Slate.fr, 1° febbraio 2016 (trad. ossin)
 
I candidati alle presidenziali USA
Ted Cruz, un bugiardo prodigioso all’assalto della Casa Bianca
William Saletan
 
L’analisi delle posizioni assunte negli ultimi tre anni dal senatore del Texas sul tema dell’immigrazione clandestina lo dimostra: Ted Cruz è forse il più incredibile bugiardo che si sia mai candidato alle presidenziali
 
 
Ted Cruz è il solo vero conservatore ad essersi candidato alle primarie repubblicane. E’ questo d’altronde il vero punto di forza della sua campagna: è il solo senatore ad essersi opposto, con le parole e con i fatti, alla regolarizzazione degli immigrati clandestini, alla riforma della sanità di Obama e al Planning familiare. Il suo momento di gloria fu quando riuscì a impedire l’approvazione della riforma sull’immigrazione tre anni fa. I democratici volevano concedere agli immigrati illegali, a certe condizioni, la cittadinanza. Cruz disse NO. Si è scontrato con l’amministrazione ed ha vinto.
 
Per parlare di Cruz, la discussione sull’immigrazione è un buon punto di partenza perché la dice lunga su di lui. Ma il problema è che questa battaglia politica non è andata come lui la racconta. Cruz non ha guidato l’opposizione e non ha nemmeno assunto una posizione ferma. E’ un avvocato, non un leader. Sceglie la parole con cura in modo che alla fine – in una campagna presidenziale per esempio, ma è un esempio – gli sia possibile posizionarsi nel modo più conveniente sul tema dell’immigrazione. Nel 2013 pronunciò, con una pietas tutta religiosa, dei discorsi che oggi afferma essere non essere stati sinceri.
 
Cruz ha reso pubblica la sua versione della storia a metà dicembre, durante un dibattito elettorale a Las Vegas. “Sulla regolarizzazione – ha dichiarato – ho preso una posizione ferma”. All’epoca “si è associò al senatore Jeff Sessions” dell’Alabama per “rendere sicure le frontiere”. Il senatore Marco Rubio, uno dei suoi rivali alle primarie repubblicane, stava dall’altra parte, associato ai Democratici per varare “un piano di regolarizzazione di massa”. “Io sono sempre stato contrario alla regolarizzazione” ha dichiarato Cruz al pubblico che assisteva al dibattito. Più esattamente ha dichiarato: “Io ho guidato l’opposizione alla regolarizzazione e all’amnistia (di Rubio)”.
 
Io ho analizzato quasi ogni parola pronunciata da Cruz durante la discussione sull’immigrazione. Le ho messe in ordine cronologico a partire da gennaio 2013, quando ha prestato giuramento come senatore del Texas, fino al mese di giugno 2013, quando il Senato ha votato la legge. Questa cronologia, che potete leggere in inglese cliccando qui, seziona il racconto di Cruz. Ma mostra anche come Cruz – che i sondaggi danno secondo dopo Trump alle primarie repubblicane – pensa e opera. Ecco cosa è successo ed ecco chi è davvero Ted Cruz.
 
Una storia di imbrogli
Nel gennaio 2013, quando Cruz entra al Senato, aveva le stesse idee che professa oggi: il modo migliore di trattare i milioni di immigrati clandestini degli Stati Uniti era – diceva – di far rispettare le leggi. Vale a dire impedir loro di lavorare ed espellerli. I Democratici volevano all’epoca adottare una procedura legale che consentisse a questi immigrati di restare sul suolo statunitense e di ottenere la cittadinanza. Cruz era contrario a questa idea. Una simile concessione, diceva, equivaleva a ricompensare quelli che violano la legge e punire le persone oneste che tentano invece di immigrare legalmente.
 
A fine gennaio 2013, un gruppo bipartisan di otto senatori – quattro Democratici e quattro Repubblicani, tra cui Marco Rubio – pubblica una proposta di riforma dell’immigrazione, che apre una strada verso l’ottenimento della cittadinanza per gli immigrati illegali presenti sul territorio. Cruz avrebbe potuto respingere questa proposta. Non fece niente invece. Per mesi esprime “profonda inquietudine”, ma senza mai impegnarsi. E’ consapevole del fatto che approvare questa possibilità di accesso alla cittadinanza gli alienerebbe le simpatie di molti Repubblicani. Ma quando dei giornalisti gli rivolgono la domanda in modo diretto (“Lei voterebbe contro qualcosa che apra la strada alla cittadinanza?”), rifiuta di rispondere.
 
