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Les 7 du Quebec, 20 novembre 2016 (trad. ossin)
 
Rififi alla Casa Bianca, Trump l’utopia
Robert Bibeau
 
Cominceremo col parlare dei diversi ruoli svolti dai media borghesi, per poi applicare i principi individuati allo studio di un caso strettamente contemporaneo, le elezioni presidenziali statunitensi del 2016. In questa seconda parte dell’articolo, faremo la dimostrazione del ridicolo aggiotaggio della intellighenzia borghese, di sinistra come di destra, a proposito di Donald Trump che definiscono cafone, grossolano, un personaggio imprevedibile e incontrollabile. Il Presidente eletto ci pensa da solo a mettere questi lacchè al loro posto, come anche i suoi alleati del Golfo Persico
 
 
I ruoli e le funzioni dei media «mainstream»
 
Nella democrazia borghese, i media mainstream – quelli dominanti di proprietà dei trust mediatici miliardari – svolgono tre funzioni; in primo luogo la funzione «people», che consiste nel distrarre il popolino dai grattacapi che lo assillano ogni giorno e nello sviare la sua attenzione dai veri problemi. Quindi presenta la vita dei ricchi come un modello inaccessibile da invidiare, e usa lo sport come uno sfogo alle frustrazioni quotidiane. In secondo luogo c’è la funzione «formattazione», che si realizza indottrinando il popolino e inculcandogli il «pensiero unico». Questi media raccontano l’economia, la politica e l’ideologia come fossero un tracciato a senso unico – la metafora dell’autostrada a più corsie è appropriata – che porta verso un futuro inevitabile, di fronte al quale è inutile ribellarsi. Quindi i media vi mostreranno per esempio tre ecologisti che si sfiancano disperatamente nel profondo della giungla amazzonica, per meglio farvi comprendere la futilità della loro missione. O ancora dei poveri che si sono ribellati, abbattuti per strada dai piedipiatti, allo scopo di terrorizzarvi e paralizzarvi. In questo mondo, il processo elettorale si risolve nella scelta tra la via di sinistra – la strada rapida (rappresentata da Donald Trump) – e la via del centro, o ancora, la via di destra, più lenta ma che porta alla stessa impasse (rappresentata da Hillary Clinton). Non c’è nulla oltre questi sentieri battuti. Infine i media a libro paga hanno, almeno qualcuno di loro, una funzione di «management», di analisi seria dell’informazione e di ampia diffusione di queste informazioni preziose. Ma attenzione, questi media di «management» nono sono destinati al popolino, considerato ignorante e incolto. Per impedire che il primo stronzo che arriva possa accedere a questa ricca informazione, essa viene cifrata in linguaggio diplomatico (destinata alla tribù degli iniziati miliardari e ai loro correligionari). L’onnipotente classe capitalista ha bisogno di queste analisi, di questi reportage e di queste informazioni vere per prendere le decisioni avvedute, sia nel campo preponderante dell’economia, che in quelli della politica e dell’ideologia. Sono i grandi media come: The Washington Post, The New York Times, The Economist, Financial Times, ecc. che costruiscono la coesione sociale della classe dominante e che fanno sì che questa classe di ricchi resti egemone. Egemonica in quanto classe regnante, ma divisa in fazioni concorrenti e predatrici. Le elezioni assolutiste borghesi hanno il compito di distribuire il potere tra queste due fazioni. Le ultime presidenziali statunitensi (2016) hanno concentrato i poteri politici esecutivo e legislativo nelle mani della fazione repubblicana, giacché l’imperialismo USA si prepara a grandi manovre sul piano economico (di bilancio, monetario e finanziario) e quindi anche sul piano politico.
 
Inutile dire che la classe proletaria non dispone di simili reti mediatiche, e che la sua piccola stampa di lotta – come il webmagazine les 7 del Québec, http://www.les7duquebec.com, viene ferocemente boicottato dai grandi media, e questo va da sé, ma anche dai media della sinistra a gogò della piccola borghesia settaria e dommatica. Per il momento la cosa non ha grande importanza perché la classe proletaria mondiale non si prepara alla lotta insurrezionale. Quando sarà il momento, bisognerà correggere rapidamente questa lacuna e assicurare una ampia e rapida diffusione della stampa di lotta proletaria. Per il momento noi invitiamo i nostri lettori a seguirci nel nostro impegno e a divulgare le nostre analisi. Forgiamo le nostre armi, come fanno gli altri.
 
