ProfileLe schede di ossin, 5 febbraio 2024 - La codardia morale è diffusa, dunque non c'è da meravigliarsi che solo pochi individui siano disposti a rischiare il disprezzo pubblico parlando apertamente di alcune questioni importanti. Ma penso che tutti, a questo punto, dovrebbero riconsiderare attentamente la scelta personale che hanno fatto finora...      

 

Unz Review, 29 gennaio 2024 (trad.ossin)
 
Il Prof. John Beaty e la vera origine degli ebrei 
Ron Unz
 
 
 
 
John Beaty e la cortina di ferro sugli Stati Uniti
 
Sebbene il suo nome sia stato quasi totalmente dimenticato da oltre due generazioni, nei primi anni '50 il Prof. John Beaty era una figura di una certa importanza, almeno all'interno dei circoli conservatori.
 
Originario della Virginia Occidentale, nato nel 1890, Beaty conseguì la laurea e un master presso l'Università della Virginia, quindi completò il dottorato in Filosofia alla Columbia University nel 1921. A partire dal 1919 trascorse tutta la sua carriera accademica insegnando inglese alla Southern Methodist University (SMU) di Dallas, divenendo professore ordinario nel 1922 e ritirandosi infine nel 1957. Per la maggior parte di quel tempo, fu presidente del dipartimento e fu anche un romanziere e uno studioso di successo, quale autore o coautore di una dozzina di libri, usati come testo in oltre 700 college e università statunitensi. Nel corso della sua lunga carriera, ottenne numerose onorificenze e riconoscimenti accademici, ricoprendo anche la carica di presidente della Conference of College Teachers of English e, prima del 1951, sembra non aver mai suscitato alcuna controversia significativa.
 
Ma Beaty era anche un patriota ed era un riservista dell’esercito. Mentre gli USA si avviavano verso il coinvolgimento nella Seconda Guerra Mondiale, egli fu richiamato in servizio nel 1941 e servì come capitano dei servizi segreti militari fino al 1947, quando lasciò l'esercito con il grado di colonnello e riprese la sua carriera di insegnante accademico. Durante quegli anni di guerra, svolse un ruolo di grande importanza, in qualità di Capo della Sezione Storica e, allo stesso tempo, ebbe anche l'incarico di riassumere tutte le informazioni di intelligence disponibili, producendo il rapporto informativo quotidiano distribuito alla Casa Bianca e a tutti gli altri dirigenti politici e militari. Più tardi durante la guerra, gli fu anche chiesto di intervistare e interrogare migliaia di nostri militari di ritorno, compresi quelli molto anziani, resocontando le informazioni che essi fornivano e le loro esperienze per gli archivi governativi. Alla luce di tutto questo, può dirsi che, quando tornò alla vita civile nel 1947, erano ben pochi gli Statunitensi che potessero vantare maggiore familiarità di Beaty con l’intero flusso di informazioni di intelligence del tempo di guerra.
 
Beaty aveva sempre nutrito un forte interesse per i grandi eventi politici. Alla metà degli anni '20, gli venne assegnata una borsa di studio Alfred Kahn per un viaggio in Europa, e successivamente ha utilizzato le conoscenze acquisite per pubblicare articoli che analizzavano la situazione geostrategica del continente e i possibili rischi di una guerra futura. Essendo un forte conservatore con valori culturali tradizionali, pubblicò Image of Life nel 1940, un libro fortemente critico nei confronti di quelle che considerava le distorsioni ideologiche diffusamente promosse dai nostri media mainstream e dall'industria editoriale. E poi, negli anni del dopoguerra, si indignò per l’assoluto contrasto tra i veri fatti del conflitto, che egli conosceva bene grazie al suo ruolo centrale nell’intelligence militare, e la rappresentazione estremamente distorta e disonesta di quegli eventi fornita dalla maggior parte dei media mainstream a cittadini che erano vittime di grave disinformazione.
 
Era allarmato per quanto avrebbe potuto accedere. L'Unione Sovietica di Stalin aveva conquistato metà dell'Europa, mentre i partiti comunisti ad essa subordinati esercitavano un'enorme influenza in gran parte dell’altra metà, tra cui Francia, Italia e Grecia. Beaty considerava la vittoria comunista del 1949 in Cina come una gigantesca sconfitta strategica per l’Occidente, e l’improvviso scoppio della guerra di Corea l’anno successivo aveva ormai trascinato le forze statunitense in un conflitto militare diretto, con le nostre truppe inesperte e sotto equipaggiate che subivano gravi sconfitte iniziali per mano di un grande esercito cinese.
 
In questi anni Beaty lavorò a un libro che intendeva individuare le cause profonde dei nostri recenti disastri e fornire un resoconto sincero della guerra mondiale contro la Germania che avevamo recentemente combattuto. Credeva che, se il popolo statunitense non avesse appreso questi fatti e non si fosse mobilitato politicamente, avrebbe potuto perdere le sue libertà tradizionali ed essere trascinato in una rovinosa terza guerra mondiale contro il potente blocco comunista. Così nel dicembre 1951 pubblicò The Iron Curtain Over America (La cortina di ferro sull'America).
 
Sebbene Beaty vantasse un’illustre carriera accademica e avesse acquisito credenziali stellari in tempo di guerra, era un forte cristiano conservatore e un convinto anticomunista, e il suo libro abbastanza breve, ma molto ben documentato, oltrepassò ogni sorta di linea rossa inammissibile nell’editoria statunitense, specialmente a causa dell’attenzione rivolta a ciò che considerava il ruolo estremamente pernicioso dei gruppi ebraici organizzati nella politica statunitense. Era severo nei confronti delle politiche dei presidenti democratici Franklin Roosevelt e Harry Truman, ma altrettanto ostile nei confronti di molti dei loro principali oppositori, come il governatore Thomas Dewey, il candidato presidenziale repubblicano sia nel 1944 che nel 1948. Considerati tali sentimenti, non sorprende affatto che il suo libro sia stato pubblicato solo da un piccolo editore di Dallas, e che sia stato l'autore stesso a dover coprire i costi della tiratura iniziale.
 
Dopo aver letto l'interessantissimo testo di Beaty, mi sono basato ampiamente sull'esauriente ricerca d'archivio del Prof. Joseph Bendersky, uno storico mainstream, e in articoli pubblicati nel 2018 e 2019, ho descritto il sorprendente successo popolare del libro di Beaty:
 
 
Qualche anno fa, mi sono imbattuto in un libro che mi era del tutto sconosciuto, pubblicato nel 1951 e intitolato The Iron Curtain Over America di John Beaty, un rispettatissimo professore universitario. Beaty aveva servito negli anni di guerra nei servizi segreti militari, incaricato della preparazione dei rapporti di briefing quotidiani distribuiti a tutti gli alti responsabili e contenenti un sunto delle informazioni raccolte nel corso delle 24 ore precedenti, un incarico dunque di notevole responsabilità.
 
Da zelante anticomunista, riteneva gran parte della popolazione ebraica statunitense come coinvolta nelle attività sovversive, e la considerava dunque una seria minaccia per le tradizionali libertà statunitensi. In particolare, il controllo ebraico crescente sull’editoria e i media rendeva sempre più arduo, per i punti di vista discordanti, raggiungere il pubblico statunitense, e questo regime di censura costituiva la «cortina di ferro» evocata dal titolo. Accusava gli interessi ebraici di avere spinto ad una guerra totalmente inutile contro la Germania hitleriana che cercava da tempo di stabilire buone relazioni con gli USA, ma che era stata totalmente distrutta a causa della sua forte opposizione alla minaccia comunista appoggiata dagli ebrei europei.
 
Beaty denunciava altrettanto vivamente l’appoggio USA al nuovo Stato di Israele, che ci costava potenzialmente l’ostilità di milioni di musulmani e di arabi. E, en passant, criticava anche gli Israeliani per avere continuato a sostenere che Hitler avesse ucciso sei milioni di ebrei, un’accusa assolutamente inverosimile che non aveva alcun fondamento apparente nella realtà e sembrava molto di più una bufala messa in giro dagli ebrei e dai comunisti, per avvelenare le nostre relazioni con la Germania del dopo-guerra e per sottrarre al popolo tedesco che soffriva già da lungo tempo soldi da versare allo Stato ebraico.
 
Denunciava anche il processo di Norimberga, che bollava come una «pesante macchia indelebile» per gli USA e una «parodia di giustizia». Secondo lui era stato gestito da ebrei tedeschi vendicativi, molti dei quali avevano falsificato le testimonianze. Di conseguenza, questo «fetido fiasco» aveva solo insegnato ai Tedeschi che «il nostro governo non possedeva alcun senso della giustizia». Il senatore Robert Taft, leader repubblicano dell’immediato dopo-guerra, aveva una posizione assai simile, cosa che gli valse poi l’elogio di John F. Kennedy in Profiles in Courage. Il fatto che il procuratore capo sovietico di Norimberga avesse svolto lo stesso ruolo nei famosi processi staliniani della fine degli anni 1930, durante i quali molti ex bolscevichi avevano confessato un mucchio di cose assurde e ridicole, non ha per nulla rafforzato la credibilità di quel processo agli occhi di molti osservatori.
 
All’epoca, come anche oggi, un libro che sostiene posizioni tanto controverse aveva poche speranze di trovare un editore newyorkese, ma venne almeno pubblicato da una piccola casa editrice di Dallas, e poi ebbe un enorme successo, venendo ristampato diciassette volte nel corso degli anni seguenti. Secondo Scott McConnell, il redattore capo che ha fondato The American Conservative, il libro di Beaty è diventato il secondo testo conservatore più popolare degli anni 1950, collocandosi secondo solo dopo il classico emblematico di Russell Kirk, The Conservative Mind.
 
Inoltre, le critiche severe dei gruppi ebraici, tra cui l’ADL, provocarono una reazione opposta, e molti generali USA di alto rango, ancora in servizio o in pensione, appoggiarono apertamente il lavoro di Beaty, denunciando le pretese censorie dell’ADL e invitando tutti gli Statunitensi a leggerlo… 
 
Buona parte di questa storia interessantissima è raccontata da Joseph Bendersky, un esperto in studi sull’Olocausto, che ha dedicato dieci anni di ricerca archivistica al suo libro pubblicato nel 2000, The Jewish Threat. Esso racconta il diffusissimo antisemitismo nell’esercito USA e nella intelligence militare lungo tutta la prima metà del XX secolo, giacché gli ebrei venivano ritenuti un serio rischio per la sicurezza. 
 
 
 
Facciamo un passo indietro e collochiamo le scoperte di Bendersky nel loro giusto contesto. Dobbiamo riconoscere che durante gran parte del periodo coperto dalla sua ricerca, l'intelligence militare statunitense costituiva quasi la totalità dell'apparato di sicurezza nazionale - essendo l'equivalente di CIA, NSA e FBI messi insieme - ed era responsabile sia della sicurezza internazionale che interna, sebbene quest'ultimo portafoglio fosse stato gradualmente assunto dall'organizzazione in espansione di J. Edgar Hoover verso la fine degli anni '20.
 
Gli anni di diligente ricerca di Bendersky dimostrano che per decenni questi professionisti esperti – e molti dei loro generali in capo – erano fermamente convinti che i principali esponenti della comunità ebraica organizzata stessero complottando spietatamente per prendere il potere negli USA, distruggere tutte le nostre tradizionali libertà costituzionali e, infine, acquisire il controllo del mondo intero.
 