Una spiegazione plausibile del rifiuto di Cruz di pronunciarsi è che egli sia favorevole a dei cambiamenti nella politica di immigrazione. Sia favorevole alla chiusura delle frontiere, ad una più ferma applicazione della legge, ma anche a procedure semplificate per gli aspiranti che siano rispettosi della legge. Egli potrebbe forse porre questi auspici alla base di un accordo più complessivo. Però l’idea di concedere la cittadinanza gode all’epoca di ampia popolarità. Nei sondaggi, più del 60% degli Statunitensi si dicono favorevoli, a seconda di come la questione viene enunciata. Perfino alcuni elettori repubblicani la sostengono. Politica e strategia consigliano dunque a Cruz di lasciare una porta aperta. Ma i principi – equità nei confronti degli immigrati legali e rispetto della legge – restano limiti invalicabili.
 
Cruz è dunque in difficoltà. Ma esiste una via d’uscita: agli immigrati clandestini può essere offerto un po’ meno della cittadinanza. Può offrirsi uno statuto di residente legale permanente – una carta verde – che permetterebbe loro di vivere e lavorare negli Stati Uniti. Potrebbero restare, ma non votare.
 
Molti Repubblicani apprezzano questa idea, che pure è approvata nei sondaggi. Quando si chiede agli intervistati di scegliere tra la concessione della cittadinanza e la concessione della residenza permanente, molti sono coloro che scelgono la seconda. Proponendo delle carte verdi in luogo e al posto dell’espulsione, i conservatori possono mobilitare una maggioranza di elettori contro la concessione della cittadinanza.
 
Ma Cruz ha un problema anche con l’idea della carta verde giacché, alla luce della riforma sull’immigrazione proposta, la carta verde conduce alla cittadinanza. E ciò, come dice Cruz, “lo inquieta”, giacché “se votiamo qualcosa che permetta ai clandestini di ottenere la cittadinanza, ciò significa che quelli che restano nel loro paese, attendendo l’esito della procedura legale, sono degli imbecilli”.
 
A fine aprile 2013 Cruz trova la soluzione. Ponendo come principio il divieto, in via permanente, della concessione della cittadinanza ai clandestini, il Congresso può sanzionarli e dare la priorità agli immigrati legali. Durante una audizione della commissione legislativa del Senato, il 22 aprile 2013, chiede dunque ai colleghi di votare una legge che escluda la concessione della cittadinanza ma che consenta “ai lavoratori che già sono sul territorio di uscire dall’ombra e di lavorare in maniera legale”. Due giorni dopo, in una intervista rilasciata alla CBS, dichiara che “si può trovare un compromesso” sugli immigrati clandestini, “se si escluda la concessione della cittadinanza”.
 
In maggio chiarisce l’ipotesi di compromesso. Propone un emendamento che escluda la possibilità della concessione della cittadinanza a chiunque sia entrato illegalmente nel territorio degli Stati Uniti. Uno degli obiettivi dichiarati della legge, come egli sottolinea, è di “proporre uno statuto legale per le persone entrate illegalmente, che consenta loro di uscire dall’ombra. Questo emendamento lo consentirà. Ma sbarrerà la strada verso la cittadinanza, in modo da garantire il rispetto della legge e da trattare gli immigrati legali con la giustizia e il rispetto loro dovuti”. Uno statuto legale senza cittadinanza, dichiara Cruz, “è una riforma che moltissimi in tutto il paese, Repubblicani come Democratici, possono appoggiare”.
 
Il 21 maggio la commissione respinge l’emendamento di Ted Cruz. Ma lui non demorde. Ripropone l’emendamento durante la seduta plenaria del Senato. In più occasioni – durante un forum all’Università di Princeton, in un discorso al Senato, in una intervista rilasciata al Washington Examiner – afferma che il compromesso sulla carta verde accorderebbe uno “statuto legale” agli immigrati illegali pur mantenendo delle “conseguenze” al loro ingresso clandestino. Può bene il Senato approvare il progetto di legge senza l’emendamento di Cruz il 27 giugno, egli continua a spiegare di avere proposto la “carta verde” e non la cittadinanza, perché “è necessario che siano previste delle sanzioni per le violazioni della legge”.
 
