Stampa

 

Defensa.org, 17 marzo 2015 (trad. ossin)


Note sulla destrutturazione del 2016

Obama, l'ultimo presidente nero degli Stati Uniti



Sotto i nostri occhi si va disfacendo una presidenza statunitense della quale si erano dette e pensate tante belle cose. Gira una triste storiella, ricordando il 2008 e “il primo presidente nero degli Stati Uniti”, che si riassume nella domanda che un giornalista rivolgerebbe al presidente Obama sulla fine del suo mandato: “Che cosa si sente ad essere l’ultimo presidente nero degli Stati Uniti?”. L’insulto brutale, deliberatamente calcolato, di Netanyahu ad Obama ha scandalizzato molti ma non ha veramente sorpreso; ognuno fa la sua parte, il bruto che è Netanyahu e questo presidente di una debolezza quasi indifferente, come fosse già una storia passata…


E’ già cominciata la campagna presidenziale, sotto auspici curiosamente simbolici giacché la “corsa” si risolverà probabilmente in un confronto tra due “case”, come si diceva ai tempi della monarchia, come si avevano in Francia “la casa dei Valois” e la “casa dei Borboni”… La “casa dei Clinton” e la “casa dei Bush”: la “corsa alla presidenza”, come tutti dicono convenzionalmente, è partita avendo come missione principale di ricordare a tutti che “la democrazia emozionante” è sempre là. Patrick Mertin osserva tutto questo, in un testo preciso e “serio” come solo i trozkisti puri e duri sanno fare, ma percorso anche in modo sotterraneo da sarcasmi furiosi e disincantati (WSWS.org, 13 marzo 2015):

«More than a year and a half before the 2016 US presidential elections, the political establishment and media are already beginning to shift their focus to the vast exercise in influence-peddling and insider dealing that is the American electoral process. The WSWS has often noted the stark contradiction between the size and diversity of the United States, a country of 320 million people and 50 states stretching across an entire continent, and a political system that offers only two parties with virtually indistinguishable right-wing programs. Lending the upcoming election an added element of farce is the fact that the contest could well be between a Bush and a Clinton, offering the American people a “choice” of candidates from two families that have occupied the presidency or vice-presidency for 28 of the past 34 years.» (1)

Questo presidente degli Stati Uniti sembra totalmente destrutturato, dissolto, inesistente e fantomatico. Unica manifestazione di esistenza, oltre alle partite a golf, è il rilancio, diremmo settimanale, di qualche anatema, talvolta bizzarro, proveniente dai laboratori neoconservatori del Dipartimento di Stato… L’ultimo in ordine di tempo, il Venezuela che “… costituisce una minaccia eccezionale e straordinaria per la sicurezza nazionale e la politica estera degli Stati Uniti” e spinge la Casa Bianca a “…proclamare una situazione di emergenza nazionale per fronteggiare questa minaccia”. Obama fantomatico, o meglio Obama isolato: un articolo del New York Times di questo week end riferiva di un accordo tra repubblicani e democratici per delle forniture di armi all’Ucraina, aggiungendo che solo il presidente è contrario – o almeno non ha dato il suo beneplacito – come fosse un ostacolo superato e che non ha più alcuna legittimità…


La crisi di Ferguson

Nel frattempo la crisi di Ferguson, cominciata l’estate scorsa con la morte di un giovane nero (Mike Brown), ucciso da un poliziotto nella cittadina di Ferguson, nel Missouri, è diventata endemica, come espressione del razzismo statunitense (super machismo) che caratterizza i comportamenti dell’apparato poliziesco nei confronti della comunità afro-americana. La “crisi di Ferguson” si ripresenta periodicamente – come è avvenuto nelle ultime due settimane – in occasione dei vari incidenti tra Polizia e afro-americani, e ogni volta rimette in evidenza il problema della comunità nera. Si tratta di un problema specifico ben conosciuto, ma anche di un problema simbolico della situazione sociale negli USA, e della loro attuale situazione politica. La crisi di Ferguson è diventata una componente della crisi generale degli USA e conseguentemente del sistema, emblematica della dimensione sociale della crisi e rivelatrice della fallacia di quel simulacro di soluzione che è stata l’elezione di Obama – il primo, o ultimo presidente nero degli USA… La “crisi di Ferguson è una terribile palla al piede che Obama trascina, come segno del suo fallimento.



Manifestanti a Ferguson

 

Sputnik News è riuscita a contattare, nella sua cella, uno degli ultimi militanti delle Black Panters degli anni 1970, Abou-Jamal, in prigione dal 1982, vero archetipo dei “prigionieri politici” in USA, simbolo di questo aspetto della situazione statunitense e trait d’union tra gli anni 1960 e il tempo presente. L’articolo, intitolato “Abou-Jamal su Ferguson, o di come gli Afro-americani ‘vivono nell’inferno”, è stato pubblicato il 12 marzo 2015. Abou-Jamal definisce la presidenza Obama come un simulacro certamente “intelligente”, che ha solo consolidato una situazione o un élite nera già ammessa ai privilegi del sistema, mantenendo, se non accentuando l’oppressione estrema e la “ghettizzazione” di massa di questa comunità – “La condizione degli Afro-americani in generale si è considerevolmente aggravata sotto la presidenza Obama”…

«Having the first black president, he added, might have only exacerbated the problem. “His election elicited a blowback response among whites that has grown into a challenge to everything he tries to do,” Abu-Jamal explained. “He has been bleeding political power since his election and in two cycles lost his majorities in both houses of Congress. The Republicans — the white nationalist party — is making his days harder and harder.” That couldn’t have been planned better for those who want to keep a certain order in the country. “Obama’s election (and re-election!) has been political brilliance,” he said. “But it has no coattails because Black faces in high places are not sufficient to hold, project and utilize power.”