Non ho mai creduto all’esistenza degli UFO come veicoli spaziali alieni, respingendo sempre simili storie come ridicole sciocchezze. Ma supponiamo che documenti governativi declassificati rivelino che, per decenni, quasi tutti i nostri alti ufficiali dell’aeronautica siano stati assolutamente convinti dell’esistenza degli UFO. Dovrei continuare ad essere scettico, o non dovrei piuttosto prendere in considerazione tali possibilità? Per lo meno, quelle rivelazioni mi costringerebbero a pormi il problema di valutare ciò che altri individui hanno creduto in quel periodo.
 
 
 
Bendersky dedica diverse pagine alla discussione del libro di Beaty, che secondo lui "si colloca tra le più feroci diatribe antisemite del dopoguerra". Descrive anche la storia del suo straordinario successo nazionale, che seguì una traiettoria insolita.
 
I libri di autori sconosciuti pubblicati da piccoli editori raramente vendono molte copie, ma quel libro attirò l'attenzione di George E. Stratemeyer, un generale in pensione che era stato uno dei comandanti di Douglas MacArthur, che scrisse a Beaty una lettera di approvazione. Beaty citò questa lettera nel materiale di promozione del suo libro, attirando le ire dell'ADL, il cui presidente nazionale contattò Stratemeyer chiedendogli di ripudiare il libro che bollava come un "incentivo per gruppi marginali lunatici" in tutti gli USA. Invece, Stratemeyer rispose all’ADL in modo tagliente, denunciandola per aver lanciato “minacce velate” contro “la libertà di espressione e di pensiero”, e per aver tentato di stabilire una repressione in stile sovietico negli Stati Uniti. Dichiarò che ogni “cittadino leale” avrebbe dovuto leggere La cortina di ferro sull’America, le cui pagine rivelavano finalmente la verità sulla nostra difficile situazione nazionale, e iniziò a promuovere attivamente il libro in tutto il paese mentre attaccava il tentativo ebraico di boicottarlo. Numerosi altri importanti generali e ammiragli statunitensi si unirono presto a Stratemeyer nel sostenere pubblicamente il lavoro, così come un paio di influenti membri del Senato degli Stati Uniti, portando le vendite di quel libro a livelli altissimi.
 
Avendo ora scoperto che le opinioni di Beaty erano totalmente coerenti con quelle di quasi tutti i professionisti dell'intelligence militare, ho deciso di rileggere il suo breve libro e ne sono rimasto profondamente colpito. La sua erudizione e la sua lucidità erano esattamente ciò che ci si aspetterebbe da un accademico affermato con un dottorato di ricerca alla Columbia, che aveva raggiunto il grado di colonnello durante i suoi cinque anni di servizio nell'intelligence militare e nello stato maggiore. Sebbene fortemente anticomunista, sotto ogni aspetto Beaty era un conservatore moderato, piuttosto giudizioso nelle sue affermazioni e proposte. La denuncia isterica di Bendersky si ripercuote piuttosto negativamente su chi ha emesso quella fatwa.
 
 
 
Nelle ultime settimane si sono accesi intensi dibattiti su un paio dei miei recenti articoli che menzionavano Beaty e il suo libro del 1951, ciò mi ha indotto a rilegerlo dopo che l'avevo già fatto nel 2019, e l'ho trovato impressionante come mi era giò apparso la prima volta. 
 
Ovviamente si devono fare ragionevoli concessioni ai contenuti di un’opera politica audacemente iconoclasta pubblicata più di settant’anni fa, pubblicata proprio all’inizio della lunga Guerra Fredda. Una parte sostanziale del testo di Beaty si concentra sulla grande minaccia che il nostro Paese si trovava ad affrontare a causa del comunismo globale guidato dall'Unione Sovietica di Stalin, e sia il comunismo che l'URSS si sono disintegrati più di tre decenni fa. I lettori di oggi probabilmente troveranno troppo lunga e dettagliata la sua trattazione del fallimento del nostro governo nell’impedire la vittoria comunista del 1949 in Cina e i nostri gravi errori militari nella guerra di Corea, e magari potranno ritenere ingiustificati i suoi sospetti di cospirazioni dietro a quei fallimenti.
 
Ma lasciando da parte queste piccole imperfezioni, penso che la narrazione che il libro fornisce delle vere circostanze che hanno portato al coinvolgimento degli USA, sia nella Seconda Guerra Mondiale che negli avvenimenti immediatamente successivi, sia di gran lunga superiore ai resoconti pesantemente tendenziosi ed epurati che troviamo nei nostri libri di storia. E il ruolo svolto da Beaty in tempo di guerra, quello di raccogliere e riassumere tutte le informazioni di intelligence in arrivo e poi di produrre un riassunto quotidiano da distribuire alla Casa Bianca e agli altri alti funzionari, gli ha sicuramente fornito un quadro molto più accurato della realtà rispetto a quello del tipico scriba di terza mano.
 
Nel frattempo, Beaty ha trattato anche altri argomenti nervosamente evitati da quasi tutti gli altri autori del suo tempo, che hanno una chiara rilevanza contemporanea. Ha dedicato più di una dozzina di pagine a descrivere il forte sostegno del nostro governo alla conquista sionista della Palestina, una vergognosa guerra di aggressione che ha portato all'espulsione di circa 880.000 civili arabi dalla loro antica patria. Beaty ha sottolineato la profonda ipocrisia degli aiuti forniti dall'amministrazione Truman per facilitare tale aggressione militare in Medio Oriente, proprio mentre dispiegava le nostre forze armate per scoraggiare o respingere simili aggressioni in Europa o in Corea. Ha sostenuto che quella decisione aveva gravemente danneggiato la nostra posizione nei confronti dell'enorme popolazione mondiale di arabi e musulmani, dimostrando anche l'enorme influenza che i gruppi ebraici organizzati esercitavano sulla politica estera del Partito Democratico.
 
Direi anche che alcuni elementi della narrativa di Beaty dimostrano in realtà la sua notevole cautela e lucidità. Doveva sicuramente essere a conoscenza del fatto che James Forrestal, il nostro primo Segretario alla Difesa e una delle figure di spicco dell’amministrazione Truman, si era aspramente opposto alla nostra politica israeliana, e ciò aveva portato alla sua cacciata e alla sua morte fortemente sospetta, che fu ufficialmente dichiarata un suicidio. Penso che se Beaty avesse discusso del coinvolgimento di Forrestal, si sarebbe sentito obbligato a menzionare anche la sua strana fine, e probabilmente ha ritenuto che trattare una storia così esplosiva, basata su prove così scarse, avrebbe potuto compromettere fatalmente la credibilità dell'intero libro. Probabilmente per ragioni simili, Beaty non ha nemmeno fatto menzione della morte molto sospetta, avvenuta diversi anni prima, del generale George Patton, uno dei nostri massimi comandanti in Europa. Tuttavia, nel corso degli anni e dei decenni successivi, sono emerse numerose prove che suggeriscono che entrambe queste importanti figure statunitensi, e molti altri probabilmente, potrebbero essere state vittime di atti criminali, generalmente per mano di agenti sionisti o comunisti, come ho scritto in un articolo del 2018:
 
 
Ron Unz • www.ossin.org • 2 luglio 2019
 
 
Beaty e l'ipotesi cazara
 
Date le forti credenziali accademiche e in materia di sicurezza nazionale di Beaty, le opinioni eccezionalmente controverse che ha sostenuto e il suo enorme successo editoriale, non sorprende affatto che gruppi ebrei e di sinistra abbiano fatto di tutto per distruggere la sua reputazione e quella del suo libro. I primi attacchi dell’ADL avevano fatto cilecca e le si erano ritorti contro, rafforzando ancor di più il sostegno alle argomentazioni di Beaty da parte di molti dei nostri generali più importanti, ciò nonostante proseguirono i tentativi di demonizzare Beaty, probabilmente mirando stavolta non tanto a dissuadere i conservatori impegnati dall’acquistare il suo libro, quanto a impedire che le sue idee entrassero a far parte del rispettabile mainstream politico. E mentre indagavo sui vari attacchi pubblicati contro Beaty, sono rimasto sorpreso di scoprire che di solito si concentravano su una questione secondaria piuttosto strana.
 
Un tema centrale del libro di Beaty era la lunga storia dell'attività sovversiva dei gruppi ebraici organizzati, sia nella Russia zarista, che nel Medio Oriente e negli stessi USA. Sebbene la maggior parte della sua ricostruzione sembri solidamente documentata e ragionevolmente plausibile, sono stato colpito da una affermazione che mi è sembrata assai improbabile. Già all'inizio del secondo capitolo, Beaty ha affermato che erano pochi gli ebrei europei che avevano qualche legame ancestrale con gli israeliti della Bibbia, la maggior parte essendo discendenti dai Cazari, una feroce tribù guerriera di origini miste turche e mongole che un tempo aveva creato un potente regno nella Russia meridionale e nel Caucaso, e che si convertì poi al giudaismo più di mille anni fa. Beaty non solo ha usato “Khazar” come sinonimo di “ebreo”, ma ha molto enfatizzato questa espressione, inserendola nel titolo di due capitoli.
 
Sebbene fossi vagamente a conoscenza dell’ipotesi cazara delle origini ebraiche, la consideravo una semplice teoria accademica piuttosto marginale, negli ultimi due decenni messa finalmente a tacere dalla moderna analisi del DNA. Ma Beaty scriveva più di settant'anni fa, e citava fonti accademiche che sembrano affidabili, tra cui in particolare l’Enciclopedia ebraica universale e la magistrale Storia degli ebrei in sei volumi, pubblicata nel diciannovesimo secolo da Heinrich Graetz. Il libro di Beaty era apparso diversi anni prima che James Dewey Watson e Francis Crick scoprissero il DNA, quindi consideravo la sua teoria un'innocua eccentricità, che non offuscava la sua credibilità sulle principali questioni che rientravano nell'ambito della sua competenza personale.
 
Sospettavo anche che le sue affermazioni riguardo ai Cazari potessero in parte avere un motivo psicologico personale. Dopotutto, gli ebrei e le loro attività nefande erano l'obiettivo principale dell'analisi di Beaty, e come cristiano profondamente religioso avrebbe potuto sentirsi un po' a disagio nel criticare in modo tanto implacabile i discendenti diretti dei santi patriarchi della Bibbia. A dire il vero, egli non ha mai espresso alcuna condanna assoluta degli ebrei, e ha invece sempre manifestato grande ammirazione per gli “ebrei patriottici”. Ma, anche così, è probabile che si sarebbe sentito molto di più a suo agio se le figure che denunciava pagina dopo pagina fossero state semplicemente turchi convertiti al giudaismo piuttosto che gli eredi diretti degli stessi Israeliti. Allo stesso modo, leggendo il suo libro Image of Life del 1940, avevo notato che in molti casi egli aveva criticato aspramente gli ebrei per il danno che stavano arrecando alla cultura statunitense e per i loro continui attacchi contro la maggioranza anglosassone del nostro paese, ma non aveva mai usato la parola “ebreo”, ed era sempre ricorso ad eufemismi, come “non cristiani” o “minoranze non assimilabili”.
 
Comunque sia, Beaty riteneva che la maggior parte degli ebrei ashkenaziti avesse radici cazare, e questa semplice questione secondaria stranamente divenne il fulcro principale degli attacchi contro di lui. Probabilmente pochi Statunitensi comuni degli anni '50 avevano mai sentito parlare dei Cazari, quindi fu relativamente facile per la sua legione di oppositori organizzati stigmatizzare il suo libro come bizzarro e delirante, segnato dall'affermazione cospiratoria che gli ebrei non erano realmente ebrei. Ciò permise di ottenere che fosse liquidato come un’opera bislacca e lunatica.
 