Tre elementi falsi
Ecco un riassunto di quanto accaduto nel 2013. Cruz ha poi incominciato ad occuparsi d’altro e il progetto di legge non è mai approdato alla Camera dei Rappresentanti. Ci sono altre cose da dire e stiamo arrivandoci. Ma fermiamoci un momento su quello che abbiamo detto.
 
Marco Rubio (altro candidato alle primarie repubblicane) e Ted Cruz
 
Tre elementi del discorso di Cruz nel dibattito sull’immigrazione sono falsi.
 
Per prima cosa non è vero che egli abbia preso una “posizione ferma” sulla questione. Ha piuttosto tentato di rinviare il più possibile ogni decisione. Si è rifiutato di rispondere a domande rivoltegli a bruciapelo sulla possibilità della concessione della cittadinanza. Quando finalmente si è pronunciato contro, lo ha fatto offrendo uno statuto di legalità per i clandestini.
 
A fine maggio 2013 – quattro mesi dopo la pubblicizzazione del testo della riforma sull’immigrazione, cinque settimane dopo la messa a punto del testo e una settimana dopo che la commissione del Senato l’aveva esaminato – Cruz continua a rifiutarsi di dire se avrebbe votato o meno a favore del progetto di legge se i suoi emendamenti fossero stati approvati.
 
In secondo luogo, non è vero che Cruz ha “guidato l’opposizione” contro l’amnistia per i clandestini. Il 21 aprile 2013, tre mesi dopo la diffusione della proposta della regolarizzazione, Politico dice che Cruz “non ha ancora deciso se rappresentare l’opposizione”. L’articolo sottolinea come Cruz abbia, ripetutamente, “evitato di parlare coi giornalisti” a proposito del progetto di legge e che “preferisce concentrarsi nella opposizione al progetto di legge per la regolamentazione delle armi”. Un anno dopo Politico scrive come i membri della Camera hanno organizzato l’opposizione. L’articolo racconta che Cruz “non era affatto uno dei senatori più attivi”. A novembre PoliFact, un progetto del Tampa Bay Times, ritorna sulla vicenda e non trova “alcun elemento che consenta di attribuire a Cruz un qualsiasi ruolo nella vicenda che ha visto impedire alla Camera di votare sul progetto di legge. Nell’estate del 2013, Cruz era uno dei tanti senatori che si opponevano alla riforma. Ma sono stati i Repubblicani della Camera che hanno bloccato il progetto di legge e che già in precedenza chiedevano che non fosse nemmeno presentato”.
 
In terzo luogo, non è per niente vero che Cruz si sia “associato a Jeff Sessions” come pretende. Ed è certamente falso affermare che le loro posizioni fossero identiche. Cruz e Sessions erano effettivamente componenti della commissione legislativa. Hanno entrambi proposto degli emendamenti. Quelli di Sessions proponevano di limitare la concessione delle carte verdi, non quelli di Cruz. E’ importante, perché Cruz afferma oggi che la sua alleanza con Sessions dimostra che egli non ha mai sostenuto la concessione di uno statuto legale per gli immigrati clandestini.
 
La verità è una questione di procedura
E questo ci pone due nuove domande, più delicate. La prima è: Cruz ha appoggiato l’idea della regolarizzazione? Una persona qualunque, dopo aver letto quello che abbiamo scritto, propenderebbe probabilmente per la soluzione affermativa. Ma Cruz e i suoi assistenti insistono sul fatto che egli non ha mai esplicitamente approvato la regolarizzazione. E hanno ragione.
 
