Dossier Tunisia: da Mohamed Bouazizi a Ridha Yahyaoui, il suicidio della “primavera”
 
La grande mobilitazione mediatica delle potenze occidentali per difendere la “differenza” tunisina dal caos e dai regimi autoritari dei paesi vicini è una pericolosa illusione. Serve soprattutto a far credere che la trincea contro l’avanzata jihadista si estende da Parigi a Tunisi. Quel che hanno a cuore i governi europei e i loro alleati non è la democrazia ma la stabilità di un governo condiviso tra destra laica e destra islamista. Un governo che, in nome della sacra lotta al terrorismo, sia pronto a giustificare le limitazioni dei diritti civili, un uso spregiudicato del tema “sicurezza” per trattare da crimini anche gli scioperi e le proteste sociali, e perfino la tortura, come non si è mai smesso di fare. Tutto il contrario di quello che la gente, e i giovani in particolare, avevano chiesto a gran voce tre anni fa, cioè del solo vero antidoto al fanatismo e al terrore (Santiago Alba Rico)
 
 
 
 
Mohamed Bouazizi e Ridha Yahyaoui
 

Venerdì 17 dicembre 2010, agli esordi della “Rivoluzione dei gelsomini”, un venditore ambulante di 26 anni, Mohamed Bouazizi, (nella foto) cui un vigile urbano aveva sequestrato la merce che vendeva senza autorizzazione, si dà fuoco per protesta e per disperazione davanti agli uffici della Prefettura di Sidi Bouzid. Morirà all’ospedale di Tunisi il 2 gennaio 2011. Il suo ultimo messaggio, affidato a Facebook, dice così:

 
Me ne vado, mamma, perdonami, i rimproveri sono inutili, mi sono perduto lungo un cammino che non riesco a controllare, perdonami se ti ho disobbedito, rivolgi i tuoi rimproveri alla nostra epoca, non a me, io me ne vado e la mia partenza è senza ritorno, io non ne posso più di piangere senza lacrime, i rimproveri sono inutili in quest’epoca crudele, su questa terra degli uomini, io sono stanco e non mi ricordo niente del passato, me ne vado chiedendomi se la partenza mi aiuterà a dimenticare. 
 
 
Il 17 gennaio 2016, a Kasserine, il giovane disoccupato Ridha Yahyaoui (nella foto sotto) muore folgorato sul palo della luce dove si era arrampicato, minacciando di suicidarsi, per essere stato arbitrariamente escluso dalla lista degli aventi diritto ad un posto di lavoro.
 
In mezzo a questi due avvenimenti, niente di meno che la “primavera” tunisina, la “rivoluzione dei giovani”, che ha abbattuto il governo corrotto di Ben Ali, ma che – dopo una disastrosa esperienza di governo dei Fratelli Mussulmani – ha portato oggi al governo l’anziano Beji Caid Essebsi (90 anni) – ex Ministro dell’Interno di Bourguiba, ex Presidente del Parlamento di Ben Alì – promotore di una politica interna non diversa da quella del suo predecessore, e di una politica estera pure (di recente ha appoggiato “l’iniziativa saudita a favore del dialogo nazionale in Yemen”: vale a dire, i bombardamenti sauditi contro la popolazione civile e il blocco del paese, che ha provocato un disastro umanitario).
 
Cronologia degli avvenimenti, dopo il suicidio di Bouzizi
 
La morte del giovane venditore ambulante dà un’accelerata alla spinta rivoluzionaria che, nei giorni immediatamente successivi, si fa  convulsa
 
17 dicembre 2010 – decine di commercianti e di giovani si uniscono alla famiglia di Bouazizi per manifestare la loro protesta. Durante il week-end le manifestazioni diventano più ampie; la polizia tenta di disperderle ma la situazione degenera: diversi agenti e manifestanti restano feriti, si operano degli arresti.
 
22 dicembre 2010 – un altro giovane, Houcine Neji, di 24 anni, si arrampica su un pilone dell’alta tensione gridando che non vuole “più miseria, più disoccupazione”. Mentre diverse persone lo supplicano di scendere, il giovane afferra i cavi morendo fulminato. Subito la rivolta riprende più violentemente e si estende alle città vicine di Merknassy e Menzel Bouzaiene. In quest’ultima i manifestanti incendiano il municipio e assediano i locali della Guardia nazionale.
 
