UNZ Review, 24 luglio 2017 (trad. ossin)
 
A settembre la crisi dell’Impero ?
James Petras
 
Uno dei più importanti risultati della presidenza di Trump sono le rivelazioni che riescono a descrivere le forze complesse e concorrenti (e le relazioni tra di esse) che mantengono e ampliano il potere globale statunitense («l’Impero»)
 
Manifestanti chiedono la messa in stato d'accusa di Donald Trump (il traditore)
 
I classici riferimenti a «l’Impero», da soli, non chiariscono le relazioni e i conflitti tra le istituzioni impegnate a espandere i vari settori del potere politico statunitense. In questo saggio descriveremo le attuali divisioni del potere, gli interessi e gli obiettivi di queste configurazioni di influenza concorrenti.
 
 
La creazione di un Impero: equilibrio di forze
 
«L’Impero» è un concetto altamente fuorviante, nella misura in cui lascia intendere che si parli di un insieme omogeneo e coerente di istituzioni che perseguono i medesimi interessi. «L’Impero» è una semplicistica espressione di portata generale che assembla un vasto campo nel quale si contrappongono istituzioni, personalità, centri di potere; alcuni tra loro alleati, altri in opposizione crescente.
 
Mentre «Impero» sintetizza la nozione generale, che vede tutti questi centri di potere perseguire un obiettivo generale comune (quello di dominare e sfruttare alcuni paesi, regioni, mercati, risorse fisiche e umane), le sue dinamiche (la tempistica e la messa a fuoco dell’azione) sono determinate da forze che si compensano le une con le altre.
 
Nell’attuale congiuntura, queste forze non riescono più a mantenersi in equilibrio: una configurazione tenta di impossessarsi del potere e rovesciare un’altra. Fino ad oggi, la configurazione usurpatrice è ricorsa solo ad attacchi di natura giudiziaria, mediatica e procedurali-legislative, per modificare la dinamica politica. Tuttavia, sotto la superficie, l’obiettivo è quello di rovesciare un nemico in carica e imporre una forza concorrente.
 
Chi guida «l’Impero» ?
 
Negli ultimi tempi, sono gli alti funzionari a guidare gli imperi. Possono essere primi ministri, presidenti, autocrati, dittatori, generali, o una combinazione di tali figure. I governanti imperiali in gran parte «legiferano ed eseguono» politiche strategiche e tattiche. Nel corso di una crisi, i responsabili esecutivi possono essere messi sotto accusa dai legislatori o da giudici dell’opposizione (un colpo di Stato dolce). Normalmente l’esecutivo centralizza e concentra il potere, anche se può consultare, eludere o anche ingannare legali o funzionari legali. Mai e in alcun modo, gli elettori giocano un ruolo importante.
 
Il potere esecutivo viene esercitato attraverso Ministeri o Segretariati specializzati – Tesoro, Affari esteri (Segretario di Stato), Interno e i vari servizi di sicurezza. Nella maggior parte dei casi, vi è una competizione più o meno forte tra queste agenzie, per il bilancio, la politica e l’accesso agli incarichi di direzione e a quelli di decisione.
 
In periodo di crisi, quando il potere esecutivo viene messo sotto accusa, questa gerarchia verticale si sgretola. Si pone quindi la questione di chi comanda e detta la politica imperiale.
 
Con l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, la dominazione imperiale è diventata un terreno apertamente contestato, terreno di lotta tra inconciliabili aspiranti al potere che cercano di rovesciare il regime democraticamente eletto.
 
Mentre di solito è il presidente che governa, oggi l’intera struttura statale è divisa tra centri di potere concorrenti. In questo momento tutti gli aspiranti al potere sono in guerra gli uni contro gli altri per assumere il controllo dell’Impero.
 
In primo luogo, lo strategico centro di potere che si occupa della sicurezza non è posto più sotto il controllo presidenziale: lavora in coordinamento coi centri di potere del Congresso, dei media e di centri di potere extra-governativi come gli oligarchi (imprese, uomini d’affari, fabbricanti d’armi, sionisti e lobby).
 
Gruppi di funzionari indagano l’esecutivo, passando allegramente ai media notizie riservate, falsificando, distorcendo o fabbricando di sana pianta incidenti. Perseguono, in modo del tutto evidente, l’obiettivo di un cambiamento di regime.
 
Lo FBI, gli apparati di sicurezza interni, la CIA ed altre configurazioni di potere agiscono come alleati cruciali di coloro che perseguono questo colpo di Stato e tentano di impedire al presidente di controllare l’Impero. Senza dubbio molte fazioni di livello regionale stanno a guardare in nervosa attesa, attenti a capire se il presidente sarà battuto da questi centri di potere in opposizione o se sopravvivrà e epurerà le amministrazioni attuali.
 
Nel Pentagono vi sono elementi favorevoli al presidente ed altri ostili: alcuni generali attivi sono allineati con le tendenze principali che spingono per un cambiamento di regime, mentre altri vi si oppongono. Queste due forze in lotta tra di loro influenzano e dettano le politiche militari imperiali.
 
I fautori più in vista e più aggressivi del cambiamento di regime si trovano nell’ala militarista del Partito democratico. Operano nel Congresso e sono alleati coi settori militari della polizia di stato, a Washington e altrove.
 
Sul piano istituzionale, i cospiratori del colpo di Stato hanno avviato una serie di «inchieste» per generare una propaganda mediatica e preparare l’opinione pubblica a vedere con favore o, almeno, ad accettare un «cambiamento di regime» straordinario.
 