Perché si può ben riguardare nei dettagli la lista delle dichiarazioni di Cruz in proposito, è impossibile trovare una qualunque dichiarazione del senatore del Texas che approvi – e meno che mai conceda – uno statuto legale per gli immigrati clandestini. Il 21 maggio 2013, afferma nella commissione del Senato che il suo emendamento “lo avrebbe permesso”, Il 31 maggio, quando gli viene chiesto se egli voglia “rilasciare” le carte verdi o “trasferire” persone che vivono nell’illegalità ad una condizione di legalità, risponde: “Questo sarà l’effetto dell’emendamento”. L’11 giugno collega l’effetto della regolarizzazione, non tanto al suo emendamento, ma “allo stesso progetto di legge”. Ancora e sempre Cruz usa un linguaggio che porta con sé una proposta di statuto legale, evitando accuratamente di assumersene la responsabilità.
 
Oggi Cruz ricorda questo episodio come la prova della sua innocenza. Per comprendere perché, occorre guardare l’intervista accordata a Greta van Susteren il 18 dicembre 2015, tre giorni dopo il dibattito di Las Vegas. Van Susteren gli legge l’estratto di una lettera indirizzata da Cruz a tre altri senatori il 4 giugno 2013. La lettera lamenta che la commissione del Senato abbia respinto “un emendamento (Cruz3) che avrebbe permesso agli immigrati clandestini di ottenere uno statuto legale – uscendo dall’ombra e potendo lavorare legalmente, senza acquisire la cittadinanza”.
 
Van Susteren, come qualsiasi persona normale, ha letto questa frase considerandola una esplicita accettazione del principio della regolarizzazione. Cruz insiste: “La lettera dice che il progetto di Rubio avrebbe loro concesso uno statuto legale. Non dice che il mio emendamento avrebbe loro attribuito uno statuto legale”. Il senatore del Texas ritiene che questa distinzione gli consenta di giustificarsi. Dice fieramente a Van Susteren: “Greta, la verità conta. Io non ho nemmeno una sola volta approvato la regolarizzazione”. Ma quello che colpisce in questa intervista, nella lettera, in tutte le dichiarazioni di Cruz dal 2013 al 2015, è il modo in cui soppesa le parole “sostegno”, “regolarizzazione” e “verità”. Crux non pensa come una persona normale. Pensa come un avvocato. Per lui la verità non è una semplice questione di significato. E’ una questione di procedura.
 
Ecco perché nessuno può dimostrare che Cruz nel 2013 approvava la regolarizzazione. Come una scena del delitto senza impronte digitali, l’insieme delle sue dichiarazioni è un’opera d’arte. Il 15 dicembre, il commentatore del Washington Post, incapace di esprimere un giudizio definitivo sul caso Cruz a proposito della opposizione del 2013 alla legge sulla regolarizzazione, ha reso omaggio alla propria ingenuità spiegando:
 
“Cruz si è posizionato in modo da apparire favorevole alla regolarizzazione se essa fosse stata approvata – e per sembrare contrario se la posizione più intransigentemente contraria si fosse dimostrata maggioritaria”.
 
Ma Cruz non si accontenta di negare che egli possa essere stato favorevole alla regolarizzazione. Nega anche la serietà dei suoi emendamenti. Afferma oramai che tutte le misure che egli ha proposto nel 2013 – rafforzare la sicurezza alle frontiere, modernizzare l’immigrazione legale e sbarrare la strada alla cittadinanza – avevano come unico obiettivo quello di sabotare il progetto di legge sulla regolarizzazione.
 
Per apprezzare il carattere quanto meno audace di queste affermazioni, occorre tornare ai discorsi pronunciati da Cruz tre anni fa. Durante una audizione davanti alla commissione giudiziaria, il 21 maggio 2013, sosteneva “un accordo bipartisan e un compromesso”, dichiarando: “Io non mi auguro che questa riforma dell’immigrazione fallisca. Voglio che essa sia approvata”. Il 29 maggio 2013, assicurava a Byron York del Washington Examiner: “Il mio obiettivo non è di affossare la riforma sull’immigrazione, ma di emendare il progetto di legge della ‘banda degli otto’, perché possa davvero riuscire a risolvere il problema”. Il 31 maggio a Princeton, Cruz dice al suo ex professore, Robert George: “Credo che se gli emendamenti che io ho proposto fossero stati approvati, il progetto sarebbe passato. E il mio tentativo di introdurli mirava a trovare una soluzione condivisa – e questo avrebbe risolto il problema”.
 