Così, nel 1953, un pastore metodista liberale di nome Ralph Lord Roy pubblicò Apostles of Discord (Apostoli della discordia), un duro attacco contro un vasto assortimento di autori e attivisti cristiani di destra che bollò come razzisti e antisemiti. Ebbene, Roy dedicò otto pagine a Beaty, e trattò anche la questione delle origini cazare degli ebrei. Più tardi, quello stesso anno, un editore della Southwest Review, con sede nel campus SMU di Beaty, prese spunto dal libro di Roy per sferrare un attacco sulla stessa linea. L'anno successivo, Time Magazine pubblicò un breve attacco a Beaty e al suo libro. Nel 1956, The Bridge: A Yearbook of Judaeo-Christian Studies pubblicò una recensione molto lunga del lavoro di Beaty, ancora una volta ridicolizzando e stracciando le tesi di Beaty sulle deliranti origini cazare. Solo gli scritti e gli opuscoli più importanti degli anni '50 sono stati digitalizzati e conservati in Internet, quindi sospetto che una grande quantità di materiale simile di quell'epoca sia scomparso da tempo e sia stato dimenticato.
 
Roy ha citato numerosi scrittori e attivisti di destra che avevano elogiato il libro di Beaty, sottolineando che, tra questi, c'erano cristiani di estrema destra come Gerald LK Smith e Gerald Winrod, generalmente considerati i principali predicatori antisemiti statunitensi, e in effetti sospetto che tali individui fossero fortemente attratti dall’idea che i loro contemporanei nemici ebrei non avessero alcun legame con i santi ebrei dell’Antico Testamento. Un libro del 1970 dedicò dieci pagine alla critica di Beaty su basi simili, suggerendo che fosse stato una delle principali fonti delle convinzioni cazare che erano diventate così popolari nei circoli cospiratori di estrema destra, e questo sembra abbastanza plausibile dati gli enormi picchi di vendita del suo libro. La pagina Wikipedia piuttosto ostile dedicata a Beaty si concentra fortemente sulle sue affermazioni su Khazar.
 
Infatti, quando recentemente ho ripreso alcune affermazioni di Beaty nei miei articoli, i critici ostili si sono concentrati intensamente sulle opinioni cazare di Beaty per screditarlo completamente:
 
Il libro di Beaty può essere brevemente riassunto in poche parole come “Cazari! Cazari! Cazari!” Non ha davvero molte argomentazioni tracciabili oltre a questo.
 
Invece, si occupa molto dei Cazari, senza dare alcuna indicazione che abbia davvero approfondito l'argomento. Si comporta solo come un megafono ideologico.
 
Il problema è che Beaty non fornisce nulla di sostanziale a parte le invettive sui Cazari.
 
Nel corso degli anni mi sono sorpreso nel constatare che molti attivisti cospirazionisti antiebraici su Internet rimangono ancora forti sostenitori delle origini cazare degli ebrei ashkenaziti, e l’espressione "Khazar" è molto diffuso in quegli ambienti. Quindi, anche se probabilmente pochi di loro hanno mai sentito parlare di Beaty, è del tutto possibile che questa convinzione possa costituire il suo più grande e duraturo contributo al dibattito pubblico. Dato che il suo libro è comodamente disponibile su questo sito, chi è interessato può leggerlo e giudicare da solo.
 
John Beaty • 1951 • 82.000 parole
 
 
Arthur Koestler, Shlomo Sand e l'origine degli ebrei
 
La maggior parte delle affermazioni di Beaty sembra solidamente argomentata, quindi le sue eccentriche affermazioni sui Cazari sono state considerate come il punto di maggiore debolezza, e per tale ragione i suoi aspri critici hanno battuto proprio su questa questione per più di settant'anni, nel tentativo di screditare tutta la sua analisi. Pertanto, ho deciso di prendermi un po' di tempo per esplorare l'ipotesi cazara e la questione più ampia delle origini ebraiche, anche per valutare la credibilità di Beaty.
 
Quando Beaty pubblicò il suo libro nel 1951, la storia dei Cazari era probabilmente sconosciuta a quasi tutti gli statunitensi ma, una generazione dopo, un altro libro di uno scrittore molto diverso la portò improvvisamente all'attenzione del pubblico, almeno nei circoli intellettuali.
 
Arthur Koestler era un ebreo ungherese, uno dei primi sionisti ed ex comunista che poi diventò un aspro critico di Stalin e presto divenne un importante scrittore della Guerra Fredda. Era conosciuto soprattutto per Darkness at Noon (Buio a mezzogiorno), un resoconto vagamente romanzato dei processi di epurazione stalinista degli anni '30 che mi aveva profondamente colpito quando lo avevo letto al liceo. Poi, nel 1976, ha pubblicato The Thirteenth Tribe (La Tredicesima Tribù), un libro ampiamente discusso che promuove l’ipotesi cazara sulle origini dell’ebraismo europeo, e recentemente l’ho riletto ancora dopo gli anni ’90.
 
Non sono rimasto particolarmente colpito. A parte la storia della conversione dei loro governanti al giudaismo, sembra vi siano pochissime prove concrete riguardo al grande impero cazaro, solo riferimenti sparsi nelle storie e nella corrispondenza dei loro vicini e rivali bizantini, russi e islamici, quindi sebbene il breve libro di Koestler conti solo un paio di centinaia di pagine, in realtà sembra molto gonfiato, imbottito con le storie molto meglio documentate delle altre potenze regionali.
 
Koestler era un intellettuale letterario piuttosto che uno storico o un antropologo esperto, e il tentativo di dimostrare la sua controversa teoria a volte mi sembra piuttosto forzato. Tutti gli analisti concordano sul fatto che gli ebrei dell'Europa orientale sono o discendenti di migranti ebrei dalla zona renana della Germania, oppure turchi cazari convertiti. Ma questi ebrei si chiamano “Askenazim” – che significa “tedesco” – e parlano yiddish, un dialetto tedesco, che non contiene quasi parole turche. Sebbene queste prove non siano in grado di risolvere in modo definitivo la questione, tendono ovviamente a confermare la discendenza dalla Renania. Koestler tenta in modo poco convincente di confrontarsi con tale dato, sostenendo che gli ebrei cazari furono tanto colpiti dall'alta cultura dei coloni tedeschi gentili con cui ebbero contatti, che adottarono la lingua di questi ultimi, il che è possibile ma non molto plausibile.
 
Inoltre, i riferimenti ad una consistente presenza di ebrei nell'Europa orientale cominciano a trovarsi solo centinaia di anni dopo il crollo dell'Impero cazaro, quindi qualsiasi collegamento tra le due popolazioni sembra piuttosto tenue.
 
Mi sono anche chiesto se le ragioni per le quali Koestler ha sostenuto le sue tesi non possano avere anche motivazioni personali. Prima della conquista delle loro attuali terre, le tribù magiare che fondarono l'Ungheria furono per secoli vassalli dei Cazari e, quando finalmente si liberarono nel IX secolo e migrarono nell'Europa centrale, un piccolo gruppo dei loro ex signori cazari andò con loro. Quindi, se Koestler avesse dimostrato la sua teoria, sarebbe stato in grado di far risalire i suoi antenati ebrei agli ex governanti dei gentili ungheresi del suo paese, e ciò è senz’altro in grado di alimentare l'autostima di qualcuno cresciuto nel mosaico etnico della mitteleuropa.
 
L’argomento principale a favore dell’ipotesi cazara è la questione dei numeri. L'Impero cazaro era relativamente grande e popoloso, e i sostenitori ritengono che la maggior parte degli abitanti alla fine seguì l’esempio dei leader convertendosi al giudaismo, diventando così una fonte molto più plausibile dei futuri milioni di ebrei dell'Europa centrale e orientale rispetto agli ebrei immigrati dalla Renania, che probabilmente erano solo poche migliaia. Ma tale ipotesi ignora il fatto che le popolazioni che trovano una nicchia economica di successo possono crescere molto rapidamente nel tempo.
 
Ad esempio, il massimo leader sionista Chaim Weizmann aveva dieci fratelli nella sua famiglia russa, e tassi di fertilità altrettanto elevati avevano aiutato la popolazione ebraica russa a crescere da circa mezzo milione intorno al 1800 a una cifra dieci volte maggiore un secolo dopo. Quindi, se gli ebrei russi sono aumentati di dieci volte nel corso di un solo secolo, è perfettamente possibile che alcune migliaia di ebrei tedeschi si siano moltiplicati per cento volte nel corso di sei o settecento anni. Facendo un diverso esempio storico, i molti milioni di franco-canadesi e cajun della Louisiana di oggi sono tutti discendenti di appena un paio di migliaia di coloni francesi che arrivarono nel Nuovo Mondo tre o quattrocento anni fa, mentre molte decine di milioni di statunitensi discendono da poche migliaia di coloni britannici che erano arrivati nel continente più o meno nello stesso periodo.
 
Inoltre, le attività economiche molto particolari degli ebrei ashkenaziti sono un altro fattore stranamente ignorato sia da Koestler che dai suoi critici. Gli ebrei della Renania occupavano in stragrande maggioranza una nicchia imprenditoriale minoritaria, essendo prestatori di denaro e commercianti tra la popolazione gentile che li ospitava e, insieme alla gestione immobiliare e alla vendita di alcolici, questa era anche la medesima attività svolta dalle popolazioni ashkenazite molto più tarde e più numerose dell’Europa centrale e dell’Ucraina. In netto contrasto, i Cazari erano feroci guerrieri tribali dell’Asia centrale, e la loro improvvisa trasformazione in una minoranza di intermediari che si guadagnava da vivere con gli affari e la finanza sembra molto meno probabile.
 
Il libro di Koestler suscitò notevoli discussioni quando fu pubblicato quasi due generazioni fa, ma molti dei suoi recensori hanno mostrato un atteggiamento scettico, se non sprezzante, quindi non sono sicuro che possa avere avuto un grande impatto a lungo termine sul dibattito. In effetti, alcuni aspri critici di Koestler ipotizzarono addirittura che lo avesse scritto solo nella speranza che un'opera così controversa potesse ravvivare il suo profilo pubblico che era in gran parte offuscato dall’epoca dei primi scritti degli anni Quaranta che lo avevano reso famoso.
 
Molto più recente e più influente nei circoli mainstream è stato il bestseller internazionale ampiamente apprezzato The Invention of the Jewish People (L’invenzione del popolo ebraico) del Prof. Shlomo Sand, uno storico israeliano antisionista dissenziente, la cui traduzione inglese fu pubblicata nel 2009, un anno dopo la edizione ebraica originale. La tesi di base di Sand è considerevolmente più misurata di quella di Koestler, sostenendo che la maggioranza degli ebrei attuali, sia in Europa che altrove, è probabilmente costituita dai discendenti di convertiti successivi piuttosto che degli antichi israeliti della Bibbia, e i Cazari sono semplicemente uno dei molti antenati di questo gruppo. Avevo letto casualmente il libro circa una dozzina di anni fa e, nonostante i consigli favorevoli, non ero rimasto particolarmente impressionato, ma ora ho deciso di rileggerlo.
 
Forse perché ora ero molto più concentrato sul tema delle origini ebraiche, ho apprezzato il lavoro di Sand molto di più rispetto alla prima volta.
 
