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Middle East Eye, 28 dicembre 2017 (trad.ossin)
 
La Tunisia inserita dalla UE nella lista nera dei paradisi fiscali: un mezzo di pressione?
Mhamed Mestiri
 
La presenza della Tunisia nella lista nera dell’Unione Europea ha sollevato numerosi interrogativi. Diversi indizi fanno ritenere che la decisione della UE costituisca più una pressione politica che una messa in dubbio della correttezza fiscale del paese
 
La sede dell'Union Tunisienne de Banques, a Parigi
 
Lo scorso 5 dicembre, la Tunisia è stata inserita in una « lista nera » di paradisi fiscali dai ministri delle Finanze dell’Unione Europea, tra altri sedici paesi considerati « giurisdizioni non collaborative » in materia fiscale. La creazione di questa lista comune ai 28 Stati membri della UE aveva l’obiettivo di rafforzare la lotta contro l’evasione e la frode fiscale, a un mese dalle rivelazioni dei « Paradise Papers », un ennesimo scandalo finanziario che giunge dopo la serie dei « LuxLeaks » del 2014, « SwissLeaks » del 2015 e « Panama Papers » del 2016.
 
Il fatto che la Tunisia, un paese in via di sviluppo in piena crisi economica, si ritrovi inchiodata in questa lista insieme a paradisi fiscali « notori » come Panama o Trinidad-e-Tobago ha sorpreso più d’uno, a cominciare dagli stessi Tunisini.
 
L’incomprensione dei Tunisini
 
L’opinione pubblica tunisina è rimasta stupefatta da questo annuncio. Il loro paese non corrisponde al profilo di un paradiso fiscale, sotto più di un aspetto. Alcuni ricordano che la Tunisia non è una destinazione presa in considerazione dal mondo degli affari per i vantaggi finanziari offerti dalle banche locali.
 
Altri ricordano che il loro paese stenta ad attirare investitori a causa dell’instabilità politica e securitaria che ha accompagnato la sua transizione democratica. Ma la maggior parte concorda sul fatto che i Tunisini non hanno mai potuto beneficiare delle rendite finanziarie che si ritenga siano legate allo status di « paradiso fiscale ». Al contrario, si vedono sottoposti a misure d’austerità a causa della grave crisi di indebitamento che attraversa il paese; il debito pubblico tunisino è salito dal 40 % al 70 % del PIL tra il 2010 e il 2017.
 
L’incomprensione per questa misura è tanto più grande dal momento che anche la Tunisia ha un grave problema di evasione fiscale, un fenomeno che compromette gravemente le sue entrate. L’ultimo rapporto del Global Financial Integrity ha rivelato che il paese perde annualmente 1 684 miliardi di dollari per la fuga dei capitali, l’equivalente del 3,6 % del suo PIL.
 
Un mercato a Tunisi (AFP)
 
Peraltro, uno studio recentemente pubblicato dall’ONG Oxfam dimostra che i profitti realizzati nei paradisi fiscali sono smisurati rispetto all’attività economica reale del paese. Ebbene, in Tunisia, il contributo del settore finanziario alla creazione di valore aggiunto conta meno del 4 % del PIL.
 
Una disfunzione dalle disastrose conseguenze
 
Secondo informazioni in possesso del giornale Le Monde, è una disfunzione amministrativa ad avere ha provocato l’inserimento della Tunisia in questa « lista nera ». Benché fossero state interpellate fin dal mese di gennaio 2017, le autorità tunisine avrebbero trasmesso le loro assunzioni di impegno solo nella notte del 4 dicembre, alla vigilia di EcoFin. Una circostanza confermata due giorni dopo da Pierre Moscovici, il Commissario europeo per gli Affari economici e finanziari, alla Fiscalità e all’Unione doganale: « La Tunisia è nella lista nera perché ha assunto impegni troppo tardivi e incompleti ».
 
Da parte sua, l’ex ministro delle Finanze tunisino, Hakim Ben Hammouda, evidenzia che « in alcun modo la Tunisia è stata inserita in questa lista perché i suoi controlli fiscali sono carenti o perché non c’è trasparenza […] vi sarà stata senz’altro qualche manchevolezza che ha fatto sì che la risposta non abbia avuto la celerità, la serietà e l’impegno necessari ».
 
Al di là della disfunzione nella gestione del dossier, si tratta comunque di una grave défaillance al livello dei più alti responsabili dello Stato. Una défaillance sintomatica dei problemi di governance economica che la Tunisia attualmente sopporta. Essa è sia rivelatrice della scarsa considerazione che viene accordata alla questione dell’evasione fiscal sul piano locale, che di una scarsa attenzione alle conseguenze di una mancanza di cooperazione sul piano internazionale.
 
Gli uffici della Commissione europea a Bruxelles (AFP)
 
La nuova Legge finanziaria non prevede alcuna misura concreta per fermare l’emorragia dell’evasione fiscale, sebbene il paese si trovi in piena crisi di bilancio che lo obbliga a rivolgersi al mercato del credito internazionale. Ed ecco adesso che l’inserimento della Tunisia in questa lista rende ancora più difficile l’accesso al credito nei mercati finanziari. Ciò potrebbe condurre ad un nuovo aumento del premio di rischio, e a condizioni di rimborso ancora meno favorevoli.
 
Pressioni esercitate contro il regime offshore tunisino
 
Tuttavia, le informazioni date da Radio France Internationale indicano una causa del tutto diversa dietro la decisione dell’Unione Europea, si tratterebbe di fare pressione sulla Tunisia perché metta fine agli incentivi all’esportazione che essa accorda alle società offshore. Il ritardo delle autorità tunisine nella trasmissione dei loro impegni sarebbe stato solo un alibi.
 