Cruz afferma oggi di aver fatto finta per tutto il tempo. Dice che tutti sapevano bene che lui voleva solo sabotare il progetto. E’ falso. Molti conservatori gli hanno creduto all’epoca. York, nel suo resoconto di intervista del 29 maggio, lo prende in parola. George, nella sua conversazione pubblica con Cruz, prende anche lui sul serio il senatore. E nel corso di una intervista rilasciata a Fox News il 16 dicembre, subito dopo il dibattito di Las Vegas, Bret Baier dimostra di non essere affatto al corrente della finta:
 
Baier: Si sarebbe detto che lei volesse che il progetto passasse
Cruz: Certo che volevo che il progetto passasse – che il mio emendamento passasse. Quello che il mio emendamento proponeva…
Baier: Lei parla del progetto di legge
Cruz: Bisognava eliminare la cittadinanza dalla discussione. Ma questo non vuol dire – questo non vuol dire che io sostenessi il resto del progetto di legge, che era un terribile progetto. E Bret, lei conosce Washington. Lei sa come si deve fare per opporsi alla cattiva legislazione, ed è quello che questo emendamento è riuscito a fare
 
Van Susteren, conversando con Cruz due giorni dopo, sgomenta:
 
Van Susteren: Lei afferma adesso che il suo emendamento, nel 2013, era una pillola avvelenata. Che aveva confezionato con l’unico obiettivo di affossare il progetto di legge
Cruz: E ci sono riuscito
Van Susteren: E la sua strategia, perché le cose siano ben chiare. La sua strategia era quella di far approvare questo emendamento avvelenato
Cruz: Infatti, erano cinque emendamenti, tutti ideati per affossare il progetto di legge
 
Tutte queste persone - York, George, Van Susteren – non sono stupide. Conoscono perfettamente i meccanismi delle politiche conservatrici. Non è la poca intelligenza o l’ideologia che impedisce alle persone di capire Cruz, è l’artificio. Le persone normali non sono capaci di far finta di opporsi a qualcosa per mesi. La gente normale non è capace di dare lezioni di probità agli altri, mentre mente e complotta. Per vivere una vita sana, bisogna partire dal principio che le persone con cui interagite siano sincere, almeno in una certa misura. York, George, Baier e Van Susteremìn sono persone normali. Cruz no.
 
Un bugiardo competitivo
Se Cruz nel 2013 faceva la commedia, misurate l’ampiezza della sua slealtà: non si è limitato a raccontare fandonie ai suoi colleghi della commissione e del Senato. Ha anche chiesto di essere intervistato da un periodico conservatore per chiarire le cose e ha mentito al giornalista. E’ poi tornato nella sua università e ha finto di essere sincero col suo ex direttore di studi, e questo davanti a un pubblico di studenti. E non si è fermato quando il Senato ha approvato il progetto di legge. In una intervista accordata all’Examiner, il 1° luglio 2013, e poi ancora in una intervista rilasciata al Texas Tribune il 21 agosto 2013, ha indicato le sue proposte come una prova della sua volontà di trovare un compromesso. 
 
Tutto ciò era pura astuzia? Solo Cruz lo sa. Ma è legittimo tirare qualche conclusione. Prima di tutto Cruz è un bugiardo competitivo. Se non mentiva nel 2013, è oggi che mente. Non si tratta di una speculazione, ma è il semplice enunciato delle due sole possibilità logiche. La commedia attuale di Cruz è altrettanto credibile di quella recitata nel 2013, che oggi afferma essere stata solo un imbroglio. Se Cruz ha detto la verità a York e a George – e se i suoi emendamenti del 2013 erano stati proposti in buone fede – allora è nel corso degli ultimi mesi che ha mentito a Baier, a Van Susteren e a molti altri giornalisti, senza parlare degli elettori.
 