Ad esempio, mentre Koestler aveva sparso le scarsissime prove storiche delle origini Cazari in un intero libro, presentando il suo materiale in un modo piuttosto tendenzioso e ingenuo, uno storico professionista come Sand si è comportato in modo più giudizioso, trattando il tema con notevole cautela in 40 pagine, gran parte delle quali riassume scrupolosamente le opinioni contrastanti di molti dei principali storici ebrei degli ultimi due secoli.
 
Come ha spiegato Sand, gli studiosi ebrei tradizionali che credevano nelle origini cazare degli ebrei europei sono sempre stati una decisa minoranza, ma allo stesso tempo significativa e molto considerata. Negli anni '50, il Prof. John Beaty era stato messo sulla graticola e diffamato nel nostro paese per il suo sostegno all'ipotesi cazara, che veniva bollata come una convinzione folle, probabilmente motivata dal suo odio per gli ebrei; ma nel medesimo periodo, il ministro dell'Istruzione israeliano era un eminente studioso ebreo che sosteneva tesi molto simili.
 
Anche se Sand sembra accettare che una frazione considerevole degli ebrei dell'Europa orientale abbia probabili radici cazare, stenta a considerare il caso solidamente provato, né lo pone al centro della sua analisi, che si concentra invece su un'ampia varietà di diverse conversioni al giudaismo, negli ultimi duemila anni e più.
 
Alcune delle conversioni di cui parla Sand sembrano assolutamente innegabili, anche se precedentemente sconosciute a un non specialista come me. Ad esempio, intorno al 125 a.C., il re Yohanan Hyrcanus della dinastia dei Maccabei conquistò il piccolo stato semitico vicino di Edom e convertì con la forza i suoi abitanti al giudaismo. Questa storia fu spesso motivo di imbarazzo e sottovalutata da molti storici ebrei moderni, soprattutto perché alcuni dei più importanti leader della Giudea come il re Erode il Grande, vari importanti rabbini, e persino gli zeloti più estremisti coinvolti nella Grande Rivolta contro Roma, discendevano per lo più da edomiti convertiti.
 
Si registrano anche numerose altre conversioni al giudaismo su base volontaria, sembra su larga scala. Poco si sa del successivo regno ebraico dello Yemen, sopravvissuto per più di un secolo, così come delle comunità ebraiche molto grandi e fiorenti di Alessandria e del Nord Africa nell'era della tarda repubblica romana, mentre si sa che Cicerone faceva considerazioni, nel 59 d.C., sul numero considerevole di ebrei che vivevano nella stessa Roma. Durante questo periodo il giudaismo fu una religione che faceva proselitismo, e quasi certamente fu questa la ragione della rapida comparsa di queste grandi popolazioni ebraiche dall’una all’altra costa del Mediterraneo, piuttosto che una massiccia emigrazione di contadini ebrei dalla Palestina o un implausibile e rapido aumento naturale in piccoli paesi delle comunità ebraiche immigrate.
 
Infatti, nonostante la considerevole perdita di vite umane durante le rivolte contro il dominio romano, nel secolo successivo il numero degli ebrei raggiunse il livello massimo nel mondo antico, forse il 7-8% dell’intera popolazione dell’Impero Romano, pari a molti milioni. Sand sostiene plausibilmente che la rapida espansione del giudaismo attraverso la conversione fosse probabilmente iniziata con le conquiste di Alessandro e la creazione dei grandi regni ellenistici che sostituirono l'impero persiano, e questo processo si era poi accelerato con l'ascesa di Roma. Tutto ciò supporta la tesi centrale di Sand secondo cui, nel tardo Impero Romano, solo una frazione piuttosto piccola della sua numerosa popolazione ebraica poteva effettivamente far risalire le proprie radici agli Israeliti della Bibbia.
 
Molti degli altri fatti raccontati da Sand sembrano essersi saldamente affermati nella cultura moderna tradizionale, ma erano sconosciuti a un laico ignorante come me.
 
Ad esempio, per mezzo secolo dopo le conquiste israeliane del 1967, ondate di motivati archeologi e storici israeliani hanno fatto ogni sforzo per scoprire prove dell’esistenza del ricco e potente stato ebraico di re Davide e re Salomone, ma non hanno trovato quasi nulla. Tutto ciò suggerisce che la storia del loro potente regno fosse del tutto immaginaria, o così selvaggiamente esagerata da potersi comunque considerare tale, in quanto quelle famose figure bibliche in realtà regnavano su un minuscolo e povero pezzo di territorio, così poco importante e oscuro da essere totalmente ignorato nelle cronache dei maggiori Stati del Medio Oriente e anche da Erodoto quando qualche secolo dopo scrisse la sua corposa storia regionale.
 
Quanto all’espulsione degli ebrei dalla loro patria in seguito al fallimento delle loro ripetute rivolte contro i Romani nel I e II secolo d.C., ebbene questa storia dell’esilio ebraico è probabilmente quasi universalmente accettata sia dagli ebrei che dai gentili, costituendo un pilastro ideologico centrale per la “restaurazione” di una patria ebraica nello Stato di Israele del 1948 e l’afflusso che ne seguì di ebrei da tutto il mondo. Tuttavia, non ha assolutamente alcuna base fattuale ed è accettata da pochi studiosi rispettabili, se non da nessuno. Anche se i Romani vittoriosi avrebbero certamente potuto esiliare una modesta percentuale delle élite ebraiche sconfitte come punizione, non hanno mai deportato intere popolazioni, quindi i comuni giudei sopravvissuti alla loro sconfitta rimasero sicuramente esattamente dov'erano, subendo semplicemente una perdita di indipendenza politica.
 
Come ha sostenuto in modo convincente Sand, nel corso dei secoli molti di quegli ebrei alla fine si sono convertiti al cristianesimo, e poi all’Islam in seguito alla conquista musulmana, e sono gli antenati dei Palestinesi di oggi, lievitati da una mescolanza di tutti i vari gruppi conquistatori degli ultimi duemila anni, inclusi arabi, crociati e turchi. Pertanto, i discendenti diretti degli ebrei vivevano ininterrottamente nella loro patria prima della creazione dello Stato di Israele nel 1948. Il terribile paradosso storico è che gli attuali Palestinesi – che ora subiscono orribili massacri a Gaza – sono quasi certamente i discendenti diretti degli Israeliti biblici, come sostenuto da Sand e, in modo simile, da Beaty nel suo libro del 1951.
 
Sebbene questo punto di vista possa sembrare scioccante per la stragrande maggioranza sia dei gentili che degli ebrei, inclusa certamente la maggior parte degli Israeliani di oggi, Sand e Beaty non furono certo i soli a giungere a questa conclusione. David Ben-Gurion fu il padre fondatore di Israele e per primo assunse la carica di primo ministro, mentre Yitzhak Ben-Zvi divenne il secondo presidente del paese dopo la morte di Chaim Weizmann. Insieme, nel 1918, quando erano giovani leader sionisti, scrissero a quattro mani Eretz Israel in the Past and the Present, il libro sionista più importante di quell'epoca, pubblicato con grande successo sia in ebraico che in yiddish. In quell’opera riassumevano le forti prove storiche che i Palestinesi locali erano ovviamente solo ebrei convertiti da molto tempo, esprimendo la speranza che sarebbero stati quindi assorbiti nel crescente movimento sionista e sarebbero diventati parte integrante del loro pianificato Stato di Israele; Ben-Zvi pubblicò un opuscolo successivo nel 1929 in cui sosteneva gli stessi punti. Fu solo dopo che i Palestinesi cominciarono a mostrarsi ostili alla colonizzazione sionista ed a scontrarsi violentemente con i coloni europei, che l’ascendenza giudea dei Palestinesi fu gettata nel buco della memoria e dimenticata.
 
Così, nonostante una lunga serie di conquiste militari e il susseguirsi di padroni stranieri, gli Israeliti dell’Antico Testamento rimasero al loro posto per oltre duemila anni, arando ogni anno i loro campi finché non furono brutalmente sradicati ed espulsi dalla loro antica patria dai militanti sionisti nel 1948, una storia che avevo raccontato in un lungo articolo il mese scorso.
 
Ron Unz • www.ossin.org • 22 gennaio 2024
 
I diversi elementi della ricostruzione di Sand si incastrano perfettamente. La Palestina non è mai stata una terra molto popolosa e i suoi abitanti erano costituiti in maggioranza da contadini. Una volta riconosciuto che erano rimasti al loro posto dopo il fallimento delle loro ripetute rivolte contro il dominio romano, le grandi popolazioni ebraiche che in seguito troveremo sparse lungo le rive del bacino del Mediterraneo diventano spiegabili solo come risultato di conversioni religiose su larga scala. Un tale sviluppo non è affatto sorprendente, dato il declino del paganesimo tradizionale e la nascita di vari nuovi culti in quegli stessi secoli del tardo Impero Romano. Pertanto, sembra innegabile che la stragrande maggioranza degli ebrei di quell'epoca avesse pochi o nessun ascendente giudeo.
 
Sand sembra uno studioso di grande reputazione e il suo best-seller internazionale è stato trattato con molto rispetto o addirittura elogiato entusiasticamente da un lungo elenco di organi di stampa e recensori mainstream, compresi quelli israeliani. Ma la sua specialità accademica è la storia francese piuttosto che il mondo classico, e molte delle sue affermazioni sulla dimensione e sullo status degli ebrei nell'impero romano mi sono sembrate tanto sorprendenti, che ho deciso di valutarle leggendo The Jews in the Roman World (Gli ebrei nel mondo romano), pubblicato nel 1973 da Michael Grant, un eminente storico antico britannico.
 
Sebbene l'accento posto da Grant sia piuttosto diverso, il suo lavoro sembra generalmente coerente con quello di Sand. I dati sulla popolazione dell’epoca classica presentano una notevole incertezza, ma Grant sembra accettare che la popolazione ebraica diffusa in tutto l’impero di Roma fosse enorme e, secondo i suoi calcoli, avrebbe potuto raggiungere una cifra pari a otto milioni, forse rappresentando fino al 20% del totale nelle province orientali di lingua greca. Anche le prove diffuse di conversioni ebraiche sono ampiamente documentate sebbene, a differenza di Sand, Grant creda che la seconda moglie dell'imperatore Nerone fosse semplicemente in sintonia con il giudaismo piuttosto che una vera e propria convertita ebrea.
 
Anche alcune delle recensioni che ho letto sembrano corroborare le importanti scoperte di Sand. Un lungo articolo sul suo libro è apparso in prima pagina in una delle sezioni del New York Times, e il giornalista sembra aver contattato diversi esperti mainstream, che hanno confermato molte delle sorprendenti affermazioni dell'autore: l'espulsione degli ebrei dalla Palestina è semplicemente un mito, gli ebrei moderni sono sostanzialmente i discendenti dei successivi convertiti, e i Palestinesi di oggi sono probabilmente i discendenti diretti degli antichi giudei. Mi ha fatto anche piacere scoprire che l'autore del Times sia rimasto anch’egli colpito da molti degli stessi punti che mi sono parsi sorprendenti rileggendo il testo. Un'esauriente pagina di Wikipedia fornisce un riassunto imparziale del libro di Sand, compresi gli elogi che ha ricevuto da così tanti importanti intellettuali ebrei.
 
Sebbene Sand si sia naturalmente attirato aspre critiche soprattutto da parte dei sionisti, ho notato che molti degli attacchi più aspri contro il suo lavoro si concentrano sul suo sostegno all'ipotesi cazara, sebbene costituisca solo una piccola parte del suo libro e lui sia stato cauto nelle sue affermazioni. Ciò rispecchia da vicino la strategia impiegata contro Beaty più di mezzo secolo prima.
 