»To Abu-Jamal, “equal rights,” the Obama presidency, affirmative action and integration are “chimerae; false pseudo-solutions to the problems of fundamental levels of oppression against Black Americans.” “None of these ideas address real self-determination or even autonomy for Black people. We are still haggling about crumbs,” he said. “Affirmative action was initially a Republican (ala Nixon) plan to placate the freedom movement with promises of good jobs. Because our economic life has been kept in retrograde our communities are places largely divorced from normal economic ebb and flow — we live in the caste zones (bantustans) where exploitation (as admitted in Ferguson earlier today) is all that matters.”

»“When we seriously examine affirmative action, it was a plan designed to construct diverse elites — doctors, lawyers, political leaders. For the ghetto poor, it is largely irrelevant as it’s untouchable. As law professor [Michelle] Alexander makes clear, the average Black American was jettisoned — so that Black elites could have access to affirmative action — and the neo-liberals applauded such a deal.” “There are cities in America today where 50 percent — 50 percent! — of kids drop out and don’t graduate. There are cities with higher percentages. This is a failed system.”»
(2)


La questione del 99%

Abou Jamal parla dei problema della sua comunità – è l’oggetto delle sue riflessione e anche il tema che gli viene proposto. Tuttavia la “questione sociale” negli USA non può ridursi solo ai Neri, ed essa non può essere ridotta ai Neri come se questi costituissero una comunità a parte – per esempio come se fosse una comunità composta da immigrati, magari di colore, come nei paesi europei oggi. Il problema della comunità afro-americana è più esemplare che specifico, da un punto di vista sociale, esso è l’estremo della questione sociale che caratterizza gli USA – questione mai trattata nella sua essenza, perché mai veramente concettualizzata, perché mai affrontata, ma solo subita.

Invece, per cogliere il problema sociale nella sua interezza, che è il modo educato di indicare la crisi sociale permanente degli USA fin dall’origine, bisogna ampliare l’analisi comprendendo anche le altre comunità, certamente fino agli stessi Neri – essi stessi divisi in “comunità” – e dunque tra i WASP (White, Anglo-Saxon-Protestant) e le altre, che spesso hanno conservato delle proprie specificità nei confronti del Sistema, che è oppressivo ma per nulla assimilante, in quanto indifferente alla dimensione umana profonda. Ne consegue che la “crisi di Ferguson” deve essere considerata da questo punto di vista più ampio, e la presidenza Obama debba considerarsi come una catastrofe sociale, non solo per gli Afro-Americani, ma per tutti i poveri e gli sfavoriti (La famosa equazione “il 99% sta all’ 1%” parla di questo).

In una intervista a RT del 13 marzo 2015, che verte proprio su queste tematiche (“Le contestazioni di Ferguson: l’assenza di giustizia nelle fondamenta stesse della ‘fabbrica sociale’ della società USA”), Eric Draitser, un analista politico di New York spesso intervistato dalla rete russa, riassume questa situazione, insistendo sulla necessità di non ridurre il problema ai soli Neri:

«It is one of the most serious social justice problems that we face in this country. It’s difficult to encapsulate such a large and long-standing problem here in a few minutes. But at a basic level this comes down to social inequality. The lack of justice is at the very fabric of American society. [...] Precisely the motivation for those protestors in New York, for the protesters in Oakland, for protesters in Ferguson – all of these goes to this broader question of justice. And it is justice that the protesters have been seeking and calling for from the very beginning precisely the justice that’s denied the family of Mike Brown, the family of Eric Garner, the families of hundreds of others, primarily people of color, but not exclusively the people of color, who have been victimized and murdered by the police.» (3)


Una guardia pretoriana di alta tecnologia

Quindi la “crisi di Ferguson” è ben più di Ferguson e della comunità nera afro-americana. La “crisi di Ferguson” è il sintomo in costante agitazione e disordine, divenuti oramai critici, dell’intera questione sociale negli USA – questione bloccata, congelata e mai affrontata finora – che si esprime oggi in una multiforme dinamica critica, in sempre più frequenti episodi di rottura, ingigantiti dalla comunicazione, alimentati sistematicamente dal carattere strutturale (fin dalle origini) della brutalità poliziesca. La polizia negli Stati Uniti non è la protettrice dei beni pubblici e dei cittadini che dovrebbero esserne i beneficiari, è invece una forza di repressione e di oppressione messa a protezione di un ordine sociale ontologicamente ineguale e squilibrato. Ciò non è mai stato evidente come oggi, ora che è stata militarizzata e trasformata in una guardia pretoriana dotata di alte tecnologie di repressione, a immagine delle forze speciali e spesso clandestine della politica bellicista ed espansionista degli USA all’estero.