Applicazione di questi principi al caso «Donald Trump»
 
A partire dalle elezioni presidenziali dello scorso 8 novembre, un’ampia parte dei media «people» e dei media di «formattazione» dell’opinione pubblica, portandosi dietro nella loro scia tutta una sfilza di media sociali, e anche di pubblicazioni della piccola borghesia militante di sinistra – di tutti i gruppuscoli settari senza eccezione – continuano a diffondere sciocchezze a proposito di Donald Trump il cafone, il gangster, il razzista, l’utopico, il misogino e il populista, mentre la grande stampa di opinione – che non sa che farsene di queste pochezze utili solo a distrarre il pubblico – è fedele al suo compito di analisi e di consiglio rivolti al grande capitale imperialista mondiale.
 
Così, Khalid Al-Falih, ministro dell’Energia saudita e presidente della compagnia petrolifera nazionale saudita, Saudi Aramco, ha concesso una intervista al Financial Times. Ne approfitta per chiedere al nuovo presidente USA di «riflettere bene» prima di dare seguito alla sua promessa elettorale di rinunciare alle importazioni di petrolio saudita. Il magnate del petrolio formula la sua professione di fede aggiungendo: «Gli Stati Uniti sono il portabandiera del capitalismo, dei liberi mercati. Continuano a rappresentare una parte molto importante dell’industria globale, che è interconnessa e che dipende dalla materia prima che è il petrolio. Raggiungere l’equilibrio in un mercato libero è molto utile per il petrolio, un elemento vitale dell’economia globale», gli Stati Uniti trarranno maggiori benefici dal libero scambio mondiale. L’Arabia saudita fornisce l’11% del petrolio brut consumato negli Stati Uniti, contro il 40% dal Canada». Il giornalista del Financial Times aggiunge che «Durante la campagna elettorale, Donald Trump aveva promesso di «liberare» completamente il settore energetico degli Stati Uniti dai suoi «avversari», e dai «cartelli» petroliferi e di realizzare una «indipendenza energetica assoluta» per gli Statunitensi. Il repubblicano ce l’aveva, pur senza nominarla, con l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (OPEP), dominata dall’Arabia Saudita. «Senza di noi, l’Arabia Saudita non esisterebbe più da un pezzo», aveva dichiarato Donald Trump al New York Times nel marzo scorso» (1).
 
L’analisi di questi messaggi criptati
 
Ecco il genere di dichiarazioni del candidato Trump che la stampa «people», e quella di «formattazione» dell’opinione pubblica, hanno il compito di nascondere agli occhi degli stupidi e dei radical chic della sinistra a gogò, invitandoli piuttosto ad eccitarsi sul tema delle attricette che Trump avrebbe «manipolato» (sic). Perché il candidato Donald Trump ha minacciato questo incondizionato alleato dell’impero USA, questo servile cliente delle armi statunitensi? La risposta che sorse spontanea da parte degli pseudo-esperti, analisti, geostrateghi da trattoria, dei politologi da bar, degli economisti e specialisti da caffè fu «Donald Trump è un personaggio grossolano senza grande esperienza politica».  Falso. Donald Trump ha dimostrato in questa occasione di una finezza politica frutto di una larghissima esperienza che non può venirgli che da consiglieri agguerriti – che Trump sta a sentire aspirando a diventare il portavoce della sua classe sociale, e dimostrando così che questo pulcinella politico è perfettamente prevedibile quando si tratti delle cose che interessano alla classe capitalista. Per favore dimenticatevi delle ninfette della Lega femminista e LGBT e gli ecologisti in pantaloncini da scout della falange dei Naufraghi!
 
Incidentalmente, i personaggi economicamente e politicamente importanti come questo ministro saudita del petrolio non si fanno ingannare dalle mascherate e si prendono la pena di riaffermare la loro sottomissione sulle colonne di un media importante, che ha la funzione di orientare l’opinione dei grandi decisori internazionali.
 
Però, per fare qualche passo avanti, ci serve di tradurre in linguaggio corrente e la minaccia di Trump e la risposta cifrata dello sceicco del petrolio.
 
