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Introduzione

Su temi quali la guerra in Iraq, l’aumento delle truppe americane in Iraq (“la nuova iniezione di truppe”) e le azioni militari nei confronti dell’Iran, la maggior parte degli ebrei americani ha opinioni diverse da quelle dei leader delle principali organizzazioni americane di ebrei americani.
Molti commentatori ebrei liberali, progressisti o radicali hanno messo così in evidenza tali differenze:”Molti ebrei americani sono assolutamente contrari al militarismo in Medio Oriente e alla politica estera del Partito Repubblicano, sostenuta dalle fazioni dell’ala destra ebraica.” Eppure questa interpretazione progressista elude una questione ancor più importante: com’è possibile che la maggior parte degli ebrei americani che, secondo il sondaggio del AJC (e secondo molti altri sondaggi che sono stati fatti negli ultimi ventanni), ha opinioni divergenti rispetto alle principali organizzazioni ebraiche americane, non ha sfidato o non sfida la posizione dell’organizzazione ebraica dominante e non ha di fatto alcun impatto sul Congresso americano, sull’Esecutivo e sui mass media in confronto al Presidents of the Major American Jewish Organization? La questione della “maggioranza silenziosa” è discutibile in quanto tutti i commentatori, ebrei e non, puntano sugli sproporzionati tassi di partecipazione degli ebrei americani al processo politico, dalla campagna politica fino ai movimenti della società civile. Non si comprende come mai la maggioranza progressista non goda degli stessi elevati redditi di cui gode, invece, la “minoranza” conservatrice. Ci sono alcuni milionari e perfino qualche miliardario ebrei che hanno visioni opposte a quelle della leadership delle principali organizzazioni ebraiche. Ci sono diverse possibili spiegazioni che giustificano la facoltà dei leader ebrei di plasmare la politica americana in Medio Oriente e la relativa impotenza della maggior parte degli ebrei americani.

Il sondaggio: una nuova analisi

I risultati del sondaggio messi in evidenza dagli analisti ebrei progressisti mostrano che una maggioranza del 59% contro il 31% degli ebrei che ha votato disapprova il modo in cui gli Stati Uniti stanno gestendo la “campagna contro il terrore”. Ma c’è un problema statistico, questa non è soltanto l’opinione progressista, anche numerosi ideologi sionisti e i loro seguaci si oppongono alla “gestione della campagna” perché, in questo caso, non la considerano abbastanza brutale, autoritaria ed arbitraria. Altri risultati citati includono questi dati: una maggioranza del 67% contro il 27% dei votanti crede attualmente che gli Stati Uniti non avrebbero dovuto invadere l’Iraq, il 76% contro il 23% dei votanti crede che la guerra in Iraq stia andando “piuttosto” o “molto male” e il 68% contro il 30% di coloro che hanno votato pensa o che la “nuova iniezione di truppe”abbia peggiorato le cose o che non abbia sortito alcun effetto.

Ancora più importante è il dato secondo cui una vasta maggioranza di ebrei americani (il 57% contro il 35%) è contraria alla guerra preventiva degli Stati Uniti ai danni dell’Iran, anche se con lo scopo di “impedire all’Iran di produrre armi nucleari.” Gli analisti progressisti citano, poi, i sondaggi dai quali emerge che la maggior parte degli ebrei americani sono più “simili ai liberali” piuttosto che ai “conservatori” (il 42% contro il 25%) e il 58% contro il 15% si identifica sicuramente più nei Democratici che nei Repubblicani. La più parte degli ebrei crede che i Democratici prenderanno “le giuste decisioni sulla guerra in Iraq (il 61% contro il 21%). Per finire, i progressisti vedono molto di buon occhio i tre principali candidati democratici alla Presidenza.

Dai risultati di questi sondaggi parrebbe a primo acchito che gli ebrei americani siano a capo dei movimenti congressuali contro la guerra ad incitare gli altri ebrei ad unirsi e a far resuscitare il moribondo movimento pacifista. Nulla di tutto ciò.

Un ragione della differenza tra i risultati dei sondaggi “progressisti” e l’attuale atteggiamento in favore della guerra delle principali organizzazioni degli ebrei americani è da ricercarsi in molte delle opinioni non citate dagli analisti progressisti e, invece, sottolineate dai 52 leader delle principali organizzazioni comunali (Daily Alert, 13 Dicembre 2007). Più dell’80% (82%) degli ebrei americani concorda nell’affermare che “l’obiettivo degli arabi non è quello di riottenere i territori occupati, ma piuttosto la distruzione di Israele”. Solo il 12% degli ebrei non si è dimostrato concorde. Inoltre, il 55% degli intervistati contro il 37% di loro non crede che Israele e i suoi vicini arabi risolveranno le loro divergenze e vivranno in pace. Per quanto riguarda il problema centrale del compromesso e di Gerusalemme, il 58% degli ebrei americani contro il 36% rifiuta un compromesso israeliano che assicuri la pace permanente.

