ProfileAnalisi, ottobre 2017 - Il concetto di "teoria del complotto" è un'arma ideologica da guerra contro le ricostruzioni storiche e cronachistiche che non godono di un imprimatur ufficiale. Il concetto venne elaborato dalla CIA, e da allora si è imposto nei media internazionali...

 

Unz Review, 5 settembre 2017 (trad. ossin)
 
E’ stata la CIA a inventare il concetto di teoria del complotto (e questa non è una teoria del complotto)
Ron Unz
 
Un paio di anni fa ho visto il film di fantascienza « Interstellar », che non è niente di eccezionale, ma ha una prima scena quanto meno divertente. Per varie ragioni, un governo statunitense del futuro aveva stabilito che l’allunaggio della fine degli anni 1960 era stato montato di sana pianta, una manipolazione che serviva a vincere la Guerra Fredda. Questa inversione della realtà storica aveva finito per essere accettata come una verità da quasi tutti, e i pochi che ancora erano convinti che Neil Armstrong avesse veramente messo i piedi sulla Luna venivano ridicolizzati da tutti come dei «teorici del complotto un po’ matti». Questa mi è sembrata una rappresentazione realista della natura umana
 
 
Pare evidente che gran parte di quanto viene detto dai nostri capi di governo, o scritto sulle pagine dei nostri giornali più rispettabili – dagli attentati dell’11 settembre al caso locale più insignificante di piccola corruzione urbana – potrebbe essere tranquillamente collocata nella categoria « teoria del complotto », ma è difficile che in casi del genere si scomodi questo concetto. Vi si ricorre solo per quelle teorie, non importa se plausibili o fantasiose, che non hanno il timbro di approvazione dell’ establishment.
 
In altri termini, esistono delle « teorie del complotto » buone e delle « teorie del complotto » cattive, le prime sono appunto quelle divulgate dagli esperti delle trasmissioni televisive tradizionali, e non vengono mai definite come tali. Mi capita talvolta di scherzare sulla possibilità che la proprietà e il controllo delle nostre stazioni televisive e di altri grandi media cambi improvvisamente, in questo caso il nuovo regime di informazione avrebbe bisogno solo di poche settimane perché l’ingenuo pubblico statunitense cambi completamente le sue idee su tutte le nostre « teorie del complotto » più famose. Il racconto dei diciannove Arabi armati di taglierini che avrebbero dirottato diversi aerei di linea, evitato facilmente le difese aeree del NORAD, e ridotto vari edifici celebri in polvere, sarebbe in breve tempo universalmente ridicolizzato come una « teoria del complotto » tra le più assurde, tratta di sana pianta da qualche fumetto e capace di convincere solo degli spiriti malati, battendo il record dell’assurda teoria del « lupo solitario » nell’assassinio di  JFK.
 
Anche senza che simili rivolgimenti si siano mai verificati nel controllo dei media,  abbiamo ugualmente già assistito a radicali cambiamenti nelle credenze pubbliche statunitensi, anche solo per effetto di implicite associazioni. Subito dopo gli attentati del 2001, tutti i media USA sono stati arruolati nell’opera di denuncia e denigrazione di Osama bin Laden, il presunto cervello dell’islamismo, quale nostro peggior nemico nazionale, col suo volto barbuto continuamente in evidenza nelle televisioni e nei giornali, e diventato perciò rapidamente uno dei più noti al mondo. Ma quando l’amministrazione Bush e i suoi principali alleati mediatici hanno avviato i preparativi della guerra contro l’Iraq, le immagini delle torri in fumo hanno cominciato ad essere associate alle foto del dittatore coi baffi, Saddam Hussein, che era peraltro un nemico di Osama bin Laden. La conseguenza è stata che, al momento dell’attacco nel 2003, i sondaggi rivelavano che il 70% dei cittadini degli Stati Uniti credeva oramai che Saddam fosse direttamente responsabile della distruzione del nostro World Trade Center. In quei momenti, sono certo che parecchi milioni di Statunitensi, patrioti ma non troppo informati, avrebbero denunciato e insultato con rabbia, definendolo un « teorico del complotto un po’ folle », chiunque avesse avuto la temerarietà di affermare che Saddam non era coinvolto nell’11 settembre, per quanto nessun dirigente abbia mai osato esplicitamente avanzare una tesi così falsa.
 
Questi esempi di manipolazione mediatica mi hanno molto fatto riflettere quando, un paio di anni fa, mi sono imbattuto in un breve ma affascinante libro, pubblicato dalla casa editrice dell’Università del Texas, «Conspiracy Theory in America» e scritto dal prof. Lance deHaven-Smith, ex presidente della Florida Political Science Association.
 