In secondo luogo, Cruz partecipato a tutta l’intera discussione sull’immigrazione senza lasciare una sola traccia del fatto che stava mentendo. E’ notevole. A dicembre FactCheck.org ha chiesto a Brian Phillips, portavoce della campagna di Ted Cruz, se potesse citare un momento in cui Cruz aveva svelato che la proposta di regolarizzazione del 2013 “non fosse veramente una sua proposta, ma solo una strategia legislativa mirante a far sentire la sua voce”. Phillips ha risposto di non esserne in grado. Le dichiarazioni del 2013 di Cruz sono così nette, così prive di asperità, da rendere impossibile di indovinare quali fossero le sue vere intenzioni. Ed è proprio questo che fa di lui un uomo a parte. Molti eletti mentono; Cruz ha fatto qualcosa di ben più impressionante. Ha parlato e parlato, ed è riuscito comunque a tenersi le due porte aperte: poter negare in futuro che i suoi emendamenti fossero sinceri o affermare il contrario.
 
Alcuni addetti stampa della campagna presidenziale di Cruz e almeno una persona che aveva lavorato con lui al Senato hanno affermato che la sua proposta di regolarizzazione senza cittadinanza non era seria. Ma ci sono due cose che non possono spiegare. La prima è l’insistenza con cui Cruz sosteneva che il suo emendamento era conforme ai principi repubblicani. Nel corso di tutto il dibattito del 2013, egli ha ripetuto che, stabilendo delle “conseguenze” obbligatorie per coloro che avevano violato la legge, il divieto da lui sostenuto di concedere la cittadinanza rendeva accettabile il rilascio della carta verde ai clandestini. Era un argomento che consentiva di trovare un accordo.
La seconda cosa è che Cruz ha anche ben organizzato la sua proposta sul piano politico. Può anche darsi che il suo staff del Senato sapesse che l’emendamento era un bidone. Può anche darsi che Cruz lo dicesse in privato, se sarà dimostrato. Ma al di fuori del suo ufficio, Cruz ha fatto qualcosa che non si concilia con tutta questa storia. Ha commissionato un sondaggio sulla regolarizzazione nel suo stesso Stato.
 
Il 19 giugno 2013, Cruz ha rilasciato una lunga intervista radiofonica a Rush Limbaugh, un esponente dell’ultra destra statunitense. Oggi afferma che è stata proprio questa intervista a invertire la tendenza nei confronti del progetto di legge. E’ falso: una settimana dopo l’intervista, il Senato ha approvato il progetto di legge con 68 voti contro 32 e – come Cruz continuava a dire all’epoca – il progetto non aveva alcuna speranza di essere approvato dalla Camera. Ma nell’intervallo Cruz ha detto qualcosa di strano a Limbaugh: “Abbiamo fatto un sondaggio tra gli elettori ispanici in Texas – ha affermato – Abbiamo loro chiesto: Siete favorevoli ad una apertura verso la cittadinanza o ad un permesso di lavoro che non dia accesso alla cittadinanza? E una maggioranza del 46% degli elettori ispanici del Texas si è detto favorevole ad un permesso di lavoro senza accesso alla cittadinanza. E solo un 35% ha optato per il riconoscimento della cittadinanza”.
 
Cruz menziona il sondaggio per fornirne gli esiti. Ma ciò che è molto più interessante è il sondaggio stesso: chi ha formulato la domanda e dove?
 
Non si è trattato di una iniziativa altrui. Il sondaggio è stato commissionato da Cruz, un mese dopo la sua elezione al Senato e subito prima dell’avvio della discussione sulla immigrazione. La domanda da rivolgere agli intervistati è stata dunque formulata in modo utile a Cruz. Essa non mette a confronto l’ipotesi di concessione della cittadinanza e la politica di tolleranza zero e di chiusura delle frontiere di cui Cruz afferma di essere stato all’epoca fautore. Essa mette a confronto il rilascio della cittadinanza ad un’altra opzione: concedere un permesso di lavoro che consenta ai clandestini di lavorare legalmente senza per questo concedere la cittadinanza.
 
Cruz adorava il suo sondaggio. Tra il 19 giugno e il 1° luglio 2013, ne ha citato i risultati almeno tre volte. Gli Ispanici erano con lui, ripeteva. Ma questa spiegazione pone tre problemi, ed ecco il primo: se Cruz voleva dimostrare che gli Ispanici erano con lui, perché ha parlato loro di permesso di lavoro e non di chiusura delle frontiere? Perché ha commissionato un sondaggio su una politica che mirava a concedere permessi di lavoro ai clandestini – e vantarsi dei risultati positivi del suo sondaggio sei mesi dopo – se non ci pensava seriamente?
 
