della “primavera araba” in Mauritania è quello di un giovane giornalista di 26 anni, Rabii ould Idoumou. Lo si vede in tutti i sit-in parlare al megafono e lo si riconosce subito per il suo berretto rosso con il volto del “Che” stampato su di un lato. E’ stato il primo a creare una pagina su Facebook dal titolo: “Mandiamo a casa Abdelaziz” (il presidente della Mauritania), e lo ha fatto a volto scoperto, firmandola col suo nome e il suo cognome.

L’ho conosciuto ad un sit-in indetto dal “Coordinamento della gioventù del 25 febbraio” in un quartiere periferico di Nouakchott, poche decine di manifestanti, ma molto determinati, impegnati sui temi sociali della povertà e dei servizi piuttosto che nella rivendicazione delle libertà individuali. Ci siamo poi visti la sera al caffè Tunis, a Nouakchott, uno dei luoghi di ritrovo della gioventù, in una grande sala dove una parete è ricoperta da un’immagine del “Che” (tanto per cambiare) e dove i ragazzi discutono fumando la “sciscia”. La cosa non è molto be vista dalle Autorità, mi dicono che la polizia è già andata dal proprietario e gli ha detto: “Nel tuo caffè c’è gente che parla di politica e questo non è buono per te”. Ma fino ad ora non si è andati oltre l’intimidazione.


 
Rabii ould Idoumou mi racconta di avere fondato, insieme ad alcuni amici, un’agenzia di stampa nella quale lavorano solo giovani. Anche nel giornalismo, come in tutti gli altri settori lavorativi, i giovani sono discriminati in Mauritania, e tutti i posti sono occupati da gente di una certa età. Uno dei caratteri della “rivolta araba”, d’altronde, è data proprio dalla rivendicazione giovanile, la richiesta di lavoro e di ruolo, in società nelle quali i giovani stentato a trovare uno spazio.

Mi parla inoltre del movimento “25 febbraio”, che ha preso il nome dalla data in cui si è svolta la prima manifestazione.  “Quel giorno eravamo solo 2500 persone e, data la situazione, già ci è sembrato un successo. Poi la volta successiva siamo stati 6000 e poi, di seguito, sempre di più”.
Non sono certo le cifre di Tunisi e nemmeno del Cairo. In Mauritania l’onda di contestazione della “primavera araba” si manifesta molto di più nella radicalità delle nuove di forme di lotta contro la schiavitù (
http://www.ossin.org/mauritania/schiavitu-mauritania-biram-abeid-sfruttamento-sessuale.html). Ma questa presenza in piazza, questa ricerca di contatti e comunicazioni con la popolazione più derelitta, è anch’essa un’espressione del nuovo volto della gioventù araba.

La guida del movimento è stata assunta dal Coordinamento dei giovani del 25 febbraio, che raggruppa diverse associazioni. E’ il coordinamento che indice periodiche “giornate della collera” nella “place des Blocs”, una delle piazze più centrali di Nouakchott, per chiedere le dimissioni del presidente Mohamed ould Abdel Aziz e riforme che migliorino le condizioni di vita della popolazione. Il tam tam corre nella rete e sui telefonini, in un paese in cui l’accesso ai nuovi strumenti di comunicazione è ancora estremamente limitato.

Dopo il successo delle prime manifestazioni, Rabii mi dice che il regime ha reagito in vario modo: ha organizzato delle contro-manifestazioni a sostegno delle autorità, ha assoldato criminali comuni per creare scontri nel corso dei sit-in (e accusare così i contestatori di essere dei violenti), ha riunito i “capi tradizionali” perché esercitassero la loro influenza sui giovani e sconsigliassero loro di partecipare alle iniziative del Coordinamento.
Ma ciò non ha impedito che le manifestazioni proseguissero: un furgone al centro della piazza, sul quale ogni oratore si arrampica per parlare al megafono, e il numero di partecipanti che cresce ogni volta di più.

Il 25 aprile si arrivati allo scontro.

Era un venerdì e centinaia di manifestanti si erano raggruppati in mattinata nelle adiacenze della “piazza dei Bloc”, sventolando bandiere e scandendo slogan che chiedevano riforme o, altrimenti, le dimissioni del presidente Mohamed Ould Abdel Aziz. Ai manifestanti è stato impedito di entrare nella “piazza dei Bloc” e sono stati poi dispersi e repressi dalla polizia, che ha proceduto a diversi arresti.

Anche ad alcuni deputati dell’opposizione è stato impedito l’accesso nella piazza, ma essi hanno potuto comunque assistere alla repressione poliziesca, personalmente diretta dal direttore regionale della Sureté contro i manifestanti, venti dei quali sono stati arrestati. Tra essi, Cheikh Ould Jiddou e Mohamed Zeine Ould Cheikh Saadbouh.

Tre donne fermate sono state subito dopo rilasciate. I responsabili dei gruppi parlamentari dell’opposizione si sono recati nei commissariati di polizia dove erano stati trasferiti gli arrestati, ma in alcuni di essi non è stato loro concesso di accedere. Il presidente del gruppo parlamentare RFD, Abderrahmane Ould Mini, ha denunciato il trattamento che è stato riservato ai parlamentari nel commissariato di Tevragh Zeina II, dove i poliziotti hanno impedito agli eletti dal popolo di visitare i manifestanti.

Contro questi arresti si sono levate le voci dei sindacati e dei partiti di opposizione. Inoltre il giorno successivo vi è stato un partecipato sit-in dinanzi la Direzione regionale della Sureté di Noukchott, per chiedere la liberazione degli arrestati. il regime ha deciso di non esasperare i toni e ha liberato tutti gli arrestati.

Con grande sicumera, il presidente Abdel Aziz ha dichiarato alla televisione che la Mauritania non è né la Tunisia, né l’Egitto, e che non può ripetersi quanto accaduto in questi due paesi. Certamente i numeri gli danno, al momento, ragione. Resta da chiedersi quanto il movimento saprà crescere e radicarsi, di fronte all’evidente crisi di leadership che investe le élite di tutti i paesi arabi.    
 
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