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Prosegue a tappe forzate il processo contro i 24 saharawi 

Parata militare
a cura di ossin


Il processo contro i 24 saharawi, detenuti da più di due anni per i fatti di Gdeim Izik, è cominciato dopo diversi rinvii, dinanzi al Tribunale Militare di Rabat, il 1° febbraio. Sospeso fino all'8 febbraio, è ripreso regolarmente e procede adesso a tappe forzate (compreso il sabato e la domenica). Il verdetto è atteso per mercoledì o giovedì prossimo. Ossin, su incarico del Sindaco di Napoli, dell'Unione Italiana delle Camere Penali e della Camera Penale di Napoli, ha garantito la sua presenza con gli osservatori: Anna Grillo (magistrato), Nicola Quatrano (magistrato), Francesco Romanetti (giornalista), Andrea Ceccardi (laureando in  Giurisprudenza), Francesco Marco de Martino (ricercatore universitario e avvocato), Antonio Del Vecchio (avvocato), Fabio Marcelli (giurista del CNR ed esponente dell'associazione dei giuristi democratici).
Il processo è una parata (militare) a uso e consumo dei numerosissimi osservatori internazionali (più di 52). Un tentativo di dare legittimazione ad un processo sommario, celebrato da un Tribunale speciale alle dirette dipendenze del governo.

Pubblichiamo i rapporti delle prime udienze


Udienza del 1° febbraio 2013

Osservatori :
Anna Grillo, magistrato
Nicola Quatrano, magistrato
Francesco Romanetti, giornalista
Andrea Ceccardi, laureando in Giurisprudenza – Univ. Bologna
Assistiti da:
Naceur Ben Jalel, interprete


Adempiendo all’incarico conferitoci dal Sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, dalla Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane (delibera del 28 gennaio 2013) e della Giunta della Camera Penale di Napoli (delibera del 29 gennaio 2013), gli scriventi hanno assistito all’udienza del 1° febbraio del processo in corso dinanzi al Tribunale Militare di Rabat contro 24 militanti Saharawi per i fatti di Gdeim Izik.
Il processo è stato rinviato al successivo 8 febbraio 2013 e, nel momento in cui il presente rapporto viene redatto, è ancora in corso. Delegati ad assistere alle udienze del giorno 8 e 9 febbraio 2013, sono gli avvocati Francesco Marco de Martino e Antonio Del Vecchio, del Foro di Napoli


1. Imputati :

Il processo si svolge dinanzi il Tribunale Militare di Rabat e riguarda 24 imputati :


1. Enaama Asfari, arrestato a Laayoune in data imprecisata nell’atto di accusa, secondo molti testimoni in data 7/11/10, alla vigilia dell’intervento della forza pubblica
2. Ahmed Sbai, arrestato in data 8/11/10 a Laayoune
3. Cheikh Banga, arrestato in data 8/11/10 a Gdeim Izik
4. Mohamed Bourial, arrestato in data 8/11/10 a Gdeim Izik
5. Etaki Elmachdoufi, arrestato in data 8/11/10 a Laayoune
6. Mohamed El Ayoubi, arrestato in data 8/11/10 a Gdeim Izik, posto in libertà provvisoria il 13/12/11
7. Mohamed Bani, arrestato in data 8/11/10 a Gdeim Izik
8. Brahim Ismaïli, arrestato in data 9/11/10 a Laayoune
9. Mohamed Embarek Lefkir, arrestato in data 10/11/10 a Laayoune
10. Abdallah Lekhfaouni, arrestato in data 12/11/10 in località Foum El Oued
11. Laaroussi Abdeljalil, arrestato in data 13/11/10 a Boujdour
12. Sidi Abdallah B’hah, arrestato in data 19/11/10 a Laayoune
13. Mohamed El Bachir Bouteguniza, arrestato in data 19/11/10 a Laayoune
14. Mohamed Lamin Haddi, arrestato in data 20/11/10 a Laayoune
15. Sidi Abderahmane Zayou, arrestato in data 21/11/10 a Laayoune
16. Abdallah Toubali, arrestato in data 2/12/10 a Laayoune
17. Deich Eddaf, arrestato in data 3/12/10 a Laayoune
18. El Houssin Ezzaoui, arrestato in data 4/12/10 a Laayoune
19. El Bachir Khadda, arrestato in data 5/12/10 a Laayoune
20. Mohamed Tahlil, arrestato in data 5/12/10 a Laayoune
21. Hassan Dah, arrestato in data 5/12/10 a Laayoune
22. Sid Ahmed Lamjayed, arrestato in data 25/12/10 a Laayoune
23. Babait Mohamed Khouna, arrestato in data 15/08/11 a Laayoune
24. El Bakai Laarabi, arrestato in data 9/11/2012 a Dakhla (la cui posizione non è trattata nell’ordinanza di rinvio a giudizio del 3/11/2011)


