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Les 7 du Quebec, 9 novembre 2016 (trad. ossin)
 
La seconda «rivoluzione» americana ?
Robert Bibeau
 
Il processo elettorale negli Stati Uniti
 
Pochi giorni prima delle elezioni, il nostro webmagazine ha pubblicato un’eccellente compendio dell’ultima mascherata elettorale statunitense, che ha avuto nuovi sviluppi nella notte di martedì 8 novembre 2016. Qualche commentatore parla addirittura di una «Seconda rivoluzione americana», di un terremoto politico nel paese dello zio Sam! Analizziamo questa sedicente «Rivoluzione» anti-establishment, tenendo bene a mente che ogni scossa sismica ha sempre origine dalla struttura economica di una società.
 
 
Il nostro giornalista scriveva: «Per quanto riguarda le elezioni, la costituzione statunitense funziona come un implacabile orologio ciecoa. Tutto è organizzato in modo che la classe politica non possa depositarsi, addensarsi, durare. Le elezioni hanno scadenze fisse (se un presidente muore o viene destituito, sarà il vice presidente a terminare il mandato — impossibile, quindi, sia allungare un mandato per fronteggiare una congiuntura sfavorevole, sia ricorrere ad elezioni anticipate per approfittare di una congiuntura favorevole), i mandati presidenziali sono limitati a due (Franklin Delano Roosevelt ha tirato un po’ troppo la corda negli anni di guerra e si provvide, col 22° emendamento, a evitare che la cosa potesse ripetersi), il dispositivo bicamerale è integralmente elettivo (niente senato nominato e inamovibile, dunque), il bipartitismo è solidamente istituzionalizzato (falsa alternanza politica tra centro e destra e una continuità di fatto). Tutto, in questo dispositivo, sembra concepito per assicurare una ben oliata alternanza della classe politica» (1).
 
Ne deriva che, negli Stati Uniti, non esiste una «classe politica inamovibile» – niente dittatori a vita – niente Politburo inamovibile, il sistema è fatto in modo che nessuno rimanga incollato alle poltrone politiche, per fare in modo che la classe capitalista rimanga incollata al potere economico supremo.
 
In effetti gli Stati Uniti si sono costruiti come una novità. Dopo avere sterminato le tribù amerindiane, i padri fondatori hanno cancellato ogni traccia del passato aristocratico britannico ed europeo – cosa che la borghesia del vecchio continente non ha avuto l’opportunità o la volontà di fare. In Europa permane il passato, la guerra, e gli scontri fratricidi tra le diverse potenze, cosa che l’Unione Europea ha finalmente consacrato e strutturato. In America niente di simile, né l’imperialismo canadese, né l’imperialismo messicano sono all’altezza. Il paese Stati Uniti è l’America.
 
Se la classe capitalista statunitense respinge il concetto e la pratica di «classe politica» come la si intende in Francia, per esempio, è per meglio esercitare il suo potere di classe economica e finanziaria. Infatti, attraverso questo «meccanismo ad orologeria elettorale implacabile», la classe capitalista statunitense si garantisce che sia tutta la classe borghese a conservare il potere egemonico, attraverso i suoi agenti politici – per lo più prodotti della loro classe e al servizio della loro classe. Le reti delle grandi università sono incaricate di formare i prossimi lacchè presidenziali. E per evitare ogni sorpresa – ogni eletto, ivi compresi i presidenti (Lincoln, Nixon e Kennedy l’hanno imparato a loro spese), sta seduto su un seggiolino eiettabile (poco importa chi azionerà il comando). La classe dei ricchi deve accordarsi su un personaggio, oppure questo viene messo fuori gioco. Sembra che, per le elezioni del 2016, l’accordo si sia trovato con difficoltà, questo perché gli Stati Uniti si trovano nella più terribile crisi sociale della loro storia, e questo ha forzato la classe capitalista a giocare ancora più sporco. Insomma gli Stati Uniti allevano una «classe politica», per quanto articolata possa essere, totalmente infeudata alla classe capitalista detentrice del potere economico preponderante. Gli Stati Uniti d’America imperialisti costituiscono il modello più compiuto dell’assolutismo finanziario che è succeduto all’assolutismo reale. Il presidente dell’esecutivo è il manager del consiglio di amministrazione che cura gli affari correnti del potere capitalista assoluto. La democrazia borghese è la maschera di Giano dietro la quale si nascondono un despota e gli uomini dagli occhiali neri della sua scorta di protezione.
 
Donald il tornado, è vero?
 
Ma ecco che spunta nell’arena politica statunitense un tale Donald Trump, un gradasso sedicente anti-establishment. Subito un’ampia sezione dell’oligarchia economica lancia i suoi cani da guardia politici e mediatici sulle tracce del cafone. Per un intero anno abbiamo sentito le elucubrazioni della piccola borghesia di sinistra, statunitense e occidentale – femministe – LGBT – ecologisti – no global – sindacalisti – ONG stipendiate, «progressisti della sinistra a gogò moderata», abbiamo assistito al loro ultimo sussulto, prima di essere rimpiazzati negli arcani del potere dalla piccola borghesia di destra dagli identici interessi. Ogni radical chic che vede in pericolo il suo «posto» di intermediario – di cinghia di trasmissione – si strappa la camicia sul piazzale davanti agli hotel dell’uomo d’affari dalle mani golose, come se la mascherata elettorale statunitense dovesse scegliere un sagrestano da sala parrocchiale dai pessimi costumi. Mentre le piccole borghesi femministe protestano contro l’insostenibile Donald, migliaia di donne crepano sotto il fuoco a Mosul, ad Aleppo, in Yemen, nella Repubblica Democratica del Congo per colpa della loro eroina femmina.
 