Partendo da una importante rivelazione dovuta alla FOIA [Freedom of Information Act, Legge per la libertà di informazione, NdT], il libro spiegava che, molto probabilmente, è da attribuirsi alla CIA la responsabilità della creazione del concetto di « teoria del complotto », utilizzato come strumento di manipolazione politica e mezzo attraverso il quale influenzare l’opinione pubblica.
 
Negli anni 1960, il pubblico statunitense aveva reagito con scetticismo crescente ai risultati della Commissione Warren, che pretendeva che un solitario uomo armato, Lee Harvey Oswald, fosse l’unico responsabile dell’assassinio del presidente Kennedy, mentre era diffuso il sospetto di un coinvolgimento anche di personalità di alto livello. Per tentare di ridurre il danno, la CIA distribuì un memo segreto a tutti i suoi uffici periferici, chiedendo di mettere in campo i media da essa controllati per ridicolizzare e attaccare questi critici, facendoli passare per seguaci irrazionali della «teoria del complotto». Subito dopo, nei media è cominciato ad apparire questo tipo di argomentazione, con termini, motivazioni e modelli di utilizzazione esattamente conformi alle linee guida fornite dalla CIA. Ne è derivato un enorme picco nell’uso peggiorativo dell’espressione, che si è rapidamente diffusa in tutti i media statunitensi, e il cui impatto dura ancora oggi. Vi sono quindi prove considerevoli a sostegno di quest’altra specifica « teoria del complotto », che spiega le ragioni dei tanti attacchi contro le « teorie del complotto » da parte dei media.
 
Ma, per quanto sembri che la CIA abbia effettivamente manipolato l'opinione pubblica per trasformare l'espressione « teoria del compolotto » in una potente arma da guerra ideologica, l'autore racconta anche come il necessario retroterra filosofico fosse stato preparato qualche decennio prima. All'epoca della Seconda Guerra Mondiale, quando importanti cambiamenti nella teoria politica determinarono un'enorme caduta di rispettabilità di ogni spiegazione « complottista » degli avvenimenti storici.
 
Nei decenni che hanno preceduto questo conflitto, uno dei nostri maestri e intelletuali più importanti fu lo storico Charles Beard, i cui scritti più noti mettevano fortemente l'accento sul ruolo nefasto delle varie cospirazioni attraverso le quali l'élite ha influenzato la politica statunitense, a profitto di qualcuno e a spese dei più, con degli esempi che, partendo dalla più antica storia degli Stati Uniti giungono fino alla partecipazione alla Prima Guerrra Mondiale. Evidentemente i ricercatori non hanno mai sostenuto che tutti i più importanti avvenimenti storici avessero delle cause nascoste, ma ammettevano che per qualcuno di essi fosse così, e cercare di indagare su questa possibilità veniva considerato un impegno accademico perfettamente onorevole.
 
Ma Beard fu anche fortemente contrario all'impegno degli USA nella Seconda Guerra Mondiale e finì che venne emarginato, fino alla sua morte avvenuta nel 1948. Molti altri giovani intellettuali che la pensavano come lui hanno subito una sorte analoga, sono stati discriminati e si sono visti rifiutare ogni accesso ai media tradizionali. Contemporaneamente si affermavano negli ambienti intellettuali statunitensi le prospettive del tutto opposte di due filosofi politici europei, Karl Popper e Leo Strauss, e le loro idee sono diventate dominanti nella vita pubblica.
 
Popper, il più influente, ha presentato obiezioni ampie e molto teoriche alla stessa possibilità che cospirazioni di alto livello possano verificarsi, affermando che sarebbe difficile metterle in opera, tenuto conto della fallibilità degli agenti umani ; quel che può sembrare un complotto, è in realtà da attribuirsi all'opera di attori individuali che perseguono obiettivi personali. Più importante ancora, Popper considerava le « credenze complottiste » una malattia sociale estremamente pericolosa, un fattore imprescindibile nell'affermazione del nazismo e di altre ideologie totalitarie mortali. La sua storia personale, di origine ebraica e fuggito dall'Austria nel 1937, ha contribuito certamente a dare forza al suo modo di pensare in merito a queste questioni filosofiche.
 
