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Le Grand Soir, 13 marzo 2014 (trad. ossin)


Quello che i neo-conservatori si attendono dalla

crisi ucraina


Robert Parry



La crisi ucraina, in parte fomentata dai neo-conservatori statunitensi, ivi compresi i loro avatar del Dipartimento di Stato, ha inasprito le relazioni russo- statunitensi e disturbato la cooperazione segreta del presidente Obama col suo omologo russo Valdimir Putin nella soluzione delle crisi medio-orientali


Il presidente Barack Obama ha tentato, per lo più in segreto, di elaborare una nuova politica estera che molto conta sulla cooperazione con il presidente russo Valdimir Putin, per ridurre le tensioni in alcune zone calde come l’Iran e la Siria. Ma la reticenza di Obama a spiegare pubblicamente questa strategia l’ha reso vulnerabile di fronte agli attacchi che gli sono venuti da potenti ambienti dell’establishment di Washington, ivi compresi alcuni neo-conservatori piazzati in posti chiave e da gente che fa parte della sua stessa amministrazione.


La minaccia più grave a questa collaborazione Obama-Putin si è oggi rivelata essere l’Ucraina, dove una coalizione di attivisti neo-conservatori statunitensi e di avatar neo-conservatori presenti nel Dipartimento di Stato ha attizzato la fiamma dell’agitazione, contribuendo al rovesciamento brutale del presidente democraticamente eletto, Viktor Yanukovich, e adesso ad un intervento russo in Crimea, una regione del sud dell’Ucraina, che è stata storicamente parte integrante della Russia.



Con la crisi ucraina, gli interessi vitali della Russia sono direttamente minacciati

Anche se si dice che la crisi ucraina abbia colto Obama e Putin di sorpresa, la determinazione dei neo-conservatori a piantare un cuneo nelle relazioni tra i due leder era evidente da mesi, soprattutto dopo che Putin aveva negoziato un accordo per evitare l’attacco militare contro la Siria l’estate scorsa, e contribuito a spingere l’Iran a concordare delle concessioni sul suo programma nucleare, due risultati che hanno fortemente contrariato i neo-conservatori che avrebbero preferito un aggravamento delle tensioni.


Putin avrebbe anche verbalmente criticato il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu e il capo dei Servizi Segreti sauditi, il principe Bandar bin Sultan, per ciò che Putin ha considerato come loro azioni provocatorie nella guerra civile siriana. Dunque, ostacolando i piani dei neo-conservatori e offendendo Netanyahu e Bandar, il presidente russo si è ritrovato addirittura nel mirino di taluni personaggi molto potenti.


Senza Putin, i neo-conservatori - con Israele e l’Arabia Saudita – speravano che Obama avrebbe lanciato degli attacchi militari contro la Siria e l’Iran, che avrebbero potuto aprire la strada a maggiori “mutamenti di regime” in Medio Oriente, un sogno centrale della strategia geo-politica dei neo-conservatori dagli anni 1990. Questa strategia neo-conservatrice ha preso forma dopo la guerra high-tech degli Stati Uniti contro l’Iraq nel 1991 e la dissoluzione dell’Unione Sovietica poco dopo, nello stesso anno. I neo-conservatori statunitensi hanno cominciato a credere nel nuovo paradigma di un mondo unipolare dove la volontà degli Stati Uniti sarebbe stata legge…


I neo-conservatori pensano che questo nuovo paradigma dovrebbe significare  anche che Israele non ha alcun bisogno di impantanarsi in negoziati frustranti coi Palestinesi. Piuttosto che contrattare una soluzione a due Stati, i neo-conservatori statunitensi lavorano semplicemente ad un “cambio di regime” nei paesi mussulmani ostili che forniscono aiuti ai Palestinesi o ad Hezbollah libanese.


L’Iraq era il primo obiettivo sulla lista dei neo-conservatori, ma sarebbe poi venuto il turno della Siria e dell’Iran. L’dea-forza era che, una volta rovesciati o neutralizzati i regimi che sostengono i Palestinesi e Hezbollah,  allora Israele potrebbe dettare le sue condizioni di pace ai Palestinesi, che non avrebbero altra scelta se non di accettare quanto loro imposto.