 
Considerando le prove genetiche
 
Per secoli, quasi tutto ciò che sapevamo del mondo antico si è basato su prove letterarie ed epigrafiche, ma nell’ultima generazione l’analisi del DNA e la genetica delle popolazioni hanno iniziato a costituire fonti di informazioni aggiuntive, potenzialmente molto più oggettive dal punto di vista scientifico. E la natura e le origini dell’ebraismo nel mondo sono state un obiettivo importante di questa ricerca recentemente potenziata.
 
Sand è uno storico, fortemente impegnato nelle sue convinzioni antirazziste e un individuo con profonde radici comuniste. Quando lessi il suo libro dieci anni fa, rimasi sorpreso dal fatto che sembrasse ignorare quasi completamente alcune delle rivelazioni sulle origini ebraiche prodotte da studi genetici apparse di recente sulle prime pagine e quindi fui piuttosto sprezzante nei confronti del suo lavoro quando l’ho menzionato di sfuggita in un articolo del 2016:
 
 
Ad esempio, il best-seller internazionale di Shlomo Sand, L'invenzione del popolo ebraico, è stato ampiamente elogiato nei circoli liberal di sinistra e antisionisti e ha attirato una notevole attenzione da parte dei media mainstream. Ma anche se ho trovato molte parti estremamente interessanti, l’affermazione centrale sembra errata. Per quanto ne so, sembrano esserci prove genetiche schiaccianti che gli ebrei ashkenaziti europei discendano effettivamente in gran parte dai loro antenati della Terra Santa, in quanto sembra che discendano da poche centinaia (presumibilmente ebrei) mediorientali, per lo più maschi, che si stabilirono nell'Europa meridionale qualche tempo dopo la caduta di Roma e presero mogli locali dell'Italia settentrionale, rimanendo poi in gran parte endogami per i successivi mille anni di crescente presenza nell'Europa centrale e orientale. Tuttavia, essendo uno storico piuttosto che un ricercatore genetico, il Prof. Sand evidentemente non conosceva queste prove concrete e si è concentrato su indicatori letterari e culturali molto più deboli, forse anche influenzato dalle sue stesse predilezioni ideologiche.
 
 
Dato il fascino che prova il pubblico ebraico per le sue origini ancestrali e il fatto che così tanti giornalisti e ricercatori genetici siano essi stessi ebrei, non sorprende che le implicazioni dell'analisi del DNA ebraico siano state così ampiamente trattate dai media. Ma quando uno di questi genetisti ebrei rivelò nel 2010 che popolazioni di ebrei separate tra di loro sembravano molto più geneticamente simili di quanto non lo fossero con qualsiasi popolazione locale ospitante con la quale avevano convissuto per molti secoli, Sand scandalizzato disse a Science Magazine che “Hitler ne sarebbe stato sicuramente molto contento”, e pronunciò parole molto offensive nei confronti di quello scienziato. Reazioni ideologiche accese come queste furono tra le ragioni per cui avevo respinto il libro di Sand quando l'avevo letto un anno o due dopo.
 
Ma dopo aver riletto Sand, ho in qualche modo temperato la mia valutazione fortemente negativa. L’autore ha dedicato alcune pagine alla discussione delle prove genetiche, fornendo vari esempi per sostenere che esse erano state spesso frutto degli orientamenti ideologici dei ricercatori, mentre i media tendevano a promuovere quegli studi che sostenevano l’idea sionista, ignorando quelli che la mettevano in discussione. Quindi, sebbene l’autore fosse d’accordo sul fatto che l’analisi genetica avesse “un futuro brillante”, riteneva che si trattasse ancora di “una scienza relativamente giovane” le cui scoperte attuali dovrebbero essere trattate con notevole cautela. Anche se trovavo ancora poco convincenti le argomentazioni di Sand, la sua posizione non mi appariva più così antiscientifica come la ricordavo.
 
Per ironia della sorte, come aveva notato uno dei recensori ostili del suo libro, molti aspetti del quadro genetico oggi ampiamente accettato sembrano rafforzare fortemente le conclusioni generali di Sand. La stragrande maggioranza degli ebrei del mondo sono ashkenaziti europei, e la maggior parte delle analisi del DNA ha concluso che essi sono in stragrande maggioranza i discendenti di una piccola popolazione fondatrice di più di mille anni fa, i cui maschi erano apparentemente ebrei mediorientali ma con un'ampia maggioranza di origine ebraica, e le femmine sono gentili dell'Italia settentrionale o tedesche. Questa conclusione quindi supporta effettivamente l'affermazione di Sand secondo cui gli ebrei moderni hanno antenati convertiti molto numerosi, sebbene il loro albero genealogico sia diverso da quello da lui suggerito. Nel frattempo, quegli stessi studi hanno rivelato al massimo un piccolo frammento di ascendenza turca, sembrando escludere l'ipotesi cazara di cui Sand aveva discusso a lungo.
 
Per decenni, il giornalista Jon Entine si è occupato intensamente di simili questioni, con il suo sito web Genetic Literary Project dedicato a quell'argomento. Diversi anni fa ho letto il suo libro del 2007 Abraham's Children, che discuteva della particolare genetica della popolazione ebraica, e sebbene i ricercatori del DNA abbiano ovviamente fatto grandi progressi nei successivi sedici anni, ho deciso di rileggerlo.
 
Sebbene l'obiettivo principale del libro di Entine fosse la prova genetica delle origini ebraiche, egli ha anche dedicato parte di un capitolo a contestare fortemente l'ipotesi cazara su basi storiche generali, e ho trovato le sue argomentazioni piuttosto convincenti. Sebbene riconosca certamente che i convertiti cazari potrebbero aver contribuito alla discendenza degli ebrei Askhenazi - trova anche alcune prove genetiche sparse a sostegno di questa possibilità - quel contributo sembra essere stato piuttosto modesto, con la stragrande maggioranza della linea ebraica maschile che ha le sue origini nell'antico Medio Oriente. E dopo la formazione della popolazione ashkenazita, la successiva mescolanza degli ebrei dell’Europa orientale con gli slavi e i baltici tra i quali vissero per secoli fu assolutamente trascurabile, con solo lo 0,5% delle donne ebree in ogni generazione che aveva figli con gentili.
 
Tuttavia, rileggendo il racconto di Entine, ho notato alcuni elementi che sembrano supportare le argomentazioni cautelative che Sand avrebbe sottolineato nel suo libro pubblicato l'anno successivo. Secondo Entine, il maggiore sostegno finanziario per la ricerca genetica innovativa era venuto da un ricco magnate ebreo in Gran Bretagna, che aveva una forte attenzione personale agli antenati ebrei e quindi finanziò un progetto che tendeva a dimostrare che tutti i membri attuali della casta sacerdotale ebraica - i Cohanim – parrebbero essere discendenti maschi diretti del sommo sacerdote Aronne dell'Antico Testamento. Inoltre, lo scienziato capo di questo progetto era un ricercatore ebreo ferventemente devoto che fece risalire i suoi antenati personali esattamente a quella linea sacra. Anche se non c’era nulla che suggerisse che queste forti convinzioni ideologiche avessero distorto le loro scoperte scientifiche, lo scetticismo di qualcuno come Sand non è affatto irragionevole. E in effetti un libro pubblicato diversi anni dopo da un importante ricercatore genetico, anche lui ebreo, sembrò sfatare completamente quell’eccitante ipotesi biblica, che aveva fatto notizia a livello mondiale quando era stata annunciata.
 
 

Quest’ultimo breve libro era Legacy: A Genetic History of the Jewish People, del Prof. Harry Ostrer, pubblicato nel 2012 dalla Oxford University Press, che sembrava avere una visione molto sobria e pacata di queste complesse questioni genetiche. Gran parte della discussione di Ostrer è storica, ed egli nota con una certa ironia che le diffuse credenze genetiche fermamente stabilite da una generazione di scienziati ebrei sono state talvolta completamente ribaltate da quelle della generazione successiva, solo per essere altrettanto fermamente resuscitate da una terza generazione. Ovviamente, in tali circostanze è molto importante mantenere un’adeguata cautela scientifica. Ma Ostrer conferma la conclusione di Entine secondo cui l'apparente ascendenza maschile mediorientale degli ebrei ashkenaziti e la loro totale dissomiglianza genetica dai popoli turchi sembravano virtualmente escludere l'ipotesi cazara.
 
 
Ho anche acquistato e letto The Maternal Genetic Lineages of Ashkenazic Jewish, un brevissimo libro del 2022 di Kevin Alan Brook, un ricercatore genetico indipendente. Nel corso degli anni, Brook è diventato uno dei massimi esperti sui Cazari, sostenendo che costituivano solo una frazione insignificante degli antenati ashkenaziti, e questo lavoro molto recente sembra consolidare completamente quella conclusione, anche se in modo vistosamente noioso: quasi l'intero testo consiste in un elenco enciclopedico delle origini ancestrali di molte centinaia di principali genotipi ebraici materni, quasi nessuno dei quali sembra avere una componente turca significativa.
 
 
Per coloro che sono interessati ad esplorare l'argomento in modo più dettagliato, consiglio vivamente la pagina Wikipedia estremamente completa sull'ipotesi cazara, che contiene quasi 13.000 parole inclusi numerosi riferimenti e un'ampia sezione sulle prove genetiche. Tuttavia, trattandosi di Wikipedia, occorre prendere le sue affermazioni su un argomento così controverso con notevole cautela. Ad esempio, ho notato che nella sezione Antisemitismo, l'articolo afferma che Wilmot Robertson, il padre fondatore del moderno nazionalismo bianco statunitense, ne sia un sostenitore, ma quando ho controllato, ho scoperto che aveva effettivamente respinto l'ipotesi cazara come "Una delle più antiche storielle razziali", dichiarando che era stata definitivamente smentita dalle prove genetiche.
 
L'articolo di Wikipedia ha anche dedicato una sottosezione al lavoro molto controverso del genetista israelo-statunitense Eran Elhaik, che ha pubblicato diversi articoli negli ultimi dieci anni tentando di far rivivere l'ipotesi cazara, ma con una grande maggioranza di ricercatori genetici che sono stati aspramente critici nei confronti della sua metodologia e dei suoi risultati. Ho letto uno dei principali articoli di Elhaik insieme a un riassunto di supporto, così come altri due articoli di importanti gruppi di ricerca che presentano la prospettiva tradizionale.
 
La mia esperienza tecnica nell'analisi genetica non è sufficiente per valutare adeguatamente questi argomenti contrastanti, ma una delle principali affermazioni di Elhaik ha attirato la mia attenzione. Ha contrapposto la sua “Ipotesi cazara” di origini ebraiche alla tradizionale “Ipotesi della Renania”, ma ha ripetutamente affermato che quest’ultima considera gli ebrei ashkenaziti come discendenti esclusivamente dai Giudei semiti, il che sembra un grave errore di valutazione. Invece, i ricercatori tradizionali descrivono quegli ebrei come una popolazione ibrida, forse per metà mediorientale ma quasi per metà europea, una cosa molto diversa.
 
L'ascendenza della popolazione viene comunemente analizzata esaminando una carta PCA di marcatori genetici e quella fornita nell'articolo di Elhaik mostra che gli ebrei dell'Europa centrale e orientale sembrano raggrupparsi a metà strada tra europei e mediorientali, esattamente come ci aspetteremmo, e sono del tutto diversi dai turchi. Quindi non ho visto nulla che potesse portarmi a dubitare della prospettiva tradizionale.
 
