l’histgeobox, 2 maggio 2012 (trad. Ossin)



La teologia della liberazione in America Latina
Violeta Parra: “Que dirà el Santo Padre”

Nata nel 1917 in Cile, Violeta Parra è uno dei massimi esponenti della Nueva Cancion Chilena.
Negli anni 1950, con l’intento di salvaguardare la musica tradizionale cilena, munita di magnetofono e chitarra, Violeta Parra percorre il profondo Cile. Raccoglie antichi pezzi della musica popolare rurale. Nello stesso tempo compone e interpreta le sue canzoni, utilizzando gli strumenti tradizionali indiani. I suoi testi, forti e incisivi, sono altrettanti attacchi frontali contro ogni forma di sfruttamento.


 

Paradossalmente, è stato subito dopo avere inciso Gracias a la vida, sublime inno alla vita, che si suicida il 5 febbraio 1967, a 50 anni.

I componenti della sua famiglia, tutti militanti del partito comunista cileno, saranno perseguitati sotto il regime di Pinochet. I suoi figli, Angel e Isabel, continuatori e fedeli conservatori dell’opera materna, saranno costretti all’esilio dopo il colpo di stato dell’11 settembre 1973.

Que dirà el Santo Padre è uno dei capolavori della sua discografia. Questa canzone pugno di ferro denuncia il comportamento del Vaticano, indicato come il sostegno indefettibile delle dittature di estrema destra che sono proliferate nel sub-continente a partire dalla fine degli anni 1950.
Critica inoltre la cupidigia di una istituzione che dovrebbe invece considerare la povertà come una virtù, e l’appoggio morale e il sostegno incondizionato dato ai ricchi.
Infine Parra schernisce l’oppressione economica esercitata da un pugno di grandi feudatari arricchitisi con lo sfruttamento scandaloso di una mano d’opera miserabile.


Il Vaticano II e i tentativi di adeguare la Chiesa al mondo moderno
La canzone figura nella raccolta Recordando a Chile (una chilena en Paris), uscita nel 1965. Data in cui gli atteggiamenti e le prese di posizione della gerarchia cattolica latino-americana corrispondono perfettamente alle severe considerazioni enunciate dalla cantante. Tuttavia l’istituzione è attraversata anche da profondi rivolgimenti. In rottura col discorso tradizionale e dominante della Chiesa, alcune correnti spirituali progressiste del cattolicesimo sud-americano predicano l’impegno sociale e politico della Chiesa a favore dei poveri, auspicando che cessi la collusione della Chiesa coi ricchi.
All’inizio assai minoritari, questi orientamenti si collocano al centro del dibattito aperto dal Concilio Vaticano II.

Convocato dal papa Giovanni XXIII, l’assemblea avrebbe dovuto durare solo qualche settimana. Si prolunga invece per tre anni (dall’ottobre 1962 al dicembre 1965) e comporta dei profondi rivolgimenti per l’istituzione.

I testi adottati mirano a:
- Riconciliare la Chiesa con la modernità, adattando le sue istituzioni tradizionali alle necessità del mondo moderno;
- Invitare i cristiani a guardare in termini più positivi ad esso;
- Infine, collocando il concilio in un orientamento risolutamente ecumenico, Giovanni XXIII aspira alla riconciliazione tra tutti i cristiani (cattolici, protestanti, ortodossi).

I testi adottati alla conclusione del concilio comportano una importante ricollocazione della Chiesa in diversi ambiti.

Così la costituzione Sacrosantum concilium modifica profondamente la liturgia con l’abbandono della messa in latino, utilizzando le lingue nazionali.
D’altra parte, la struttura piramidale della Chiesa evolve in termini più egalitari, avvicinando la gerarchia dei fedeli. La prima deve ridimensionarsi dietro il “popolo di Dio”, vale a dire i cristiani. In questa ottica vengono riconosciuti il ruolo dei laici, come anche alcune forme di apostolato originali, come quello dei preti-operai (1).
Infine il concilio riconosce la libertà di coscienza, dunque la possibilità di scegliere la propria religione, anche non cristiana, perfino di non credente. La fede è libera.
Le velleità riformatrici delineatesi nel corso del concilio incontrano le aspirazioni di una parte del clero latino-americano in pieno cambiamento dopo gli anni 1950. Il Vaticano II rappresenta per essi un riferimento essenziale.