Nel frattempo Strauss, uno dei fondatori del pensiero neo-conservatore moderno, era altrettanto severo nei suoi attacchi contro le analisi complottiste, ma per ragioni opposte. Nel suo modo di vedere le cose, le cospirazioni delle élite sono assolutamente necessarie e vantaggiose, una difesa sociale fondamentale contro l'anarchia o il totalitarismo, ma la loro efficacia dipende evidentemente dalla possibilità di tenerle nascoste agli occhi indiscreti delle masse ignoranti. Il suo problema, con le « teorie del complotto », non era che fossero necessariamente false,  ma piuttosto che potevano essere veritiere e, di conseguenza, la loro diffusione potenzialmente disturbava il buon funzionamento della società. Dunque, per autodifesa, le élite hanno bisogno di sopprimere attivamente o, almeno, ostacolare le ricerche non autorizzate sulle presunte cospirazioni.
 
Anche per gli Statunitensi istruiti, teorici come Beard, Popper e Strauss non sono altro probabilmente che dei nomi vistosi menzionati nei libri di testo, ed era davvero così nel mio caso. Popper è probabilmente uno dei fondatori del pensiero liberale moderno, con un individuo tanto influente politicamente come il finanziere liberale di sinistra George Soros che pretende di esserne il discepolo. I pensatori neo-conservatori, che hanno totalmente dominato il Partito repubblicano e il movimento conservatore nel corso degli utlimi decenni, spesso fanno riferimento a Strauss.
 
Così, grazie alla combinazione del pensiero di Popper e di Strauss, la tendenza statunitense tradizionale a considerare le cospirazioni delle élite come un fatto reale ma nefasto della nostra società è stata progressivamente stigmatizzata come paranoica o politicamente pericolosa, dando base alla sua esclusione dal discorso rispettabile.
 
Nel 1964, questa rivoluzione intellettuale era in gran parte compiuta, come testimonia la reazione estremamente positiva al celebre articolo del politologo Richard Hofstadter che criticava il sedicente « stile paranoico » della politica USA, considerato come la causa principale della grande credulità popolare e delle teorie del complotto non plausibili. In larga misura, Hofstadter muoveva la sua critica a semplici prestanome della politica, raccontava e metteva in ridicolo la credulità rispetto ai complotti più assurdi, ignorando del tutto quelli che si erano dimostrati come veri. Per esempio, raccontava che alcuni tra gli anti-comunisti più isterici credevano che decine di migliaia di soldati comunisti cinesi stessero nascosti in Messico, preparando un attacco contro San Diego, ma trascurava del tutto di dire che, per anni, alcune spie comuniste avevano effettivamente ricoperto cariche di alto livello nel governo USA. Anche le persone più sensibili alla teoria del complotto non pretendono che tutti i presunti complotti siano veri, affermano solo che alcuni possono esserlo.
 
La gran parte dei mutamenti nel modo di pensare pubblico è avvenuta prima che io nascessi o quando ero un bambino piccolissimo, e le mie idee sono state forgiate dalla narrativa mediatica piuttosto convenzionale che ho assorbito. Di conseguenza, per quasi tutta la mia vita, ho automaticamente respinto ogni « teoria del complotto» considerandola ridicola, e non immaginavo neppure che alcune potessero essere vere.
 
Quando capitava che ci pensassi, il mio ragionamento era semplice e fondato su quello che mi sembrava un solido buon senso. Qualsiasi complotto che riguardi un avvenimento pubblico importante deve certamente contare su molte « parti in movimento » separate, siano essi attori o azioni intraprese, diciamo almeno100 o più. Ora, considerando la natura imperfetta di ogni tentativo di dissimulazione, sarebbe certamente impossibile tenerle tutte nascoste. Quindi, anche se un complotto ottenesse inizialmente il 95% di successo nel rimanere segreto, cinque importanti indizi rimarrebbero comunque in vista per chi li volesse cercare. E quando frotte di giornalisti riuscissero a individuarli, emergerebbero certamente prove flagranti di complotto agli occhi di un investigatore motivato, con la possibilità di risalire la pista fino alla sua origine, scoprendo mano mano sempre più elementi, fino a far crollare l'intero castello. E anche se non si riuscisse a disvelare tutti i fatti cruciali, sarebbe comunque chiaro che vi è stato un complotto.
 
