Crisi Siriana
Guerra vera e mediatica contro Aleppo, in Siria
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Crisi siriana, maggio 2016 - E’ in corso una campagna propagandistica a proposito della battaglia di Aleppo. I terroristi vengono dipinti come “Combattenti della libertà” (Nella foto, un quartier di Aleppo devastato dalla guerra)
Le saker francophone, 1° maggio 2016 (trad. ossin)
Tre articoli di informazione e testimonianza dal fronte
Guerra vera e mediatica contro Aleppo, in Siria
La verità nascosta è che gli USA e i suoi alleati sostengono Al Qaeda
Tim Anderson
E’ in corso una campagna propagandistica a proposito della battaglia di Aleppo. I terroristi vengono dipinti come “Combattenti della libertà”
E’ in corso una campagna propagandistica a proposito della battaglia strategica di Aleppo tra – da una parte – l’esercito siriano e i suoi alleati (Russia, Iran e Hezbollah) e – dall’altra parte – l’Arabia Saudita, la Turchia e la NATO che appoggiano i gruppi terroristi “Fronte Al Nusra”, “Jaysh al Islam”, “Ahrar El Sham” e “ISIS”.
I combattimenti si sono intensificati a fine aprile, quando i gruppi armati hanno inviato centinaia di mortai ad Aleppo, la seconda città della Siria, e l’esercito siriano ha risposto con un’offensiva molto auspicata (dagli abitanti)
I media occidentali adesso affermano che gli abitanti di Aleppo sono minacciati dall’esercito siriano, mentre le fonti siriane mostrano dei civili, sotto costante attacco dei mortai, chiedere che l’esercito espella tutti i terroristi.
Il Fronte al-Nosra appoggiato da Stati Uniti, NATO e Israele
Nel tentativo di rivendicare una superiorità morale, Washington si serve di ONG vicine alle milizie per confermare la bugia che l’esercito siriano non faccia altro se non attaccare i civili.
In primo piano tra queste ONG figura The White Helmets, alias “Difesa civile siriana”, che è diventata la fonte principale delle accuse, affermando che gli aerei siriani e russi prendono di mira gli ospedali.
Di fatto The White Helmets, che pretende di essere indipendente, è una creatura di Wall Street, diretto dall’ex soldato britannico James le Mesurier, co-finanziato dal governo statunitense e incorporato nell’organizzazione terrorista al-Nusra, gruppo considerato terrorista dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Ogni attacco contro al-Nusra viene quindi presentato come un attacco contro dei civili o delle cliniche, o contro gli operatori del Pronto Soccorso. La stessa cosa vale per Médecin sans frontières (MSF), che finanzia gli ospedali di al-Nusra (per lo più senza volontari stranieri) in molti territori controllati dai terroristi.
Questi rapporti, compresa la partecipazione ad esecuzioni settarie, vengono esattamente evidenziati in un recente cortometraggio «The White Helmets - al Qaeda with a facelift», da Steve EZZEDDINE :
Le informazioni generali su The White Helmets si trovano in una serie di articoli della giornalista investigativa Vanessa Beeley, “I Caschi Bianchi, un nuovo tipo di mercenari e propagandisti” (settembre 2015) in 21St Century Wire.
Le contraddizioni tra la politica ufficiale e le pratiche degli Stati Uniti sono state recentemente messe in evidenza quando il capo siriano dei Caschi Bianchi, Raed Saleh, è andato negli Stati Uniti per ricevere un premio umanitario, ma si è visto negare il permesso di entrare sul suolo statunitense ed è stato respinto a Istanbul. La ragione probabile sta nelle note collusioni tra Saleh e il Fronte al-Nusra.