Dato che per la maggior parte degli ebrei americani essere pro-israeliani è una cosa molto importante e dato anche che le origini della loro identità derivano più dalla fedeltà ad Israele piuttosto che al Talmud o ai miti e ai rituali religiosi, risulta chiaro che sia “la maggioranza ebrea progressista che la minoranza ultra-conservatrice che è a capo di tutte le principali organizzazioni ebraiche americane ha un punto essenziale di accordo e convergenza: il sostegno ad Israele e l’identificarsi in esso e nei suoi pregiudizi anti-arabi, la sua espansione e l’espropriazione territoriale ai danni della Palestina. Questa fondamentale convergenza permette agli ultraconservatori Presidents of the Major Jewish Organizations d’America di parlare a nome della comunità ebraica nella sua interezza, come se non esistessero opinioni divergenti da parte della maggioranza progressista, dentro o fuori la loro organizzazione. Innalzando la bandiera di Israele, ripetendo in ogni momento utile il luogo comune della “minaccia esistenziale” ad Israele, la maggior parte degli ebrei ha chinato la testa e ha accondisceso o, peggio, ha subordinato le sue diverse opinioni “progressiste” al sostegno attivo all’”identificazione” dei leaders con Israele. Il permesso ad essere riconosciuti come portavoce del popolo ebreo intimorisce e /o costringe gli ebrei progressisti a tollerare pubblicamente l’idea secondo la quale “Israele sa ciò che è meglio per Israele“ e, quindi, anche ciò che è meglio per tutti gli ebrei americani che si identificano in Israele.

Un secondo importante fattore che concorre ad indebolire l’attività progressista degli ebrei americani contro la politica della guerra condotta da Stati Uniti ed Israele in Medio Oriente (Libano, Iran, Iraq e Palestina) è l’influenza dell’opinione pubblica israeliana. Un rapporto di Haaretz (9 Dicembre 2007) documenta un sondaggio inerente ai diritti civili che mostra come “Israele ha raggiunto nuovi picchi di razzismo..” e cita una crescita del 26% degli incidenti avvenuti a danno degli arabi (Associazione per i diritti civili in Israele. Rapporto annuale 2007). Il rapporto mostra che il numero di ebrei che provano odio nei confronti degli arabi è raddoppiato. Il 50% degli arabi israeliani si oppongono al fatto che i loro compatrioti arabi godano dei loro stessi diritti. Secondo uno studio condotto dall’Università di Haifa il 74% dei giovani ebrei israeliani considerano gli arabi “sporchi”.

Gli ebrei americani progressisti, identificandosi in uno stato coloniale e razzista, si trovano di fronte ad un dilemma: andare contro la loro primordiale identità in favore delle loro opinioni progressiste oppure sostenere Israele e sottomettersi ai suoi gestori americani e ai suoi leader riconosciuti?
Di fronte a questo, un analista serio deve distinguere chiaramente tra “opinioni” e “impegno”. Mentre la maggior parte degli ebrei americani ha la possibilità di esprimere le proprie opinioni progressiste private, il suo impegno basato sulla propria identità ebraica dipende dallo Stato di Israele e dai suoi principali portavoce negli Stati Uniti.

Questo spiega, probabilmente, la riluttanza degli ebrei americani a criticare i maggiori leader ebraici ultraconservatori e le loro organizzazioni di massa o, persino peggio, ad attaccare e a diffamare ogni critica proveniente dalla configurazione di potere a favore di Israele. Gli ebrei progressisti hanno subordinato le loro opinioni progressiste alla loro fedeltà ed identità con Israele. Questo ha significato sistematicamente che la maggior parte delle principali organizzazioni ebraiche americane sono ancora controllate da leader favorevoli alla guerra e ad Israele. Le organizzazioni ebraiche progressiste sono ai margini della mappa organizzativa e, potenzialmente, non influiscono né sul Congresso né sulla Presidenza e sui sostenitori di un Partito Democratico favorevole alla guerra.

Gli analisti progressisti che citano un sostegno di proporzioni enormi da parte degli ebrei al Partito Democratico, ai suoi tre principali candidati alla Presidenza e alla loro preferenza per l’etichetta liberale, usata per differenziarli dai leader delle principali organizzazioni, commettono un notevole errore logico ed elementare. I liberali, come i Clinton, hanno sostenuto la guerra contro l’Iraq e sono tra le forze promotrici di un attacco militare ai danni dell’Iran. La maggioranza democratica al Congresso ha sostenuto tutte le appropriazioni militari richieste dai Repubblicani e dalla Casa Bianca. Essere “Democratici” e “liberali” non significa essere “progressisti” e lo si comprende chiaramente osservando tutti gli indici di politica estera: dalla guerra in Medio Oriente agli sforzi di destabilizzazione in Venezuela.

L’apparente paradosso che vede gli ebrei progressisti contrari alla guerra favorire i Democratici che sono invece favorevoli alla guerra con ingenti somme di denaro, si spiega con l’incondizionato sostegno di questi ultimi ad Israele che annuncia a gran voce ogni “dissonanza” esistente nella mente degli attivisti politici progressisti ebrei.

Con la American Pro-Israel Power Configuration che per prima critica aspramente il risultato dello studio del dicembre 2007 effettuato dalla National Intelligence Estimate che dimostra l’assenza di un programma di proliferazione di armi nucleari in Iran, il punto di vista degli ebrei progressisti è taciuto o complice. Ancora peggio, gli attivisti pacifisti radicali e liberali progressisti hanno agito da guardiani all’interno dei movimenti contro la guerra – proibendo ogni critica rivolta ad Israele ed etichettando come “anti-semiti” tutte le persone e i cittadini attivisti che criticano la lobby sionista che sostiene la guerra.

Il sondaggio d’opinioni dell’AJC che mostra come ci sia un elevato numero di ebrei americani che ha più opinioni progressiste di quante ne abbia la leadership di tutte le più importanti organizzazioni in voga sarebbero formalmente benvenute se ciò portasse a qualcosa che andasse oltre le opinioni private compromesse dalle identità israeliane.


di James Petras

traduzione a cura di Francesca Pollastro (Ossin.org)