Mondialisation.ca, 21 marzo 2014 (trad.ossin)


Le responsabilità di Washington nei massacri in Ruanda del 1994

Ruanda,  20 anni dopo: una tragedia diventata
 
un’utile fiction imperiale


Robin Philpot (*)

 

 Il 6 aprile 2014 ricorrerà il 20° anniversario dell’attentato con missile che ha abbattuto a Kigali l’aereo che trasportava due capi di Stato africani, Juvénal Habyarimana del Ruanda e Cyprien Ntaryamira del Burundi. Noi sappiamo che questo atto terroristico – senza dubbio il peggiore degli anni 1990 – ha scatenato una guerra senza fine, di distruzione e massacri in Ruanda e in Congo. Ebbene su di esso non è mai stata fatta luce; nessuno è stato mai incriminato. Nonostante l’accecamento e l’amnesia volontaria a proposito del crimine più critico delle tragedie ruandesi e congolesi, pure accade che qualche politico, diplomatico,  commentatore, intellettuale, oltre a presidenti, generali e primi ministri in pensione, invochino costantemente il “Ruanda” come se la sola menzione di questa parola riesca ad attribuire verità e autorità morale alle posizioni politiche, militari e imperiali che difendono. Si è specificamente invocato il “Ruanda” per giustificare gli interventi militari violenti in Libia, in Sudan, in Mali, in Siria e in Repubblica Centrafricana. “Dovunque è il ‘Ruanda” per l’imperialismo umanitario”, fa notare Max Forte nel suo importante libro, Slouching Towards Sirte, NATO’s War on Lybia and Africa.

Ecco la versione ufficiale – e assordante – che permette loro di invocare il “Ruanda”:


1) Alcuni terribili genocidari Hutu del Ruanda hanno preparato e posto in opera un piano satanico per eliminare quasi un milione di Tutsi dopo la misteriosa distruzione dell’aereo che trasportava il presidente ruandese il 6 aprile 1994;


2) Il Fronte patriottico ruandese guidato da Paul Kagame, brillante stratega militare e oggi presidente del Ruanda, stazionato alla frontiera dell’Uganda nel nord-est del paese, è penetrato in Ruanda e marciato sulla capitale per porre fine al genocidio e prendere il potere;


3) La comunità internazionale non ha alzato un solo dito mentre alcuni assassini, simili ai nazisti, sterminavano la maggior parte dei Tutsi del Ruanda;


4) Paul Kagame ha trasformato questo paese dilaniato dal genocidio in un miracolo africano, grazie alla sua leadership visionaria, benché severa;


5) Abbiamo imparato dal “Ruanda” che, per il futuro e in nome dell’umanità, noi – vale a dire gli eserciti degli Stati Uniti e dell’Europa – dobbiamo intervenire militarmente per impedire a questi popoli di ammazzarsi tra loro.



Paul Kagame



“100% di responsabilità statunitense” – Boutros Boutros-Ghali

Boutros Boutros-Ghali, segretario generale dell’ONU durante la guerra ruandese, fu uno de primi ad aprire una crepa in questa versione dei fatti. Mi ha dichiarato, nel corso di una intervista, che “il genocidio ruandese era al 100% responsabilità statunitense”. L’uomo che i funzionari del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti chiamavano “Frenchie”, prima di cacciarlo dalla sua poltrona all’ONU, mi ha spiegato: “Gli Stati Uniti, con l’energico sostegno della Gran Bretagna, hanno fatto tutto il possibile per impedire la dislocazione in Ruanda di una forza delle Nazioni uniti, e ci sono riusciti”.


Documenti declassificati dell’amministrazione Clinton confermano che l’ambasciatrice statunitense all’ONU ha ricevuto, il 15 aprile 1994, delle direttive dal Dipartimento di Stato che le intimavano di prendere tutte le misure per ottenere il ritiro dal Ruanda delle truppe ONU dell’UNAMIR e per ottenere che non vi fossero più altri dibattiti e risoluzioni su questo tema. Così, quando il FPR ha ripreso la guerra il 6 aprile, nel momento in cui fu abbattuto l’aereo presidenziale, la politica di Washington non mirava affatto a ottenere un cessate il fuoco. Quella che sarebbe stata l’unica politica appropriata, logica e legittima in virtù dell’Accordo di pace di Arusha, che le due parti avevano firmato nell’agosto 1993 nell’ambito di un “processo di pace” che Washington, appoggiata da Londra e Parigi, aveva patrocinato in nome dell’ONU.


Tutte le prove serie e le testimonianze sotto giuramento indicano che Paul Kagame e il FPR sono gli autori dell’attentato del 6 aprile contro i presidenti del Ruanda e del Burundi. Questo attentato, abbinato al blitzkrieg (“guerra lampo” in lingua tedesca, ndt) della ripresa della guerra – ciò che fa capire che il FPR era preparato e informato in anticipo dell’attentato – smentisce la versione che vedrebbe il FPR scendere dal nord del paese per porre fine al genocidio. C’era “shock e sorpresa” a Kigali.


