Sindacati contro Corporations
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di Brendan Smith, Tim Costello and Jeremy Brecher
Le Corporations guadagnano terreno, ma i sindacati non mollano.
L’influente studioso cinese Liu Cheng in queste settimane si è recato a Washington per raccogliere il supporto dai leader sindacali americani e da alcuni deputati per una legge sul lavoro che trova particolari difficoltà ad essere approvata presso l’Assemblea Nazionale del Popolo. La sua visita è simbolo di una battaglia che trova da un lato Wal-Mart, Google, General Elecrtic e altre multinazionali che fanno pressioni per limitare i nuovi diritti del lavoro, mentre dall’altro ci sono le forze del lavoro cinesi supportate da organizzazioni americane e di altre parti del mondo. Liu Cheng è a Washington proprio per questa ragione, perché crede sia inutile condurre una battaglia del genere senza cercare supporto all’estero.
Lobby delle aziende sfruttatrici
Nel Marzo 2006 il Governo cinese annunciò, con larghissimo sostegno popolare, la proposta di una nuova legge sul lavoro che avrebbe incluso importanti vantaggi per i lavoratori. Ma la Camera di Commercio americana a Shanghai e l’United States–China Business Council minacciarono il governo che le multinazionali avrebbero lasciato il paese per il Pakistan e la Thailandia se fosse passata la nuova legge.
La minaccia produsse i suoi frutti, infatti nel Dicembre 2006 fu modificato il progetto di legge in senso più favorevole alle multinazionali (riguardo contratti, contrattazione collettiva ecc.)
La US-China Business Council annunciò che era un significativo passo avanti. Il responsabile per Microsoft in Cina, Scott Slipy dichiarò sul Financial Times che le multinazionali avevano tanti di quegli investimenti in Cina che nessuno poteva ignorarle. Nonostante la prima vittoria, la Business community decise di andare oltre dichiarando che se il testo fosse passato (con le modifiche) le Corporations sarebbero comunque state costrette a fare consistenti tagli di personale.
Oggi, sebbene le multinazionali si preparino a godere dei frutti delle loro pressioni, le forze del lavoro in Cina e altrove già si muovono per contrastare quest’offensiva. Le organizzazioni internazionali dei sindacati e le organizzazioni per i diritti umani sostengono la campagna internazionale per i lavoratori cinesi; deputati americani hanno denunciato le multinazionali e la complicità dell’amministrazione; l’organizzazione sindacale cinese All-China Federation of Trade Unions (ACFTU) si è schierata contro queste lobby.
Le diverse contro-pressioni hanno diviso il fronte euro-americano. La Camera di Commercio americana a Shanghai (AmCham) è stata invitata a riflettere sulle sue richieste anti-sindacali. La Nike ha ripudiato la posizione della AmCham sostendendo che l'azienda ha sempre appoggiato le riforme del Governo cinese per favorire i lavoratori. Anche la Camera di Commercio europea su pressione delle organizzazioni dei diritti umani ha ritirato le sue richieste.
L’opposizione delle Corporations americane a rafforzare i diritti dei lavoratori cinesi sta diventando una questione spinosa per il Congresso americano. L’8 Dicembre i deputati democartici Lynn Woolsey, Barbara Lee e George Miller e il repubblicano Barney Frank insieme ad altri 28 deputati hanno varato una legge che chiede al presidente di esprimere il proprio sostegno alla lotta dei lavoratori cinesi e di ripudiare il tenativo di alcune multinazionali USA di affossare la nuova legge sul lavoro.
Il tentativo delle Corporations di limitare i diritti del lavoro ha provocato un profondo risentimento nelle organizzazioni del lavoro. Inoltre la ACFTU ha dovuto lottare per non vedere emarginato il ruolo del sindacato. Molte organizzazioni sindacali si sono impegnate in questa battaglia non per trarre vantaggio da una riduzione del commercio cinese, ma per affrontare finalmente questa lobby mondiale del lavoro precario che una federazione sindacale ha chimato “lobby dello sfruttamento globale”
Lavoratori, comunità e stati sono coinvolti in una riflessione sulle sfide che lancia la Cina come nuova potenza economica. La Cina fornisce il 25% della forza lavoro mondiale, la Cina è fonte di insicurezza per tutti quei lavoratori del mondo industrializzato che vivono nel precariato.
Diverse persone operanti nel Congresso americano e nel movimento del lavoro hanno riconosciuto che la semplice critica allo Stato non serve. Il 60% delle esportazioni cinesi è garantita da multinazionali straniere. Il pericolo non è la Cina, ma la Wal-Mart o la GE che seguono il basso costo del lavoro ovunque esso sia.
Le organizzazioni sindacali di tutto il mondo sono impegnate in questa battaglia non solo per difendere il principio universali dei diritti sul lavoro, ma anche perché la riforma del lavoro cinese è importante per i lavoratori di tutto il mondo. I salari e le condizioni di lavoro dei cinesi abbassano gli standard ovunque.
Colpire la Cina non deve essere l’obiettivo di nessuno, piuttosto bisognerebbe invertire il ruolo delle Corporations americane e della loro “lobby dello sfruttamento globale”.
source:Truthout (USA)