Secondo enigma: perché il Texas? Se il sondaggio aveva per obiettivo di influenzare gli altri senatori, sarebbe stato logico farlo su tutto il territorio federale. Invece è stato effettuato solo nello Stato di Cruz.
 
 
La cadenza di un predicatore e il savoir-faire di un avvocato
Il terzo enigma è quello del calendario. Nel dicembre 2012 Cruz non ha di fronte a sé una elezione, deve solo prendere posizione sulla questione dell’immigrazione.
 
Secondo me, questi due indizi – il sondaggio e l’argomento delle “conseguenze” – dimostrano che Cruz era serio quando parlava di regolarizzazione. Ha cominciato con il preoccuparsi dei benefici e dei rischi politici di una tale posizione nel suo Stato. Ha poi passato almeno due mesi a preparare una proposta su cui fondare un accordo. Ma se io mi sbaglio – se Cruz non è mai stato favorevole al rilascio di permessi di lavoro o di carte verdi – allora è ancora peggio. Ciò vorrebbe dire che Cruz ha sondato l’opinione degli ispanici solo con l’obiettivo di sapere se, con la scusa di offrire loro una forma di regolarizzazione, poteva dividerli e neutralizzarli.
 
Noi non possiamo sapere quello che Cruz davvero pensava. E non ne abbiamo alcun bisogno. Perché alla luce di quanto abbiamo appena raccontato, ne sappiamo abbastanza per decifrare i suoi discorsi e prevedere le sue mosse. Cruz è un bugiardo inveterato e patologico. Parla con la cadenza di un predicatore e il savoir-faire di un avvocato. Quando viene il momento di prendere una posizione, si mantiene tutte le porte aperte.
 
 
Se non ci facciamo abbagliare dalla sua veemenza, se ascoltiamo ogni parola che pronuncia, se la analizziamo in questo modo, con una retrospettiva storica, la pretesa chiarezza del suo discorso svanisce. Nell’agosto 2015, ha evitato di parlare della questione dei clandestini, cavandosela dicendo che si sarebbe potuto parlare di tutto questo quando le frontiere fossero state messe veramente in sicurezza. Nel mese di novembre, ha diffuso un piano sull’immigrazione che non parlava né di concessione della cittadinanza, né di rilascio di carte verdi. Quando i giornalisti gli hanno chiesto se volesse vietare ogni tipo di regolamentazione, lui ha cambiato discorso.
 
Per poi tirare fuori un'altra volta i suoi argomenti in tema di regolarizzazione. Il 30 novembre, durante un tour in Iowa, Kasie Hunt, di MSNBC, gli ha chiesto come intendesse l’amnistia. Cruz ha risposto questo: “Io ritengo che l’amnistia debba essere un modo di perdonare la violazione della legge da parte di coloro che sono entrati illegalmente, senza conseguenze, e in particolare senza concessione di cittadinanza””. Queste specificazioni – “non senza conseguenze” e “soprattutto non concedere la cittadinanza” – consentono a Cruz di accettare il rilascio di carte verdi e di negare che si tratti di una vera e propria amnistia. Per tre volte Hunt ha posto a Cruz la domanda conseguenziale: “Si tratta di una strada verso la regolarizzazione?” Cruz ha girato i tacchi.
 
Durante il dibattito a Las Vegas, il 15 dicembre scorso, Cruz ha tentato di mettere a tacere gli scettici: “Io non ho mai sostenuto la regolarizzazione”, ha proclamato. Rubio poco soddisfatto della risposta, lo ha pressato: “E’ un’ipotesi che scarti?” Era suonata l’ora delle scelte ma Cruz non si è fatto trovare impreparato. Rivolgendosi a Rubio e puntando il dito verso di lui per meglio sottolineare le sue parole, ha dichiarato guardandolo negli occhi: “Io non ho mai sostenuto la regolarizzazione e non ho intenzione di sostenere la regolarizzazione”.
 
Non ho l’intenzione, appunto. Qui c’è tutto Ted Cruz sputato.
 
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