I neo-conservatori statunitensi che hanno lavorato alla campagna elettorale di Netanyahu nel 1996, tra cui Richard Perle e Douglas Feith, avevano anche ufficializzato il loro audace piano, che avevano presentato in un documento di strategia dal titolo: “A Clean Break: Una nuova strategia per rendere il mondo più sicuro” (A Clean Break: A new strategy for securing the realm”). Il documento sosteneva che solo un “cambio di regime” nei paesi mussulmani ostili avrebbe consentito la necessaria “netta rottura” dei blocchi diplomatici che hanno fato seguito ai colloqui di pace inconcludenti tra Israeliani e Palestinesi.


Nel 1998, il progetto neo-conservatore per il Nuovo Secolo Americano (New American Century) chiedeva una invasione statunitense dell’Iraq, ma il presidente Bill Clinton non accettò. La situazione cambiò, però, quando il presidente George W. Bush assunse le sue funzioni e dopo gli attentati dell’11 settembre. Improvvisamente i neo-conservatori trovarono un comandante in capo d’accordo con la necessità di eliminare Saddam Hussein – e un’opinione pubblica statunitense sbalordita e in collera, che si poteva facilmente convincere.


Allora Bush invase l’Iraq, spodestando Saddam Hussein, ma senza riuscire a sottomettere il paese. Il bilancio dei morti statunitensi raggiunse il numero di 4500 e i costi faraonici, stimati in oltre 1000 miliardi di dollari, fecero sì che il popolo statunitense, e lo stesso Bush, non vollero accettare fino in fondo la visione neo-conservatrice, così come veniva espressa in una delle battute preferite del 2003 sul successivo paese da attaccare, l’Iran o la Siria: “I veri uomini vanno a Teheran!”


Per quanto i falchi come il vice presidente Dick Cheney avessero sostenuto il progetto neo-conservatore e israeliano di bombardare le istallazioni nucleari iraniane – con la speranza che questi attacchi potessero provocare un “cambiamento di regime” a Teheran – Bush decise di non poter rischiare, soprattutto dopo che i Servizi di Informazione degli Stati Uniti avevano stimato, nel 2007, che l’Iran aveva smesso di lavorare alla costruzione della bomba atomica da quattro anni.



L’elezione di Obama

I neo-conservatori ebbero un altro smacco nel 2008, quando Barack Obama riuscì a battere uno dei loro beniamini, il senatore John McCain. Ma poi Obama prese una delle fatidiche decisioni della sua presidenza, affidando la politica estera ad un “gruppo di rivali”, vale a dire mantenendo il repubblicano Robert Gates al Dipartimento della Difesa e piazzando Hillary Clinton, una neo-conservatrice “light”, alla testa del Dipartimento di Stato. Obama lasciò inalterato anche l’alto comando militare di Bush, all’interno del quale la personalità più significativa era il cocco dei media, il generale David Petraeus. Ciò vuol dire che Obama non aveva preso il controllo della sua politica estera.


Gates e Petraeus erano profondamente influenzati dai neo-conservatori, in particolare da Frederick Kagan, che era stato un grande difensore del “surge”, l’escalation militare del 2007 in Iraq, che era stata salutata dai media e dal grande pubblico statunitense come un grande “successo”, ma che non aveva raggiunto il suo principale obiettivo di un Iraq unificato. Al prezzo di quasi 1000 morti statunitensi, il “surge” era servito solo a guadagnare tempo per un ritiro ordinato che ha risparmiato a Bush e ai neo-conservatori l’imbarazzo di una sconfitta evidente.


Così, invece di procedere ad un importante rimaneggiamento del personale sulla scia della catastrofica guerra in Iraq, Obama realizzò qualcosa che assomigliava più alla continuazione delle politiche di guerra di Bush, seppure con un impegno più deciso a ritirarsi dall’Iraq e anche dall’Afghanistan, alla fine.