Per contrasto con questa tensione e le forti strutture che lottano per contenerle, vi è la Direzione-Sistema degli USA, che è in preda ad una agitazione nihilista, un vuoto di disordine caratterizzato da impotenza e isteria irresponsabile. I nostri due Bloc-Notes di oggi, 14 marzo 2015, che si occupano dell’iniziativa USA nei confronti della banca cinese AIIB e della situazione a Washington e dei suoi sviluppi grotteschi e inverosimili, il F&C del 16 marzo 2015 sulla “politica siriana” degli USA, ne sono una dimostrazione precisa.

Accanto a ciò, la vicenda della lettera dei 47 senatori repubblicani indirizzata al governo iraniano, dopo il discorso tenuto, in condizioni incredibili, da Netanyahu al Congresso USA, è la misura, attraverso un atto assolutamente estremo, della accelerazione della dissoluzione dell’élite-Sistema del mondo politico e della comunicazione a Washington, e la rapida erosione della legittimità e dell’autorità dei diversi rami del potere. E’ una vicenda senza precedenti, che colloca i legislatori che se ne sono fatti protagonisti (47 su 100!) ai limiti del tradimento, secondo precisi riferimenti legislativi, soprattutto il Logan Act… Ma tutto è accaduto, in realtà, come se questi legislatori non conoscessero nemmeno il senso della parola “tradimento”.


Tom Cotton, il Manchurian senator

All’inizio, c’è Tom Cotton, 37 anni e repubblicano, una specie di Manchurian senator (dal film Manchurian Candidate, ndt), eletto al Senato nel novembre 2014 e beniamino della Camera Alta. Cotton è totalmente nelle mani di Bill Kristoll (del Weekly Standard di Rupert Murdoch, uno dei leader dei neocon); ha ricevuto 1 milione di dollari per la sua campagna elettorale del 2014 dall’AIPAC (la più importante lobbie filo-israeliana degli USA, ndt) e dal miliardario (uno dei boss mafiosi dell’industria dei casinò) Sheldon Adelson, amico e sostenitore finanziario diretto di Netanyahu. Cotton, ex militare (2005-2009) è completamente ignorante, e questo fa sì che possa essere manovrato con molta facilità e sotto gli occhi di tutti, alla fine anche dell’interessato…. (Daniel McAdams, del Ron Paul Institute for Peace, il 10 marzo 2015: «Today the Senator was asked what Iran must do in order for an acceptable deal to be struck with the United States, and he responded: “They can simply disarm their nuclear weapons program and allow complete intrusive inspections.” Where is he getting his information? Neither the entire US Intelligence Community nor even the Mossad believe that Iran is pursuing a nuclear weapon or that it has even made a decision to start work on a nuclear weapon.»)(4)




Il senatore Tom Cotton

 

Con l’aiuto di tutti i suoi finanziatori, Cotton lancia l’iniziativa di una lettera collettiva, che sarà firmata da altri 46 senatori repubblicani, indirizzata direttamente al governo iraniano, senza avere nemmeno consultato gli organi consultivi, esecutivi e direttivi della politica estera degli USA, proprio nel momento in cui ci si trova nella fase finale di un accordo sul nucleare iraniano, che comporta un rinnovo periodico degli accordi che impegnano gli USA. La lettera dice in sostanza che, se si raggiungerà l’intesa, quando poi Obama lascerà la presidenza (più o meno il 20 gennaio 2017), il Congresso potrebbe sopprimere, “con un tratto di penna”, la clausola del rinnovo periodico. Paul R. Pilar, in ConsortiumNews del 12 marzo 2015, evidenzia il paradossale “aspetto positivo” dell’azione di Cotton: nessuna dissimulazione è possibile, tutto è esposto molto chiaramente. «A bright side to this incident that embarrasses and disgraces half of the United States Senate comes in the clarity it provides in terms of what games are being played and what is at stake. Even before this latest antic, Cotton deserved credit for being more honest about his objective than most of his colleagues who are engaged in the same destructive efforts to undermine diplomacy on Iran. Cotton, an Arkansas Republican, has stated openly and explicitly that his goal is to kill off any agreement at all with Iran. Unlike many others, he has not tried to fool us with the subterfuge that legislative sabotage is aimed at getting a chimerical “better deal” with Iran. Now with the letter, the unwritten alliance between American hardliners and Iranian hardliners in opposing any agreement is made more open than ever.»  (5)   

La vicenda viene descritta in un lungo articolo di Jim Lobe, con tutti i dettagli che interessano. Si misurerà l’effetto orrendo che questa vicenda ha prodotto su molti commentatori politici di Washington, nel fatto che l’imperturbabile Jim Lobe, commentatore di solito assai neutrale sia nella forma che nei toni, molto moderato sebbene la sua opinione sia quella di un anti-Sistema all’interno del Sistema, non possa questa volta esimersi dal valutare l’aspetto distruttivo, nihilista, totalmente destrutturante dell’iniziativa di Cotton e di quello che significa, con un’espressione brutale della quale non fa uso spesso – bullshit, vale a dire “stronzata”, o per meglio dire, adattando piuttosto che traducendo allo spirito delle cose, niente meno che “una bella manciata di merda” (Lobe su Lobelog.com, 9 marzo 2015).