24 dicembre 2010 – la rivolta si propaga nel centro del paese, soprattutto a Menzel Bouzaiene, dove Mohamed Ammari viene ucciso da colpi d’arma da fuoco esplosi dalla polizia. Anche altri manifestanti vengono feriti, tra cui Chawki Belhoussine El Hadri che muore il 30 dicembre. La polizia dichiara di aver sparato per legittima difesa. Un quasi coprifuoco viene imposto sulla città dalla polizia. 
 
27 dicembre 2010 – rispondendo all’appello di militanti sindacali, la rivolta raggiunge la capitale Tunisi, dove circa 1000 cittadini esprimono la loro solidarietà a Bouazizi ed ai manifestanti di Sidi Bouzid. L’indomani l’UGTT tenta di organizzare un sit-in a Gafsa ma la polizia lo impedisce. Nello stesso tempo circa trecento avvocati manifestano davanti alla sede del Primo Ministro a Tunisi.
 
28 dicembre 2010 – Ben Ali va al capezzale di Mohamed Bouazizi. Lo stesso giorno critica, in un discorso diffuso in diretta dalla televisione nazionale, i manifestanti che sarebbero solo “una minoranza di estremisti e agitatori”, annuncia sanzioni severe a loro carico e se la prende con le televisioni straniere che accusa di divulgare notizie menzognere e di essere responsabili dei disordini. Ma il suo discorso non produce gli effetti sperati e anzi la rivolta si estende in altre città, Gafsa, Sousse, Gabes e Kasserine.
 
29 dicembre 2010 – Ben Ali fa un rimpasto di governo, dimettendo il ministro della Comunicazione e annunciando cambiamenti alla testa di quello del Commercio e degli Affari religiosi e della Gioventù. L’indomani annuncia il mutamento dei governatori di Sidi Bouzid, Jendouba e Zaghouan.
 
30 dicembre 2010 – la polizia disperde una manifestazione a Monastir e ricorre alla forza contro manifestazioni a Sbikha e Chebba.
 
31 dicembre 2010 – I movimenti sociali proseguono e continua la mobilitazione degli avvocati a Tunisi. Mokhtar Trifi, presidente della Ligue tunisienne des droits de l’homme, dichiara che alcuni avvocati sono stati “selvaggiamente picchiati”.
 
3 gennaio 2011 – le manifestazioni contro la disoccupazione e il carovita degenerano a Thala: duecentocinquanta persone, per lo più studenti, sfilano in sostegno ai manifestanti di Sidi Bouzid ma vengono dispersi dalla polizia. Per reazione incendiano degli pneumatici e attaccano la sede del RCD (il partito del presidente).
 
6 gennaio 2011 – continuano le manifestazioni e il movimento si estende anche ad altre componenti della società tunisina, come gli avvocati che scendono in sciopero per protestare contro la violenza poliziesca.
 
8 gennaio 2011 – un commerciante di 50 anni si immola a Sidi Bouzid. Gli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine sono sempre più violenti.
 
9 gennaio 2011 – 14 civili sono uccisi da colpi d’arma da fuoco a Thala, Kasserine e Regueb.
 
10 gennaio 2011 – un altro giovane diplomato di Sidi Bouzid si uccide, portando a 5 il numero dei suicidi. Proseguono gli scontri nel triangolo Thala-Kasserine-Regueb. A Tunisi gli studenti manifestano e la polizia antisommossa circonda l’università El Manar. Nella banlieue di Tunisi scoppiano scontri violenti. Ben Ali riprende la parola per denunciare i “delinquenti incappucciati che commettono imperdonabili atti di terrorismo… al soldo dello straniero, che hanno venduto la loro anima all’estremismo e al terrorismo”.
 
12 gennaio 2011 – Il Primo ministro annuncia il siluramento del ministro degli interni e la liberazione di tutte le persone arrestate dall’inizio del conflitto, nella speranza di spegnere la rivolta.
 
13 gennaio 2011 – Ben Ali annuncia che non si presenterà alle elezioni del 2014; impartisce altresì alla polizia l’ordine di non sparare sui manifestanti, annuncia la libertà di stampa e di internet e la riduzione dei prezzi di alcuni prodotti alimentari. Il capo di stato maggior dell’esercito, il generale Rachid Ammar rifiuta di sparare sui manifestanti. Viene dimesso dalle funzioni.
 