Fin dall’inizio, però, Obama ha dovuto fare i conti con l’opposizione di elementi chiave della sua stessa amministrazione, soprattutto al Dipartimento di Stato e della Difesa, e dei neo-conservatori ancora influenti nell’establishment di Washington. Sulla scorta di diverse informazioni, ivi compreso “Duty”, le memorie recentemente pubblicate di Gates, Obama ha sostenuto il “surge” in Afghanistan, come auspicato dal neo-conservatore Frederick Kagan e cedendo alle insistenze di Gates, Petraeus e Clinton.


Gates scrive che Kagan l’aveva persuaso a raccomandare il “surge” in Afghanistan e che Obama aveva accettato a malincuore, benché Gates ritenga che Obama non credeva alla “missione” e avrebbe voluto rovesciare il corso delle cose più in fretta di quanto non volessero gli stessi Gates, Petraeus e i loro amici.
 
Di fronte a queste resistenze che vengono dalla sua propria burocrazia, Obama ha cominciato allora a fidarsi solo di un cerchio ristretto di esperti, riunito intorno al vice presidente Joe Biden, e di qualche consigliere della Casa Bianca, col contributo di analisi di alcuni agenti della CIA, tra i quali il direttore, Leon Panetta.


Obama ha anche trovato un imprevisto alleato in Putin, dopo il suo ritorno alla presidenza russa nel 2012. Un consigliere di Putin mi ha confidato che il presidente russo stima personalmente Obama e vuole davvero aiutarlo a risolvere dei conflitti pericolosi, soprattutto la crisi con Iran e Siria.


In altri termini, l’iniziale errore di giudizio di Obama con il “gruppo di rivali” ha contribuito all’affermazione di uno stile presidenziale straordinario in politica estera, nel quale Obama elabora e mette in opera una gran parte della sua visione del mondo, prescindendo dal punto di vista dei suoi segretari di Stato e della Difesa (salvo quando Panetta è stato per poco al Pentagono).


Anche dopo l’allontanamento di Gates nel 2011, quello per dimissioni del generale Petraeus dal posto di direttore della CIA dopo uno scandalo sessuale alla fine del 2012, e quello di Clinton all’inizio del 2013, non è mutato questo singolare modo di porsi di Obama. Mi dicono che non abbia un rapporto di confidenza nemmeno con il segretario di Stato John Kerry, che non è mai riuscito a far parte del ristretto cerchio di consiglieri di Obama in politica estera.


La tessitura taciturna da parte di Obama della sua “vera” politica estera può spiegare perché, tenuto conto della persistenza della mentalità da “osso duro” che domina ancora negli ambienti ufficiali di Washington, l’approccio freelance di Obama abbia aperto spazi agli elementi guerrafondai della sua propria amministrazione.


Per esempio, il segretario di Stato Kerry era ancora impegnato ad annunciare l’inizio di una guerra statunitense contro la Siria, in un discorso bellicista pronunciato il 30 agosto 2013, quando si è visto tagliare l’erba sotto i piedi da Obama che aveva lavorato con Putin per disinnescare la crisi scatenata da un attacco controverso con armi chimiche nei sobborghi di Damasco.


Allo stesso modo, Obama e Putin hanno definito il quadro per un accordo interinale con l’Iran sul modo di limitare il suo programma nucleare. Ma quando Kerry è stato inviato per sugellare questo accordo a Ginevra, egli ha, al contrario, dato ascolto alle nuove esigenze espresse dai Francesi (che erano di corvée per conto dei Sauditi)     ed era pronto a fare andare tutto in malora. Dopo una lavata di capo da parte della Casa Bianca, Kerry è tornato a Ginevra ed ha definito l’accordo.



Politica estera eterodossa

La politica estera eterodossa di Obama – in genere un lavoro in tandem col presidente russo e talvolta una porta in faccia alla sua burocrazia – ha costretto Obama a fingere indignazione davanti a qualcosa che sembra a prima vista un affronto della Russia, vale a dire il consenso a dare temporaneo asilo al dipendente della National Security Agency (NSA), Edward Snowden.


