L’Expression, 17 marzo 2011


Le gesticolazioni di Parigi
di Hocine Meghlaoui*


Delle rivolte abusivamente definite “rivoluzioni” hanno cacciato dal potere alcuni ammuffiti dittatori arabi e dato il via a un’era di cambiamenti politici, il cui sbocco definitivo è ancora incerto


L’Occidente, sempre attento ai suoi interessi economici e strategici, a detrimento dei principi democratici che pure professa a sazietà, è stato disturbato nella tranquillità che gli assicuravano le dittature ch’egli ha sostenuto, e spesso nutrito, in questa regione del mondo così vicina geograficamente, così lontana affettivamente, e quanto importante per la sua sicurezza e prosperità.
Conviene analizzare l’importanza delle “rivoluzioni” arabe in corso o potenziali. Si tratta di un fenomeno che potrà assumere la forza di uno tsunami e spazzar via completamente il vecchio ordine, come taluni hanno sostenuto, o piuttosto si tratta di avvenimenti di rilievo locale dalle conseguenze più o meno importanti?
Per il momento, e sapendo bene che l’avvenire può riservare più di una sorpresa, siamo ancora nell’ambito della seconda ipotesi, ivi compresi i casi della Tunisia e dell’Egitto, dove i dittatori sono partiti senza portarsi appresso il sistema che avevano costruito o consolidato. Si noterà che gli uomini che sono attualmente al timone del comando appartengono al passato e non sono portatori dei principi democratici ai quali i loro popoli aspirano.


L’Occidente ha cominciato ad essere inquieto
Questi due paesi sono all’avvio di un processo che sarà lungo e incerto e potrebbe sfociare in un nuovo regime autoritario. Questa non è una vaga possibilità, è una probabilità. E’ una cosa che può sempre succedere nei casi dei mutamenti violenti. Lo sbocco non è necessariamente democratico. Il caso essendo un grande architetto della Storia, diversi elementi contingenti possono deviare la traiettoria della “rivoluzione” verso direzioni non gradite. Pazienza, la polvere dell’avenue Bourghiba e di piazza Tahrir non si è ancora depositata.
Per reazione a questi avvenimenti, l’Occidente ha cominciato ad essere inquieto e ad impegnarsi immediatamente a rivedere la sua politica estera verso questa regione. Oltre alla retorica,  che dovrebbe rendere credibile il suo attaccamento alla democrazia, non ha ancora deciso quale atteggiamento assumere nei confronti delle “rivoluzioni” arabe, perché non è ancora in grado di valutare quali conseguenze potrebbero avere sui suoi interessi. Invece di soffocarle, potrebbe accompagnarle per orientarle ed addomesticarle. Tutto dipenderà dal vigore e dalla vigilanza delle forze che animano le “rivoluzioni” in corso. Dalla capacità di non dividersi anche. Esse sono ancora poco identificabili e il loro radicamento sociale sconosciuto. Ciononostante c’è un paese che vuole bruciare le tappe. Risvegliato brutalmente dalla “rivoluzione dei gelsomini”, che pure ha avuto luogo in quello che esso considera come il suo cortile di servizio, la sua diplomazia non aveva ancora avuto il tempo di digerire l’umiliazione tunisina, che è stata nuovamente messa in agitazione dalla “rivoluzione” egiziana. Questo vero e proprio trauma diplomatico si è tradotto in un’agitazione sorprendente intorno al caso della Libia. Un’agitazione che quadra bene con quell’“uomo frettoloso”  che è il presidente Sarkozy. Egli non cammina. Corre. Qualche volta è difficile tenergli il passo. Corre come chi ha paura di perdere il treno. Si rende conto che corre parallelamente alla strada ferrata…? La diplomazia francese dà la netta impressione di navigare a vista. Appena allontanata Michèle Alliot-Marie, come capro espiatorio degli errori diplomatici che non sono solo del Quai d’Orsay, e dopo aver chiamato Alain Juppé a – si dice – ridare smalto ad una diplomazia atona, ecco che Bernard Henry Levy, BHL “per gli intimi”, viene scelto come “consigliere” in politica estera per gli affari libici.  Un vero e proprio autoaffondamento del nuovissimo ministro degli affari esteri, che è costretto a inghiottire il suo primo, e certamente non ultimo, boccone amaro. Quelli che conoscono BHL, il filoso esaltato, sanno che non ha alcuna qualità professionale, politica e ancor meno morale, per erigersi a difensore, o meglio protettore, di un qualsiasi paese arabo.  Non temendo l’impostura, arriva a improvvisarsi stratega militare. Intervenendo su TF1 da Bengasi, indica gli obiettivi agli aerei della NATO,   rassicura gli insorti contro un attacco terrestre massiccio delle truppe di Gheddafi perché, secondo lui, la Guida non ha più un esercito ma solo una guardia pretoriana composta di mercenari. BHL avrà sulla coscienza le morti libiche esattamente come Gheddafi. Sul piano internazionale, la Francia fa comunella con la Gran Bretagna per assumere la leadership di un’operazione armata contro la Libia, più esattamente l’imposizione di una No-Fly Zone o Zona di interdizione aerea.


La Storia non si ripete
Di fatto, dei “tiri mirati” contro degli obiettivi militari. E’ il primo tentativo di un’azione comune dopo che Parigi e Londra hanno firmato i nuovi accordi di cooperazione militare alla fine dell’anno scorso. Questo test rischia di essere assai poco concludente perché questi due paesi non dispongono dei mezzi necessari per realizzare le loro aspirazioni. La Germania, che guarda piuttosto a Est (“drang nach osten” o “spinta verso Est”), non intende seguirli, un modo di far pagare alla Francia, suo alleato tradizionale nell’Unione europea, il suo collegamento con la Gran Bretagna, che, combinato al suo rientro nelle strutture NATO, lascia almeno supporre che Parigi abbia altre ambizioni. Ambizioni che fanno strame del prestigio acquisito dalla diplomazia francese, come nel caso della posizione sull’Iraq che, brillantemente difesa da De Villepin, allora ministro degli Affari Esteri di Jacques Chirac, è restata impressa nella memoria di tutti.
Poi molta acqua è passata sotto i ponti della Senna. La politica estera della Francia è stata svuotata della sua specificità che costituiva un’attrattiva per molti popoli; essa ha infatti perduto la sua “anima” in gran parte a causa della liquidazione della sua politica araba. Se la Germania guarda con costanza sempre nella stessa direzione dal XIII secolo,  la Francia non riesce più a orientare il suo sguardo. E non deve meravigliarsi se vede la riva sud del mediterraneo diventare poco a poco lontana e indecifrabile; il progetto di Unione per il Mediterraneo è prossimo a raccogliere quello che si è seminato. Le gesticolazioni della Francia intorno alla Libia non avranno maggior successo.  Anche con l’aiuto della Gran Bretagna. Questi due paesi hanno battuto vergognosamente in ritirata nel 1956, durante la disastrosa spedizione di Suez. Sono tentati di ripetere la loro disavventura sulle coste libiche? Se la Storia non si ripete, essa a volte balbetta. Questi due paesi devono meditare sulla pesante eredità che hanno lasciato nei paesi maghrebini. I popoli di questa regione non hanno la memoria corta.


* Ex ambasciatore

 

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