14 gennaio 2011 – Viene dislocato l’esercito a Tunisi ma nuovi scontri scoppiano in centro e le forze dell’ordine reprimono le manifestazioni. In fine pomeriggio il militante comunista Hamma Hammami viene arrestato. A Douz vengono uccisi due civili, tra cui un Francese di origine tunisina. Un altro morto a Thala e cinque feriti da colpi d’arma da fuoco si registrano a Sfax. Lo stesso giorno, alle 15.15, Ben Ali annuncia lo scioglimento del governo e l’indizione di elezioni anticipate nei sei mesi, poi alle 16.00 decreta lo stato di emergenza e il coprifuoco. Nonostante ciò la contestazione aumenta mentre l’esercito non obbedisce a Ben Ali e comincia a proteggere i manifestanti contro i poliziotti. A questo punto il presidente Ben Ali è costretto a lasciare il paese. Verso le 18 il primo ministro, Mohamed Ghannouchi, annuncia l’assunzione della presidenza ad interim, ai sensi dell’art. 56 della Costituzione.
 
 
15 gennaio 2011 – il presidente del parlamento, Foued Mbazaa, è proclamato presidente della Repubblica ad interim dal Consiglio Costituzionale in virtù dell’articolo 57 della Costituzione, escludendo così il ritorno alla testa dello Stato di Ben Ali, e ostacolando il piano di rientro ideato dalla guardia presidenziale. Lo stesso giorno una rivolta di detenuti nella prigione di Mahdia viene repressa dalle guardie, che provocano decine di morti.   Per evitare altre violenze, il direttore della prigione decide di liberare tutti i detenuti, in numero di 1000 o 1200. Quarantadue prigionieri periscono lo stesso giorno nell’incendio della prigione di Monastir, in seguito al quale i detenuti vengono liberati.
 
16 gennaio 2011 – In seguito al verificarsi di molte estorsioni e saccheggi realizzate da bande armate di miliziani, viene emesso un mandato di arresto nei confronti del generale Ali Seriati, capo della sicurezza di Ben Ali, accusato di essere il fomentatore di queste manovre di destabilizzazione e di “complotto contro la sicurezza interna dello Stato”. Lo stesso giorno l’esercito assalta il Palazzo di Cartagine che ospita dei membri della guardia presidenziale restati fedeli a Ben Ali. Lo stesso giorno ancora, il potere interinale annuncia la costituzione di un governo provvisorio dal quale resteranno escluse figure importanti del regime di Ben Ali. Moncef Marzouki annuncia il suo ritorno dall’esilio e Rached Ghannouchi dichiara che non si presenterà come candidato alle prossime elezioni presidenziali, ma che il movimento islamista intende partecipare alle elezioni legislative.
 
17 gennaio 2011 – Appena costituito il governo di transizione, Mohamed Ghannouchi annuncia la liberazione di tutti i prigionieri di opinione, l’eliminazione di ogni divieto per la LTDH (Lega Tunisina per i diritti umani), la libertà d’informazione. Nello stesso giorno si registrano manifestazioni spontanee e scontri a Tunisi e in altre città per protestare contro la composizione del governo considerata “troppo RCD” e per lo scioglimento del partito presidenziale.
 
18 gennaio 2011 – migliaia di persone manifestano in tutto il paese contro la presenza di ministri dei governi Ben Ali nel governo di transizione.
 
20 gennaio 2011 – la prima riunione del governo provvisorio ha per ordine del giorno il progetto di un’amnistia generale e di separazione tra le strutture dello Stato e quelle del partito di Ben Ali (RCD). I ministri che appartenevano a quest’ultimo partito annunciano di essersi dimessi dallo stesso.
 
21 gennaio 2011 – il Primo ministro Mohammed Ghannouchi annuncia alla televisione che abbandonerà la politica dopo avere assicurato la transizione.
 
22 gennaio 2011 – vi sono manifestazioni per un nuovo governo privo di esponenti del vecchio regime e con rivendicazioni di carattere sociale e settoriale: i dipendenti comunali reclamano il miglioramento delle condizioni di lavoro, dipendenti di imprese chiedono aumenti salariali… Lo stesso giorno numerosi poliziotti in borghese e in uniforme sfilano per le strade di Tunisi per chiedere la creazione di un sindacato di polizia. Sempre nello stesso giorno una carovana di diverse centinaia di giovani provenienti dal centro-ovest del paese marcia su Tunisi per reclamare l’esclusione dal governo delle personalità del vecchio regime.
 