«They want no agreement. Indeed, it was Cotton himself who made this (as I put it) “Kristol clear” in a speech to the Heritage Foundation in mid-January: “The United States must cease all appeasement, conciliation and concessions towards Iran, starting with the sham nuclear negotiations. Certain voices call for congressional restraint, urging Congress not to act now lest Iran walk away from the negotiating table, undermining the fabled yet always absent moderates in Iran. But, the end of these negotiations isn’t an unintended consequence of Congressional action, it is very much an intended consequence. A feature, not a bug, so to speak. [Emphasis added.]»

»And let’s please remember that Kristol was up there in the same section of the House gallery last Tuesday as were Sara Netanyahu, Bibi’s spouse, Alan Dershowitz, Elie Wiesel, and, of course, multi-billionaire casino magnate and staunch Bibi-backer, Sheldon Adelson, who spent at least $150 million for Republican candidates in the 2012 election cycle. Given ECI’s support for Cotton in the 2014 Senate race, it’s hard to imagine that Netanyahu and his Republican ambassador here, Ron Dermer, would not have approved of this latest initiative to sabotage prospects for an Iran deal.

»So let’s be clear: all the commentary and Israeli spin in the Times and elsewhere suggesting that Bibi’s speech had subtly signaled an openness to an agreement with Iran that settles for less than the total dismantling of its nuclear program, including its enrichment capabilities, is, to put it bluntly, bullshit. For Netanyahu, Kristol, and Adelson, no deal is better than any deal because, as Suzanne Maloney argued last week, an agreement between Washington and Tehran could begin a process of rapprochement. And anyone—like Sen. Bob Corker (who, to his credit, did not sign the Cotton letter) or Robert Menendez—who says otherwise is either lying or deluding themselves. Cotton’s letter—and the fact that he spearheaded this effort—makes that abundantly clear.»
(6)


Dilettantismo e delegittimazione

Oltre a tali aspetti significativi del carattere dirompente dell’iniziativa, altri aspetti quasi prevalenti in capo alla corruzione e dell’ingerenza, non solo nella sovranità di quella Potenza che sono gli USA – al punto che è legittimo domandarsi se la loto sovranità esista ancora e se questa espressione, “sovranità”, abbia mai avuto un senso per loro – accanto a ciò appare il dilettantismo, il carattere raffazzonato di questa azione. Gareth Porter si interessa di questo aspetto, in ConsortiumNews del 13 marzo 2015: queste persone sono quel che sono, corruttori, cinici, senza alcuna strutturazione di pensiero, inoltre sono assolutamente incompetenti, come pietosi dilettanti… il sedicente “tranello” che hanno approntato, se funzionasse, ha (avrebbe) tutto per procurare loro uno shock di ritorno tale da annientare il loro progetto, avendo prodotto l’unico risultato di avere sprofondato ancora più in basso, negli abissi, il credito di cui ancora gode il governo USA (Nel frattempo d’altronde il loro “campione”, quello per cui tutta questa impresa è stata messa in piedi, sarà forse battuto, respinto all’opposizione, da uno scrutinio che si mostra sempre più sfavorevole al Likud). Essere dei “traditori”, certo, ma anche in modo così grossolano, per una stronzata…

«Cotton, R-Arkansas, and his colleagues were inviting inevitable comparison with the 1968 conspiracy byRichard Nixon, through rightwing campaign official Anna Chennault, to encourage the Vietnamese government of President Nguyen Van Thieu to boycott peace talks in Paris. But while Nixon was plotting secretly to get Thieu to hold out for better terms under a Nixon administration, the 47 Republican senators were making their effort to sabotage the Iran nuclear talks in full public scrutiny. And the interest served by the letter was not that of a possible future president but of the Israeli government. [...]

»Equally fatuous is the letter’s assertion that “future Congresses could modify the terms of the agreement at any time.” Congress can nullify the agreement by passing legislation that contradicts it but can’t renegotiate it. And the claim that the next president could “revoke the agreement with the stroke of a pen,” ignores the fact that the Iran nuclear agreement, if signed, will become binding international law through a United Nations Security Council resolution, as Iranian Foreign Minister Mohammad Javad Zarif has pointed out. The letter has provoked the charge of “treason” against the signers and a demand for charges against them for negotiating with a foreign government in violation of the Logan Act. In a little over 24 hours, more than 200,000 people had signed a petition on the White House website calling such charges to be filed.»
(7)


Un governo tanto imperfetto che solo una ragione corrotta può concepire

I precedenti punti di riflessione riassumono assai bene l’attuale situazione degli USA, caratterizzata da diverse crisi parallele e endemiche, che si alimentano indirettamente le une con le altre, manifestandosi alternativamente. In un modo o nell’altro, la popolazione ha perso ogni contatto con le sue élite e i suoi dirigenti, e il governo prosegue nella incessante deriva verso la precarietà e il disordine nel quale si destrutturano e dissolvono le fragili cornici che riuscivano a tenere queste disparate componenti insieme. Lo slancio “in avanti”, “verso un futuro migliore”, del tipo American Dream, che la comunicazione riusciva a tradurre in una sorta di tensione progressista, si è completamente disgregato in una specie di magma informe nel quale si confondono messaggi incomprensibili. Abbiamo preso come esempio più interessante il caso della comunità afro-americana, perché è essa che ha subito l’ultimo innesto di questa dinamica euforizzante del sistema, con l’elezione del “primo presidente nero”, e ha subìto una terribile delusione quando ha dovuto constatare che il super machismo americano resta, anche negli USA, la regola del gioco, come una struttura intangibile della sua essenza.

