Niger - Quali diritti?
di Nicola Quatrano

Le organizzazioni europee per la difesa dei diritti umani si occupano in genere dei diritti di libertà (di stampa, di espressione, di manifestazione ecc.). Qui in Niger abbiamo compreso che la varietà dei diritti negati è molto più ampia e ricomprende prima di tutto quelli elementari alla sopravvivenza, alla salute, all’istruzione, al lavoro, all’energia e, perfino, allo stato civile (dal momento che solo il 30% dei bambini sono registrati alla nascita).
L’insicurezza alimentare è il primo problema del Niger. Il paese si colloca all’ultimo posto (182° su 182) nell’indice PNUD 2009 dello sviluppo umano. E tutte le cifre sono spaventose: il reddito medio per abitante è di 627 dollari all’anno, la speranza di vita è di 50,1 anni, il tasso di mortalità infantile è altissimo, quello di scolarizzazione bassissimo.

La siccità del 2009 ha provocato una terribile carestia nel Nord del paese e decimato il bestiame, aggravando a dismisura una situazione già precaria. Le piogge torrenziali che sono seguite hanno provocato anch’esse danni ingenti. Nel sud-ovest, dove scorre il fiume Niger, la situazione è migliore, ma sempre dura. Precarietà e disoccupazione sono generalizzate e ognuno è costretto a darsi vorticosamente da fare, nei modi più vari, per mettere insieme il pasto della sera. Niamey, la capitale, è un immenso mercato, dove ogni marciapiede, ogni spazio, è occupato da venditori, che sembrano essere di gran lunga più numerosi degli acquirenti. Moltissimi bambini, anche piccolissimi, chiedono l’elemosina, la maggior parte sono figli di famiglie povere che sono stati affidati a un marabutto (una sorta di sacerdote, titolare di una scuola coranica) e sono costretti dal loro “maestro” a mendicare. Chi non porta la somma pattuita resta senza mangiare, o addirittura viene percosso.
Ma è possibile assistere ad altre scene tremende: i redattori del giornale Alternative hanno raccontato di avere incontrato delle donne (tra cui Aissa, 70 anni) che fanno ogni giorno diversi chilometri a piedi per recarsi nella discarica della fabbrica di riso di Tillaberi, dove passano la giornata a cercare qualche grano di riso che potrà servire a preparare il pasto della sera.

E che l’insicurezza alimentare sia il primo problema del Niger, e quello all’alimentazione il primo diritto umano da tutelare, ci viene confermato da Abdou Dan Gallou Samaila, presidente dell’Observatoire de droit de l’homme et des libertés fondamentales, un “organismo amministrativo indipendente”. Ci riceve cerimoniosamente e ci consegna cortesemente una copia del rapporto che ha appena redatto per l’ONU, nell’ambito del processo di Esame Periodico Universale (EPU).
Sulla stessa linea anche Moustapha Kadi, che indica l’autosufficienza alimentare, il lavoro e la scolarizzazione (attualmente attestata sul 50% della popolazione in età scolare)come priorità assolute. E poi la salute (nella Regione di Maradi c’è un medico per ogni 290.000 abitanti). Solo in terza battuta si può parlare dei diritti di libertà…
Moustapha Kadi ci fa scoprire l’esistenza di un altro diritto umano, sconosciuto in Europa: quello all’energia, condizione indispensabile per ogni prospettiva di sviluppo. In gran parte del paese, infatti, non c’è energia elettrica (il tasso di elettrificazione attuale in Niger è del 9,8%) e, anche a Niamey, sono frequenti le interruzioni nell’erogazione della corrente. Moustapha Kadi è presidente del CODDAE (Collectif pour la Défense du Droit à l’Energie au Niger) ed è molto impegnato su questo fronte.
Un altro diritto umano che ci era sconosciuto ci viene illustrato da Enrico Sborgi, italiano, funzionario della Delegazione della Commissione Europea nella Repubblica del Niger, la prima persona che abbiamo incontrato a Niamey, il 3 settembre.  Si tratta del diritto allo Stato Civile, un diritto da rivendicare dal momento che solo il 30% dei bambini viene registrato alla nascita. Ignoranza, carenza di strutture pubbliche, o stato servile sono all’origine di questo fenomeno, che è dannosissimo perché esclude colui che è privo di “identità civile” dai processi di scolarizzazione, dagli impieghi pubblici, dalla vita civile ed economica.
Ma il progetto sul quale Enrico Sborgi è più impegnato, e sul quale ci ha maggiormente intrattenuto, è quello della riforma della Giustizia in Niger.