23 gennaio 2011 – i manifestanti, cui si sono aggiunti centinaia di tunisini, istituiscono un presidio nella  Kasbah (Piazza del governo), determinati a far cadere il governo di transizione.
 
24 gennaio 2011 – continua il presidio e si registra qualche scontro con le forze dell’ordine.
 
25 gennaio 2011 – continua il presidio mentre il governo effettua delle consultazioni per “portare dei miglioramenti alla composizione inziale”.
 
26 gennaio 2011 – il presidio continua e si registrano scontri tra manifestanti e polizia. L’esercito si interpone tra loro. Nel frattempo, nel corso di una conferenza stampa, Lazhar Karooui Chebbi, ministro della giustizia, annuncia una serie di misure, tra cui soprattutto l’emissione di un mandato di arresto internazionale contro Ben Ali, sua moglie e certi familiari per “acquisizione illegale di beni mobili e immobili” e “illecito trasferimento di valuta all’estero, chiedendo la collaborazione dell’Interpol.
 
27 gennaio 2011 – dopo tre giorni di negoziati e transazioni difficili, Mohamed Ghannouchi presenta un nuovo governo e provoca un’esplosione di gioia tra i manifestanti della piazza della Kasbah, accampati li da quattro giorni.
 
7 e 9 febbraio 2011 – le due Camere del Parlamento tunisino votano una legge che consente al presidente ad interim di emanare decreti. Inoltre il partito presidenziale RCD viene sospeso, le sue attività vietate, le sedi chiuse, in vista dello scioglimento.
 
8 febbraio 2011 – il ministero della difesa annuncia il richiamo dei riservisti, mentre continuano le voci di complotti e le manifestazioni.
 
10 febbraio 2011 – Movimenti in corso in seno alla centrale sindacale unica UGTT, dove prevale l’ala sinistra che chiede un cambio di direzione, giudicata troppo debole nei confronti del vecchio regime.    
 
E poi…
 
Nelle elezioni del 23 ottobre 2011, le prima dopo la “rivoluzione del gelsomini", vince il partito islamista “Ennahada”, la sezione tunisina dei Fratelli Mussulmani, e del suo leader Rachid Ghannouchi, che ottengono 89 seggi su 217 all’Assemblea costituente. Si costituisce una coalizione di governo tripartita, nota come “troika”, con il Congresso per la Repubblica (CPR), un partito della sinistra nazionalista (29 seggi), e Ettakatol, un partito social-democratico, membro dell'Internazionale socialista (20 seggi), sulla base di una distribuzione delle funzioni: la presidenza della Repubblica va a Moncef Marzouki (CPR), la presidenza del Consiglio dei Ministri a Hamadi Jebali (Ennahdha) e la presidenza dell’Assemblea a Mustapha Ben Jaafar (Ettakatol).
 
L’alleanza provoca mini-scissioni all’interno delle formazioni più piccole, con la defezione di 17 deputati del CPR e di dieci di Ettakatol — senza peraltro far venire meno la solida maggioranza parlamentare.
 
Rachid Ghannouchi
 
L’esperienza di governo è fallimentare: l’economia tunisina è distrutta e la situazione interna si fa incandescente, soprattutto per effetto del dilagare del terrorismo in Siria e nella vicina Libia. La Tunisia dà in assoluto il maggiore contributo in uomini al terrorismo siriano, e anche di donne, specie col diffondersi del “Jihad el-nikah”, il jihad del sesso, che spinge molti giovani donne a recarsi in Siria per fare le prostitute dei combattenti.
 
Le elezioni presidenziali del 27 ottobre 2014 hanno segnato la sconfitta dei Fratelli Mussulmani e dato la vittoria al partito Nidaa Tounes, e al suo leader Beji Caid Essebsi, in sostanza la vecchia guardia di Ben Ali, sia pure con facce più presentabili. Gli esiti della "rivoluzione dei gelsomini" sono quelli descritti da Ahmed Bensaada:
 