Il capo dell’esercito, il generale statunitense Martin Dempsey e il vice-presidente Joe Biden ammisero nel 2014 che alcuni fedeli alleati degli Stati Uniti (l’Arabia Saudita, la Turchia e il Qatar) finanziavano ISIS, e altri gruppi armati, nel tentativo di rovesciare il presidente siriano Bachar el Assad
Testimonianza del dottor Nabil Antaki, residente ad Aleppo
Nabil Antaki, 30 aprile 2016 – Intervista di Silvia Cattori
Abbiamo chiesto al dr. Nabil Antaki se le informazioni divulgate nell’ultima settimana nei paesi francofoni sulla situazione di Aleppo corrispondano a quello che egli constata sul campo. Ecco la risposta
A proposito degli ultimi avvenimenti, constato che i media continuano a mentire per omissione. Fin da quando ad Aleppo è cominciata la guerra, quattro anni fa, essi non riportano i fatti nella loro integralità.
Aleppo viene bombardata tutti i giorni, dal 2012, da gruppi terroristici che provocano morti e feriti. Nessuno se ne è mai preoccupato, se non per felicitarsi del “buon lavoro che svolgono” (allusione alla dichiarazione di Laurent Fabius, a proposito delle stragi perpetrate dai gruppi terroristi in Siria, ndt). E’ tempo che l’Occidente si svegli e la smetta di aiutare questi terroristi.
Noi qui ad Aleppo siamo disgustati dalla mancanza di imparzialità e obiettività dei media. Essi parlano solo delle sofferenze e delle perdite umane nella zona est della città, controllata da al-Nusra affiliata d Al Qaeda, che continuano a definire “ribelli”, che è un modo di renderli rispettabili. E restano muti sulle perdite e le sofferenze sopportate quotidianamente nei nostri quartieri di Aleppo ovest, provocate dai lanci di obici da parte dei terroristi. E non parlano nemmeno dei blocchi e dei tagli totali di acqua ed elettricità che ci infliggono.
I media non hanno detto niente dei continui bombardamenti e dei massacri che si sono perpetrati nell’ultima settimana nella parte ovest della città (dove abita il dr. Nabil), dove non c’è nessun quartiere che sia stato risparmiato e dove si registrano ogni giorno decine di morti. Queste omissioni sono tanto più rivoltanti, se si pensi che questi quartieri costituiscono il 75% della superficie di Aleppo e contano 1,5 milioni di abitanti – contro i 300.000 della parte est occupata dai terroristi.
Queste informazioni parziali lasciano credere che i gruppi terroristi che ci attaccano siano le vittime. Peggio, i media hanno manipolato il nostro appello “SALVARE ALEPPO”, lasciando credere che esso chiedesse la cessazione delle ostilità da parte delle “forze di Assad”. Ed è falso. D’altronde non ci sono “forze di Assad”: ci sono le forze dell’esercito regolare siriano che difende lo Stato siriano.
Questi media avrebbero almeno potuto avere la decenza di menzionare i massacri causati dai bombardamenti dei terroristi che hanno provocato molti morti. Cosa che è accaduta anche ieri, venerdì, con 15 morti e 50 feriti tra i civili. Gli attacchi e le perdite che noi subiamo vengono presentati in modo da lasciare i lettori nell’incertezza quanto ai veri responsabili di questi crimini.
Da tre giorni i media accusano il “regime di Assad” e i Russi di avere bombardato e distrutto un ospedale gestito dalla ONG Médecin sans frontières nell’est della città. Dicono che in questo bombardamento sarebbe rimasto ucciso “l’ultimo pediatra di Aleppo”. Noi abbiamo ancora molti pediatri ad Aleppo. Però questo dimostra che per i media conta sola la parte est occupata dai “ribelli” e che i ¾ della città, amministrati dalla Stato siriano, dove lavorano molti pediatri, non contano nulla.
L’ospedale menzionato non è presente nella lista degli ospedali siriani redatto prima della guerra dal Ministero della Salute. Dunque, seppure esiste,, esso è stato installato in qualche immobile durante la guerra (4). Io non credo che le forze governative oi l’aviazione russa bombardino deliberatamente un ospedale. Non è nel loro interesse.
Noi abbiamo constatato la medesima parzialità quando il più grande ospedale di Aleppo, Al Kindi, venne colpito dagli obici terroristi di al-Nusra, poi intenzionalmente incendiato nel 2013. I media non hanno prestato alcuna attenzione a questo atto criminale. Noi ci sentiamo nauseati da questa disinformazione permanente.