Teologia della liberazione

Dom Helder Camara è stato uno dei più eminenti rappresentanti di una corrente che mira ad “aiutare i popoli a liberarsi”. Formatosi inizialmente nella tradizione ultraconservatrice della Chiesa brasiliana, se ne allontana e milita per tutti gli anni 1950 per una profonda trasformazione dell’istituzione.
Vescovo ausiliario di Rio, avvia nel 1952 un ampio programma di insediamento popolare che gli vale il soprannome di “vescovo delle favelas”. Partendo da una semplice considerazione: “Se si guarda il mondo, si scopre che vi è il 20% che ha nelle sue mani l’80% delle risorse della terra, che questo 20%, almeno come origine, è cristiano”, l’arcivescovo di Recife afferma che questo comporta “degli obblighi serissimi per noi cristiani”.
Nella sua vita di tutti i giorni, l’arcivescovo non vuole vivere chiuso nel suoi palazzo episcopale e milita per una Chiesa senza titoli onorifici né privilegi. Nel corso del concilio Vaticano II, alla testa del “gruppo dei poveri”, si impegna in una vera lotta per la trasformazione della Chiesa. Milita per una Chiesa meno romana, più spoglia, vicina ai diseredati.


In un paese come il Brasile, nel quale il clero è da lungo tempo impegnato al fianco di una popolazione miserabile e vessata da una feroce dittatura militare (a far data dal 1964), la particolare attenzione accordata ai più umili trova una risonanza particolare.
La conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (CNEB), della quale Helder Camara assume la carica di segretario generale, milita per un attivo riformismo in favore dei diseredati. Agli occhi di numerosi ecclesiastici, questa opinione sembra peraltro la sola suscettibile di contrastare la crescita dei movimenti rivoluzionari nel sub-continente.
In Cile, il vescovo di Valparaiso, poi arcivescovo di Santiago (nel 1961) Raul Silva Henriquez, è tra i più combattivi partigiani dell’applicazione della riforma agraria, distribuendo le terre della Chiesa ai lavoratori rurali.
Al di là di questi esempi, una parte della Chiesa sud-americana fa il suo aggiornamento negli anni 1960 sulla scia del Vaticano II (1962-1965). Dominata dalla figura di Helder Camara, la conferenza episcopale latino-americana, riunita a Medellin nel 1968, adotta nuove risoluzioni e si pronuncia per l’impegno dei cristiani nella lotta contro la povertà e le ingiustizie sociali.

E’ in questo contesto che compare la teologia della liberazione. Come sottolinea Leonardo Boff, uno dei suoi principali teorici, questa teologia è il riflesso di una pratica e l’espressione di un vasto movimento sociale apparso agli inizi degli anni 1960, durante i quali si elaborano tutta una gamma di azioni, con la comparsa di sindacati cattolici rurali, di movimenti di educazione di base, di commissioni pastorali a base popolare (pastorale della terra a sostegno delle rivendicazioni dei contadini senza terra in conflitto coi latifondisti, pastorale operaia, pastorale urbana…)
La riflessione su queste pratiche e azioni comincia veramente solo all’inizio del decennio seguente. Nel 1970, il teologo brasiliano Hugo Assmann denuncia lo “sviluppismo” allora predominante in America Latina (2), mentre l’opera del prete peruviano Gustavo Gutierrez, “Verso la teologia della liberazione” (1971), teorizza il movimento. In seguito, Clodivis e Leonardo Boff, due ecclesiastici brasiliani, fondano le loro analisi della società sulla teoria marxista della lotta di classe. Al di là delle divergenze tra teologici, è possibile individuare molti temi comuni a questa teologia in rottura con la dottrina tradizionale della Chiesa:

- Requisitoria contro il capitalismo, considerato un sistema iniquo e ingiusto.
- Utilizzo, tra gli altri, del marxismo e della lotta di classe come strumento di analisi sulle origini della povertà.
- Sviluppo delle comunità cristiane di base per contrastare il crescente individualismo.
- Nuova lettura della Bibbia centrata sulle parabole che consentono un avvicinamento alla lotta di liberazione del popolo asservito (in particolare l’Esodo, la liberazione di un popolo asservito).
- Denuncia dei nuovi idoli: la ricchezza, la Forza militare…
- Critica della tradizionale teologia dualista che separa nettamente la storia dell’uomo e temporale dal mondo sacro.