2. Imputazioni :


Sono accusati di associazione a delinquere finalizzata a commettere atti di violenza contro gli agenti della forza pubblica in servizio, fino all’omicidio ( il 4°, il 5°, il 6°, il 7°, l’8°, il 9°, il 10°, il 19° e il 20° imputato); e di aver partecipato agli atti di violenza contro la forza pubblica nell’esercizio delle proprie funzioni, violenza che si doveva spingere fino all’omicidio (il 1°, il 2°, il 3°, l’11°, il 12°, il 13°, il 14°, il 15°, il 16°, il 17°, il 18°, il 21°, il 23° e il 24° imputato); di avere profanato un cadavere (il 9° e 10° imputato), in base agli articoli 293, 294 e 267 (paragrafo 5) e 129, 130 e 271 del codice penale, nonché dell’art. 7 del codice penale militare.

Riferimenti normativi :
- Art. 293 codice penale – Ogni associazione o accordo, qualsiasi sia la sua durata e il numero dei componenti, formata o realizzato al fine di preparare o commettere delitti contro la persona o le proprietà, configura il crimine di associazione per delinquere che si consuma col solo fatto della risoluzione ad agire assunta in comune.
- Art. 294 codice penale – E’ punito con la reclusione da cinque a dieci anni chiunque faccia parte dell’associazione o dell’accordo definiti nell’articolo precedente.
La reclusione è da dieci a venti anni per i dirigenti dell’associazione o dell’accordo o per coloro che vi hanno comunque svolto ruoli di comando.
- Art. 267 codice penale – E’ punito con la reclusione da tre mesi a due anni chiunque commetta violenze o vie di fatto nei confronti di un magistrato, un funzionario pubblico, un comandante o un agente della forza pubblica nell’esercizio delle loro funzioni o in occasione di esse.
Quando le violenze comportano versamento di sangue, ferite o malattie, o sono commesse con premeditazione o agguato, ovvero contro un magistrato o un giudice popolare di una corte o di un tribunale, la reclusione è da due a cinque anni.
Quando le violenze procurano mutilazioni, amputazioni, privazioni dell’uso di un arto, cecità, perdita di un occhio o altra infermità permanente, la pena è la reclusione da dieci a venti anni.
Quando le violenze provocano la morte, senza intenzione di procurarla, la pena è la reclusione da venti a trenta anni.
Quando le violenze provocano la morte, con l’intenzione di infliggerla, la pena è la morte.
Al colpevole, condannato ad una pena detentiva, può inoltre essere applicata la sanzione del divieto di soggiorno per una durata da due a cinque anni.
- Art. 271  codice penale – Chiunque profani o mutili un cadavere o commetta su un cadavere un qualsiasi atto di brutalità o di oscenità è punito con la prigione da 2 a 5 anni e con un’ammenda da 120 a 500 dirham.

Gli articoli 129 e 130 del codice penale riguardano il concorso di persone nel reato.