Vedendo tutto questo, quelli che stanno sempre all’opposizione – spesso di sinistra – credendosi chiamati in causa, o per semplice riflesso pavloviano, si precipitano in aiuto del multimiliardario sotto attacco: «se lo criticano è perché Donald è contro le élite» pensano, dimenticando che il sogno americano dell’uomo super-eroe – solo contro tutti i radical chic – è un mito in declino. La classe capitalista statunitense è la classe borghese con la più grande coscienza e coerenza di classe che si sia mai vista. Se Donald Trump è stato eletto, è perché un’intera fazione della classe capitalista lo appoggia fermamente, sennò non sarebbe andato più in là di Bernie Sanders, l’eterno spasimante. Le «rivelazioni» degli ultimi giorni della campagna, a proposito delle email della signora Clinton e della Fondazione Clinton provenienti dalla NSA e dello FBI, lo dimostrano (2).
 
Pensate che un candidato deve raccogliere un miliardo di dollari USA per gettarsi nella campagna elettorale, dalla prima primaria, fino all’investitura. E’ un filtro monetario insormontabile che serve ad assicurarsi la fedeltà dell’eletto, che è sempre un funzionario politico della classe capitalista statunitense egemone.
 
Perché allora le elezioni ?
 
Ma perché la democrazia borghese si impone tutta questa mascherata elettorale? Una mascherata elettorale democratica dalle tre funzioni:
 
    a) Far credere al popolo di essere titolare di un reale potere, giacché viene regolarmente consultato per via elettorale… E’ la funzione di costruire l’illusione democratica.
    b) In tal modo, attraverso il voto, compromettere il popolo e costruire il consenso. «Sei stato consultato – hai votato – devi dunque accettare le scelte della maggioranza (Trump o Clinton, zuppa o pan bagnato)».
    c) Infine, attraverso questo meschino duello, i gladiatori politici gareggiano nell’arena mediatica per essere selezionati come marionetta politica dell’anno, la più adatta a seguire senza fare capricci le direttive del potere dei banchieri, degli industriali e delle rendite, dei multimiliardari detentori del vero potere economico.
 
Ecco il problema con Donald Trump. Una grande parte (ma non la totalità) dell’establishment dice di sentirsi «inquieto» a proposito di quest’uomo che dice sia «imprevedibile» - cosa che non è affatto vera (ne parleremo nel prossimo articolo). L’establishment guarda con sospetto anche alle dichiarazioni del candidato Trump, quando dice di «volere uscire dal vespaio del Medio Oriente e lasciare la Russia e l’Unione Europea impantanarvisi» ; vuole accordarsi con la Russia (sperando così di staccarla dalla Cina, ma è un’utopia) e negoziare con la Cina continuando a mantenere su questo concorrente una forte pressione militare; vorrebbe mantenere l’accordo con l’Iran se quest’ultimo rispetterà l’accordo segreto sui petrodollari; vorrebbe imporre una soluzione del conflitto israelo-palestinese, questa spina nel piede di tutti i presidenti USA dal 1967; Trump vuole ri-negoziare tutti i trattati di libero scambio a vantaggio delle manifatture statunitensi (e non ci riuscirà perché gli Stati Uniti non sono più quello che erano); e ridurre le spese militari; ridurre le tasse e le imposte e abolire l’Obama Care che sta per triplicare le tariffe e gettare in strada milioni di Statunitensi della classe media (programma che certamente ridimensionerà. Gli assicuratori privati sono troppo impegnati ad accaparrarsi questa manna strappata ai proletari degli USA). E infine Trump propone di proseguire la politica di Barack Obama e continuare ad espatriare i milioni di immigrati entrati illegalmente nel paese. Il candidato Trump propone di spendere 1.800 miliardi di dollari per costruire infrastrutture e ridurre altrettanto le tasse e le imposte facendo impennare il deficit e spingendo questo paese in declino verso il fallimento. Ecco una promessa che Trump certamente rispetterà, perché coincide con gli interessi a breve termine della classe capitalista statunitense che, alla fine, svaluterà la moneta truffando il capitalismo di tutto il mondo.
 
Non sono le scappatelle sessuali di Trump a infastidire un’ampia fetta dell’establishment finanziario – ognuno di loro ha fatto ben peggio –, ma piuttosto queste misure governative che rischiano di riorientare la tattica dei ricchi statunitensi (per nulla però la loro strategia) e premiano gli interessi di quella parte che vorrebbe guadagnare tempo prima di ricorrere alla svalutazione monetaria.
 
La prima «Rivoluzione» americana è già vecchia e l’elezione di Trump o Clinton non sarà la seconda. La classe proletaria statunitense non aveva nulla a che spartire con queste elezioni incasinate e in gran parte si è astenuta, tutti dovrebbero seguire il suo esempio in occasione delle prossime elezioni «nazionali». Regoleremo i nostri conti altrove e non nell’arena elettorale. Resta tuttavia un enigma. Perché milioni di proletari statunitensi si sono improvvisamente iscritti nelle liste elettorali per partecipare a questa mascherata, proprio loro che avevano chiuso con la democrazia assolutista dei ricchi?   (Segue).
 
(1)   http://www.les7duquebec.com/7-au-front/la-democratie-electorale-americaine-comme-obstruction-bourgeoise-systematique/
 
(2)   http://www.agoravox.fr/tribune-libre/article/declaration-choc-un-coup-d-etat-186156
 
Segue:
 
Rififi alla Casa Bianca, Trump l’utopia
 
Furbo il proletariato statunitense - come «strumentalizzare» una politica capitalista