 
 
 
Sulla base di tutte queste prove, sembrano esserci poche indicazioni che gli ebrei ashkenaziti abbiano una sostanziale discendenza cazara, e un forte sostegno all’idea che siano una popolazione ibrida mediorientale/europea, esattamente come i ricercatori tradizionali hanno a lungo affermato.
 
 
Ebrei come Fenici e Cartaginesi?
 
Tuttavia, esaminando queste prove genetiche, ho notato un evidente enigma che sembra essere passato inosservato in tutte le discussioni che avevo letto.
 
La maggior parte degli esperti tradizionali sembra ammettere tranquillamente che Sand aveva ragione nel sostenere che, al tempo dell’Impero Romano, la stragrande maggioranza degli ebrei che vivevano lungo le rive del Mediterraneo erano probabilmente di stirpe convertita, con pochi antenati tra gli israeliti di Palestina. Eppure le prove genetiche dipingono un quadro molto diverso per le principali popolazioni ebraiche successive.
 
Come accennato, gli ebrei ashkenaziti sembrano discendere da maschi mediorientali che presero mogli europee nei secoli successivi alla caduta di Roma. Nel frattempo, anche gli ebrei sefarditi della Spagna musulmana sono di origine mediorientale, e sono stati la componente più ricca e numerosa degli ebrei per gran parte del Medioevo, prima della loro espulsione nel 1492 da parte di Ferdinando e Isabella. Quindi, se solo una piccola frazione di ebrei avesse radici in Palestina, sembra abbastanza strano che questi sarebbero diventati i progenitori sia della linea sefardita che di quella maschile ashkenazita. Le prove genetiche sembrano essere in conflitto con le forti prove letterarie e storiche.
 
Penso che la soluzione a questo apparente mistero possa essere data rispondendo a una domanda molto semplice. Se milioni di pagani in tutto il mondo mediterraneo probabilmente si convertirono al giudaismo durante i secoli successivi alle conquiste di Alessandro Magno e all’ascesa di Roma, dovremmo chiederci quali pagani fossero i più propensi a farlo.
 
I Greci dominavano il mondo ellenistico, e il successo e il fascino della loro cultura furono così travolgenti che un gran numero di ebrei in Palestina divennero ardenti ellenizzatori, incorporando elementi pagani nel loro stile di vita e alla fine scatenando la rivolta dei Maccabei contro tali detestate influenze straniere. Sembra quindi molto improbabile che un numero considerevole di greci o di gruppi influenzati dalla Grecia si siano convertiti al giudaismo quando l’evidenza è che il flusso di quasi-convertiti era molto più forte nella direzione opposta. E la lunga storia di aspra ostilità tra le numerosissime popolazioni greche ed ebraiche di Alessandria è un ulteriore elemento che contraddice l’idea che possano esservi stati numerosi convertiti greci.
 
Allo stesso modo, i Romani della Repubblica, conquistatori del mondo, governarono la Palestina, e non sembra esserci alcuna prova che qualcuno di loro si sia convertito al giudaismo o abbia trovato quella religione attraente, considerando anche le osservazioni di Cicerone che fanno pensare che gli ebrei fossero solo ritenuti una nazionalità perturbatrice e poco raccomandabile. Durante il primo impero, i Romani repressero brutalmente diverse rivolte ebraiche e sebbene alcuni esponenti dell'élite fossero attratti dalla religione, la popolazione ebraica in tutto il mondo romano era già diventata molto numerosa a quel punto, senza alcuna indicazione che fosse stata ingrossata dai convertiti romani.
 
Quindi, se sembra piuttosto improbabile che un numero considerevole di Greci e Romani si sia convertito al giudaismo prima della nascita di Cristo, quale è la probabile origine di tanti convertiti?
 
Si presenta una possibilità intrigante. Gli antichi Giudei erano un popolo semitico, strettamente imparentato per lingua e cultura con i vicini Cananei, e si caratterizzavano principalmente per la loro religione fieramente monoteistica. Di tutti i popoli cananei, quello di gran lunga più grande e importante era il popolo  fenicio, le cui città-stato costiere erano Tiro, Sidone e Byblo, e secoli prima aveva fondato Cartagine come colonia nordafricana sulla costa della Tunisia. Questi popoli punici, i Fenici e i Cartaginesi, avevano fama di essere i più grandi mercanti del mondo antico e avevano fondato un vasto e prospero impero commerciale molto prima dell’ascesa della Grecia classica o di Roma, un impero che durò per quasi mille anni. Le loro attività commerciali li avevano resi anche grandi innovatori, tanto che i Greci attribuivano loro il merito di aver inventato l'Alfabeto, che poi fu preso in prestito e adattato da tutti gli altri popoli.
 
Le città fenicie furono infine sottomesse dai grandi imperi terrestri semitici degli Assiri e dei Babilonesi, divenendo vassalli tributari, e questo status continuò sotto l'impero persiano, che contava sui Fenici per costituire la maggior parte della sua marina. Ma durante la vittoriosa campagna di Alessandro Magno per conquistare la Persia, egli distrusse Tiro e ogni residuo dell'indipendenza fenicia andò definitivamente perduto sotto i suoi successori ellenistici.
 
In questa stessa epoca, Cartagine aveva fondato un grande impero nordafricano nel Mediterraneo occidentale, e fondato molte colonie proprie, ed era probabilmente diventata la città più grande e ricca del mondo antico. Ma nel corso del secolo successivo, le guerre puniche contro Roma terminarono con la sconfitta totale di Cartagine e la perdita di tutti i suoi territori, culminando infine con la sua distruzione definitiva nel 146 a.C.
 
Sappiamo che gli Israeliti hanno certamente avuto contatti regolari con i vicini cugini fenici. Secondo la Bibbia, il re Salomone si affidava agli abili artigiani di Tiro per i suoi progetti di costruzione, e un successivo re d’Israele sposò un membro della dinastia regnante di quella stessa città. Anche se questi particolari episodi storici sembrano abbastanza plausibili, penso che una prospettiva molto più realistica sia che i ricchi e sofisticati mercanti della Fenicia considerassero gli Israeliti come i loro rustici cugini di campagna, probabilmente poveri e ignoranti e fanaticamente religiosi con il loro credo monoteistico.
 
Tuttavia, una volta che la Fenicia fu permanentemente caduta sotto il dominio straniero degli eredi ellenistici di Alessandro, e i Cartaginesi sopravvissuti furono incorporati nell'impero creato dai loro acerrimi nemici romani, è facile immaginare che molti membri di entrambe quelle popolazioni puniche possano col tempo essersi sentiti attratti da una religione messianica come il giudaismo, praticata da un popolo semitico strettamente imparentato. Secondo stime moderne, l'impero nordafricano di Cartagine comprendeva probabilmente 3-4 milioni di abitanti al suo apice, il che spiega facilmente l'origine di così tanti probabili convertiti ebrei che in seguito apparvero in quella stessa parte del mondo.
 
Alessandria era la città più grande e sofisticata della parte orientale dell'impero romano e un terzo del suo milione di residenti erano ebrei, spesso coinvolti in conflitti comunitari con un terzo che era greco. Sembra molto più probabile che questi ebrei urbanizzati fossero i discendenti dei fenici convertiti piuttosto che i contadini della Giudea urbanizzati in così gran numero. Sembra probabile che anche la numerosa comunità ebraica di Cipro, al largo delle coste del Libano, abbia radici simili. In effetti, Michael Grant notò che già nel 6 d.C. un importante sobillatore ebreo coinvolto nell'agitazione anti-greca in Palestina portava il nome distintamente punico di Annibale.
 
Gli ebrei palestinesi non avevano alcuna tradizione marinara né alcuna storia di colonizzazione e non furono mai conosciuti come mercanti, e la loro caratteristica più notevole era il fanatismo religioso e le violente ribellioni che regolarmente ispirava. Ma al tempo del primo Impero Romano, troviamo enormi popolazioni ebraiche nelle città e nelle isole commerciali costiere, con Giuseppe Flavio che afferma (probabilmente esagerando) che 500.000 ebrei vivevano in Cirenaica, sulla costa libica, non lontano dalla distrutta Cartagine. Quanto è plausibile che i contadini della Giudea possano essere emigrati in tutte quelle località lontane in così gran numero, o che siano diventati improvvisamente mercanti e commercianti di successo come molti di questi ebrei sembravano essere?
 
Al di fuori del Medio Oriente, le regioni che in seguito divennero centri di grandi popolazioni ebraiche furono la Spagna e porzioni della costa nordafricana, che erano state entrambe territorio cartaginese, uno schema molto suggestivo. E anche se la popolazione ebraica dell'Impero Romano crebbe e divenne un argomento di discussione crescente nelle storie di quell'epoca, qualsiasi menzione dei Fenici o dei Cartaginesi residui divenne sempre meno frequente, con queste due tendenze storiche forse collegate.
 
Inoltre, la conversione al giudaismo richiedeva la circoncisione degli adulti, un intervento molto doloroso e talvolta pericoloso che fungeva da grande deterrente per i potenziali aderenti e, rinunciando a tale requisito, il cristianesimo fu in grado di ingrossare notevolmente i suoi ranghi di convertiti gentili. Ma Erodoto e alcune altre fonti antiche affermavano che i Fenici già praticavano la circoncisione, il che avrebbe reso loro molto più facile diventare ebrei.
 
Le città dei Fenici erano situate nell'attuale Libano e gran parte della popolazione di quel paese sono i loro diretti discendenti. Per secoli, i Libanesi, sia che vivessero in patria che nella loro lontana diaspora, sono stati generalmente considerati come alcuni degli uomini d'affari e commercianti più astuti del mondo, riflettendo sicuramente l'eredità fenicia e le sue tradizioni durature. Ma sebbene gli ebrei della Giudea non abbiano mai avuto una tale reputazione, gli ebrei sefarditi e ashkenaziti certamente l’hanno avuta, suggerendo ulteriormente che le loro vere origini risalgano a un diverso popolo semitico.
 
Sand ha dedicato alcune pagine alla possibilità di convertiti ebrei tra Fenici e Cartaginesi, ma non è riuscito a dare alla questione l'importanza che meritava, dedicando invece molto più spazio alla molto meno plausibile discendenza cazara degli ebrei europei. In effetti, il tema è stato trattato tanto brevemente, che esso non è stato nemmeno menzionato nella lunga pagina di Wikipedia dedicata al suo libro né in nessuna delle recensioni che ho letto. E sebbene Sand abbia citato un’opera francese del 1962 che aveva brevemente affermato questa possibilità, non ho mai visto l’ipotesi menzionata da nessuna parte tra gli scrittori moderni. Ad esempio, l'acclamato bestseller del 1987 di Paul Johnson, A History of the Jewish, è lungo più di 650 pagine, ma né “fenicio” né “cartaginese” compaiono da nessuna parte nel suo indice.
 
