La Repubblica-Napoli, 10 aprile 2015



Diaz, Napoli come Genova, quando i giusti hanno torto

Nicola Quatrano


La Corte Europea per i diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per non avere saputo evitare, e adeguatamente punire, le violenze poliziesche contro i manifestanti di Genova nel 2001. La CEDU ha soprattutto stigmatizzato la mancanza, nell’ordinamento italiano, del reato di tortura e di misure che consentano l’identificazione dei poliziotti in servizio di ordine pubblico. Ma sono solo queste carenze normative alla base della “macelleria messicana” di Genova?

Pochi mesi prima proprio a Napoli, il 17 marzo 2001, vi erano state le prove generali. “… Le forze dell’ordine sono intervenute duramente, non a disperdere pochi facinorosi, ma a punire, con violenza, quelli che avevano partecipato alle proteste contro il Global Forum. Lo abbiamo sentito nelle dichiarazioni delle ragazze e dei ragazzi di 14-15 anni, presi a manganellate e redarguiti: “Ti sei divertito? Così impari a fare le manifestazioni…”, lo abbiamo capito dalla scelta di chiudere la piazza e impedire di scappare. Tecnica di annientamento contro un esercito nemico. Assistendo attoniti al presidio degli ospedali, per identificare perfino quelli che avevano bisogno di soccorso. Non ci ha convinto l’impacciata difesa del questore, costretto a raccattare qualche asta di bandiera e qualche sampietrino, per dimostrare che settemila – tra poliziotti, finanzieri e carabinieri – erano stati aggrediti...”.

Così, tra l’altro, una pubblica denuncia della quale, insieme al compianto Enzo Albano, mi feci promotore e che raccolse l’adesione di decine tra magistrati, avvocati, professionisti e artisti. Poi niente: l’arresto di alcuni poliziotti (accompagnato dalle violente proteste del colleghi), la condanna di una decina di imputati nove anni dopo, e l’inevitabile prescrizione dichiarata, a gennaio del 2013, dalla Corte d’Appello di Napoli.

Perché capita che le forze dell’ordine si rendano protagoniste di simili episodi? Perché il massacro di Cucchi, di Alodovrandi, e di altri dei quali le cronache non si sono nemmeno accorte? Non è imperizia: tra i condannati di Genova si contano alcuni tra i migliori investigatori italiani. Io credo che la risposta sia un’altra.


I violenti si sentivano “protetti” dal Governo

L’allora ministro dell’interno, Gianfranco Fini, ha ammesso di essersi trattenuto quel giorno “6-7 ore” nel Comando Provinciale dei Carabinieri di Genova. “Troppo rischioso uscire”, si è giustificato, mentre “Il Giornale” suppone (oggi) che sia stato lui a “coordinare” gli interventi.

Comunque sia, i violenti in quel momento si sentivano “protetti” dal Governo. E hanno fatto splendide carriere, almeno prima di essere condannati, mentre l’allora Capo della Polizia Gianni De Gennaro, certo assolto dai reati specifici, ma pur sempre capo di quella polizia in quel giorno, è oggi presidente di Finmeccanica (caspita!). Il magistrato Alfonso Sabella, allora responsabile di Bolzaneto (capo del DAP era Giancarlo Caselli), è attualmente assessore “alla legalità” del comune di Roma. Insomma nessuno di coloro che, in quei momenti erano investiti da “responsabilità” può definirsi una pecora nera. Tutti o quasi si erano distinti nella “lotta” alla mafia e per la legalità.

Forse c’è allora qualcosa che non va in questo concetto di “lotta”, tanto caro ai media e alla società civile. Qualcosa che ha fatto sentire ai poliziotti di Napoli di essere autorizzati a “punire” degli adolescenti, per il solo fatto di aver partecipato ad una manifestazione cui avrebbero potuto infiltrarsi i “black block”, misteriosa categoria di nemici pubblici, per ciò solo considerando anche loro come complici e “nemici”. Non sembri fuori luogo, ma non mi piace che si vietino i funerali dei camorristi, o le processioni dei santi, solo perché possono diventare occasione di esaltazione dei delinquenti. Se ciò accade, la cosa deve considerarsi come sintomo di una malattia sociale, da curare, non da reprimere. I cittadini sono sempre cittadini, mai “nemici”.

Chi sbaglia sia adeguatamente punito, ma si è dimostrata gravida di pericolose conseguenze la demarcazione tra il campo di chi è (sempre) dalla parte della ragione e quello di chi è (sempre) dalla parte del torto. Anche perché, come i fatti di Genova e Napoli insegnano, può capitare che siano i giusti ad avere torto.

 

 

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