A questo proposito, la crisi della direzione politica, delle élite-Sistema, del sistema della corruzione illimitata e dell’imprigionamento nelle strette delle costrizioni-Sistema, sembra oltrepassare ogni giorno i suoi limiti. La lettera dei 47 senatori costituisce una specie di completamento assoluto del processo, che mette in causa più o meno tutti i meccanismi, strutture e regole dell’architettura del potere USA che si era affermata per lungo tempo come un capolavoro di armonia ed equilibrio ineguagliabile. Il capolavoro è diventato una trappola senza fondo dove l’impotenza e la paralisi disputano con l’isteria e la paranoia. La politica estera, si direbbe piuttosto che di sicurezza nazionale, di “insicurezza nazionale”, soffre degli stessi mali, come un grottesco doppione, e peggio ancora con questa vicenda Netanyahu-Cotton, dove le due componenti si proiettano in una scena tragica di finzione e di impostura.

Questa cosa che madame de Stael definiva nel 1816 per il suo amico Jefferson come quasi una perfezione della ragione umana (“Se riuscirete a eliminare la schiavitù nel Sud, vi sarà finalmente nel mondo il governo più perfetto che la ragione umana possa concepire”), è diventato dunque oggi, due secoli dopo, esattamente il contrario, “un governo tanto imperfetto che solo una ragione corrotta può concepire”. Il resto del mondo prende evidentemente sempre più atto di questo fatto catastrofico, che accelererà la destrutturazione delle relazioni internazionali come le avrebbero volute mantenere gli USA. La stessa Cina, così prudente, così propensa agli accordi e alla moderazione, non ha oramai se non formule di furiosa derisione per definire la politica generale “dell’unica Superpotenza”, della “nazione eccezionale”: “Gli USA vengono descritti come in preda, nella loro reazione alla decisione britannica, ad una ‘isteria paranoica’, di una categoria poco lusinghiera in quanto trattasi di “paranoia infantile” (14 marzo 2015).

… E tutto ciò si svolge in un contesto ambientale tragico, risultato sia delle condizioni naturali influenzate dall’attività umana, che dall’imprevidenza e dal saccheggio che hanno caratterizzato i comportamenti dell’industria statunitense dalle origini… Un esempio di questa situazione, e l’ultimo in ordine di tempo, che ci suggerisce la NASA (RT, 14 marzo 2015) sulla situazione idrogeologica della California, che si trova a possedere riserve d’acqua per un solo anno, col capo della sezione idrogeologica della NASA che suggerisce di stabilire subito e con urgenza il razionamento, aspettando che Google inventi un robot che, oltre a pensare al posto nostro, pisci in continuazione acqua potabile da Hollywood fino ai confini dello Stato, verso Las Vegas, dove cantano le chiare fonti…  («NASA’s top water scientist says California only has about one year’s worth of water left in storage, and its groundwater – often used as a backup for reservoirs and other reserves – is rapidly depleting. He suggests immediately rationing water.») (8)


“Il folle entusiasmo della disperazione”

Cominciamo questa parte della conclusione del nostro commento col ricordo della notte trionfale dell’elezione di Barack Hussein Obama, quasi sette anni fa – benché la sua vittoria non sia stata trionfale dal punto di vista dei numeri, ma intendiamo parlare dello spirito della cosa. Scrivemmo allora in un articolo dal titolo “Il folle entusiasmo della disperazione”, il 6 novembre 2008: “Occorre ricordare il recentissimo passato. Contrariamente alla descrizione lirica, ma psicologicamente giustificata, che Engelhardt fa della campagna, questa campagna non vi è stata. Intendiamoci: la tensione di questa campagna che esplode con l’elezione di Obama si trovava allora in una fase importante. Dal 15 settembre al 20 ottobre (più o meno), questa tensione era rivolta all’improvviso terrore che si era impossessato di cittadini, elettori e consumatori, di fronte alla crisi finanziaria e a quello che essa portava con sé in termini di destabilizzazione, all’esito di un periodo esso stesso assai instabile… (…) Obama è stato eletto come un dispositivo, uno strumento di riaffermazione disperata dell’America originale, prima ancora che come simbolo. E’ stato forse manipolato da quegli avvenimenti che non ha manipolato – diremo perfino “senza dubbio”, se non “senza alcun dubbio”. E’ una grossa ambiguità derivante da valutazioni erronee. La nostra sensazione è che Obama sarà dominato ben più che non si creda dalla situazione interna degli USA, a cominciare dalla situazione psicologica. Mai la psicologia è stata tanto quella degli estremi, mai l’entusiasmo è stato tanto somigliante alla disperazione…”.