Anche se non sembra esserci alcuna indicazione che questa teoria sull'origine sia mai circolata all'interno della comunità ebraica, una forte simpatia per gli altri popoli semitici è stata abbastanza comune al loro interno. Per duemila anni, gli ebrei hanno considerato i Romani come il loro nemico più odiato, la nazione straniera che li ha conquistati e oppressi, ha brutalmente represso le loro ripetute rivolte e ha demolito il loro Secondo Tempio, il santuario centrale della loro religione. Ma più di un secolo prima di conquistare Gerusalemme, la stessa Roma era stata quasi distrutta da Cartagine durante la seconda guerra punica, quindi nel corso della storia molti ebrei hanno ammirato molto quell’impero semitico affine. Nel corso di quella guerra, i Cartaginesi erano stati guidati da Annibale, generalmente considerato uno dei comandanti militari più brillanti della storia, che distrusse ripetutamente eserciti romani di gran lunga superiori prima che il peso delle loro maggiori risorse finalmente lo sopraffacesse. Annibale in seguito fuggì all'estero, offrendo i suoi servizi a tutti i nemici di Roma, e molti anni dopo, quando stava per cadere nelle mani dei Romani, scelse il suicidio con il veleno piuttosto che la prigionia, spiegando così il nome della controversa “Direttiva Annibale” del governo israeliano. Per ragioni correlate, Sigmund Freud spiegò che come ebreo aveva sempre considerato Annibale uno dei suoi eroi personali.
 
Quindi, a meno che i moderni test del DNA non siano diventati sufficientemente precisi da distinguere la genetica degli antichi Giudei da quella dei loro stretti cugini Fenici, penso che quest’ultimo gruppo dovrebbe essere trattato come uno dei principali candidati per la vera origine degli ebrei moderni, compresi sia i sefarditi della Spagna che la linea maschile degli Askenazi dell'Europa orientale.
 
Vorrei potermi prendere il merito personale di questa ipotesi audace e apparentemente persuasiva che risolve molti enigmi diversi, ma non posso. Quasi cinquant'anni fa mi è capitato di leggere The Outline of History, la travolgente storia del mondo del 1920 del poliedrico britannico HG Wells, la cui narrazione si estende dalle origini della vita alla fine della guerra mondiale, e in cui ha dedicato un paio di paragrafi nelle sue 1.200 pagine per presentare esattamente questa teoria delle origini ebraiche, che considerava così plausibile da essere quasi evidentemente vera. All'epoca trovai la sua ipotesi abbastanza convincente e sono sempre rimasto sorpreso dal fatto che nessun altro sembra averla mai ripresa nei cento anni trascorsi da quando fu proposta per la prima volta.
 
 
John Beaty e i segreti dell'intelligence militare statunitense
 
Ai suoi tempi Wells era considerato uno dei più importanti intellettuali del mondo e in un libro da lui pubblicato più di un secolo fa, abbozzò brevemente una teoria sulle origini ebraiche che sembra di gran lunga superiore a qualsiasi cosa successivamente proposta da altri ricercatori, una teoria che dovrebbe essere ripresa. A volte i vecchi libri contengono perle di saggezza mancanti nelle pubblicazioni più recenti.
 
Certo, il fatto che gli ebrei di oggi facciano risalire i loro antenati agli antichi Giudei oppure a un diverso popolo semitico, strettamente imparentato, che visse poche decine di miglia a nord e si convertì al giudaismo duemila anni fa non sembra certo di enorme importanza. Ma il contenuto di altri libri vecchi e dimenticati può contenere materiale molto più rilevante per le controversie attuali.
 
Ad esempio, il lavoro del Prof. John Beaty che ha prodotto questo articolo merita una considerazione molto seria, soprattutto se riconosciamo che la principale critica al suo testo del 1951 – la sua adesione all’ipotesi cazara molti decenni prima che gli studi sul DNA la sfatassero – era completamente tendenzioso e ingiusto. Le credenziali accademiche e di sicurezza nazionale estremamente forti di Beaty conferiscono un peso considerevole a tutta la sua analisi degli eventi politici a cui lui stesso aveva assistito.
 
Sebbene gran parte del libro di Beaty sia piuttosto controverso, i feroci recenti attacchi alla sua credibilità che hanno sollecitato la mia indagine sulle origini ebraiche sono stati innescati quando ho citato una sua riflessione su un importante evento storico:
 
 
Beaty denunciava altrettanto vivamente l’appoggio USA al nuovo Stato di Israele, che ci costava potenzialmente l’ostilità di milioni di musulmani e di arabi. E, en passant, criticava anche gli Israeliani per avere continuato a sostenere che Hitler avesse ucciso sei milioni di ebrei, un’accusa assolutamente inverosimile che non aveva alcun fondamento apparente nella realtà e sembrava molto di più una bufala messa in giro dagli ebrei e dai comunisti, per avvelenare le nostre relazioni con la Germania del dopo-guerra e per sottrarre al popolo tedesco che soffriva già da lungo tempo soldi da versare allo Stato ebraico.
 
Denunciava anche il processo di Norimberga, che bollava come una «pesante macchia indelebile» per gli USA e una «parodia di giustizia». Secondo lui era stato gestito da ebrei tedeschi vendicativi, molti dei quali avevano falsificato le testimonianze. Di conseguenza, questo «fetido fiasco» aveva solo insegnato ai Tedeschi che «il nostro governo non possedeva alcun senso della giustizia». Il senatore Robert Taft, leader repubblicano dell’immediato dopo-guerra, aveva una posizione assai simile, cosa che gli valse poi l’elogio di John F. Kennedy in Profiles in Courage. Il fatto che il procuratore capo sovietico di Norimberga avesse svolto lo stesso ruolo nei famosi processi staliniani della fine degli anni 1930, durante i quali molti ex bolscevichi avevano confessato un mucchio di cose assurde e ridicole, non ha per nulla rafforzato la credibilità di quel processo agli occhi di molti osservatori.
 
 
Così scopriamo che, solo pochi anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, un accademico affermato, il cui ruolo in tempo di guerra gli aveva fornito la migliore conoscenza possibile delle informazioni acquisite dell’intelligence USA, ridicolizzò con disinvoltura l’Olocausto come propaganda di guerra disonesta, una frode già abbandonata da quasi tutti nel mondo ad eccezione delle emittenti governative israeliane. Inoltre, sebbene il suo bestseller conservatore del 1951 abbia provocato un’ondata di feroci attacchi e denunce da parte dell’ADL e di numerosi altri oppositori, nessuno di questi critici ha mai contestato la sua esplicita negazione dell’Olocausto. In effetti, per quanto ne so, il disprezzo o la negazione di Beaty del presunto Olocausto sembra essere stato quasi universale tra i principali giornalisti, accademici e personaggi pubblici occidentali durante la fine degli anni Quaranta e Cinquanta.
 
Ad esempio, negli anni '70 il Prof. Robert Faurisson divenne uno dei principali negazionisti francesi dell'Olocausto, e alcuni anni fa segnalò qualcosa di estremamente interessante:
 
Tre delle opere tra le più conosciute sulla Seconda Guerra mondiale sono: Crusade in Europe del generale Eisenhower (New York : Doubleday[Country Life Press], 1948), The Second World War di Winston Churchill (Londres : Cassell, 6 vol., 1948-1954) e les Mémoires de guerre du général de Gaulle (Paris : Plon, 3 vol., 1954-1959). In nessuna delle tre si fa la minima menzione delle camere a gas naziste.
 
Crusade in Europe di Eisenhower è un libro di 559 pagine ; i sei volumi di The Second World War di Churchill totalizzano 4 448 pagine ; e le Memorie di guerra in tre volumi di De Gaulle contano 2 054 pagine. In questa massa di scritti, che giunge ad un totale di 7 061 pagine (senza contare le parti introduttive), pubblicate tra il 1948 e il 1959, non si trova alcuna menzione delle «camere a gas naziste», di un «genocidio» degli ebrei, né dei «sei milioni» di vittime ebree della guerra.
 
 
Recentemente ho analizzato questo sorprendente silenzio:
 
 
Come ha sottolineato Faurisson, negli anni 1948-1959 Eisenhower, Churchill e de Gaulle pubblicarono le loro memorie, per un totale di più di 7.000 pagine. Questi individui furono i più grandi eroi vittoriosi della Seconda Guerra Mondiale e le imponenti opere che pubblicarono avevano lo scopo di fissare permanentemente il loro posto nella storia, non solo per i prossimi anni, ma per molti decenni e persino secoli a venire.
 
Gli studiosi tradizionali dell'Olocausto hanno ragionevolmente sostenuto che l'evento da loro studiato è stato probabilmente il più grande crimine mai commesso nella storia del mondo, il rapido sterminio di sei milioni di vittime innocenti da parte di uno dei paesi più istruiti del mondo utilizzando mezzi scientifici diabolicamente avanzati.
 
Quei tre leader avevano guidato la campagna globale per sconfiggere il paese responsabile dell’Olocausto, avvenuto solo circa dieci anni prima.
 
Eppure nessuno, leggendo quelle 7.000 pagine di testo, sospetterebbe mai che vi sia stato un Olocausto. Come si può spiegare ciò con la narrazione storica standard?
 
La mia spiegazione contraria è molto semplice. Tutti e tre questi massimi leader sapevano perfettamente che l’Olocausto era semplicemente una bufala, un ridicolo miscuglio di propaganda di guerra. Erano sicuri che nel giro di altri cinque o dieci anni, venti al massimo, la bufala dell’Olocausto sarebbe stata completamente sfatata e universalmente riconosciuta come assurda, proprio come era successo con le bufale delle atrocità della Prima Guerra Mondiale. Quindi credevano che se ne avessero parlato nei loro libri, sarebbero stati ridicolizzati all’infinito dalle generazioni future, e volevano evitare quel destino imbarazzante.
 
 
Anche i voluminosi diari pubblicati postumi del generale George Patton e di James Forrestal, il nostro primo Segretario alla Difesa, non contengono alcuna indicazione che si sia verificato un olocausto ebraico.
 
Nei decenni successivi, altre figure ben informate divennero molto più esplicite ed enfatiche nel loro disprezzo dell’Olocausto.
 
Consideriamo il caso del Prof. Revilo Oliver, un classicista di estrema destra ma erudito che era stato uno dei colleghi di Beaty in tempo di guerra. Oliver aveva diretto un gruppo di ricerca segreto presso il Dipartimento di Guerra, guidando uno staff che alla fine arrivò a 175 persone, e in seguito ricevette degli encomi per il suo eccezionale servizio governativo. Le sue preoccupazioni sulla minaccia interna alla società statunitense rispecchiavano quelle di Beaty, ed era amico del professore di Yale Wilmoore Kendall, una figura conservatrice di spicco che incoraggiò William F. Buckley, Jr. e L. Brent Bozell, due dei suoi giovani protetti, a fondare la National Review nel 1955, con Oliver che divenne uno dei primi collaboratori principali. Alcuni anni dopo, Oliver divenne anche membro fondatore della conservatrice John Birch Society e redattore della sua rivista mensile, American Opinion.
 
Data questa combinazione di lavoro di intelligence in tempo di guerra e attivismo politico del dopoguerra, le memorie di Oliver del 1981 fornirono una grande quantità di materiale importante. Era un uomo dalle parole dure e, proprio come Beaty, denunciò i tribunali di Norimberga, che secondo lui avevano portato una vergogna eterna sul suo stesso paese:
 
 
Naturalmente sono rimasto profondamente scioccato dagli efferati omicidi di Norimberga che hanno procurato al popolo statunitense una vergogna indelebile. I selvaggi e i barbari orientali normalmente uccidono, con o senza tortura, i nemici che hanno sconfitto, ma nemmeno loro scendono così in basso nella scala dell’umanità da compiere l’oscena farsa di tenere processi quasi giudiziari prima di uccidere, e c’erano gli Statunitensi – poiché, dato il loro potere assoluto, la responsabilità deve ricadere su di loro, e la loro colpa non può essere scaricata sui loro presunti alleati – se gli Statunitensi, dico io, si fossero limitati a massacrare i generali tedeschi, avrebbero potuto affermare di essere moralmente non peggiori di Apache, Baluba e altri primitivi. I popoli civilizzati risparmiano la vita dei vinti, mostrando ai loro leader una rispettosa considerazione, e gli istinti più profondi della nostra razza esigono una cortesia cavalleresca verso gli avversari coraggiosi che le fortune della guerra hanno messo in nostro potere.
 