Certo, a paragone della Libia, della Siria o dello Yemen, la situazione in Tunisia può sembrare interessante. Ma, in termini assoluti, la Tunisia non rappresenta un modello di successo, come vogliono farci credere i media mainstream. E non è il Premio Nobel recentemente assegnato alla Tunisia che può cambiare qualcosa. Quando si osservi a chi è stato conferito negli ultimi anni, è lecito d’altronde chiedersi seriamente a cosa serva questo premio. E i Tunisini che, loro sì, da cinque anni vivono la “primaverizzazione” del loro paese ne sanno qualcosa. Commentando questo quinto anniversario, alcuni blogger non sono stati teneri. “Unico paese democratico del Maghreb + Premio Nobel, tutto il resto è peggio del periodo ZABA (Zine el-Abidine Ben Ali)”. O ancora, con una punta di umorismo: “Ingiustizia sociale, tortura, impunità, ce ne freghiamo di essere premio Nobel”.
 
In una recente intervista al Figaro, il mio amico tunisino, il filosofo Mezri Haddad, ha dichiarato: “Dovunque, anche nella Tunisia che viene presentata come il buon paradigma rivoluzionario e a cui è stato assegnato il premio Nobel della pace, senza la cancellazione del suo debito estero cresciuto vertiginosamente in meno di 5 anni e senza azioni di sostegno della sua economia oggi agonizzante, la ‘primavera araba’ ha distrutto piuttosto che costruire”. Per poi aggiungere: “Dal 2011, la Tunisia è diventato il primo paese esportatore di mano d’opera islamo-terrorista, come la Libia e la Siria. I rapporti delle Nazioni Uniti sono raccapriccianti per il Tunisino che è in me. L’autore dell’ultimo attentato suicida a Ziten, in Libia, è un tunisino, come quello che ha cercato di colpire la moschea di Valencia, o quello che si è fatto ammazzare dinanzi al commissariato del XVIII° arrondissement di Parigi”.
 
In effetti la Tunisia resta ancora, di gran lunga, il maggiore fornitore al mondo di jihadisti in Siria. Triste record per un paese che si vuole far passare per un’eccezione che giustifichi la narrazione “primaverile”.
 
E tutto ciò, senza contare gli assassinii politici, gli attentati terroristici ciechi che hanno provocato tanti lutti e le sordide storie del “jihad al-nikah” (il jihad delle giovani ragazze, consistente nell’andare a fare le prostitute dei mujaheddin in Siria, ndt), divulgate dai giovani tunisini radicalizzati.
 
E non basta il viaggio dell’equipe del (premio) Goncourt al Museo del Bardo, ancora segnato dalle stimmate dell’attentato del 18 marzo 2015 (riferimento alla decisione di celebrare la cerimonia di assegnazione del premio Goncourt 2015 al Museo del Bardo, ndt), che le attribuirà il marchio di paese che ha realizzato con successo la transizione democratica. Questa forzatura francese non riuscirà in alcun modo a cancellare il ricordo dell’errore del ministro francese Michèle Allot-Marie, che aveva proposto un aiuto francese alla polizia di Ben Ali per “risolvere i problemi di sicurezza”, dunque per porre fine all’impertinenza dei manifestanti che avevano invaso l’avenue Bourguiba, durante la primavera tunisina.
 
E questi manifestanti che sventolavano la propria giovinezza come la bandiera di un futuro radioso, cosa pensano adesso, dopo aver costretto il presidente Ben Ali alla fuga, dell’età di questi “dinosauri” politici che lo hanno sostituito? Giudicate voi: Moncef Marzouki (71 anni), Rached Ghannouchi (75 anni) e, soprattutto, l’attuale presidente, Beji Caid Essebsi (90 anni). Si può davvero credere che una rivolta intrinsecamente giovane, definita “facebookiana”, possa essere rappresentata da gerontocrati, da ex cacicchi di regimi odiati, da islamisti bellicosi o da quelli che confondono l’interesse del paese con quello, sovranazionale, della loro confraternita (I Fratelli Mussulmani, ndt)?
 
Potevano mai immaginare che sarebbe stata un giorno approvata una legge elettorale per riabilitare gli ex seguaci di quel Ben Ali, che hanno combattuto con accanimento? Avrebbero mai potuto immaginare che cinque anni – giorno più, giorno meno – dopo la fuga di Ben Ali, Ridha Yahyaoui, un giovane diplomato disoccupato tunisino, si sarebbe ucciso a Kasserine per protestare contro i favoritismi nelle assunzioni, lo stesso flagello che avevano denunciato e contro cui si erano battuti? E che i moti che sono seguiti a questo dramma sarebbero stati duramente repressi? Cosa c’è di positivo in questa “primavera” tunisina se, cinque anni dopo, Yahyaoui ha imitato Bouazizi per le medesime ragioni?
 