In pubblico, Obama era tenuto a manifestare la sua categorica disapprovazione per l’asilo accordato a Snowden, nonostante per molti versi Putin facesse un favore a Obama risparmiandogli di dover processare Snowden, con tutte le conseguenze negative che ciò avrebbe comportato per la sicurezza nazionale degli USA e le ripercussioni politiche negative nella base politica liberal (di sinistra) di Obama.


Qualche errore di Putin ha complicato le relazioni, come quando ha difeso l’ostilità russa nei confronti degli omosessuali e represso le voci critiche prima dei giochi olimpici di Sochi. In tal modo, Putin è diventato un bersaglio facile per i commentatori e gli umoristi statunitensi.


Ma l’esitazione di Obama a rendere manifesto il livello di cooperazione strategica che lo lega a Putin ha consentito ai neo-conservatori, che restano influenti a Washington, insieme ai loro avatar del Dipartimento di Stato, di conficcare altri cunei significativi tra Obama e Putin. I neo-conservatori hanno compreso che il tandem Obama-Putin era un ostacolo importante alla loro visione strategica.


Senza dubbio la reazione più spettacolare – e potenzialmente più pericolosa – dei neo-conservatori è stata l’Ucraina, dove hanno assicurato il loro sostegno finanziario e politico ad alcune forze di opposizione che miravano a provocare la rottura tra l’Ucraina e il suo vicino russo.


Anche se la crisi affonda le sue radici nella divisione storica dell’Ucraina – tra la sua parte occidentale più rivolta all’Europa e l’Est e il Sud, abitati in maggioranza da Russi – gli agenti dei neo-conservatori, col denaro del National Endowment for Democracy, sovvenzionato dagli Stati Uniti e da altre fonti sempre statunitensi, hanno giocato un ruolo decisivo nella destabilizzazione e nel rovesciamento del presidente democraticamente eletto.


La NED, una agenzia con un budget annuale di 100 milioni di dollari e che è stata creata dall’amministrazione Reagan per promuovere azioni politiche e guerre psicologiche contro gli Stati presi di mira, sostiene finanziariamente 65 progetti in Ucraina, tra cui la formazione di militanti, il sostegno di “giornalisti” e la promozione di organizzazioni di affari, creando così una struttura efficace, pronta a destabilizzare un governo in nome della promozione della “democrazia”.


Anche i neo-conservatori del Dipartimento di Stato hanno messo le mani in pasta, spingendo l’Ucraina ad allontanarsi dalla Russia. La Segretaria di Stato aggiunta agli Affari Europei, Victoria Nuland, moglie dell’eminente neo-conservatore Robert Kagan e cognata del consigliere di Gates e Petraeus, Frederick Kagan, ha molto lavorato per un avvicinamento dell’Ucraina all’Europa.


Nel dicembre 2013, Nuland aveva ricordato agli imprenditori ucraini che, per aiutare l’Ucraina a realizzare “le sue aspirazioni europee, noi abbiamo investito più di 5 miliardi di dollari”. Aveva aggiunto che l’obiettivo degli Stati Uniti era di “portare l’Ucraina verso l’avvenire che ella merita”, intendendo nell’orbita dell’Occidente e non della Russia.


Ma il presidente Yanukovich ha respinto il piano dell’Unione Europea che avrebbe imposto una severa austerità ad una Ucraina già povera. Ha accettato un più generoso prestito di 15 miliardi dalla Russia, che ha anche aiutato l’economia ucraina fornendo gas naturale a prezzo più basso. La decisione di Yanukovich ha suscitato delle manifestazioni anti-russe a Kiev, posta nella parte occidentale del paese, la regione più filo-europea.


Nuland si è messa subito al lavoro per pianificare un “cambio di regime”, incoraggiando i disordini di piazza e distribuendo personalmente biscotti ai manifestanti anti-governativi. Non ha dato mostra di accorgersi o di preoccuparsi del fatto che i manifestanti di piazza Maidan a Kiev avevano issato un grande striscione inneggiante a Stepan Bandera, un nazionalista ucraino che aveva collaborato coi nazisti tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale e le cui milizie avevano preso parte ad atrocità perpetrate contro gli Ebrei e i Polacchi.


