Pambazuka News - numero 104 (giugno 2009)

Niger: la schiavitù, un dramma circondato dal silenzio

di Ousseini Issa e Mustapha Kadi*

Ufficialmente la schiavitù è stata abolita in Niger dal 1960. Ma la sua pratica persiste ancora oggi in tutte le regioni del paese. E' emblematico il caso di Hadijatou Korau Mani, una ragazza di 24 anni mantenuta in condizioni di schiavitù per nove anni, che ha potuto riguadagnare definitivamente la libertà solo grazie ad una sentenza della Corte di Giustizia della Comunità degli Stati dell'Africa dell'ovest (CEDEAO).
Hadijatou Korau Mani è nata a Louhoudou, un piccolo villaggio del centro del Niger. Venne venduta nel 1996, all'età di nove anni, da un capo tribù schiavista ad un uomo di 46 anni. Il prezzo della transazione: 240.000 franchi. Non appena raggiunto il domicilio del suo nuovo padrone, quest'ultimo fece di lei una "wahaya", una specie di schiava sessuale- (Si definisce "wahaya" una donna di condizione servile presa come quinta moglie da un uomo che ha già quattro spose "legali". Questa pratica, riconosciuta dall'Islam, è diffusa soprattutto in Niger, dove esiste ancora la pratica schiavista). Koraou Mani fu sottoposta a violenze sessuali e dovette occuparsi del lavoro dei campi e di quello domestico. Era anche a disposizione delle quattro mogli "legali" del suo padrone.
Dalle "relazioni sessuali forzate" cui fu sottoposta, la giovane schiava ha generato tre figli del suo padrone. Il 18 agosto 2005, quest'ultimo decise di affracarla. Munita della sua carta di affrancamaneto, la ragazza tornò nel suo villaggio natale, dove si sposò con un uomo di sua scelta.
Quando l'ex padrone venne a sapere del matrimonio, decise di intentarle un processo per bigamia, col pretesto che non aveva mai divorziato. E nonostante le prove fornite dalla donna, relative alla circostanza che i suoi rapporti col querelante erano di schiavitù e non di matrimonio, il tribunale condannò lei e suo fratello a pene detentive.
Timidria, una associazione nigerina che lotta contro le pratiche schiaviste nel paese, si è occupata della questione, che ha portato innanzi la Corte di Giustizia della CEDEAO, in Nigeria. La Corte si è recata a Niamej per il processo, onde risparmiare alla ricorrente gli spostamenti continui e costosi tra Niger e Nigeria. La sentenza è stata emessa il 27 ottobre 2008.
La sentenza ha riconosciuto che effettivamente Koraou Mani è stata vittima di schiavitù e che lo Stato del Niger non ha fatto nulla per liberarla, nonostante una legge nazionale sanzioni severamente tale pratica. La Corte ha condannato lo Stato a versarle una indennità forfettaria di 10 milioni di franchi CFA.
Questa vicenda, che è stata molto seguita dai media, ha gettato luce su di una pratica ancora persistente nel paese, nonostante le autorità lo neghino. Un simile comportamento da parte delle autorità non è per nulla sorprendente. "Nonostante la promulgazione di una legge che criminalizza la schiavitù, il fenomeno continua; è presente, lo si può addirittura toccare con mano, dal momento che vi sono molte persone vittime di schiavitù. Lo Stato continua a chiudere gli occhi sulle pratiche schiaviste, perché non ha il coraggio di andare contro i padroni. E si capisce, dal momento che sono pezzi grossi. Se ne parlate apertamente, rischiate di sertirvi domandare per quale motivo volete danneggiare l'immagine del paese", confida Moustapha Kadi.
Timidria ha già pagato il prezzo di un tale comportamento delle autorità. Nel 2005 questa associazione volle organizzare una cerimonia per la liberazione di circa 7000 presunti schiavi a Inatés, una località dell'ovest del paese, col sostegno finanziario di Anti-Slavery, una ONG inglese che lotta contro la sopravvivenza della schiavitù. Le autorità vietarono la cerimonia, negando l'esistenza degli schiavi. In seguito interrogarono e arrestarono il presidente di Timidria, accusato di voler infangare l'immagine del Niger per arricchirsi alle spalle della popolazione.
Le pratiche schiaviste riguardano tutte le regioni del Niger, ma sotto due forme diverse. C'è una forma attiva praticata nelle regioni di Tahoua, Agadez e nord Maradi. E vi è una forma passiva che si ritrova nelle regioni del fiume e un po' verso Filingué, sempre nell'ovest del paese. Nella forma passiva, gli schiavi non sono a carico dei loro padroni, che comunque riconoscono come tali. Non hanno campi, ma lavorano quelli dei padroni.