Anche la reazione del capo del governo, Youssef Chahed, va in questa direzione. « Una delegazione si recherà a Bruxelles nei prossimi giorni per chiarire la realtà dell’economia tunisina che non può essere messa a paragone con quella di altri paesi, perché da più di 30 anni si basa sull’esportazione e noi continueremo ad incentivare le esportazioni tunisine nell’ottica di proteggere l’occupazione, specialmente nelle regioni interne […] più di 400 000 posti di lavoro vengono da società di esportazione, che rappresentano i due terzi dell’occupazione nell’industria. E’ dunque un aspetto importante del tessuto industriale tunisino del quale non si può fare a meno », ha dichiarato.
 
Ricordiamo che le società totalmente esportatrici beneficiano di un tasso di imposizione preferenziale dal 1972, attualmente è del 10 %. E’ una politica che mira unicamente ad attirare gli investimenti diretti stranieri (IDE) per la creazione di posti di lavoro, perché le multinazionali non sono tenute a rimpatriare i profitti delle loro esportazioni. L’Osservatorio Tunisino dell’Economia (OTE) ha d’altra parte criticato questa strategia, ritenendo sia causa di colossali mancati guadagni per l’economia tunisina. Stimandoli in 16 miliardi di dinari [5,4 miliardi di euro] tra il 2006 e il 2016.
 
Due militanti di Oxfam imitano i ricconi che nascondono il loro denaro nei paradisi fiscali (AFP)
 
L’UE si considererebbe danneggiata da questi incentivi fiscali sotto due profili: la delocalizzazione delle imprese europee che si trasferiscono in Tunisia per approfittare di una mano d’opera meno cara e di una imposizione fiscale meno pesante. E il fatto che le imprese europee localizzate in Tunisia non pagano più imposte nel loro paese di origine. Però questo è qualcosa che riguarda più le regole di concorrenza commerciale che la correttezza fiscale.
 
Se la Tunisia dovesse essere sanzionata per questo, logica vorrebbe che Cipro, l’Irlanda e Malta subiscano la stessa sorte, dato che praticano identici incentivi in seno stesso all’Unione Europea. Ma solo la Tunisia si trova inserita in questa « lista nera », con la prospettiva di una sospensione della cooperazione con la UE e un blocco dei fondi stanziati dalle istituzioni europee.
 
Senza le isole Cayman, la Svizzera o Hong-Kong, la lista dell’UE manca di credibilità
 
La « lista nera » dell’Unione Europea è stata molto criticata da quando è comparsa, soprattutto per le sue incoerenze. Per oscure ragioni, contraddicendo i tre criteri preventivamente stabiliti da Bruxelles, diversi dei principali paradisi fiscali sono assenti da questa lista.
 
E’ soprattutto il caso della Svizzera, di Hong-Kong, delle Bahamas, delle isole Cayman, di Jersey, di Guernsey o delle Bermude. E’ anche il caso di paesi membri dell’Unione Europea, vale a dire l’Irlanda, il Lussemburgo, i Paesi Bassi e Malta. Tutti questi paesi figurano tuttavia nella lista dei 35 paradisi fiscali redatta da Oxfam, sulla base dei medesimi criteri selezionati dalla UE.
 
La loro assenza dalla lista nera dell’UE è tanto più curiosa se si pensi che un buon numero di essi è direttamente implicate negli scandali finanziari degli ultimi anni.
 
Una settimana prima della riunione dei ministri europei dell’EcoFin, Aurore Chardonnet, responsabile dell’ufficio europeo di Oxfam, ha tentato di mettere in guardia contro le pressioni lobbiste dei paesi inseriti nella lista di Oxfam che non volevano figurare nella « lista nera » dell’UE : « Il nostro rapporto delinea la lista nera dei paradisi fiscali così come dovrebbe essere realmente se la UE applicasse obiettivamente i criteri che si è data, senza cedere alle pressioni politiche. Tuttavia, l’opacità con cui questa lista viene elaborata mette ai margini i cittadini e lascia i paradisi fiscali liberi di usare la loro influenza politica ed economica per evitare di entrarvi a far parte. Il rischio molto reale è che l’UE licenzi una lista nera vuota ».
 
Oxfam ha soprattutto parlato delle pressioni di Malta (che attualmente presiede l’UE) e della Svizzera. Il giornale Le Monde ha detto da parte sua che « vi sono state intense trattative fino alla discussione politica finale tra i ministri, e il contenuto della lista è cambiato continuamente fino all’ultimo momento ».
 
Quanto agli Stati Uniti, essi non sono stati considerati come « giurisdizione non collaborativa », nonostante non abbiano ratificato la convenzione internazionale sulla trasparenza e lo scambio automatico di informazioni, al contrario della Tunisia.
 
La « lista nera » dell’UE sembra quindi il frutto di una procedura distorta, e la presenza della Tunisia sembra più espressione di una pressione politica che di un deficit di collaborazione in materia fiscale.
 
Pierre Moscovici e Patrice Bergamini, l’ambasciatore della UE in Tunisia, possono ben augurarsi una « rapida uscita della Tunisia » da questa lista durante il prossimo EcoFin, il male è fatto. Alla fine sono il marchio di fabbrica e la reputazione della Tunisia ad essere stati intaccati da questa decisione. Il fatto di essere stata un giorno associata a questa lista nera costituirà oramai un motivo di sospetto, cosa che avrà un mucchio di conseguenze negative sull’attrattività del paese in termini di investimenti.
 
Questo fatto lascerà certamente delle tracce, prende sempre più l’aspetto di un peggioramento delle relazioni tra la Tunisia e il suo più importante partner economico, l’Unione Europea.