Per cominciare, occorre sapere che il petrolio non è l’argomento principale di questa missiva. Con l’11% del suo approvvigionamento proveniente dall’Aramco (Arabia), gli Stati Uniti sono lontani dall’essere dipendenti da questo fornitore. Col 40% delle loro forniture che giungono dalle compagnie petrolifere installate in Canada, gli Stati Uniti sono nettamente più dipendenti da queste imprese per lo più statunitensi. Allora perché minacciare l’Arabia Saudita e non il Canada?
 
Minaccia contro il petrodollaro
 
E’ che la potenza USA si fonda in grande parte sui petrodollari, la moneta del commercio internazionale, e soprattutto del commercio del petrolio, la merce più trattata nei mercati. Ebbene il dollaro si trova in una pessima situazione, a causa del super-indebitamento dell’economia statunitense, zavorrata dai suoi deficit di bilancio e commerciali ripetuti. Per di più, il programma elettorale di Donald Trump prevede di accrescere questo deficit e il debito sovrano, con spese annunciate nella misura di 1.800 miliardi di dollari per infrastrutture e una riduzione equivalente del carico fiscale. Facile immaginare le conseguenze! Il dollaro USA sta andando dritto verso una drastica svalutazione. Né Barack Obama, né la banderuola arrivista Hillary Clinton avrebbero avuto la statura per decretare una simile svalutazione del dollaro…  Trump il paria cafone avrà questa audacia, col rischio di guerra che questo porta con sé. Infatti dopo questa svalutazione del dollaro, le multinazionali proprietarie di masse di dollari vedranno la loro fortuna sciogliersi sotto i raggi della stagflazione. Incidentalmente, il maggiore detentore di petrodollari è l’Arabia Saudita, seguita dalla Cina.
 
Torniamo alla Saudia Aramco
 
Tutti i trust petroliferi ed energetici internazionali, e anche tutte le multinazionali del commercio mondiale sanno queste cose, che i tizi e i radical chic della sinistra a gogò, come anche della destra borghese, ignorano serenamente. Di conseguenza tutte queste imprese cercano di sbarazzarsi dei loro depositi di dollari prima del grande cataclisma monetario mondiale. Già da venti anni, diversi paesi petroliferi e altri grandi consumatori di energia fossile hanno tentato di realizzare una alternativa al petrodollaro, vale a dire hanno tentato di sostituire il dollaro con un paniere di divise convertibili per assicurare gli scambi internazionali. Le imprese russe e cinesi, soprattutto, hanno convenuto di regolare i loro commerci in rubli e in yuan. Capite adesso l’acrimonia di Hillary contro Putin? Donald Trump, da parte sua, pensa di riuscire coi negoziati a ottenere quel che le sanzioni non hanno ottenuto (sogna, il poverino).
 
Nella sua dichiarazione, Donald Trump, consapevole di tutto ciò, è stato chiaro verso gli alleati del Golfo Persico, dichiarando: «Senza di noi, l’Arabia Saudita non esisterebbe più da molto tempo». Facile da decodificare per gli sceicchi, i principi e i re parassiti del Golfo Persico: senza la flotta e le basi navali statunitensi in Medio Oriente, e senza gli armamenti sofisticati che gli USA vendono loro a sazietà, questi despoti, questi potentati sarebbero rovesciati. La risposta del ministro dell’energia è anch’essa chiara. Risponde: «il petrolio è un elemento vitale per l’economia globale», gli Stati Uniti trarranno maggiori benefici dal libero scambio mondiale». Traduzione. Vigente il modo di produzione capitalista nella sua fase imperialista, tutti gli aspetti dell’economia sono interdipendenti e i trust statunitensi non devono pensare di poter mandare all’aria il settore petrolifero, senza conseguenze negative per tutti gli altri settori economici. Facendo ciò, queste multinazionali USA perderebbero gli immensi vantaggi che traggono dal libero scambio internazionale, e soprattutto dai petrodollari, quelli che concede loro il presidente della Saudia Aramco.
 
Non c’è bisogno di chiarire che le imprese petrolifere statunitensi che operano in Canada non si sognano minimamente di sostituire i loro petrodollari con un paniere di divise alternative … non ancora almeno. Se dovessero farlo, Donald il birichino avrà qualche ammonimento anche per loro. Il problema con Donald Trump non è la sua misoginia, o la sua cafonaggine, ma il suo imperialismo aggressivo.
 
(1)   Fonte: https://francais.rt.com/economie/29072-trump-renoncera-petrole-arabie-saoudite