A fine gennaio, Nuland ha discusso con l’ambasciatore degli Stati Uniti in Ucraina, Geoffrey Pyatt di chi poteva essere autorizzato ad entrare nel nuovo governo.

“Yats è l’uomo giusto”, ha detto Nuland in una conversazione telefonica con Pyatt che è stata intercettata e messa in linea. “Ha esperienza di economia, ha esperienza di governo. E’ un ragazzo che conosciamo”. Parlando di Yats, Nuland alludeva a Arseni Yatseniuk, che era stato governatore della Banca Centrale, ministro degli affari esteri e ministro dell’economia. E che si impegna a applicare una politica di severa austerità.


Mentre la Segretaria aggiunta Nuland e il senatore McCain applaudivano i manifestanti, le manifestazioni di piazza cominciavano a diventare violente. La polizia si scontrava con gruppi neo-nazisti, i discendenti ideologici degli Ucraini anti-russi di Bandera che avevano collaborato con le SS naziste durante la Seconda Guerra Mondiale.


Giacché la crisi si aggravava e decine di persone rimanevano uccise durante gli scontri, Yakunovich ha accettato un accordo negoziato dalla UE che prevedeva elezioni anticipate e il ritiro della polizia. Le truppe d’assalto neo-naziste hanno colto allora l’occasione per occupare gli edifici del governo e forzare Yakunovich e diversi suoi collaboratori a scappare per salvarsi la vita.


Coi neo-nazisti che mantenevano “l’ordine”, gli altri parlamentari hanno accettato una serie di votazioni all’unanimità, o quasi, per la nascita di un nuovo governo e per chiedere l’arresto di Yakunovich, accusato di strage. L’uomo scelto da Nuland, Yatseniuk, è stato nominato primo ministro ad interim.


La violenta destituzione di Yakunovich ha provocato una resistenza popolare al colpo di Stato nelle regioni del sud e dell’est, maggiormente popolate da Russi. Dopo aver trovato rifugio in Russia, Yakunovich ha chiesto l’aiuto di Putin. Putin ha allora ha inviato truppe russe per assicurarsi il controllo della Crimea.



Allontanare Obama da Putin

La crisi ucraina ha fornito l’opportunità ai neo-conservatori di Washington di piantare un nuovo cuneo tra Obama e Putin. Per esempio, la nave ammiraglia dei neo-conservatori, il Washington Post, ha scritto nell’editoriale di sabato che Obama reagiva con “delle telefonate”, quando era necessaria qualche cosa di più di una semplice “condanna”.


Stupisce sempre vedere il Washington Post, che aveva fortemente insistito per un intervento statunitense in Iraq col falso pretesto di eliminare delle (inesistenti) armi di distruzione di massa, scandalizzarsi se un altro paese reagisce ad una vera minaccia per la sua sicurezza alle proprie frontiere (non all’altro capo del mondo).


Ma i capi di redazione del Washington Post non hanno mai fatto marcia indietro dinanzi alla propria ipocrisia. Hanno scritto: “Il probabile obiettivo di Putin non è difficile da immaginare. Sembra reagire alla deposizione della settimana scorsa del governo filo-Cremlino in Ucraina con un vecchio e ignobile modo di procedere russo: provocare una ribellione separatista in uno Stato vicino, servendosi delle sue proprie truppe, se necessario”.


La verità, invece, sembra essere stata che alcuni elementi neo-conservatori del governo degli Stati Uniti hanno incoraggiato il rovesciamento del presidente eletto in Ucraina, con un colpo di Stato eseguito da gruppi di attacco neo-nazisti che hanno poi terrorizzato i deputati affinché il Parlamento adottasse delle leggi draconiane, alcune delle quali destinate a punire le regioni filo-russe che preferiscono Yanukovich.


Tuttavia, oltre a criticare Obama per il suo atteggiamento moderato sulla crisi, il Post ha dichiarato che “Obama e i leader europei devono agire rapidamente per impedire lo smembramento dell’Ucraina. Mancava alla dichiarazione del presidente la menzione di una prima tappa necessaria: l’esigenza che tutte le forze russe – regolari e irregolari – si ritirino… e che Mosca riconosca l’autorità del nuovo governo di Kiev. Se Putin non si conforma, i leader occidentali dovranno chiaramente dire che la Russia pagherà un prezzo elevato”.


