La condanna a morte di Mohamed Cheikh ould Mohamed ould M’kheitir

In attesa del processo di appello

Nicola Quatrano
 
Si attende, da un momento all’altro, che la Corte d’Appello di Nouakchott (Mauritania) fissi il processo nei confronti di Mohamed Cheikh ould Mohamed ould M’khaitir, il giovane contabile condannato a morte il 24 dicembre 2014, per blasfemia
 
 
La novità è che il processo è stato trasferito da Nouadhibou a Nouakchott, la capitale, probabilmente a seguito della mobilitazione internazionale a favore del condannato. La notizia viene interpretata come positiva, visto il modo barbaro in cui si era comportata la Giustizia di Nouadhibou. M’kheitir resta comunque detenuto, e sono oramai due anni.
 
La mobilitazione nel mondo e in Italia
Attualmente la vicenda è oggetto di attenzione da parte del Comitato per i diritti umani dell’ONU, anche su sollecitazione di Ossin. Qui in Italia, il Comune di Napoli ha conferito, il 3 luglio 2015, la cittadinanza onoraria a Mohamed Cheikh ould Mohamed ould M’khaitir, nel corso di una cerimonia cui era presente la sorella Aisha.
 
 
La cerimonia di conferimento della cittadinanza onoraria di Napoli
 
Il precedente 1 luglio, Aisha M’Kheitir, la militante mauritana per i diritti umani Aminettou Ely, il presidente di Ossin Nicola Quatrano e l’imam di Napoli Abdellah Massimo Cozzolino, sono stati ascoltati dalla Commissione speciale per i diritti umani del Senato, presieduta dal sen. Luigi Manconi. All’esito, lo stesso senatore Manconi si è fatto promotore di una raccolta di firme, a favore della liberazione di M’kheitir, che ha in breve raggiunto quasi 20.000 adesioni.
Ossin si è inoltre impegnata in una raccolta di fondi per sostenere le spese legali a favore del condannato, che ha messo insieme, in varie forme, intorno a 4.000 euro. Il provento della sottoscrizione online è stato consegnato nei giorni scorsi alla sorella del condannato.
L’Unione delle Camere Penali italiane, in collaborazione con Ossin, monitora il processo. La grande stampa si è occupata del caso.
 
 
L’appello
Nel maggio dell’anno scorso, Nicola Quatrano aveva ricevuto, via mail attraverso la sorella Aisha Mkhaitir, un appello del condannato:
 
Sono un giovane mauritano di nome Mohamed Cheikh ould Mohamed ould Mkhaitir, detenuto dal 1° gennaio 2014 e condannato a morte nel dicembre dello stesso anno dal tribunale di 1° istanza di Nouadhibou (Mauritania ), per avere pubblicato un articolo sul periodo della conquista dell’Islam. Gli avvocati mauritani rifiutano di assumere la mia difesa senza corresponsione di una congrua parcella. Io provengo da una classe sociale oppressa (i maniscalchi)
Ringrazio l'Osservatorio Internazionale per i diritti (Ossin) e il suo presidente, il sig. Nicola Quatrano, per i loro sforzi e il loro impegno a favore della mia liberazione. Ringrazio anche tutti coloro che mi sono vicini in questi momenti drammatici.
Rivolgo un appello vibrante a tutta la famiglia umana, a tutte le persone di buona volontà, a tutte le ONG che lottano per la libertà e l’umanesimo e a tutti i paesi che tutelano le libertà e la libera espressione perché mi sostengano con una presenza massiccia al processo di appello. Ho bisogno del sostegno di tutti e ho anche bisogno di un aiuto economico per coprire le spese della mia difesa.
Mi auguro di potervi ringraziare personalmente e presto, da uomo libero.
Mohamed Cheikh ould Mohamed ould Mkheitir
 
Il processo
 
Il 24 dicembre 2014, nella tarda serata, la Corte Criminale di Nouadhibou (la seconda città della Mauritania) ha condannato a morte per apostasia Mohamed Cheikh ould Mohamed ould Mkhaitir, un contabile che aveva all’epoca 29 anni, figlio di un funzionario di prefettura di quella città.
 