L’art. 7 del Codice della giustizia militare, approvato con Dahir n.  1-56-270 del 6 rebia II 1376 (10 novembre 1956) disciplina il caso in cui un soggetto venga condannato per lo stesso fatto da un Tribunale ordinario e da un Tribunale militare. E’ evidente che si tratta di un errore di indicazione, in quanto la disposizione del Codice della giustizia militare concernente i fatti è quella contenuta nell’art. 3, ultima parte :
“Sono sottoposti alla giurisdizione del Tribunale militare anche:
- Chiunque, qualsiasi sia la sua qualità, abbia commesso un fatto qualificabile come crimine ai danni di membri delle Forze Armate Reali e assimilati…”


3. I fatti oggetto del processo :


Il “campo della Dignità” di Gdeim Izik
Il processo ha ad oggetto le violenze che sono seguite allo smantellamento, da parte delle Forze Speciali marocchine, del “campo della dignità” di Gdeim Izik,  considerato uno dei primi episodi della “Primavera araba”.


A partire dal 9 ottobre 2010, decine di migliaia di cittadini saharawi si sono autoesiliati a qualche chilometro da Layoune, capitale del territorio non autonomo del Sahara Occidentale, per protestare contro le condizioni di emarginazione e sofferenza sociale cui sono sottoposti. In pochi giorni sono state erette nel campo  migliaia di jaima (tende) e si è realizzata quella che è stata considerata da Noam Chomsky come una delle prime espressioni del movimento di protesta che avrebbe nei mesi successivi scosso tutto il mondo arabo.


All’alba del giorno 8 novembre, dopo un mese di proteste pacifiche, sono intervenuti esercito e forze speciali marocchine per smantellare il campo. La reazione degli occupanti è stata rabbiosa. Sono seguiti scontri, che hanno interessato anche la città di Laayoune, nel corso dei quali vi sarebbero stati dei morti, oltre a molti feriti.


Il vero bilancio degli scontri è probabilmente impossibile: le cifre ufficiali divulgate dalle Autorità marocchine parlano di 14 morti, 11 dei quali appartenenti alle forze dell’ordine. I loro nomi, divulgati dalla MAP (l’agenzia di stampa ufficiale marocchina) nel novembre 2010, sono : Nour Eddine Ouderhm, Med Ali Boualem, Yassine Bougataya, Abdelmoumen Ennchioui, Oulaid Ait Alla, Badr Eddine Torahi, Abdelmajid Adadour, Belhouari Anas, Bentaleb Lakhtil, Mohamed Najih, Ali Zaari.


Le vittime civili saharawi sono Brahim Guergar Ould Med Ould Hammadi, pensionato della OCP (la compagnia che estrae fosfati nel Sahara occidentale occupato) e Brahim Daoudi, che sarebbe morto per “soffocamento”. A questi i Saharawi aggiungono una terza vittima civile. Qualche giorno prima dello smantellamento del campo, il 24 ottobre 2010, un ragazzino saharawi di 14 anni, Nayem el-Gareha, era stato ucciso da colpi d’arma da fuoco della gendarmeria reale. Secondo le autorità marocchine faceva parte di una banda di criminali che tentava di entrare con la forza nel campo. Nel suo rapporto al Consiglio di sicurezza dell’ONU, Ban Ki Moon parla di un giovane “abbattuto dalle forze marocchine il 24 ottobre all’ingresso del campo, in circostanze non chiarite”.

Gli esiti delle inchieste ufficiali aperte dalle autorità marocchine di occupazione su queste morti non sono state rese pubbliche.


Considerazioni sulla scarsa trasparenza delle indagini
Nei giorni successivi allo smantellamento del campo, il governo del Marocco ha impedito l’ingresso nei territori agli osservatori e ai giornalisti indipendenti, opponendosi  decisamente anche all’apertura di una inchiesta internazionale sui fatti.

Le inchieste aperte sulle uccisioni dei civili saharawi non hanno portato ad alcuna incriminazione e i loro esiti non sono stati resi pubblici.

Ma – ciò che più inquieta – è che i cadaveri delle vittime non sono stati sottoposti ad autopsia, salvo quello del caporale Aljatib Bint Ihalib. Tutti i familiari delle vittime inoltre, sia marocchine che saharawi, concordano nel dichiarare che le autorità non hanno permesso loro di visionare i corpi dei loro congiunti, che sono stati seppelliti in tutta fretta senza che nessuno potesse vederli.