Se questa corrente esercita una innegabile influenza in America Latina, è perché gli orientamenti che propone sono in grande sintonia con quelli dei movimenti sociali e di contestazione in piena espansione (lega contadina brasiliana, per esempio) negli anni 1970.
Alcuni ecclesiastici che si proclamano seguaci della teologia della liberazione non esitano a impegnarsi al fianco di organizzazioni di estrema sinistra. In Nicaragua, per esempio, Daniel Ortega, il leader sandinista, chiama alcuni preti seguaci di questa teologia a comporre il suo governo (Ernesto Cardenal e Miguel d’Escoto, rispettivamente ministro della cultura e degli affari esteri).


Presto il prete Camilo Torres, sociologo ed ex cappellano dell’Università nazionale di Bogotà, si distingue per il suo impegno sociale e la sua critica radicale del capitalismo. Le sue prese di posizioni gli guadagnano rapidamente l’ostilità della gerarchia, Il suo cardinale lo esonera dalle funzioni di prete nel giugno 1965.
Constatando l’inefficacia della via non violenta, Torres si impegna in un movimento di guerriglia (L’esercito di liberazione nazionale colombiano). “Le vie legali sono esaurite. Perché il popolo possa avere educazione, casa, cibo, abiti e, soprattutto, dignità, la lotta armata è l’unica via che resta”.
Il 15 febbraio 1966, durante la sua prima azione armata, Camilo Torres cade in una imboscata.
I suo impegno rivoluzionario, l’avvicinamento che opera tra marxismo e cristianesimo, ne fanno indiscutibilmente un precursore della teologia della liberazione e un martire.
Nei decenni successivi, con il rafforzarsi dei movimenti rivoluzionari e della teologia della liberazione, viene elevato al rango di martire e diventa l’incarnazione del prete-guerrigliero (il suo ricordo è fortemente alimentato dalla canzone:
Cruz de luz, interpretata da Victor Jara).


La repressione
Come ricorda Michael Lowy, “trattandosi di protesta religiosa, etica e sociale contro l’ingiustizia delle società latino-americane, e invito a un radicale cambiamento, la teologia della liberazione viene percepita, dai partigiani dell’ordine costituito, compreso quello clericale, come una sfida al loro potere”. Di conseguenza le dittature militari conservatrici del sub continente si impegnano a schiacciare queste tendenze minoritarie nelle Chiese latino-americane.

- In Brasile, con la presa del potere da parte dei militari, i sostenitori del cambiamento sono inquieti. Fin dal 1964, dom Helder Camara, nominato poco dopo arcivescovo di Olinda-Recife, non viene riconfermato alla guida della conferenza dei vescovi. L’ecclesiastico entra allora in opposizione col potere, denunciando le violenze e le privazioni di libertà in molti sermoni. L’inasprimento della dittatura si accompagna ad una accresciuta repressione sulla Chiesa di Recife. Il 27 maggio 1969, come avvertimento, un “commando di caccia ai comunisti”, composto da elementi della polizia militare, tortura e poi assassina Henrique Pereira Neto, un giovane prete della diocesi.
Protetto dalla sua notorietà, ma senza accesso ai media nel suo paese, Camara parla durante i suoi viaggi all’estero. Nel 1970 denuncia l’uso della tortura nel suo paese nel corso di una conferenza al Palazzo dello sport di Paris. I militari si impegnano da allora nel tentativo di discreditarlo, riesumando il suo passato “fascista”.
Invece di emarginare Camara, questa campagna di denigrazione contribuisce a precipitare la rottura della Chiesa brasiliana con un regime che fino ad allora era stato sostenuto dalla maggioranza degli ecclesiastici. A partire dal 1971, i temi della teologia della liberazione si impongono all’interno della CNEB, a tal punto che alla fine del decennio “la Chiesa brasiliana, attore di peso nella lotta per la democratizzazione del paese, passa per la più progressista del mondo”. (Richard Marin)

-In Salvador, a partire dal 1977, il regime militare commette molti omicidi di religiosi. Nel 1980, l’arcivescovo di San Salvador, Romero, benché noto per le sue posizioni moderate, viene assassinato da una squadra della morte al soldo della dittatura. Il giorno del suo funerale, l’esercito spara sulla folla davanti alla basilica.

-Nel vicino Guatemala. La sanguinaria dittatura fa assassinare 25 religiosi e migliaia di civili.

-In Cile, il cardinale Raul Silva Henriquez giuoca un ruolo importantissimo nella difesa dei diritti umani violati da Pinochet. Le sue prese di posizione gli valgono numerosissime critiche, anche da parte della Chiesa cilena.