La notte di Obama nel 2008

 

Ovviamente ci siamo sbagliati… Obama non è stato “dominato ben più che non si creda dalla situazione interna degli USA, a cominciare dalla situazione psicologica”, perché egli non è stato in verità dominato da niente proprio. Quest’uomo che è stato “il più stupido dei presidenti intelligenti” è stato anche senz’altro il più intellettualmente incapace di un atto di coraggio per tentare la necessaria rottura. “L’intero destino di Obama può riassumersi nella formula ‘Gorbaciov statunitense’, ch’egli ha respinto malgrado l’appello del destino. Il suo rifiuto di essere un ‘Gorbaciov statunitense’, che avrebbe dovuto mettere da parte la psicologia maniacale delle élite a profitto di un’azione volontarista che facesse i conti con lo stato depressivo degli USA, ha senza dubbio prodotto il fallimento di una possibile riforma, l’ultima chance di riforma del Sistema. In un certo senso, l’esplosione maniacale della notte successiva all’elezione costituiva paradossalmente un appello disperato della psicologia collettiva al presidente eletto perché accettasse di fare i conti con gli aspetti depressivi in cui si esprime la vera situazione degli USA (…). Il rifiuto di Obama fa di lui ‘il più stupido presidente intelligente’ della storia degli USA e una sorta di seconda riduzione in schiavitù, di tipo postmoderno beninteso, della comunità afro americana degli USA” (16 marzo 2015).


Ben venga Hillary

In qualche modo, e senza sorpresa, la direzione del Sistema USA è anche vittima nel caso ucraino, e per il caso ucraino, di quel che definiamo “determinismo-narrativista”, che è una gigantesca e universale manipolazione di se stessi, simulacro del proprio destino raccontato in modo completamente falso rispetto a quanto realmente accade. Non è stato un caso che abbiamo menzionato “Washington verso Charenton”, nel sottotitolo del nostro testo del 14 marzo 2015, riferendoci ad una considerazione di William S. Lind del 18 febbraio 2015 («La politica estera americana si trova ora nelle mani delle donne, dei bambini, degli evasi dal manicomio di Charenton ...»). E’ con questa evoluzione determinista che si scontrano tutti i movimenti dissidenti, le proteste, le pseudo rivolte ecc, il cui obiettivo dichiarato è oggi quello di riuscire a trovare una breccia nella dinamica corrente, per inserirvi il granello di sabbia che scateni la fase decisiva del rivolgimento superpotenza-autodistruzione.

Non si tratta più di uno scontro frontale, di una sorta di guerra di classe o del 99% contro l’1%, secondo il modello classico degli scontri che abbiamo conosciuto negli ultimi due secoli. Si tratta piuttosto di una ricerca febbrile attorno al fenomeno del Sistema lanciato in tutta la sua superpotenza, per trovare quella famosa crepa. Al limite non si riesce più a distinguere chi è l’alleato di chi, e perfino al centro del Sistema vi sono persone che riescono a vedere la follia di questa corsa e sarebbero pronti a contribuire a deviarla, se non a partecipare ad operazioni di destabilizzazione del Sistema, se se ne presentasse l’occasione. (Accanto ad essi ci sono gli impiegati-Sistema totalmente ciechi, dei quali si può dire che molti di essi sono privi di qualsiasi stabilità psicologica e si avventurano in esercizi di determinismo-narrativismo, sbalordendoci con le loro negazioni delle verità più evidenti – Se occorresse fare un esempio, mi pare che Nuland rappresenti questo prototipo a meraviglia).




Hillary Clinton

 

L’ultima spiaggia della reazione e della destrutturazione antiSistema è la propensione per la strategia della fuga in avanti. Si tratta di favorire il massimalismo delle direzioniSistema, attendendo che le tensioni conseguenti portino alla rottura decisiva. Questa strategia viene oramai ufficialmente proclamata da diversi commentatori, che non nascondono più di propugnare, prima di ogni altra cosa ed esclusivamente, l’autodistruzione del Sistema, attraverso i suoi eccessi, attraverso il suo estremismo. Ecco il caso di un autore e storico del populismo, Norman Pollack. Su CounterPunch.org, l’11 marzo 2015, fa l’apologia di una candidatura di Hillary Clinton, della sua elezione il più presto possibile, nel 2016, perché con una presidente che esprime appieno questa politica di destrutturazione e di annientamento, diventerebbe possibile, se non probabile, una sollevazione, almeno tra i ranghi democratici.

«I want her to run, to win the nomination, and then whatever follows. A Republican victory could not be worse, for at least Americans would know what to expect, and could either acquiesce or fight back. But a Hillary triumph courts the danger of becoming enveloped in a sea of false consciousness—except that it also raises the prospect, finally, after decades of bipartisan consensus, of political upheaval, in which the Democratic party is exposed and the seeds planted for its displacement or, at the very least, a third party in militant opposition. Hillary unwittingly can sound the tocsin, an awakening to the structured loss of democracy, brought about by its putative friends. If by chance Elizabeth Warren were the party’s nominee (I expect little departure from her on foreign policy, but her domestic is something else), that would only postpone the inevitable: the discovery of the rottenness of the Democratic party, which one candidate at the top could not hope to rectify. No, Hillary all the way, in the hope of party-destruction and subsequent realignment.» (9)


Traduzioni :

(1)    A più di un anno e mezzo dalle elezioni presidenziali del 2016 in USA, l'establishment politico e i media stanno già cominciando ad occuparsi del vasto esercizio di millantato credito e abuso di informazioni privilegiate che caratterizza il processo elettorale americano. Il WSWS ha spesso sottolineato la contraddizione stridente tra la dimensione e la diversità degli Stati Uniti, un paese di 320 milioni di persone e 50 Stati che si estende in tutto un intero continente, e di un sistema politico che offre solo due partiti con programmi di destra praticamente indistinguibili. Nelle prossime elezioni, un elemento complementare di farsa è il fatto che la corsa potrebbe essere tra un Bush e una Clinton, offrendo al popolo americano una "scelta" di candidati provenienti da due famiglie che hanno occupato la presidenza e la vice-presidenza in 28 degli ultimi 34 anni.