L’imputato si era dichiarato non colpevole, martedì 23 dicembre 2014, all’apertura del processo, il primo del genere in questo paese di quasi quattro milioni di abitanti. In stato di detenzione dal 2 gennaio, era accusato per uno scritto denunciato come blasfemo e oltraggioso nei confronti del profeta Maometto. Accusa da lui respinta, avendo spiegato che sua intenzione non era di criticare il profeta, ma solo di difendere una componente sociale “malconsiderata e discriminata”, la casta dei maniscalchi (“maalemine”). Egli proviene infatti da questa comunità posta ai livelli più bassi della scala sociale, in una società mauritana dalla complessa gerarchia e in trasformazione, che si articola attorno a etnie, tribù, ciascuna di esse suddivise in caste.
 
Alla lettura del dispositivo è svenuto, secondo quanto raccontato ad AFP da una fonte giudiziaria. “E’ solo un criminale che ha avuto quel che si merita”, ha dichiarato alla stampa, a Nouakchott, Jemil Ould Mansour, presidente del partito islamista moderato Tewassoul (opposizione).
 
La pronuncia del verdetto è stata salutata, nella notte tra mercoledì e giovedì, da rumorose scene di gioia a Nouadhibou, sia in Tribunale che nelle strade, ma anche a Nouakchott, la capitale. Nelle due città, gli abitanti sono scesi in strada salutando la sentenza con dei concerti di clacson, alcuni gridando “Allah Akbar” (Dio è grande).
 
Pressione popolare 
L’imputato era difeso da due avvocati di ufficio, dopo che il difensore di fiducia aveva rinunciato al mandato per la pressione della piazza. Sembra che uno dei due difensori di ufficio si sia limitato, nel corso dell’arringa, a spiegare le ragioni per cui era costretto a difendere l’imputato.
 
Successivamente, nel febbraio 2015, anche i due avvocati di ufficio, Maître Youssef Niane e Maître Mohamed Mahmouba, hanno rinunciato al mandato, per paura di ritorsioni, ed attualmente l’imputato è privo di difesa.
 
Le pressioni dei gruppi islamisti radicali hanno trovato una sponda importante nei più alti vertici dello Stato. In occasione dell’arresto del giovane Mkhaitir, infatti, lo stesso presidente della Repubblica Islamica della Mauritania, Mohamed Abdel Aziz, ha dichiarato, davanti ad una folla di manifestanti raggruppati alla porta del suo palazzo: “Vi ringrazio di tutto cuore per la vostra partecipazione massiccia ad una manifestazione contro il crimine commesso da un individuo contro l’islam, la religione del nostro popolo, del nostro paese. La Repubblica Islamica di Mauritania, come ho già precisato in passato e riaffermo oggi, non è laica e non lo sarà mai… vi assicuro quindi che il governo e io stesso non lesineremo alcuno sforzo per proteggere e difendere questa religione e i suoi simboli sacri…”.
 
M'Kheitir durante il processo di 1° grado
 
Ossin ha già evidenziato gli aspetti più inaccettabili del processo:
 
1.    La difesa è stata oggetto di intimidazioni violente e tutto il processo è stato condizionato dalla presenza una folla minacciosa. Ciò esclude la serenità del verdetto.
2.    Vi sono delle perplessità sul modo in cui è stato designato il collegio giudicante.
3.    La condanna è stata pronunciata – sembra – per un delitto diverso da quello contestato, o comunque per un delitto, quello di ipocrisia, che sembra solo frutto di una interpretazione della sharia.
4.    All’imputato non è stato rivolto l’invito a pentirsi, l’accettazione del quale, ai sensi del disposto dell’art. 306 del codice penale, l’accusa avrebbe dovuta essere archiviata.
5.    Il suo pentimento, comunque, avrebbe dovuto escludere la pena di morte.
 
Siamo in attesa del processo d'appello, sperando che prevalga la ragione
 
 
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