La coalizione composta dalla parte democratica del Congresso e i media utilizza delle rivelazioni, compresi pettegolezzi di scarsa incidenza sulla sicurezza del paese fatti trapelare dall’agenzia per la sicurezza nazionale, ma che si dimostrano assai utili per rovesciare il regime attuale.
 
L’autorità imperiale presidenziale si è divisa in frammenti di influenza, ripartiti tra l’apparato legislativo, il Pentagono e gli organi di sicurezza.
 
Il potere presidenziale dipende dal Governo e dai suoi apparati, in una lotta sfrenata per il potere imperiale polarizzando tutto il sistema politico.
 
Il presidente contro-attacca
 
Il regime Trump ha molti nemici strategici e pochi partigiani potenti. I suoi consiglieri vengono spesso attaccati: alcuni sono stati estromessi, altri sono sottoposti ad inchieste e vengono convocati per audizioni isteriche di tipo maccartiste; altri infine sono fedeli ma incompetenti e scoraggiati. I suoi hanno tentato di rispettare l’ordine del giorno dettato dal presidente, tra cui l’abrogazione della disastrosa «Affordable Care Act» (Legge sull’assistenza sanitaria) di Obama e l’allentamento dei sistemi di regolamentazione federali, ma senza grande successo, anche se questo programma viene sostenuto dai banchieri di Wall Street e da Big Pharma.
 
Le pretese napoleoniche del presidente sono state sistematicamente messe in crisi dalle critiche livorose dei media e dalla mancanza di un forte sostegno popolare, dopo le elezioni.
 
Il presidente non dispone di una base di sostegno mediatico e deve ricorrere a internet e ai messaggi personali per rivolgersi al pubblico, tweet  che vengono immediatamente attaccati dai media.
 
I principali sostenitori del presidente dovrebbero trovarsi nel Partito repubblicano, che dispone della maggioranza al Congresso e al Senato. Essi però non operano come un blocco uniforme, perché ci sono degli ultra-militaristi che si alleano coi democratici per tentare di rovesciarlo. Da un punto di vista strategico, tutti gli indizi dimostrano l’indebolimento dell’autorità presidenziale, anche se la sua tenacia da bulldog gli consente di conservare il controllo formale della politica estera. Ma le sue dichiarazioni di politica estera vengono filtrate dai media unanimemente ostili, che sono riusciti a definire gli alleati e gli avversari, anche attraverso i fallimenti di alcune sue decisioni.
 
La prova di forza di settembre
 
Il grande test del potere sarà incentrato sull’aumento del massimale del debito pubblico e la prosecuzione del finanziamento dell’insieme del governo federale. Senza un accordo, tutta l’attività del governo si fermerà – una specie di «sciopero generale» che paralizzerà i principali programmi di politica interna ed estera – compreso il finanziamento dell’assicurazione-malattia, l’erogazione delle pensioni della sicurezza sociale e i salari di milioni di funzionari e militari.
 
Le forze che lavorano per un cambiamento di regime (i putschisti) sono determinati a fare il massimo per assicurare una capitolazione programmata del regime Trump o la sua destituzione.
 
L’élite presidenziale può decidere di governare per decreto – a causa della crisi economica che ne seguirà. Può cercare di trarre vantaggio dalla crisi di Wall Street e invocare una minaccia imminente alla sicurezza nazionale alle frontiere e nelle basi all’estero per dichiarare un’emergenza militare. Senza l’appoggio però dei servizi di informazione, il successo di un simile scenario è dubbio.
 
I due partiti si accuseranno reciprocamente di questa situazione catastrofica. Le temporanee misure di emergenza del Tesoro non salveranno la situazione. I mass media entreranno in una modalità isterica, passando dalla critica politica alla aperta richiesta di un cambiamento di regime. Il regime presidenziale potrebbe assumere delle misure dittatoriali per «salvare il paese».
 
I moderati del Congresso chiederanno una soluzione temporanea: tipo, un flusso di spese federali autorizzate settimanalmente.
 
In ogni caso, i putschisti e i «bonapartisti» bloccheranno ogni «sporco compromesso».
 
L’esercito sarà mobilitato, insieme a tutto l’apparato giudiziario e della sicurezza, per tentare di tenere la situazione sotto controllo.
 
I vari spezzoni di società civile faranno appello alle configurazioni di potere emergenti per difendere i propri specifici interessi. Gli impiegati pubblici e privati manifesteranno con i pensionati e gli insegnanti che si troveranno senza stipendio. I lobbisti, da quelli del petrolio e del gas fino ai difensori di Israele, richiederanno ciascuno un’attenzione prioritaria.
 
I centri di potere gonfieranno I muscoli, e gli organi legislativo, giudiziario ed esecutivo tremeranno sulle loro fondamenta.
 
Come risvolto positivo, il caos interno e le divisioni istituzionali ridurranno la minaccia crescente di guerre all’estero, per un momento. Il mondo tirerà un sospiro di sollievo. Non così il mondo dei mercati finanziari: il dollaro e gli speculatori se la vedranno brutta. 
 
Il conflitto e le indecisioni su chi guida l’Impero consentiranno ai poteri regionali di avanzare rivendicazioni sulle regioni contestate. L’UE, il Giappone, l’Arabia Saudita e Israele vorranno affrontare la Russia, l’Iran e la Cina. Nessuno aspetterà che gli Stati Uniti decidano quale centro di potere deve decidere.
 
 
 
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