Tuttavia, nel mio ragionamento c'era un'ipotesi tacita che, successivamente, ho capito essere del tutto falsa. Naturalmente molte cospirazioni vedono coinvolti potenti funzionari governativi o situazioni nelle quali la loro divulgazione sarebbe fonte di notevole imbarazzo per queste persone. Ma io avevo sempre supposto che, anche se il governo non avesse svolto il suo ruolo di inquisitore, i cani da presa del Quarto Potere sarebbero stati senza tregua impegnati nella ricerca della verità, della gloria e del premio Pulitzer. Poi, quando ho progressivamente cominciato a capire che i media non erano altro se non la « nostra Pravda statunitense », e questo forse da decenni, ho improvvisamente scoperto l'errore del mio ragionamento. Se quei cinque o dieci o venti o cinquanta indizi iniziali venissero semplicemente ignorati dai media, per pigrizia, incompetenza o per peccati molto meno veniali, non ci sarebbe  assolutamente modo di impedire che qualche complotto possa avere successo e passi inosservato, anche il più raffazzonato e sballato.
 
Considero questo ragionamento un principio di carattere generale. Il sostanziale controllo dei media è quasi sempre il prerequisito assoluto di ogni complotto di successo. Maggiore è la capacità di controllo dei media, più i complotti possono essere scoperti. Dunque, per valutare la plausibilità di una ipotesi di cospirazione, la prima cosa da esaminare è : chi controlla i media locali e fino a quale punto.
 
Facciamo un piccolo esperimento mentale. Per varie ragioni, in questi giorni, l'insieme dei media statunitensi è straordinariamente ostile alla Russia, certamente molto di più di quanto non lo sia stato nei confronti dell'Unione Sovietica comunista negli anni 1970 e 1980. Mi parrebbe quindi che la probabilità di una cospirazione russa di ampia portata, che si sviluppasse nella zona operativa di questi organi mediatici, sia praticamente nulla. Infatti siamo costantemente bombardati da storie di presunte cospirazioni russe, che sembrano essere dei « falsi positivi », accuse forti fondate però su fragili basi fattuali, e anche totalmente ridicole. Nel frattempo però si potrebbe apertamente sviluppare il peggiore dei complotti antirussi, senza suscitare alcun commento o inchiesta mediatica importante.
 
Questo argomento può essere più che puramente teorico. Una svolta cruciale nella nuova Guerra Fredda statunitense contro la Russia è stata il varo della legge Magnitsky, nel 2012, da parte del Congresso, mirata specificamente contro diversi funzionari russi, presunti corrotti, per il loro ipotetico coinvolgimento nella persecuzione illegale e nel decesso di un dipendente di Bill Browder, un gestore di fondi che aveva fatto grandi investimenti in Russia. Vi sono però molte prove che dimostrerebbero che era lo stesso Browder il vero cervello e il beneficiario di questo gigantesco piano corruttivo, mentre il suo impiegato si preparava a testimoniare contro di lui e, per questo, temeva per la sua vita. Naturalmente i media statunitensi non hanno per niente menzionato queste importanti rivelazioni relative a quella che potrebbe essere considerata una gigantesca bufala Magnitsky, di portata geopolitica.
 
In una qualche misura, la creazione di Internet e la grande proliferazione di media alternativi, compreso il mio stesso piccolo sito, hanno un po' modificato questa situazione deprimente. Non deve quindi sorprendere che una parte molto importante della discussione che riempie questi siti concerna proprio quegli argomenti che vengono regolarmente bollati come  « teorie del complotto un po' folli » dai nostri media più importanti. Queste analisi non filtrate sono senz'altro una fonte di irritazione e di grande preoccupazione per quei funzionari governativi che sono abituati a contare, da tempo immemorabile, sulla complicità dei media perché i loro gravi misfatti passino inosservati e restino impuniti. Infatti, diversi anni fa un funzionario dell'amministrazione Obama ha sostenuto che la discussione gratuita di varie « teorie del complotto » in internet era talmente pericolosa che bisognerebbe reclutare degli agenti governativi per « infiltrarsi cognitivamente » e disturbarla, una versione high-tech delle operazioni altamente controverse di Cointelpro, intraprese dallo FBI di J. Edgar Hoover.
 
Fino a pochi anni fa, non avevo mai sentito parlare di Charles Beard, un tempo considerato una delle figure importanti della vita intellettuale degli Stati Uniti del  XX° secolo. Ma, più scopro quanti gravi crimini e disastri sono totalmente sfuggiti al controllo critico dei media, più mi domando quante altre storie siano ancora sconosciute. Dunque, forse Beard aveva ragione quando considerava rispettabili le «teorie del complotto», e noi dovremmo tornare al suo modo di pensare, tanto radicato nella tradizione degli Stati Uniti, nonostante le infinite campagne complottiste di propaganda della CIA e di altri soggetti, per convincerci a respingere simili nozioni e a non prenderle sul serio.
 
 
 
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