La Giustizia in Niger
L’Unione Europea ha varato un ambizioso programma sulla Giustizia, che prevede la ristrutturazione e l’ammodernamento dei Tribunali, con l’istituzione anche di centri di accoglienza, nonché di forme di assistenza legale gratuita. E’ in programma anche un lavoro sui testi legislativi, con una repertorizzazione del diritto consuetudinario, molto diffuso in Niger, almeno in campo civile.
Questo diritto consuetudinario è applicato dai capi tradizionali (incaricati anche dell’esazione delle tasse), ma anche dai giudici ordinari. Il progetto originario era di codificarlo, ma l’ipotesi ha incontrato l’ostilità dei giuristi locali perché significherebbe lo stravolgimento di esso e del suo carattere di flessibilità, che lo distingue appunto dal diritto codificato. E’ per questo che si è pensato di fare un lavoro di repertoriarizzazione, una raccolta di decisioni che possano valere da “precedente”.
Enrico Sborgi ci ha parlato anche del problema assai diffuso della corruzione dei giudici, che egli ritiene debba essere contrastato soprattutto attraverso un lavoro di formazione che tenda a migliorarne l’etica ed a consolidare un forte orgoglio di appartenenza. Riconosce tuttavia che non si tratta di un obiettivo facile da raggiungere, perché – dati i ramificatissimi rapporti familiari di ciascuno – è in qualche modo impossibile per il singolo giudice sottrarsi a pressioni e raccomandazioni.

Eppure, almeno sulla carta, i giudici Nigerini godono di effettiva indipendenza. E’ quanto ci ha assicurato Yacouba Soumana, giudice al Tribunale di Niamey, che abbiamo incontrato il 7 settembre. Sui 40 anni molto ben portati (“Faccio dello sport”), il dott. Soumana è impegnato nell’Associazione Internazionale dei magistrati. A proposito dello statuto dei magistrati nigerini, ci dice che, mentre i Pubblici Ministeri sono inquadrati gerarchicamente alle dipendenze del Ministero della Giustizia, i giudici godono di un effettivo autogoverno. Carriera e disciplinare sono infatti gestiti da un Consiglio Superiore della Magistratura che garantisce la loro indipendenza.
Ma la questione che l’Unione Europea viene considera prioritaria è quella di rendere effettiva l’assistenza legale.
Ne abbiamo parlato anche nel corso di una riunione con avvocati che fanno parte della Association des Jeunes Avocats du Niger (AJAN), sempre il 7 settembre a Niamey. Erano presenti Cissé Abdoussalam Oumarou (presidente), Kadri Ali (vice-presidente), Hammi Illiasson Sonley (segretario generale), Harouna Issoufou Soumana (segretario generale aggiunto), Assoumane Moussa (tesoriere) e Baba Sidi Sidi Sanoussi (tesoriere aggiunto).
Il problema nasce dal fatto che gli avvocati in Niger sono pochissimi, e tutti concentrati a Niamey, la capitale. Nel resto del paese se ne contano solo 4, e questo impedisce l’assistenza legale degli imputati. E’ inutile dire che tale fenomeno è anche (o forse soprattutto) il risultato di una politica protezionista del Consiglio dell’Ordine degli avvocati che dispensa le abilitazioni professionali col contagocce. Ma incidono molto anche le condizioni di estrema miseria in cui versa il resto del paese, dove la gente non ha i mezzi per pagarsi un avvocato.
Il progetto dell’Unione Europea si è mosso lungo due direzioni: da un lato l’istituzione di “carovane della giustizia”, che portino gli avvocati da Niamey all’interno del paese per garantire l’assistenza legale degli imputati almeno nei processi di Corte d’Assise, dall’altro lo stanziamento di fondi che li incentivino a stabilirsi all’interno del paese e che giungono fino alla totale copertura dei costi di apertura e attrezzatura di uno studio professionale.
Questa seconda linea di intervento non ha prodotto risultati. Gli avvocati ci dicono che non c’è mercato e che nessun avvocato accetterà di spostarsi da Niamey, anche se l’UE gli apre gratuitamente uno studio. Alla richiesta di indicare delle soluzioni alternative, tuttavia, tacciono imbarazzati.
Analogo fallimento per le “carovane della giustizia”, vale a dire le missioni, finanziate dall’Unione Europea, di avvocati all’interno del paese, per assicurare la difesa legale degli imputati almeno per i reati più gravi dinanzi alle Corti di Assise.
Gli avvocati ci spiegano che gli stanziamenti sono insufficienti e arrivano al massimo a 35.000 franchi CFA per giorno (circa 54 euro), somma che non basta nemmeno per pagare l’albergo (cosa francamente non vera). Inoltre con i fondi messi a disposizione dall’UE si riesce a coprire solo la prima e, al massimo, la seconda settimana di permanenza, cosicché gli imputati che vengono giudicati nelle due settimane successive restano comunque privi di assistenza. Risultato: le carovane coinvolgono 2-3  avvocati, qualche volta uno solo.
Di fronte a questi fallimenti, sembra che l’unica strada da percorrere sia quella del potenziamento dei difensori di ufficio non professionali (insegnanti, infermieri), che vengono pagati 1.500 franchi CFA (poco meno di tre euro) al giorno per fare assistenza legale. Vi sono progetti per la loro formazione professionale, quale unica risorsa per garantire l’effettiva assistenza degli imputati in zone prive di avvocati professionali.
 