E la conclusione:
 
In proposito, i numeri sono eloquenti. Uno studio recente ha dimostrato che questa funesta stagione ha provocato, in soli cinque anni, più di 1,4 milioni di vittime (morti e feriti), cui occorre aggiungere più di 14 milioni di rifugiati. La “primavera” è costata ai paesi arabi più di 833 miliardi di dollari, di cui 461 in perdite di infrastrutture distrutte e siti storici devastati. D’altra parte la regione MENA (Middle East and Noth Africa – Medio Oriente e Africa del Nord) ha perso più di 103 milioni di turisti, una vera calamità per l’economia.
 
Beji Caid Essebsi
 
 
 
Voltata la pagina della "rivoluzione", in un contesto in cui il disperante aggravamento della situazione economica si intreccia ai rischi di attentati terroristi, torna anche la criminalizzazione dei movimenti sociali - proprio come con Ben Ali. La morte drammatica di Ridha Yayhaoui, un altro giovane disoccupato disperato, ricorda indubbiamente il precedente di Bouazizi e assume inevitabilmente un significato simbolico. Seguiamo gli ultimi sviluppi della situazione a Kasserine, attraverso i reportage di Henda Chennaoui (foto a destra), giornalista indipendente, e le sue cronache apparse sul sito www.nawaat.org
 
 
nawaat, 30 gennaio 2016 (trad. ossin)
 
Ritorna la criminalizzazione dei movimenti sociali
Henda Chennaoui
 
Dieci giorni dopo l’avvio, un’ondata repressiva si abbatte sui movimenti di contestazione sociale che rivendicano sviluppo regionale e lavoro. 9 persone sono state arrestate e decine sono state fermate dalla polizia. Appare chiaro che il governo ha deciso la criminalizzazione dei movimenti sociali
 
 
 
 
Domenica 24 gennaio gli arresti sono cominciati a Zaghouan, dopo le manifestazioni, i sit-in e i cortei pacifici svoltisi a Fahs, Bir Mchargua, Zaghouan centro, Nadhour e Hebas. Sei giovani sono ancora in stato di arresto (Mohamed Amine Gharbi, Hamdi Souli, Amir Ben Ahmed, Abdelhak Mehathbi, Chaker Akili e Ramzi Kanzari). Sono accusati di “costituzione di una associazione per delinquere e incitamento al disordine”.
 
 
Mappa della contestazione: il movimento sociale continua - 25 gennaio 2016

 

 

I giovani contestatori, al contrario, affermano che “le manifestazioni erano pacifiche e guidate dalla società civile. I giovani arrestati dalla polizia fanno parte del comitato che ha partecipato ai negoziati coi responsabili locali. Siamo in possesso di video che dimostrano che essi hanno costantemente operato per allentare la tensione tra polizia e manifestanti” ci spiega Sabri Ben Slimane, membro del movimento di protesta della regione di Zaghouan.

 
Il movimento ha preso avvio, mercoledì 20 gennaio, nella zona industriale della città di Zaghouan, reclamando lavoro per i giovani e la fine delle vecchie pratiche di nepotismo e favoritismo. “Il movimento è cresciuto e siamo riusciti ad ottenere un incontro col delegato regionale e i rappresentanti regionali dell’UGTT, dell’UTICA, della Banca Tunisina di solidarietà, per l’apertura di negoziati sul lavoro, i crediti agricoli e lo sviluppo economico regionale” spiega Houssem Bouguerass, giovane militante della società civile.
 
Giovedì 28 gennaio, molti manifestanti di Kerkennah sono stati fermati dalla polizia per un preteso turbamento dell’ordine pubblico, proprio mentre veniva raggiunto un accordo tra gli abitanti della città e le autorità locali per avviare dei negoziati per il lavoro. I manifestanti sono rimasti sorpresi da questo voltafaccia e dagli arresti miranti a reprimere le manifestazioni. In un comunicato, reso pubblico venerdì 26 gennaio, l’Unione dei disoccupati diplomati (UDD) conferma che “il governatore di Sfax ha annullato la riunione prevista per il 5 febbraio prossimo”. Ahmed Souissi, membro della sezione locale dell’UDD, afferma che i negoziati erano andati avanti, la settimana scorsa, col governatore di Sfax e con Kamel Jendoubi, ministro per le questioni costituzionali e la società civile. “Questo ritorno alle soluzioni poliziesche e alla repressione dimostra che il governo non ha soluzioni da proporre per i problemi della disoccupazione e dello sviluppo economico” accusa Ahmed.
 
