L'Humanité, 26 dicembre 2016 (trad. ossin)
 
Il Marocco condannato dal Comitato dell’ONU contro la tortura
Rosa Moussaoui
 
Intervista. Hélène Legeay, responsabile dei programmi Maghreb e Medio Oriente dell’Association des chrétiens pour l’abolition de la torture (Acat), denuncia il ricorso a questa pratica nel regno dello sceriffato
 
Ennaama Asfari
 
Dopo una denuncia presentata da Acat, il Marocco è stato condannato, per la vicenda di Gdeim Izik, dal Comitato dell’ONU contro la tortura. Che cosa ha detto l’ONU?
 
Hélène Legeay - Noi abbiamo presentato la denuncia nel febbraio 2014, in relazione ad uno solo dei detenuti, Ennaâma Asfari. Ma le violazioni della convenzione contro la tortura che abbiamo evidenziato nella denuncia sono state subite da tutto il gruppo. Dei ventiquattro arrestati nel 2010, solo uno non ha denunciato di essere stato torturato durante il processo. Ciò che non vuol dire che non sia stato anche lui torturato, ma solo che non ne ha parlato. Gli altri ventitré hanno dichiarato di essere stati torturati. Di fatto, era assai complicato documentare ventiquattro denunce. La nostra idea è stata allora di cominciare con un solo detenuto, ma la denuncia doveva servire per tutto il gruppo, essendo stati tutti arrestati in circostanze più o meno simili, anche se alcuni hanno subito delle violenze peggiori, degli stupri, ecc. Dopo due anni e mezzo di consultazioni col Marocco, alla fine la decisione è stata presa il 12 dicembre. Essa condanna il Marocco per tutte le violazioni denunciate, per tortura e maltrattamenti al momento dell’arresto e in prigione, perché non si sono avviate delle inchieste nonostante le numerose denunce di tortura presentate da Ennaâma Asfari a diverse istanze giudiziarie, per la condanna fondata sulle confessioni ottenute con la tortura, e per denegata giustizia. Non solo nessuna inchiesta è stata avviata, ma quando Ennaâma Asfari ha denunciato le torture subite, vi sono state misure di ritorsione. Adesso abbiamo questa decisione, con questo elenco di violazioni chiaramente enunciate dal Comitato contro la tortura, è la prima volta che ciò avviene nei confronti dei Saharawi. Spetta al Marocco adesso fornire risposte.
 
Perché questi detenuti saharawi chiedono di essere giudicati a Laâyoune, e non a Rabat?
 
Hélène Legeay – Il Sahara occidentale è considerato dalle Nazioni Unite come un territorio non autonomo. Questo territorio annesso nel 1975 è occupato dal Marocco, che lo amministra de facto. Come per i territori palestinesi non autonomi, occupati e colonizzati, al Sahara Occidentale deve applicarsi il diritto internazionale umanitario. Ciò che non avviene, per ragioni che attengono senza dubbio all’efficacia della propaganda marocchina e ai rapporti privilegiati che questo paese intrattiene con alcune grandi potenze, a cominciare dalla Francia, che pure non ne riconosce la sovranità sul Sahara Occidentale. L’applicazione del diritto internazionale umanitario assicurerebbe alle persone protette dei diritti supplementari, come quello, previsto dalla Quarta Convenzione di Ginevra, di essere giudicati e detenuti nel proprio territorio occupato. Rivendicando il diritto ad essere processati a Laâyoune, questi detenuti affermano che le violazioni subite dai Saharawi cesseranno solo quando cesserà la fonte di esse, che è l’occupazione del Sahara Occidentale.
 
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