Gli infanticidi e la condizione della donna

Dai colloqui avuti con Enrico Sborgi, gli avvocati ed il dott. Yacouba Soumana, abbiamo appreso che oltre la metà dei processi in Corte di Assise vedono come imputate donne accusate di infanticidio.
E’ una vera e propria piaga sociale, che affonda le sue radici nella situazione di grande stigmatizzazione sociale che colpisce le donne che hanno figli fuori del matrimonio. E così se ad una ragazza non sposata, o ad una vedova, o ad una donna che ha il marito emigrato capita una gravidanza, questa viene nascosta fino al parto, poi la donna getta il neonato in un pozzo o in una discarica. Le ragazze sono di solito aiutate dalle madri, cosicché in Corte di Assise si vedono spesso alla sbarra ragazze giovani e le loro madri.
“E’ la vergogna – ci spiega Moustapha Kadi – che spinge queste disgraziate a sopprimere i loro bambini. Tenerli significherebbe denunciare un fatto per il quale sarebbero totalmente bandite dal consorzio civile, scacciate di casa e condannate alla fame o alla prostituzione. Non bisogna dimenticare che la sharia punisce l’adulterio con la lapidazione o le frustate a morte. In Niger non si applica la sharia, ma la considerazione sociale verso le adultere è terribilmente negativa”. “E dire – aggiunge Kadi – che molte volte queste donne sono costrette dalla fame: magari capita che una donna si rechi a 30 km di distanza perché c’è una distribuzione gratuita di cibo: Quando si è messa in fila, l’uomo che consegna i pacchi le dice: Aspetta fino alla chiusura che te ne do una razione doppia…”
Paradossalmente il Niger è avanzatissimo nel campo delle “pari opportunità”, essendo uno dei pochi paesi africani che ha statuito per legge le “quote rosa” per l’accesso alle cariche pubbliche, ma ciò non toglie che venga negata alla donna ogni libertà in campo sessuale.
Ne troviamo conferma in un colloquio col giornalista Ibrahim Manzo. Parliamo degli infanticidi e lui minimizza: “Alla fine non le condannano a più di 3-4 anni di prigione”. Infine dice seriamente: “Ma insomma, quando la donna si sposa, assume un impegno che deve rispettare”. Ammette che la stessa cosa vale per l’uomo ma che nei suoi confronti non v’è riprovazione sociale in caso di adulterio, anzi… Ma nega che in Niger non si riconosca alla donna libertà sessuale. A riprova di quanto affermato porta un esempio che ci fa rabbrividire: “Vi posso accompagnare in un posto non lontano dove ci sono delle ragazzine di 13 anni che si prostituiscono per loro scelta… e nessuno ha niente da ridire, anzi la considerano una cosa normale…”

La stampa in Niger
Decidiamo che è meglio cambiare discorso e affrontiamo il tema della libertà di stampa.
Ibrahim Manzo, che pure non è tenero con la giunta al potere, ammette che questa garantisce una libertà di stampa che il governo precedente non tollerava. Ma, anche qui, il problema principale non è la libertà di espressione, ma piuttosto quella di vivere.
In Niger non c’è mercato per la stampa. Solo a Niamey si pubblicano 30 giornali, ma il numero dei lettori è estremamente esiguo. Il settimanale diretto da Ibrahim Manzo, “L’autre Observatuer” vende non più di 200-300 copie. E’ vero che è composto di sole otto pagine e ci lavorano solo tre giornalisti (compreso lui), ma le vendite sono davvero insufficienti per coprire le spese. D’altronde in tutta Niamey saranno solo una decina i chioschi che vendono i giornali, il grosso (diciamo così) è acquistato dal circolo ristretto dei funzionari dei Ministeri e delle Ambasciate.
Eppure, una intera pagina del giornale di Manzo è occupata dalla pubblicità di BIANIGER, una banca nigerina. Gli domandiamo quale sia la ragione di questa pubblicità, dal momento che il numero di copie vendute non sembra giustificare un simile investimento. Lui ammette e dice che evidentemente i dirigenti dell’istituto di credito apprezzano il giornale, perché la sua linea editoriale è totalmente autonoma dai partiti. Gli chiediamo se sia altrettanto autonoma dalla Banca che lo finanzia. Non risponde
(segue)



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