La sfortuna del fabbro 
Nicola Quatrano

Mentre siamo in riunione nella sede di SOS Esclave, entra nella stanza un uomo minuto, con una barba crespa e mal curata, ma dalla faccia simpatica. Si siede, avvolto nel suo daraa, e chiede la parola. Si chiama Checkh Badi, vuole denunciare le discriminazioni di cui è vittima la comunità cui appartiene, quella dei Sounaa (i fabbri). Vuole che le associazioni e le istituzioni internazionali sappiano che sono dei paria, trattati peggio degli schiavi.

In origine – dice – quello dei fabbri era solo un mestiere, col tempo è diventata una vera e propria casta, perché sono mal visti, disprezzati e, dunque, obbligati a sposarsi tra di loro.
Hanno le stesse origini – tiene a precisare – di coloro che li disprezzano, ma per esempio un Sounaa non può presentarsi alle elezioni, e non certo perché sia vietato dalla legge. Lui milita da anni in un partito islamista progressista, ma nessuno è disposto a candidarlo.

“E perché tutto questo?” Domando sconcertato.

La risposta è ancora più sconcertante: perché in Mauritania i Sounaa sono considerati iettatori.
Proprio così! Guai a incontrarne uno al levare del sole o al tramonto… non si sa che cosa può succedere, ma certamente qualcosa di brutto.

Nessuno sposerebbe un Sounaa, nessuno lo accetterebbe come capo, nessuno lo eleggerebbe alle elezioni, perfino gli schiavi li disprezzano.
L’unico modo di essere accettato, per un Sounaa, è quello di far ridere. Gli si attribuisce questa funzione sociale; se ne è capace viene tollerato, perfino ricercato. In caso contrario si dice che non è un bravo Sounaa.

L’ovvia domanda sulle origini di questa strana forma di stigmatizzazione sociale non trova precisa risposta. Qualcuno azzarda, con delle buoni ragioni, che nasce dal disprezzo per il lavoro manuale tipico delle tribù dominanti arabo-berbere. Per esempio anche i pescatori sono assai malvisti in Mauritania. Sul perché proprio i fabbri debbano portare iella, c’è chi dice che probabilmente ciò è dovuto al carattere relativamente moderno di questo mestiere. Ciò che è possibile in una cultura così radicalmente schiava delle tradizioni.

Oramai i Sounaa sono diventati una casta. Ce ne sono tanti che non esercitano affatto il  mestiere di fabbro, ci sono degli intellettuali, dei professori, ma tutti sono Sounaa, come tali disprezzati. La contraddizione vuole poi che vi siano dei Sounaa che posseggono degli schiavi.

Domando a Chech Badi come può riconoscersi un Sounaa, visto che spesso  esercita un’altra professione.
Mi risponde che la Mauritania è un piccolo paese di appena tre milioni di abitanti. Le tribù e le comunità si conoscono. Basta informarsi sul nome della famiglia e ognuno può riconoscere un Sounaa. C’è qualcuno che, nel tentativo di mimetizzarsi, è giunto a cambiare città, ma è durato poco: nel giro di qualche mese tutti lo avevano individuato.

Poi ci sono le storie… Dicono che un Sounaa lo riconosci per come cammina, perché avanza col piede sinistro.

Mi viene un dubbio, mi alzo e comincio a camminare… il primo a muoversi è stato il piede sinistro.
Sarà bene che mi controlli un po’. 

 

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