Aleppo in rovina: “Non può immaginare come era bella bella prima”
Tom Westcott
Gli abitanti della città sconvolta dalla guerra affermano di voler restare e battersi mentre il cessate-il-fuoco non regge
Nel suk storico di Aleppo sconvolta dalla guerra, la luce gioca attraverso alte finestre col fumo che le circonda, illuminando le volte annerite del soffitto e una foto incorniciata di Bachar el-Assad. Fumo e sporadici crepitii di AK-47, ecco tutto quel che resta dello scontro di strada avvenuto poco prima, quando le forze di opposizione hanno aperto il fuoco su una postazione dell’esercito governativo.
Da tre anni e mezzo, il suk, questa parte della città un tempo animatissima, sito iscritto al patrimonio mondiale dell’UNESCO, è teatro di scontri tra soldati governativi e forze di opposizione,
Il mercato coperto medioevale, le cui fondazioni risalgono a duemila anni prima della nostra era, è devastato dal conflitto. Gli ex negozi sono solo gusci carbonizzati; Le vetrine dei negozi sono state sventrate – le mercanzie distrutte spuntano tra le macerie – e le saracinesche metalliche sfondate sono piene di buchi.
Mahmoud Memay vendeva strumenti musicali tradizionali fatti a mano in tre magazzini. Sono stati tutti distrutti da incendi nel 2012. Partecipava regolarmente a fiere di artigianato in tutto il mondo, dove promuoveva i suoi strumenti in legno – ma, dopo tutta una vita di lavoro, gliene restano oramai non più di 20.
“Non avrei mai potuto immaginare di perdere tutto in un solo istante”, si lamenta scuotendo il capo Mahmoud, seduto dietro l’ultima bancarella ancora in funzione nel suk – un negozio di fortuna che offre cibi cotti da asporto. Si trova in un’arcata a volte chiuse, immersa nel silenzio e oscurata da strisce di tessuto inchiodate tra le colonne per proteggere i soldati dai tiratori scelti in agguato.
“Ho aperto questo chiosco all’inizio della guerra civile e, fino ad oggi, l’ho tenuto tutti i giorni”, ci confida.
“L’esercito siriano e l’Esercito siriano libero si scontrano proprio qui sopra, , nella strada principale, ma non ho mai abbassato le saracinesche”.
Nonostante sia stato ferito quattro volte da schegge di obici, tiene a dire che non se ne andrà mai; ha perfino rifiutato di approfittare di un visto di ingresso inviatogli dall’Inghilterra da suo fratello. “La maggior parte dei commercianti dotati di mezzi sono scappati dalla Siria o hanno aperto negozi altrove. Io ho dei soldi, ma amo troppo questo paese, soprattutto la città vecchia, quindi resto”, assicura.
Vende sigarette e sandwich e i suoi clienti – una quarantina al giorno – sono soprattutto soldati dell’esercito governativo (Esercito Arabo Siriano), più qualche membro delle 38 famiglie che non hanno voluto abbandonare le loro case nella città vecchia. Le donne si ostinano a stendere il bucato dai balconi, nonostante affaccino sulle strade costantemente minacciate dai cecchini.
Altre sono scappate verso quartieri più sicuri. Mohamed Mardini è uno dei 33.000 abitanti sfollati che occupano gli ex quartieri universitari nell’area recintata dell’Università di Aleppo, trasformati in centri di accoglienza per sfollati.
“Quando i terroristi hanno attaccato la regione, hanno cominciato col bruciare le case, per costringerci a scappare”, racconta. Come molti, non sa nulla di quel che resta della sua casa, posta in una zona ancora sotto controllo delle forze di opposizione.
Vicino agli edifici delle residenze universitarie, dove pendono da ogni balcone gli striscioni dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati (HCR), alcuni uomini si sono raggruppati davanti ad una bandiera siriana e al ritratto di un giovane soldato – Amar Seraj Ali, 24 anni – ucciso al fronte nella città di Deir Ezzor, controllata da ISIS, e offrono le loro condoglianze alla famiglia in lutto.