Questo ultimo esempio permette di ricordare che la tendenza dominante delle Chiese latino-americane resta conservatrice e legata al potere, anche dittatoriale.
Così, con qualche eccezione, i vescovi argentini collaborano apertamente con la dittatura.
Alla fine dei conti, ricordiamo che il cristianesimo della liberazione e la sua teologia influenzano solo una minoranza dell’istituzione.
Se l’intensa repressione di cui è oggetto spiega in parte il riflusso di questa teologia, occorre anche aggiungere la diffidenza del Vaticano a partire dal pontificato di Giovanni Paolo II.


Il ritorno pontificio
La breccia aperta dal concilio Vaticano II e la teologia della liberazione aprono per la Chiesa un periodo di sperimentazioni (3) e si accompagna a forti contestazioni all’interno della Chiesa cattolica. Alla morte di Giovanni XXIII, il suo successore Paolo VI e la curia romana pongono un freno alle riforme avviate sulla scia del concilio. I primi gesti di insofferenza pontificia appaiono fin dal luglio 1968 con la pubblicazione dell’enciclica Humanae vitae (4).
Questo cambiamento di rotta frena la dinamica creata dal concilio e delude una gran parte dei fedeli.
Due campi inconciliabili si confrontano oramai nell’istituzione. I fautori della prosecuzione delle riforme affrontano quelli che reclamano una restaurazione, favorevoli alla liquidazione del concilio (5).
Pur condannando gli ultra lefebrvisti (scomunica nel 1981), il nuovo papa Giovanni Paolo II, di fronte ad un mondo in via di scristianizzazione, prosegue l’opera di ritorno alla tradizione. Quello che taluno presenta come un difensore delle libertà – sicuramente per ciò che concerne la lotta permanente contro i regimi comunisti atei dell’Europa dell’est – non esita tuttavia, in nome di questa stessa lotta contro gli ideali comunisti, a sostenere le peggiori dittature di estrema destra in America Latina.
Il papa è convinto che la teologia della liberazione faccia il gioco della propaganda comunista come confermano le parole del cardinale Radtzinger (il futuro Benedetto XVI): “Non si tratta per  noi di frenare l’intervento della Chiesa in favore dei poveri, al contrario lo incoraggiamo. Noi vogliamo solo richiamare l’attenzione su quelli che, non solo non aiutano, ma vogliono condurci verso un nuovo totalitarismo. Vogliamo dimostrare che queste opzioni nelle quali si confonde la fede e una politica di origine marxista, provocano alla fine privazioni delle libertà”.
Di conseguenza il papa non tarda a prendere le distanze da una teologia giudicata pericolosa.

Durante i suoi viaggi in Guatemala, San Salvador e Nicaragua, tre paesi in cui era potente la Chiesa dei poveri, il sovrano pontefice prende chiaramente le distanze dalla teologia della liberazione. Nei primi due Stati citati, il papa deplora l’assassinio dei religiosi senza denunciare con nettezza i regimi che li hanno permessi.
Nel 1983, sulla pista dell’aeroporto di Managua, il papa redarguisce Cardenal venuto a ricevere la benedizione papale. Giovanni Paolo II gli rimprovera la partecipazione al governo rivoluzionario sandinista in qualità di ministro della cultura.
Questo comportamento viene male accolto dalla popolazione che schernisce il sovrano pontefice durante la messa che fa fatica a celebrare la sera stessa. Malgrado le sue esortazioni al silenzio, la folla scontenta si rifiuta di ascoltarlo.
Il sinodo dei vescovi del 1985, riunito da Giovanni Paolo II, segna anch’esso la volontà di un accresciuto controllo sul clero. Ogni riferimento alla teologia della liberazione viene bandita dai seminari. In America Latina tutti i vescovi e prelati riformatori vengono progressivamente sostituiti o ridotti al silenzio.
Nel 1984 Leonardo Boff deve sottomettersi davanti al Santo Uffizio che lo condanna al silenzio e alla privazione di tutte le sue cariche.
L’anno seguente, per sostituire Helder Camara, Giovanni Paolo II sceglie José Cardoso Sobrinho, un vescovo ultraconservatore, in totale opposizione con la teologia della liberazione. Sostenendo il contrario del suo predecessore, smantella in qualche mese le pastorali popolari e ritorna alla tradizione dei principi-vescovi reinstallandosi nel palazzo episcopale (6).

La dilapidazione dell’eredità del Vaticano II viene invocata come una formula di stile imposta, priva di ogni significato. Per avere rifiutato di cambiare, dilapidando l’eredità del concilio Vaticano II o riducendo al silenzio le correnti progressiste, la Chiesa cattolica vede ridurre fortemente la sua influenza in America Latina. Anche le sue posizioni si indeboliscono di fronte alla crescita folgorante delle Chiese o sette pentecostali.