La politica di Washington, in violazione dell’Accordo di Arusha, era di creare le condizioni per una decisiva vittoria dell’esercito del FPR – a qualsiasi costo. Al diavolo la condivisione del potere previsto dall’Accordo di Arusha; ciò avrebbe legato le mani al FPR e impedito che potesse dominare militarmente la regione dei Grandi Laghi africani. Mentre gli Stati Uniti e il Regno Unito facevano blocco contro ogni possibile tentativo di pace, ciò che avrebbe consentito di porre fine ai massacri, la storia ufficiale sarebbe stata la seguente: noi tutti, la “comunità internazionale” interamente, abbiamo abbandonato i Tutsi in Ruanda; quindi dobbiamo dire in coro, sotto la direzione di Bill Clinton e di Madeleine Albright: “Mea culpa, mea culpa, mai più”.


Alcune persone all’epoca vicine alle vicende che si andavano svolgendo hanno dissipato ogni possibile dubbio circa la veridicità di questa interpretazione della politica di Washington e del FPR. Theogene Rudasingwa, ex ambasciatore del Ruanda negli Stati Uniti e capo di gabinetto di Kagame, scrive: “Il FRP sentiva che la presenza di una forza internazionale avrebbe bloccato la situazione e tolto al FRP l’iniziativa militare. Gerald Gahima e Claude Dusaidi hanno spiegato questa posizione nel corso di riunioni a Washington e a New York. Rudasingwa aggiunge che, per contro: “Nella campagna mediatica del FRP e a Radio Muhabira, la nostra strategia era di attaccare la comunità internazionale per avere abbandonato il Ruanda” (Healing a Nation: Waging and Winning a Peaceful Revolution to Unite and Heal a Broken Rwanda, Createspace, 2014, p. 156).



Il “supremo crimine internazionale” sotto il tappeto

L’assordante versione ufficiale sul Ruanda nasconde un’altra capitale verità, quella della guerra che ha preceduto l’attentato del 6 aprile 1994. L’invasione del Ruanda, il 1° ottobre 1990, da parte di 4000 uomini con l’uniforme dell’esercito ugandese,  che formeranno poi il FRP, non fu solo una violazione del diritto internazionale, essa è stata un crimine contro la pace, il “supremo crimine internazionale”, come l’ha definito il giudice Norman Birkett del Tribunale di Norimberga. (Nella sua infinita saggezza, il New York Times Magazine ha raccontato l’invasione come un “acutizzarsi delle tensioni” tra Tutsi e Hutu). Tra tutti coloro che richiamano il “Ruanda” per giustificare un intervento militare “umanitario”, nessuno menziona né l’invasione del 1990, né l’occupazione militare del territorio ruandese, né la guerra sanguinosa che è durata più di 3 anni.


Un rapporto dell’ONU sul Congo dell’ottobre 2010 conferma che le stragi commesse dall’esercito ruandese in Congo avevano carattere genocidario. Ciò avrebbe dovuto suonare un altro campanello di allarme sulla natura del FPR e del suo capo, Paul Kagame. Ora, ripercorrendo la guerra in Ruanda dal 1990 al 1994, ci si accorge che le stragi di massa sono cominciate ben prima dell’aprile 1994. Ed è il FRP ad esserne responsabile. I Ruandesi hanno subito, prima del 1994, ciò che i Congolesi hanno patito a partire dal 1996.



Una giustizia dei vincitori contraddice la versione ufficiale

Che ne è del piano di sterminare i Tutsi? Nessuno contesta il fatto che vi siano stati dei massacri di massa in Ruanda nel 1994. Ma il problema per i fautori della versione ufficiale è che i fatti appurati non coincidono. Anche se l’ONU ha istituito nel 1995 un tribunale dei vincitori – il tribunale penale internazionale per il Ruanda – dotato dei poteri e dei mezzi necessari, per quanto riguarda il capo di imputazione fondamentale, cioè l’accordo per commettere un genocidio, l’uomo sempre accusato di essere il “cervello” del genocidio, Theoneste Bagosora, e gli altri tre imputati, sono stati tutti assolti. Dopo 18 anni di processo, di testimonianze sotto giuramento e di prove, i fatti accertati contraddicono la versione ufficiale.


L’esercito e la gendarmeria ruandesi che, da soli, sarebbero stati in grado di porre fine ai massacri dell’aprile-maggio 1994, non potevano farlo, perché impegnati in una guerra contro una potente macchina militare, vale a dire il Fronte Patriottico ruandese. E questo esercito aveva il sostegno politico, diplomatico e militare di due potenti paesi, gli Stati Uniti e il Regno Unito.


Queste due potenze, sostenute da alcuni paesi lacchè, hanno così seminato la morte e la distruzione in scala ineguagliata in Africa Centrale. Ma questi due paesi e due ex leader vedette, Bill Clinton e Tony Blair, hanno la sfacciataggine di trasformare queste tragedie senza precedenti in una fiction imperiale utile a giustificare altri interventi militari, soprattutto in Africa.



(*) Robin Philpot è l’autore di “Ça ne s’est pas passé en Kigali (Les Intouchables, 2003)” la cui traduzione sta per essere pubblicata in inglese: Rwanda and the New Scranble for Africa, From Tragedy to Useful Imperial Fiction.
 
 



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