Gli abitanti ci dicono che queste cerimonie funebri sono assai frequenti, perché la maggior parte delle famiglie siriane ha perso qualcuno nel conflitto.
Il governo siriano non comunica il numero di morti, ma l’ONU ha calcolato l’anno scorso in 250.000 i morti nei cinque anni di conflitto. Tuttavia l’inviato speciale dell’ONU in Siria, Staffan de Mistura, ha dichiarato la settimana scorsa che il bilancio si aggirerebbe più verosimilmente intorno ai 400.000.
“Noi sacrifichiamo i nostri figli per il nostro paese. Riscatteremo la Siria a prezzo della nostra anima”, sussurra il padre di Amar, Mohamed Seraj Ali, 59 anni, la gola serrata dalle lacrime. “E’ nostro dovere difendere il nostro paese. Noi abbiamo un presidente eletto e gli accordiamo tutta la nostra fiducia”. Un altro figlio di Ali è rimasto disperso nel 2013.
La famiglia pensa sia stato rapito dalle forze di opposizione, perché era un funzionario dello Stato. “Penso che tutti dovrebbero lottare contro il terrorismo e ne sono io stesso talmente convinto che mi batterò fino a quando l’ultimo membro della mia famiglia sarà ancora vivo”, annuncia Ali.
La città vecchia rientra tra i quartieri di Aleppo nei quali il cessate-il-fuoco, negoziato in febbraio tra Russia e Stati Uniti per tutto il territorio siriano, si è dimostrato fragile. Entrambi i campi si accusano vicendevolmente di avere violato la tregua.
L’Esercito regolare approfitta di queste infrazioni del cessate-il-fuoco per proseguire l’offensiva contro le forze di opposizione riconosciute come organizzazioni terroriste dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, tra cui ISIS e il ramo siriano di Al Qaeda, il Fronte al-Nusra.
I militanti nei quartieri controllati dai ribelli, a est e a sud della città, hanno dichiarato la settimana scorsa che almeno 25 civili, per lo più civili, sono morti a causa degli attacchi aerei e delle bombe delle forze governative.
Dopo l’annuncio del cessate-il-fuoco, i combattimenti nella città vecchia si sono diradati. Ma quando il comandante aggiunto delle forze governative della regione, Dia Dayoub Abu George, ha parlato, ha definito questa tregua come innaturale, aggiungendo che l’Esercito Siriano si attendeva che “un’altra tempesta si scatenerà tra poco”.
Afferma che, se il 75% della città vecchia è sotto il controllo governativo dal 2013, gli attacchi delle forze di opposizione non sono mai cessati.
“I terroristi continuano a tentare di infiltrarsi, ma la nostra difesa è così solida che finiscono col battere sempre in ritirata”, dice Abu George. Percorrendo il labirinto delle stradine in rovina, spiega che le macerie di migliaia di stand un tempo allineati lungo i 13 chilometri del suk lo hanno trasformato in un complicato campo di battaglia.
“Il terreno presenta numerosi ostacoli. I terroristi nascono i loro uomini nelle boutique vuote e improvvisamente qualcuno di loro spunta da una porta e apre il fuoco”, racconta. “Abbiamo perso molti uomini qui; molti martiri hanno perso qui la loro vita”.
Agli attacchi aerei delle forze governative, si aggiungono gli obici tirati alla cieca dai ribelli. All’inizio del mese, un missile di fortuna – una bottiglia di gas attaccata a un tubo di mortaio – è caduto sul Consolato svizzero, abbandonato. Tra le macerie sparse davanti all’edificio, fiori primaverili spuntano su di un albero risparmiato dalle esplosioni e che si leva graziosamente tra due auto rovesciate.
Intorno a vecchie moschee con le cupole sfondate ed edifici crollati lungo la strada principale che attraversa il suk – attualmente chiuso da enormi protezioni anti-cecchini in lamiera ondulata – si ode il canto di uccelli che interrompe a intermittenza il crepitio delle fucilate.
“Le non immagina come questo luogo era bello un tempo”, ricorda con un profondo sospiro un ex residente. “Ci vorranno anni per ricostruire tutto”.