(2)    «L’elezione del primo presidente nero, ha aggiunto, potrebbe avere aggravato il problema. "La sua elezione ha suscitato una reazione dei bianchi che si è trasformata in una sfida nei confronti di tutto ciò che il presidente cerca di fare," Abu-Jamal ha spiegato. "Il suo potere politico si è progressivamente ridotto dopo la sua elezione, fino a perdere la maggioranza in entrambe le camere del Congresso. I repubblicani - il partito nazionalista bianco – gli sta rendendo la vita sempre più difficile. "Non si poteva sperare di meglio per coloro che vogliono mantenere un certo ordine nel paese. "L'elezione di Obama (e la sua rielezione!) è stata un’operazione di abilità politica”, ha detto. "Ma non ha avuto seguito, perché piazzare un muso nero nelle alte sfere non è sufficiente a mantenere, programmare e utilizzare il potere."

Per Abu-Jamal," pari diritti ", presidenza Obama, azioni positive e integrazione sono chimere; sbagliate pseudo-soluzioni ai problemi fondamentali dei livelli di oppressione contro i neri statunitensi. " Nessuna di queste idee porta ad una reale autodeterminazione o anche all'autonomia per i neri. Stiamo ancora mercanteggiando su delle briciole ", ha detto. "L'azione affermativa è stata inizialmente un piano repubblicano (Nixon) per tenere buono il movimento di liberazione con la promessa di un buon lavoro. Perché il tasso di disoccupazione tra noi era altissimo e le nostre comunità vivono in luoghi in gran parte marginali rispetto al normale flusso economico - viviamo in zone ghetto (bantustan) dove lo sfruttamento (come ancora oggi Ferguson dimostra) è tutto ciò che conta ".

«Se si analizza bene cosa è stata l’azione affermativa, si scopre essersi trattato di un piano volto a costruire delle élite - medici, avvocati, dirigenti politici. Nei ghetti poveri ha avuto effetti in gran parte irrilevanti. Come spiega il giurista [Michelle] Alexander, il nero medio è stato emarginato – e solo le élite nere hanno avuto accesso alle azioni positive – e i neo-liberali hanno apprezzato un progetto del genere. Ci sono città negli Stati Uniti, oggi, dove il 50 per cento - il 50 per cento! - dei ragazzi smette di studiare e non si diploma. Ci sono città con percentuali più elevate. Si tratta di un sistema guasto. "»
 
(3)    «Si tratta di uno dei più gravi problemi di giustizia sociale che abbiamo di fronte in questo paese. E 'difficile sintetizzare un problema così grande e radicato qui in pochi minuti. Ma, in linea di massima, esso si riduce alla disuguaglianza sociale. La mancanza di giustizia è il tessuto stesso della società americana. [...] Ed è proprio la motivazione dei manifestanti di New York, di quelli di Oakland e di Ferguson - tutti manifestano questa domanda più ampia di giustizia. Ed è la giustizia che i manifestanti cercano e chiedono fin dall'inizio, quella giustizia che viene negata alla famiglia di Mike Brown, alla famiglia di Eric Garner, alle famiglie di centinaia di altri, in primo luogo le persone di colore, ma non esclusivamente la persone di colore, che sono state vittime e sono state uccise dalla polizia. »

(4)    «Oggi hanno chiesto al senatore che cosa deve fare l'Iran per poter accedere ad un accordo accettabile con gli Stati Uniti, e ha risposto:" Possono semplicemente rinunciare al loro programma di armi nucleari e permettere complete ispezioni intrusive”. Dove prende (il senatore) le informazioni? Né l'intera Comunità della intelligence USA né il Mossad credono che l'Iran stia costruendo un'arma nucleare o che abbia anche solo deciso di iniziare a lavorare su un'arma nucleare. »

(5)    «Un lato positivo di questo incidente che imbarazza e disonora la metà del Senato degli Stati Uniti sta nel fatto che espone in termini chiari di qual gioco si stia giocando e di quel che è in gioco. Anche prima di quest’ultima pagliacciata, Cotton aveva il merito di essere il più onesto di tutti sui reali obiettivi suoi, e dei suoi colleghi che sono impegnati in attività dirette a impedire ogni accordo diplomatico con l'Iran. Cotton, un repubblicano dell'Arkansas, ha dichiarato apertamente ed esplicitamente che il suo obiettivo è quello di impedire qualsiasi accordo con l'Iran. A differenza di molti altri, non ha cercato di ingannarci con la scusa che la guerriglia parlamentare mira ad ottenere dei chimerici "miglioramenti". Ora, con questa lettera, l'alleanza non scritta tra estremisti americani e conservatori iraniani nella opposizione ad un qualsiasi accordo è un fatto più evidente che mai. »