 
 
 
Ma, già lunedì 25 gennaio, le forze dell’ordine erano intervenute con la forza per rimuovere i sit-in dei giovani disoccupati dinanzi alla sede del governatorato di Jendouba. La sezione regionale della Lega Tunisina per i diritti dell’uomo (LTDH) ha denunciato, in un comunicato pubblicato nella tarda serata di lunedì, la violenza poliziesca e le aggressioni contro i manifestanti pacifici. Secondo la LTDH, un manifestante è stato trasportato all’ospedale regionale. Martedì 26 gennaio, gli abitanti si sono riuniti dinanzi al governatorato per protestare contro le violenze poliziesche. Al momento, gli abitanti continuano la protesta e contestano il silenzio delle autorità locali che rifiutano secondo loro “ogni forma di dialogo con gli abitanti”.
 
Martedì 25 gennaio, a Ghar Dimaou, alcuni testimoni oculari ci hanno confermato che la polizia ha preso in ostaggio i manifestanti all’interno della delegazione. Secondo le nostre fonti, le forze dell’ordine hanno bloccato ogni accesso al sit-in. Decine di disoccupati e operai dei cantieri continuano ad occupare la delegazione di Ghar Dimaou.
 
A Kasserine, crogiuolo della recente ondata di contestazione sociale, i giovani si ritrovano ad essere paradossalmente accusati di furto dalla polizia della città.
 
 
 
 
Martedì e mercoledì 26 e 27 gennaio, Hamza Saihi, Sadek Sassi e Nooman Mhamdi, militanti della società civile, sono stati fermati dalla polizia per un interrogatorio. La polizia li accusa di incitamento alla violenza e ai disordini.
 
Nel 2015, Hamza ha lanciato, insieme ad altri abitanti della città, una campagna dal titolo “Levate le lamiere dal giardino dei martiri” (نحي الزنك من جنينة الشهداء) per denunciare la paralisi e l’opacità del progetto che avrebbe dovuto sistemare il giardino dei martiri dal 2012.
 
 
 
“Nel corso della nostra iniziativa di protesta, ci siamo riuniti davanti al giardino e qualcuno ha rimosso la lamiera ondulata che lo recintava, in segno di protesta contro l’incompetenza e la cattiva gestione della municipalità” ci spiega Hamza, ancora sorpreso di vedere il suo nome tra quello degli accusati.
 
“Abbiamo incaricato un ufficiale giudiziario di verificare che nulla è stato sottratto o rubato durante la manifestazione” assicura Hamza.
 
L’intimidazione dei movimenti sociali ha debuttato a Deguech (Tozeur), sabato 23 gennaio, quando due militanti della società civile, Allala Mastouri e Samer Bouyahya, sono stati arrestati. Un ordine di ricerca è stato emesso a carico di un terzo militante, Ahmed Taheri. I tre sono accusati di aver preso parte al saccheggio verificatosi giovedì 21 gennaio in città. In sciopero della fame da mercoledì 27 gennaio, Ammar Msatra, membro della sezione locale dell’Unione dei diplomati disoccupati (UDD) afferma che il delegato ha chiesto alla società civile, giovedì scorso, di “guidare i giovani manifestanti e proteggere le istituzioni pubbliche della città dai vandali. I tre militanti accusati sono tra quelli che hanno rischiato la vita per aiutare la polizia a proteggere le istituzioni pubbliche”.
 
Secondo Ammar, un posto di polizia è stato dato alle fiamme, due amministrazioni e una associazione per handicappati sono state saccheggiate. “L’indomani le autorità hanno incriminato i giovani che hanno protetto la città, accusandosi di incitamento ai disordini” si indigna Ammar, che continua lo sciopero della fame nella sede della delegazione, insieme a decine di manifestanti di tutta la società civile locale. Giovedì 28 gennaio, Allala Mastouri e Samer Bouyahya sono stati liberati, per la pressione della società civile e soprattutto della LTDH.
 
 
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