Asia Times, 3 settembre 2021 (trad.ossin)
 
Perché i Talebani non riescono ancora a formare un governo
Pepe Escobar
 
Emergono divisioni interne tra i Talebani, mentre non si trova un accordo per la formazione del nuovo emirato islamico dell'Afghanistan
 
Spettatori con bandiere talebane assistono ad una partita di cricket tra due squadre afgane: "Peace Defenders" e "Peace Heroes", al Kabul International Cricket Stadium di Kabul il 3 settembre 2021. (Foto di Aamir QUERESHI / Getty Images)
 
Sembrava che tutto fosse pronto perché i Talebani potessero annunciare la nascita del nuovo governo dell'Emirato islamico dell'Afghanistan, dopo le preghiere pomeridiane di questo venerdì. Ma i dissensi interni non l’hanno consentito.
 
Situazione aggravata dall’immagine negativa prodotta da una "resistenza" eterogenea nella valle del Panjshir, che non è stata ancora messa sotto controllo. La “resistenza” è di fatto guidata da una risorsa della CIA, l'ex vicepresidente Amrullah Saleh.
 
I Talebani sostengono di avere occupato diversi distretti e almeno quattro posti di blocco nel Panjshir, e di controllare attualmente il 20% del suo territorio. Tuttavia, la “resistenza” continua.
 
Il capo supremo Haibatullah Akhundzada, uno studioso religioso di Kandahar, dovrebbe essere il nuovo leader dell'Emirato islamico, quando sarà finalmente formato. Probabilmente il mullah Baradar sarà il presidente, appena sotto di lui, opererà coadiuvato da consiglio direttivo composto di 12 membri, chiamato "shura".
 
Se così fosse, vi sarebbero alcune somiglianze tra il ruolo istituzionale di Akhundzada e quello dell'ayatollah Khamenei in Iran, anche se le strutture teocratiche, sunnita e sciita, sono completamente diverse.
 
Il mullah Haibatullah Akhundzada posa per una fotografia in una località sconosciuta nel 2016. Foto AFP
 
Il mullah Baradar, co-fondatore dei talebani con il mullah Omar nel 1994 e imprigionato a Guantanamo, poi in Pakistan, è stato il capo dei diplomatici talebani che hanno operato nell’ufficio politico di Doha.
 
È stato anche un interlocutore chiave nei lunghi negoziati con l'ormai estinto governo di Kabul e la troika allargata di Russia, Cina, Stati Uniti e Pakistan.
 
Definire tesi i negoziati per formare un nuovo governo afghano sarebbe un eufemismo. Sono stati praticamente diretti dall'ex presidente Hamid Karzai e dall'ex capo del Consiglio di riconciliazione Abdullah Abdullah: un pashtun e un tagiko che hanno una vasta esperienza internazionale.
 
Sia Karzai che Abdullah sono entrati a far parte della shura di 12 membri.
 
Tuttavia, mentre i negoziati sembravano procedere, si è creato uno scontro frontale tra l'ufficio politico dei Talebani a Doha e la rete Haqqani, per quanto riguarda la distribuzione dei posti chiave nel governo.
 
Aggiungeteci il ruolo del Mullah Yakoob, figlio del Mullah Omar, e capo della potente commissione militare talebana che sovrintende a una vasta rete di comandanti sul campo, dai quali egli è rispettato moltissimo.
 
Recentemente Yakoob ha lasciato intendere che chi “vive nel lusso a Doha” non può dettare condizioni a chi è impegnato nei combattimenti sul campo. Come se non bastasse a creare divisioni, Yakoob ha anche seri problemi con gli Haqqani – che hanno attualmente la responsabilità di un posto chiave: la sicurezza di Kabul, affidata al finora ultra-diplomatico Khalil Haqqani.
 
Mullah Yakoob in una foto d'archivio. Foto: AFP
 
Oltre al fatto che i Talebani costituiscono un complesso insieme di signori della guerra tribali e regionali, i contrasti delineano un abisso tra quelle che potrebbero essere, grosso modo, considerate fazioni più sensibili al nazionalismo afghano, e quelle più legate al Pakistan.
 
Tra queste ultime, vi sono soprattutto gli Haqqani, molto vicini all'Inter-Services Intelligence (ISI) del Pakistan.
 
È, a dir poco, una fatica di Sisifo creare legittimità politica, anche in un Afghanistan destinato ad essere governato da afgani che hanno liberato la nazione da un'occupazione straniera.
 
Dal 2002, sia con Karzai che poi con Ashraf Ghani, il regime al potere è stato considerato dalla maggior parte degli Afgani come un'imposizione da parte degli occupanti stranieri convalidata da elezioni dubbie.
 
In Afghanistan, tutto gira intorno a tribù, parenti e clan. I Pashtun sono una vasta tribù con una miriade di sottotribù che condividono il pashtunwali, un codice di condotta che contempera rispetto di sé, indipendenza, giustizia, ospitalità, amore, perdono, vendetta e tolleranza.
 
Saranno di nuovo al potere, come durante i Taliban 1.0 dal 1996 al 2001. I Tagiki, per contro, parlano la lingua dari, non sono tribali e costituiscono la maggioranza dei residenti urbani di Kabul, Herat e Mazar-i-Sharif.
 
Supponendo che riuscirà a risolvere pacificamente i suoi litigi interni pashtun, un governo guidato dai Talebani dovrà necessariamente conquistare i cuori e le menti tagike tra i commercianti, i burocrati e il clero istruito della nazione.
 
Il Dari, derivato dal persiano, è stata a lungo la lingua dell'amministrazione governativa, dell'alta cultura e delle relazioni estere in Afghanistan. Ora sarà tutto tradotto in Pashto. Questo è lo scisma che il nuovo governo dovrà superare.
 
Combattenti talebani in servizio di guardia lungo la strada a Kabul il 16 agosto 2021, dopo una fine sorprendentemente rapida della guerra ventennale in Afghanistan. Foto: AFP
 
Ci sono già sorprese all'orizzonte. L'ambasciatore russo a Kabul, Dmitry Zhirnov, con ottime relazioni, ha rivelato che sta discutendo dello stallo del Panjshir con i Talebani.
 
Zhirnov ha osservato che i Talebani consideravano "eccessive" alcune delle richieste del Panjshiri, che pretendono troppi seggi nel governo e l'autonomia per alcune province non pashtun, incluso il Panjshir.
 
Non è inverosimile immaginare che l’affidabilissimo Zhirnov potrebbe diventare un mediatore non solo tra pashtun e panjshiri, ma anche tra fazioni pashtun opposte.
 
La deliziosa ironia della storia non sfuggirà a chi abbia memoria del jihad degli anni '80, dei mujaheddin uniti contro l'URSS.

 

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