I responsabili di redazione del Post sono ghiotti di appelli a dare ultimatum a diversi paesi, specialmente l’Iran e la Siria, che comportino, in caso di non ottemperanza, delle contro-misure severe, anche rappresaglie militari.


Ma adesso, i neo-conservatori, nella loro aspirazione ostinata e interminabile a “mutamenti di regime” nei paesi che non seguono la via da loro indicata, hanno spinto le loro ambizioni ad un livello pericoloso, volendo confrontarsi con la Russia detentrice dell’arma nucleare con ultimatum.


Domenica, la redazione neo-conservatrice del Post ha “enunciato le conseguenze” per Putin e la Russia, che consistono, essenzialmente, nella proposta di una nuova Guerra Fredda. Il Post ha preso in giro Obama per la sua presunta mollezza nei confronti della Russia e ha lasciato intendere che il prossimo “cambio di regime” dovrà avvenire in Russia.


“Molti in Occidente non credevano che Putin avrebbe osato tentare un intervento militare in Ucraina, a causa delle gravi conseguenze possibili”, scrive il Post. “Il fatto che la leadership russa sia passato all’azione dimostra che essa dubita che i leader occidentali reagiranno con forza. Se non si ritira rapidamente, gli Stati Uniti devono dimostrarle che ha torto”.


La follia dei neo-conservatori si è segnalata da molto tempo per la loro straordinaria arroganza e il loro disprezzo per gli interessi delle altre nazioni. Essi suppongono che la potenza militare degli Stati Uniti e altri mezzi coercitivi debbano abbattersi su ogni nazione che non si inclini dinanzi agli ultimatum statunitensi o che resista dinanzi ai colpi di mano orchestrati dagli Stati Uniti.


Ogni volta che i neo-conservatori incontrano qualche resistenza, essi non ripensano alla loro strategia, passano semplicemente alla tappa successiva. Irritati dal ruolo svolto dalla Russia nell’impedire gli attacchi militari USA contro la Siria e l’Iran, i neo-conservatori hanno alzato il livello dello scontro geo-politico, intervenendo alla stessa frontiera della Russia e organizzando la destituzione violenta del presidente eletto dell’Ucraina.


L’idea era di dare a Putin un colpo serio e imbarazzante come punizione per avere interferito col sogno neo-conservatore di “mutamento di regime” attraverso il Medio Oriente. Ora, di fronte alla reazione russa per assicurarsi il controllo della Crimea, il neo-conservatori vogliono che Obama operi una escalation e se la prenda direttamente con Putin.


Alcuni neo-conservatori di primo piano vedono addirittura nella destituzione di Putin la tappa decisiva per ristabilire la preminenza della loro agenda. Carl Gershman, il presidente della NED, ha scritto nel Washington Post: “La scelta dell’Ucraina di riunirsi all’Europa accelererà la fine dell’ideologia dell’imperialismo russo che Putin rappresenta… Anche i Russi si trovano davanti ad una scelta, e Putin potrebbe ben trovarsi dalla parte dei perdenti, non solo coi i vicini, ma nella stessa Russia”.


Come minimo, i neo-conservatori sperano di poter neutralizzare l’alleanza tra Putin e Obama per ridurre le tensioni con la Siria e l’Iran – e così riattivare l’ipotesi di attacchi militari contro questi due paesi.


Con gli eventi diventati incontrollabili, sembra essere venuto il momento per il presidente Obama di spiegare al popolo statunitense perché egli ha cooperato col presidente Putin per tentare di risolvere alcuni tra i più spinosi problemi mondiali.

Ciò che sarebbe tuttavia importante è che egli assuma il controllo della propria amministrazione, per eliminare gli elementi neo-conservatori che hanno lavorato per sabotare la sua politica estera e bloccare l’attività delle organizzazioni controllate dai neo-conservatori come il National Endowment for Democracy che utilizzano il denaro dei contribuenti statunitensi per creare disordini all’estero. Avrebbe bisogno di vero coraggio politico.