Come compenso del loro lavoro, essi ricevono una parte del raccolto. "Nell'ovest del paese, dove vi è questo tipo di schiavitù, gli uomini di mestiere (tessitori, calzolai, fabbri, artisti tradizionali) sono considerati come schiavi e sono, a causa del loro lavoro, vittime di discriminazioni all'interno della comunità", nota Kadi.
Per esempio - chiarisce - "un nobile non può sposarsi con qualcuno di queste famiglie. Pertanto, in occasione di matrimoni o battesimi, sono loro stessi che assumono l'iniziativa di rivelare il loro stato di schiavi, ch'essi sono fieri di proclamare alto e forte. Anche dal punto di vista dell'occupazione degli spazi, vi sono dei quartieri che sono riservati agli uomini dei mestieri e agli schiavi".
La cosa più scioccante in questa forma passiva di schiavitù, per un militante per i diritti dell'uomo, è che tale discriminazione persiste anche dopo la morte. "A Bonkoukou (un villaggio dell'ovest del paese), fino a poco tempo fa, nobili e schiavi non venivano interrati nello stesso cimitero. Da questo punto di vista, questa forma passiva di schiavitù - conclude - è talvolta più scioccante di quella attiva".
Nella forma attiva, la schiavitù in Niger è presente nell'est, il nord e le zone nomadi. Lo schiavo vive nella casa del padrone, che si assume il carico dei suoi bisogni alimentari, di abbigliamento ed altro. In cambio, deve occuparsi di tutti i lavori domestici e agricoli del padrone. "In queste zone vi sono casi nei quali gli schiavi godono di alcuni privilegi, e hanno delle responsabilità. Per incontrare un capo tradizionale, per esempio, bisogna spesso passare prima per uno schiavo e vi sono anche alcuni capi tradizionali che responsabilizzano degli schiavi nella gestione dei loro beni". Moustapha Kadi vede in questo un progresso.
Nella forma passiva, i nobili sono ben separati dagli schiavi, nessuno vuole mescolare il proprio sangue a quello di uno schiavo, mentre nella forma attiva gli schiavi sono assimilati. I capi si sposano con loro; è ciò che viene chiamato il Wahaya, o la quinta moglie. Il bambino frutto di questo patrimonio può ereditare il trono, mentre nell'ovest del paese questa è un'ipotesi inimmaginabile".
Il dibattito degli ultimi anni sulla schiavitù in Niger ha privilegiato il dato statistico. Nel 2002 Timidria ha commissionato una inchiesta statistica per calcolare il numero esatto di schiavi nel paese, in partnership con l'ONG Anti-Slavery. Questa inchiesta, che ha suscitato numerose polemiche, ha calcolato che circa 800.000 persone si trovano in questa situazione, su una popolazione totale stimata all'epoca in circa 11 milioni di abitanti.
Successivamente due altri specialisti, Ali Chékou Maina dell'ONG nigerina Démocratie 2000 e il dott. Souley Adji, sociologo, insegnante e ricercatore all'Università di Niamej, hanno svolto un'analoga inchiesta per conto del Bureau international du travail, che ha permesso di calcolare circa 180.000 persone in stato di schiavitù nel paese.
Di fronte a tali cifre, considerate esagerate dagli attivisti dei diritti dell'uomo e da taluni universitari che hanno analizzato la questione, Moustapha Kadi ha svolto, nell'ambito della raccolta di dati per il suo libro, una ricerca sul campo nelle otto regioni del paese. Questo lavoro gli ha permesso di censire poco più di 8500 schiavi effettivamente in attività nelle otto regioni del paese. "Ho adottato un approccio pragmatico - racconta - elencando per prima cosa tutti gli sceriffati del Niger e recandomici io stesso. Per me è stato più facile che per altri realizzare questo tipo di inchiesta, giacché io sono figlio di un capo tradizionale".
"Dovunque sono passato, i capi non hanno avuto alcun timore a descrivermi la situazione della schiavitù nelle loro regioni ed ho potuto entrare in contatto con delle persone che sono effettivamente in questa situazione. Gli altri schiavi calcolati nelle inchieste di Timidria e  del Bureau International du travail io non li ho visti e nessuno mi ha parlato di loro", aggiunge. Ma Moustapha Kadi pensa che il numero di schiavi non costituisca un dato essenziale nella lotta da combattere per sradicare questa pratica retrograda. "Ciò che importa - afferma - è che, se anche vi fosse un solo schiavo, bisognerebbe identificarlo per liberarlo".


* Ousseini Issa è un giornalista nigerino. Moustapha Kadi, militante dei diritti dell'uomo, esperto nazionale in lavoro forzato, è autore del libro "Un tabou brisé", che tratta della schiavitù in Africa e nel Niger in particolare (Harmattan, 2005)

 

 
 

 

 

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