Punire i soldati che, contro probabilità schiaccianti, combatterono per il loro paese con un coraggio e una determinazione che suscitavano la meraviglia del mondo, e ucciderli deliberatamente perché non erano codardi e traditori, perché non tradivano la loro nazione: questo è un atto di viltà di cui a lungo abbiamo creduto che la nostra razza fosse incapace. E per aumentare l’infamia del nostro atto, li abbiamo bollati come “criminali di guerra” cosa che certamente non erano, perché se quella frase ha un significato, si applica ai traditori che coinvolgono consapevolmente le loro nazioni in una guerra architettata per infliggere perdite, sofferenze, e la morte del proprio popolo, costretto così a combattere per la propria effettiva sconfitta: traditori come Churchill, Roosevelt e i loro complici bianchi. E per aggiungere un'ultima oscenità al crimine sadico, si tennero “processi” per condannare i vinti secondo “leggi” inventate allo scopo, e sulla base di false testimonianze estorte ai prigionieri di guerra con la tortura.
 
 
Allo stesso modo Oliver ha ridicolizzato il presunto Olocausto definendolo una bufala assurda ed evidente:
 
 
Gli Statunitensi… urlavano di indignazione per il presunto sterminio da parte dei Tedeschi di alcuni milioni di ebrei, molti dei quali avevano colto l’occasione per strisciare negli Stati Uniti, e…si sarebbe potuto supporre nel 1945 che quando la bufala, ideata per incoraggiare masse di persone a venire dall’Europa, fosse stata smascherata, anche gli Statunitensi avrebbero provato una certa indignazione per essere stati così totalmente ingannati.
 
Una pronta denuncia della dannata truffa sembrava inevitabile, soprattutto perché gli agenti dell'OSS, comunemente noto negli ambienti militari come Ufficio dei tirapiedi sovietici, che erano stati inviati nella Germania conquistata per installare camere a gas e dare una certa verosimiglianza alla bufala, erano stati così pigri e inetti che si erano limitati a spedire foto dei bagni con doccia, così assurde che dovettero essere soppresse per evitare il ridicolo. Nessuno avrebbe potuto credere nel 1945 che la menzogna sarebbe stata usata per estorcere trenta miliardi di dollari agli indifesi Tedeschi e che sarebbe stata conficcata nella mente dei bambini tedeschi da rozzi “educatori” statunitensi – o che gli uomini civili avrebbero dovuto aspettare fino al 1950 che Paul Rassinier, egli stesso prigioniero in un campo di concentramento tedesco, contestasse l'infame menzogna, o fino al 1976 per la confutazione dettagliata ed esauriente del professor Arthur Butz del velenoso inganno della credulità ariana.
 
 
Oliver e Beaty non erano certo i soli a esprimere il loro punto di vista su questi importanti eventi storici. Il Prof. Joseph Bendersky è stato redattore del Journal of Holocaust Studies e nel 2000 ha attinto ai suoi molti anni di ricerca d'archivio per pubblicare un lungo libro sui sentimenti antisemiti dell'intero staff dell'intelligence militare durante il ventesimo secolo, ivi compresa la Seconda Guerra Mondiale. L'ho letto diversi anni fa e ho descritto alcune delle mie conclusioni in un lungo articolo del 2019:
 
 
Il perentorio rigetto da parte di Oliver della narrativa standard dell'Olocausto mi ha portato a dare un'occhiata più da vicino a come il medesimo argomento era stato trattato nel libro di Bendersky, e ho notato qualcosa di abbastanza strano. Come detto in precedenza, la sua approfondita ricerca nei fascicoli ufficiali e negli archivi personali ha stabilito in modo conclusivo che durante la Seconda Guerra Mondiale una parte considerevole di tutti i nostri ufficiali dell’intelligence militare e degli alti generali erano veementemente ostili alle organizzazioni ebraiche e avevano anche convinzioni che oggi sarebbero considerate del tutto deliranti. La specialità accademica dell'autore sono gli studi sull'Olocausto, quindi non sorprende che il suo capitolo più lungo si concentri su quel particolare argomento, portando il titolo "Ufficiali e l'Olocausto, 1940-1945". Ma un esame attento dei contenuti solleva alcune domande preoccupanti.
 
In più di sessanta pagine, Bendersky fornisce centinaia di citazioni dirette, per lo più degli stessi ufficiali di cui parla nel resto del suo libro. Ma dopo aver letto attentamente il capitolo due volte, non sono riuscito a trovare una sola di quelle affermazioni che si riferisse a quel massacro di ebrei che comunemente chiamiamo Olocausto, né a nessuno dei suoi elementi centrali, come l’esistenza dei campi di sterminio. o camere a gas.
 
Il capitolo di quaranta pagine che segue si concentra sulla difficile situazione degli ebrei “sopravvissuti” nell’Europa del dopoguerra, e si ritrova lo stesso silenzio assoluto. Bendersky è disgustato dai sentimenti crudeli espressi da questi militari statunitensi nei confronti degli ex detenuti ebrei del campo, e spesso li cita quando bollano questi ebrei come ladri, bugiardi e criminali; ma gli ufficiali sembrano stranamente inconsapevoli del fatto che quelle sfortunate anime erano appena sfuggite a una campagna organizzata di sterminio di massa che aveva recentemente causato la morte della stragrande maggioranza dei loro compagni. Vengono fornite numerose dichiarazioni e citazioni riguardanti lo sterminio ebraico, ma tutte provengono da vari attivisti e organizzazioni ebraiche, mentre non c'è altro che silenzio da parte di tutti gli stessi ufficiali militari.
 
I dieci anni di ricerche d'archivio di Bendersky hanno portato alla luce lettere personali e memorie di ufficiali militari scritte decenni dopo la fine della guerra, e in entrambi i capitoli Bendersky cita liberamente questi materiali inestimabili, a volte includendo osservazioni private della fine degli anni '70, molto tempo dopo la fine della guerra. L’Olocausto era diventato un argomento importante nella vita pubblica statunitense. Eppure non viene fornita una sola dichiarazione di tristezza, rammarico o orrore. Così, un eminente storico dell’Olocausto ha lavorato per un decennio alla stesura di un libro sulle opinioni private dei nostri ufficiali militari nei confronti degli ebrei e su argomenti ebraici, ma le cento pagine che dedica all’Olocausto e alle sue conseguenze immediate non contengono una sola citazione direttamente rilevante di quegli individui, il che è semplicemente sorprendente. Al centro del suo lungo volume storico sembra esistere un abisso spalancato o, in altre parole, un silenzio assordante.
 
Non sono un ricercatore d'archivio e non ho alcun interesse a rivedere quelle molte decine di migliaia di pagine sparse in dozzine di archivi che Bendersky ha esaminato così diligentemente per scrivere il suo importante libro. Forse, durante tutta la loro attività in tempo di guerra e anche nei decenni della loro vita successiva, nessuno dei cento e più importanti ufficiali militari su cui ha indagato ha mai affrontato il tema dell'Olocausto o del massacro degli ebrei durante la guerra mondiale. II. Ma penso che ci sia un’altra possibilità concreta.
 
Come accennato in precedenza, Beaty trascorse i suoi anni di guerra esaminando attentamente tutte le informazioni di intelligence in arrivo ogni giorno e poi producendo un riassunto ufficiale da distribuire alla Casa Bianca e agli altri massimi leader. E nel suo libro del 1951, pubblicato solo pochi anni dopo la fine dei combattimenti, liquidò il presunto Olocausto come una ridicola invenzione del tempo di guerra da parte di disonesti propagandisti ebrei e comunisti che non aveva alcun fondamento nella realtà. Subito dopo, il libro di Beaty fu pienamente approvato e promosso da molti dei nostri più importanti generali della Seconda Guerra Mondiale, compresi quelli su cui poi ha indagato Bendersky. E, sebbene l’ADL e varie altre organizzazioni ebraiche abbiano denunciato ferocemente Beaty, non vi è alcun segno che abbiano mai contestato la sua assolutamente esplicita “negazione dell’Olocausto”.
 
Ho il sospetto che Bendersky abbia gradualmente scoperto che tale “negazione dell’Olocausto” era straordinariamente diffusa tra gli ufficiali dell’intelligence militare e tra i massimi generali, il che lo ha posto di fronte a un serio dilemma. Se fossero stati solo uno o due a negare l’Olocausto, le loro scioccanti dichiarazioni avrebbero potuto essere ascritte a delirante antisemitismo. Ma cosa pensare del fatto che una sostanziale maggioranza di quegli ufficiali – che certamente possedevano la migliore conoscenza della realtà della Seconda Guerra Mondiale – avevano convinzioni private molto simili a quelle espresse pubblicamente dai loro ex colleghi Beaty e Oliver? In una situazione del genere, Bendersky potrebbe aver deciso di lasciare una serie di porte chiuse, ed ha evitato del tutto di trattare quell’argomento.
 
 
Pertanto, piuttosto che isolate, le opinioni di Beaty e Oliver sembrano essere abbastanza rappresentative di quanto pensava la maggior parte dei professionisti dell’intelligence militare, sia durante che dopo la Seconda Guerra Mondiale. E una volta riconosciuto che gli individui con la migliore conoscenza degli eventi bellici consideravano il processo di Norimberga come un’assoluta parodia della giustizia e l’Olocausto come una ridicola bufala propagandistica, ne derivano enormi potenziali implicazioni per il nostro mondo odierno.
 
 
 
 
Sabato era la Giornata internazionale della memoria dell'Olocausto e il New York Times ha pubblicato un importante articolo sulle grandi manifestazioni pubbliche tenutesi in Germania per celebrarla. Per tre generazioni, il peso di quell’enorme eredità di colpa storica ha pervaso tutti gli aspetti della politica tedesca, spiegando l’enorme, quasi illimitato, livello di sostegno fornito agli ebrei dello Stato di Israele. Quale esempio più recente, la Germania ha vietato come “incitamento antisemita” l’attivismo filo-palestinese e le proteste pubbliche contro il devastante bombardamento israeliano di Gaza, che ha già ucciso decine di migliaia di civili indifesi, soprattutto donne e bambini. La Germania è rimasta uno dei più forti sostenitori di Israele in Europa.
 
E sebbene gli Stati Uniti abbiano combattuto sul fronte opposto della Seconda Guerra Mondiale, la situazione politica nel nostro Paese non è poi così diversa. La presunta colpa degli USA di aver consentito l'Olocausto è diventata un elemento importante della nostra vita politica, fungendo da potente argomento retorico per giustificare il nostro incrollabile sostegno a Israele. Questo sostegno è rimasto costante nonostante il massiccio massacro dei Palestinesi da parte di Israele, un massacro così grave che la Corte Internazionale di Giustizia ha stabilito a stragrande maggioranza che costituisce un potenziale genocidio.
 
La codardia morale non è certamente qualcosa di insolito, quindi non dovremmo sorprenderci che solo pochi individui siano disposti a rischiare il disprezzo pubblico parlando apertamente di alcune questioni importanti, anche se sono questioni di vita o di morte. Ma penso che tutti, a questo punto, dovrebbero riconsiderare attentamente la scelta personale che hanno fatto finora.
 
 
 
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