(6)    «Non vogliono alcun accordo. Infatti, è stato lo stesso Cotton a fare questo “chiarimento del pensiero di Bill Kristol" in un discorso alla Heritage Foundation a metà gennaio: "Gli Stati Uniti devono cessare ogni forma di pacificazione, conciliazione e concessione verso l'Iran, a partire dalla farsa dei negoziati sul nucleare. Alcune voci chiedono al Congresso moderazione, esortando il Congresso a non agire ora per timore che l'Iran abbandoni il tavolo delle trattative, mettendo in difficoltà i deboli e sempre assenti moderati iraniani. Ma il fallimento di questi negoziati non è una conseguenza non voluta dell’azione del Congresso, è molto più una conseguenza voluta. Un carattere dell’azione, non un errore, per così dire. »
“Ricordiamo che Bill Kristol si trovava nella stessa galleria dove si trovavano Sara Netanyahu, la moglie di Bibi, Alan Dershowitz, Elie Wiesel, e, naturalmente, il multi-miliardario magnate dei casinò e strenuo Bibi-sostenitore, Sheldon Adelson, che ha speso almeno 150 milioni dollari per i candidati repubblicani nella tornata elettorale del 2012. Dato il sostegno della ECI (Emergency Committe for Israel) a Cotton nelle elezioni del Senato del 2014, è difficile immaginare che Netanyahu e il suo ambasciatore repubblicano, Ron Dermer, non abbiano approvato questa ultima iniziativa di sabotare le prospettive di un accordo con l’Iran.
Quindi cerchiamo di essere chiari: tutti i commenti apparsi sul Times che spiegano come il discorso di Bibi contenesse una sottile apertura ad un accordo con l'Iran che prevedesse un totale smantellamento del suo programma nucleare, comprese le capacità di arricchimento, sono, per dirla senza mezzi termini, una stronzata. Per Netanyahu, Kristol, e Adelson, nessun accordo è meglio di qualsiasi accordo perché, come Suzanne Maloney ha sostenuto la scorsa settimana, un’intesa tra Washington e Teheran potrebbe avviare un processo di riavvicinamento. E chiunque (come il senatore Bob Corker, che ha il merito di non aver firmato la lettera di Cotton, o Robert Menendez) si azzarda a dire il contrario, o mente o illude se stesso. La lettera di Cotton – e le circostanze in cui essa è stata concepita – rendono tutto questo assolutamente evidente. »

(7)    «Cotton, R-Arkansas, e i suoi colleghi sollecitano un inevitabile confronto col complotto di Richard Nixon del 1968 quando, attraverso la campagna della destra guidata da Anna Chennault, tentò di incoraggiare il governo sudvietnamita del presidente Nguyen Van Thieu a boicottare i colloqui di pace di Parigi. Ma mentre Nixon ha tramato segretamente per convincere Thieu a mantenersi in attesa di condizioni migliori che la sua amministrazione avrebbe potuto garantire, i 47 senatori repubblicani hanno operato alla luce del sole per sabotare i colloqui sul nucleare iraniano. Inoltre, l’interesse perseguito con la lettera non è quello di un possibile futuro presidente statunitense, ma quelli del governo israeliano. [...]
Altrettanto stupida è l’affermazione della lettera, secondo cui “i prossimi membri del Congresso futuri potrebbero modificare i termini dell’accordo in qualsiasi momento. Il Congresso potrebbe infatti annullare l’accordo adottando una legge in tal senso, ma non può rinegoziarne i termini. E l'affermazione che il prossimo presidente potrebbe "revocare l'accordo con un semplice tratto di penna," non tiene conto del fatto che l'accordo nucleare iraniano, se firmato, diventerà una legge internazionale vincolante attraverso una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, come ha bene chiarito il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif. La lettera ha provocato l'accusa di "alto tradimento" nei confronti dei firmatari e la richiesta di un’azione giudiziaria contro di loro per intelligenza con un governo straniero in violazione della legge Logan. In poco più di 24 ore, più di 200.000 persone hanno firmato una petizione sul sito della Casa Bianca, chiedendo l’avvio di questa azione giudiziaria. »

(8)    «Il capo degli esperti di acqua della NASA dice che la California ha riserve di acqua per un solo anno, e le sue acque freatiche - ordinariamente usate per il rifornimento di emergenza dei serbatoi e di altre riserve - sono in rapido esaurimento Egli suggerisce immediatamente il razionamento dell'acqua.»)

(9)    Voglio che sia lei a correre, per vincere la nomination, con tutto ciò che segue. Una vittoria repubblicana non potrebbe essere peggiore, almeno gli Statunitensi saprebbero cosa aspettarsi, e come regolarsi di conseguenza. Ma un trionfo Hillary resterebbe probabilmente avvolto in un mare di falsa coscienza, salvo ad aprire la strada, finalmente, dopo decenni di consenso bipartisan, a sconvolgimenti politici, cui il partito democratico è esposto, e pone le premesse per un suo cambiamento o, per lo meno, per la nascita di un terzo partito di opposizione militante. Hillary involontariamente può suonare la campana, operare un risveglio rispetto al deficit strutturale di democrazia, di cui i suoi amici putativi sono portatori. Se per caso Elizabeth Warren fosse il candidato del partito (mi aspetto poche novità da lei in politica estera, ma quella interna è un'altra cosa), la cosa servirebbe solo a ritardare l'inevitabile: la scoperta del marciume del partito democratico, che un candidato vincente non potrebbe sperare di correggere. No, Hillary fino in fondo, nella speranza che distrugga il partito per ricominciare. »