Un piccolo giallo riguarda il riferimento contenuto nell’ordinanza di rinvio a giudizio all’unica autopsia effettuata. E’ quella sul corpo del caporale Aljatib Bint Ihalib, il cui nome – salvo errori di trascrizione dalla lingua araba – non compare nell’elenco dei militari uccisi, divulgato dalla MAP


4. Svolgimento del processo :

La prima udienza del processo era stata fissata in un primo tempo il giorno 13 gennaio 2012, ma il giorno prima gli avvocati difensori sono stati informati per telefono dal cancelliere che il processo era stato rinviato a data da stabilirsi.

Nell’agosto 2012 è stata fissata la nuova data di udienza per il 24 ottobre 2012. Anche questa veniva rinviata a data da stabilirsi con la medesima (irrituale) procedura della telefonata ai difensori.

Finalmente veniva fissata la data del 1° febbraio 2013


5. Collegio difensivo :


Mohamed Lahbib Khalili
del Foro di Agadir
Bazid Lahmad del Foro di Agadir
Mohamed Fadel Ellili del Foro di Agadir
Mohamed Boukhalid del Foro di Agadir
Nouradin Dalil del Foro di Casablanca
Malek Mountaka del Foro di Casablanca
Mustapha Jayaf del Foro di Rabat
Mustapha Errachidi del Foro di Marrakech


6. Udienza del 1° febbraio


Manifestazione dei parenti delle vittime davanti al Tribunale


La giornata si apre con una manifestazione dei parenti delle vittime dinanzi il Tribunale Militare. Manifestazione preannunciata dalla stampa governativa che, nei giorni precedenti, ha trattato il tema del processo come semplice spunto per parlare della neonata associazione che raggruppa i familiari delle vittime (Coordination des Familles et Amis des Victimes des événement de Gdeim Izik – COFAV).

Gli scriventi hanno potuto osservare nell’aula di udienza esponenti di questa associazione, la cui evidente emozione dimostrava l’effettiva qualità di “parente delle vittime”, insieme ad altre persone che non sono invece legate da vincoli familiari con le stesse.

E’ probabilmente questa commistione sospetta che ha spinto alcuni dei familiari dei detenuti ad insultare qualche esponente del Coordinamento. Gesto comunque non commendevole, presto corretto dalle dichiarazioni rese al sito Lakome dalla sorella di Said Dembar, un giovane saharawi assassinato a Laayoune nel dicembre 2010 da un poliziotto: “Non abbiamo problemi con loro, è lo Stato marocchino che consideriamo responsabile. Abbiamo visto la loro sofferenza nel corso dell’udienza, la stessa nostra, ma anche di quella degli imputati”.

Imponente la presenza degli osservatori internazionali


ITALIA
Nicola Quatrano - OSSIN - Magistrato
Anna Grillo - Magistrato
Francesco Romanetti - Giornalista de Il Mattino
Andrea Ceccardi - studente
Naceur Ben Jalel - Interprete
Francesca Doria - Avvocato
Gilberto Mastromatteo - Giornalista freelance, AIODH


SPAGNA
Ines Miranda - IAJUWS - Avvocato
Lola Travieso - Avvocato
Josè (Pepe) Revert- Avvocato
Inmaculada Ruiz - Avvocato
Francisco Serrano - Avvocato, Sindaco di Montellano
Gemma Arbesù - Avvocato
Jesus Martin - Magistrato
Josè Gilgarre - Consulente Legale
Antonio Mateos - magistrato
Javier Otazu - Giornalista - Agenzia Stampa EFE
Alba Villen Rueda - Giornalista
Juan Soroeta - San Sebastian - Presidente di AIODH
Josè Antonio Romero - Badajoz - AIODH
Rosalia Perera - Avvocato - Observatorio Derechos Humanos del Colegio de Abogados de Badajoz
Candelaria Carrera - Avvocato- AIODH, Observatorio Derechos Humanos del Colegio de Abogados de Badajoz
Covadorga Cantelli
Angel Moseguì Figueres - Osservatrice Civile
Trinidad Garcia Martin - Giurista
Antonio Mateos Rodriguez-Arias - magistrato
Carlos Alberto Ruiz - Fondazione MUNDUBAT, Federazione delle Associazioni per la Difesa e la Promozione dei Diritti dell'Uomo - Spagna