Note:

1. L’esperienza dei preti operai che nacque dopo la Liberazione in Francia si iscrive in questo ambito. Influenzati dalla lotta partigiana, alcuni preti disertano le chiese per vivere tra le classi popolari, soprattutto gli operai, e si istallano nei luoghi disertati dalla istituzione. Questi uomini vivono e lavorano come operai. In questi luoghi disertati dalla istituzione, qualcuno milita nelle organizzazioni sindacali (anche la CGT) per il miglioramento delle condizioni di lavoro. In piena guerra fredda, queste prese di posizione irritano il Vaticano. Così il 1° marzo 1954, Poi XII vieta i preti operai. Secondo lui il prete è un uomo di parrocchia e di culto, non un uomo di fabbrica.

2. Sviluppismo: ideologia che pone lo sforzo economico al centro della lotta contro il sottosviluppo, a detrimento degli aspetti politici, sociali, culturali ed etici.

3. Per esempio in Francia, da parte del clero di base, una contestazione chiaramente politica appare in seno all’associazione “échanges et dialogue” che riunisce quasi un migliaio di preti e che rivendica la libertà di scelta per ciò che concerne l’impegno politico e sindacale ed il celibato.

4. Nel dicembre 1967 la pillola viene legalizzata in Francia con la legge Neuwirth. Panico in Vaticano e sei mesi dopo, il 26 luglio 1968, Paolo VI pubblica l’enciclica Humanae vitae che afferma l’indissolubilità del matrimonio e il divieto della contraccezione.

5. La frangia più reazionaria è animata da monsignor Lefebvre che non esita a provocare uno scisma. Alla testa della sua confraternita, San Pio X, reclama il rinnegamento totale del concilio.

6. Provoca uno scandalo nel marzo 2009, quando scomunica la madre e il medico che avevano accettato di praticare un aborto su una ragazzina di 9 anni vittima di stupro.


"Que dirá el Santo Padre ?" Violeta Parra

Miren como nos hablan de libertad, cuando de ella nos privan en realidad.
Miren como pregonan traquilidad, cuando nos atormentan la autoridad.


Que dirá el Santo Padre ? Que vive en Roma, que le está degollando, a su paloma.


Miren como nos hablan del paraíso, cuando nos llueven penas como granizo.
Miren en el entusiasmo, por la setencia, sabiendo que mataban a la inocencia.


Que dirá el Santo Padre...etc.


Y que oficia la muerte como verdugo, tranquillo está tomando, su desayuno.
Con esto se impulsieran la soga en cuello, el quinto mandamiento, no tiene sello.


Que dirá el Santo Padre...etc.


Mientras más injusticias, señor fiscal, más fuerza tiene mí alma, para cantar. Lindo segar el trigo en el sembrao, regado con tu sangre, Júlian Grimao.


Que dirá el Santo Padre... etc.


La presente versione italiana, ripresa dalla "Musica dell'Altraitalia", è probabilmente di Ignazio Delogu
.
CHE DIRÀ IL SANTO PADRE?


Guardate come ci parlano di libertà
mentre di essa ci privano nella realtà.
Guardate come predicano tranquillità,
mentre poi ci tormenta l'autorità.


Che dirà il Santo Padre che vive a Roma,
che gli stanno sgozzando la sua colomba?


Guardate come ci parlano del paradiso
mentre piovon proiettili come grandine.
Guardate come sono entusiasti della sentenza,
mentre sapevano che uccidevano un innocente.


Che dirà il Santo Padre ….


Quello che officiò la morte come un boia
sta mangiando tranquillo il suo pranzo.
Con ciò si son messi la corda al collo,
Il quinto comandamento non ha valore.


Che dirà il Santo Padre ….


Più ci sono ingiustizie, signor pubblico ministero,
più forza ha la mia anima per cantare.
È bello mietere il grano dal campo
bagnato del tuo sangue, Julián Grimau.*

*Arrestato dalle Autorità franchiste durante gli scioperi operai del 1962, questo militante del Partito comunista spagnolo viene tradotto davanti ad un Tribunale Militare che lo accusa di presunti delitti commessi durante la guerra civile. Nonostante le numerose proteste internazionali, Julian Grimau viene giustiziato all’esito di una parodia di processo, il 20 aprile 1963



 

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