Entrefilets, 8 luglio 2016 (trad. ossin)
 
Il crollo USA in modalità turbo
Entrefilets
 
Noi abbiamo sempre pensato che l’implosione degli USA segnerebbe l’inizio della fine del Sistema neoliberale atlantista. Al momento, sono solo i pixel della narrativa hollywoodiana a permettere di nascondere la realtà di un Impero in pieno naufragio. E il processo si va accelerando ad una velocità eccezionale. Di fronte alla prospettiva di una probabile vittoria di Trump contro una Clinton politicamente già morta, la mafia di Washington va in panico e tenta adesso di lanciare controffensive dovunque le sia possibile, all’interno cercando di provocare una guerra civile razziale nel paese e, all’esterno, accelerando il meccanismo di scontro diretto con la Russia (1). Con risultati talmente incerti, da spingere alcuni Stati, come il Texas e la California, a preparare già una versione locale di «brexit», per sottarsi all’incendio che minaccia di travolgere tutto in questo paese pezzottato (2). 
 
La polizia di Dallas
 
Da Kiev a Dallas
La mafia che governa lo Stato profondo USA sembra avere definitivamente risolto la questione delle presidenziali USA. Hillary, è finita. Anche se, per il momento, le è riuscito di scampare all’incriminazione nella vicenda detta dell’emailgate, Clinton è soltanto oramai un cadavere politico che si autopratica la respirazione artificiale e nessuno più sembra voler scommettere su di lei. Niente riuscirà a salvarla e, per quanto riuscisse ad essere eletta con una riedizione degli imbrogli che portarono per due volte Doobleyou alla presidenza, non sarà comunque in grado di governare. Troppe sconfitte, troppi cadaveri negli armadi. E’ perfino oramai sospettata di avere approfittato del suo passaggio alla Casa Bianca per ricavare somme esorbitanti per la sua fondazione in cambio di contratti di armamenti (3).
 
E’ alla luce di questa situazione che, secondo noi, bisogna guardare agli avvenimenti di Dallas, dove il progetto di guerra civile razziale avviato nel 2014 (4) a Fergusson ha subito un vero colpo di acceleratore. Immagini di RT mostrano uno dei cecchini in azione, ed è assolutamente evidente che si tratta di un professionista particolarmente agguerrito, tipo ex marine “squilibrato” eventualmente teleguidato e/o a libro paga della CIA (5). Ricordiamo che, nel corso del 2015, le forze di polizia USA hanno ucciso più di 1100 civili, la metà dei quali “non bianchi”. Il 40% delle persone assassinate erano Neri disarmati. Quando si giunge a simili livelli, non può più trattarsi di una serie di fatti isolati, ma di una strategia. Gravi disordini sociali potrebbero infatti, se del caso, servire da cortina fumogena per ogni sorta di operazione, dalla sospensione del processo elettorale per cause di forza maggiore, fino all’assassinio puro e semplice di Trump, va a sapere.
 
 
Quanto al fronte aperto in Europa contro la Russia grazie al colpo di Stato in Ucraina (6), è inutile tornarci tanto abbiamo ripetutamente parlato delle manovre USA che mirano a fare del Vecchio Continente (oramai trasformato in una caserma della NATO) il teatro della eventuale guerra futura (7).
 
Ma nel momento in cui la NATO ha deciso deliberatamente di svolgere il suo prossimo vertice alle porte della Russia per irritare sempre di più Mosca, dobbiamo continuare ad insistere nel denunciare ancora una volta il livello di sottomissione assolutamente scandaloso dei media occidentali, che continuano a rilanciare la favola statunitense della minaccia russa. Così facendo, essi svolgono il ruolo di “collaborazionisti” zelanti delle forze guerrafondaie che minacciano di sprofondare il mondo in una nuova macelleria e, presto o tardi, ciascuno dovrà rispondere sei propri atti.
 
La NATO accerchia la Russia
 
Un paese pezzottato profondamente diviso
Ma, come si dice, il peggio non può essere garantito.
E, per tornare al discorso di prima, tutto porta oramai a credere che l’anno 2016 potrebbe ben essere l’anno della dirittura d’arrivo del crollo degli USA.
 
La prospettiva è sicuramente vertiginosa, perfino incredibile. Per misurarne la probabilità occorre dunque strapparsi – è l’espressione giusta – dalla narrativa hollywoodiana, per riuscire invece a capire che gli Stati Uniti sono in realtà privi di un vero cemento unificatore che possa loro consentire di superare l’immensità della crisi terminale che li corrode da più di un decennio.
 
Evocando un possibile smembramento degli Stati Uniti già nel marzo 2009 (8), citavamo un testo di Philippe Grasset, sublime redattore del sito de defensa.org che sintetizza benissimo l’intrinseca fragilità di quel paese pezzottato che sono gli Stati Uniti: «Gli USA non sono, a nostro avviso, una nazione che ha i caratteri che tale espressione evoca in senso eroico (storico), ma sono un sistema utilitaristico. (...) Che funzioni bene, che sia equilibrata nella gestione dei suoi interessi, con rimarchevoli virtù da bottegaio, ciò è senza dubbio vero almeno in origine. Ma essa non ha alcun rapporto con la Storia, non ha nulla della trascendenza che si fonda sulla virtù dell’eroismo (o «sacrificio dell’interesse particolare al bene generale»). In questo paese, l’interesse particolare ha trovato un buon accomodamento in una associazione ed una organizzazione generale, che viene propriamente definito «bene generale», ma che non è assolutamente un «bene pubblico» in senso classico, vale a dire qualcosa che comporta la messa a disposizione di tutto in modo generalizzato, come in una collettività storica, che richiama in questo senso la nozione di trascendenza. I cittadini USA sono azionisti di questo «bene generale» e ad esso chiedono regolarmente i conti, coi più furbi ovviamente che vincono la posta. Tutto questo funziona bene, come una impresa ben gestita, dove il profitto degli azionisti è il supremo punto di riferimento. Ne vien fuori un assemblaggio artificioso profondamente diviso [caratterizzato da] tensioni permanenti tra le diverse regioni e comunità.» E ricordavamo che questo sistema è stato assemblato con la violenza delle armi durante la Guerra di Secessione e che «Lincoln e Grant sapevano quel che facevano quando ordinarono a Sherman di distruggere completamente le coltivazioni sudiste, la «nazione sudista», nella celebre «marcia di Georgia» del 1864, perché sapevano che il sistema non può tollerare una vera diversità.»
 
Aggiungemmo all’epoca che «le stesse circostanze della creazione di questo paese lo privano di ogni legame naturale con la terra che occupa, perché è stato costruito su di un territorio rubato per mezzo del genocidio della Nazione indiana. La legittimità del rapporto col territorio, che è la referenza primaria, lo zoccolo organico della costituzione di una vera nazione, qui fa ancora difetto. Da questo punto di vista, gli Stati Uniti sono quindi solo [un sistema utilitaristico] «che galleggia sulla superficie di un territorio rubato».
 
Dunque i movimenti secessionisti, che crescono di importanza in California (il 41% dei Californiani pensano che il loro Stato debba diventare indipendente, secondo un sondaggio svolto su un campione di circa 9000 persone) e in Texas, devono essere considerati con la massima serietà.
 
Il panico crescente con cui la mafia di Washington procede oggi nella gestione della crisi è un sintomo assolutamente rivelatore della fragilità di questo Stato pezzottato. E se le sue manovre falliranno, il crollo potrebbe essere ben più rapido del previsto, lasciando allora una Europa probabilmente stordita per un certo tempo, ma finalmente libera.
 
 
 
 
 
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