FRANCIA
France Weyl - Avvocato, membro di DROIT-SOLIDARITE, Associazione Internazionale dei Giuristi Democratici AUD
Pierre Lebas - Consigliere Municipale a Gonfrenville l'Orcher
Lea Lisa Westerhoff - Giornalista - RFI Radio France Internation
Michèle Decaster - Associazione Francese di Amicizia e Solidarietà coi Popoli d'Africa (AFASPA), Boureau Internazionale per il Rispetto dei Diritti dell'Uomo in Sahara Occidentale (BIRDHSO)
Jacqueline Fontaine - Vice Presidente della Regione della Lorena, membro di Amnesty International, Associazione di Solidarietà col Popolo Saharawi della Lorena
Maurice Groues - Militante di Amnesty International, membro dell' Associazione degli Amici della RASD, Piattaforma di Solidarietà col Popolo Saharawi


PORTOGALLO
Juan Andres Lisboa Noguerol - Osservatrice civile


LUSSEMBURGO

Benjamin Bodig - Avvocato


CANADA
Carole St-Louis - Ambasciata Canadese
Hayat Benkhadra - Ambasciata Canadese


REGNO UNITO

Michael Ellmann - REMDH Londra - Avvocato


SVEZIA

Natasa Mirosavic
Lisa Staxång - International Commission of Jurists - Swedish section


BELGIO

Pierre Legros – Ex presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Bruxelles


SVIZZERA

Dagmar Schmidt Tartagli - Ambasciata Svizzera


AUSTRALIA
Jennifer Cheney


E' altresì presente, per HUMAN RIGHTS WATCH
Brahim El Ansari


Sono presenti anche osservatori marocchini, probabilmente “embedded”, dal momento che le associazioni davvero indipendenti non sono comparse:


Issam Lahlou - OMDH


Hanno ricevuto mandato da diverse realtà marocchine (più sotto specificate) per costituire un gruppo di lavoro sul processo:
Hassan Semlali - Kenitra
Abdellatif Boumkass - Kenitra
Sophia Gharabi - Rabat
Ahmed Arahmouch - Rabat
Ismail Belhaj - Rabat
Aicha Galaa - Casblanca
Addaha Erramouni
Moulay Boubkir El Hamdani
Said Khoumri
Jamila Sayouri


Il mandato congiunto è stato conferito da:
Association Adala
Médiateur pour la démocratie et les droits de l' homme
Instance marocaine des droits de l'homme
Observatoire marocain pour les libertes publiques
Centre de Réflexion stratègique est de défense de la démocratie


L’udienza :

Alle 9.40 entrano gli imputati gridando slogan sulla indipendenza del Sahara Occidentale. Gli esponenti della Associazione delle vittime risponde con lo slogan: “La pena di morte è quella giusta per gli assassini”

Entra il collegio, presieduto da un giudice della Corte di Cassazione e da quattro ufficiali in divisa, in rappresentanza delle varie armi dell’esercito.

Anche il Pubblico Ministero è un militare e ugualmente il cancelliere.


Il Presidente comincia l’appello degli imputati. Il primo è Ennaama Asfari, che grida in francese, rivolto al pubblico: “Il Sahara Occidentale indipendente, è l’unica soluzione anche per il Marocco”.


Il dibattimento Prosegue per tutta la mattina. Comincia con la richiesta degli avvocati di un rinvio motivato dall’assenza di alcuni difensori. Essi accettano poi di proseguire anche in assenza dei colleghi, dichiarando che il collegio di difesa è comune per tutti gli imputati e non individuale.

Le questioni trattate riguardano:
 
- La traduzione del dibattimento. Il Tribunale aveva previsto la presenza, ad uso degli osservatori internazionali evidentemente, di interpreti di lingua francese, spagnola e inglese, per la traduzione del dibattimento. La Difesa contesta questa scelta perché comporta un allungamento spropositato dei tempi osservando che, semmai in ossequio ai principi della costituzione marocchina, il dibattimento dovrebbe essere tradotto in lingua berbera (Tamazigh) e che, essendo gli imputati saharawi, anche in dialetto Hassania.

- Richiesta di testimoni. La Difesa chiede di sentire gli ufficiali che hanno verbalizzato le dichiarazioni degli imputati, in quanto i verbali appaiono contraddittori e poco chiari. Chiede inoltre la citazione come testimoni del Ministro dell’interno dell’epoca, Taieb Cherkaoui, di tre wali e della parlamentare del PPS Gajmoula Bent Ebbi, tutti partecipanti al negoziato con il comitato di dialogo degli occupanti di Gdeim izik. Chiede inoltre di ascoltare altri testimoni sulla data e il luogo dell’arresto degli imputati.

- Altre prove. La Difesa chiede di far portare in aula di udienza gli oggetti sequestrati, per accertare che corrispondano a quanto indicato nei relativi verbali di sequestro.

- La pubblicità del dibattimento. La difesa denuncia che nell’aula sono state fatte entrare le famiglie delle vittime, ma non quelle degli imputati. Di queste è stato autorizzato l’ingresso solo di alcuni.

- Presenza della forza pubblica in aula. La Difesa contesta il carattere intimidatorio di una massiccia presenza di forza pubblica nell’aula di udienza.

La Corte si ritira in camera di consiglio per circa due ore. Alle ore 13, 45 rientra in aula e il presidente legge la decisione:


- La Corte ammette i testimoni saharawi da sentire sulle questioni dei luoghi e delle date degli arresti degli imputati. Respinge le altre richieste della difesa di citazione di testimoni, compresi i redattori dei verbali di interrogatorio degli imputati


- Ordina siano portati in aula gli oggetti sequestrati.


- Dispone che la traduzione del dibattimento si svolga anche in Tamazigh e in
Hassania


- Respinge ogni altra richiesta.


Alle 14 l’udienza è tolta con rinvio all’8 febbraio 2013


7. Considerazioni sul processo :

E’ evidente lo sforzo di mostrare alla comunità internazionale il volto di una Giustizia (militare) affidabile e rispettosa dei diritti degli imputati. Ciò anche attraverso scelte francamente discutibili, come la presenza di interpreti in lingua inglese, francese e spagnola, ad uso e consumo degli osservatori internazionali. Scelta che contrasta con la legislazione marocchina, che dispone che la lingua da usare nei processi sia ovviamente quella araba (magari, come evidenziato dalla Difesa, anche il tamazigh, altra lingua ufficiale del Marocco, e l’hassania, la lingua degli imputati saharawi) e che comporta un irragionevole allungamento dei tempi del dibattimento.
Questa grande disponibilità verso gli osservatori internazionali è sembrata agli scriventi solo di facciata, dal momento che nel corso della loro visita ai territori occupati, seguita all’udienza del 1° febbraio, essi sono stati costantemente pedinati dalle forze di sicurezza marocchine.

Quando si è trattato di passare alle scelte importanti, si è potuto notare che alcune richieste strategiche avanzate dalla Difesa sono state respinte.


Le prove
Si tratta di un processo nel quale gli imputati sono accusati di plurimi omicidi, nei confronti di appartenenti alle forze dell’ordine, dei quali tuttavia nell’ordinanza di rinvio a giudizio non vengono nemmeno menzionati i nomi. L’unica perizia autoptica allegata agli atti è quella effettuata sul cadavere del caporale Aljatib Bint Ihalib
- il compendio accusatorio si fonda esclusivamente sulle confessioni degli imputati, rese in assenza del difensore e in stato di detenzione, all’interno dei locali della Polizia Giudiziaria in cui erano trattenuti in stato di arresto. Va peraltro sottolineato che diversi familiari degli accusati hanno denunciato torture e maltrattamenti nei confronti degli imputati.

- Solleva la massima preoccupazione il fatto che la pena massima prevista per i fatti contestati agli imputati sia la pena di morte.


Il Tribunale militare in generale
Particolari perplessità scaturiscono dalle estensione della giurisdizione penale militare alle condotte dei civili. Ciò in relazione allo scarso riconoscimento, da parte delle corti militari, di garanzie procedurali fondamentali, così come rilevato anche dal Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, la Corte Americana per i Diritti dell’Uomo e la Corte Europea per i Diritti Umani. In particolare, come statuito a livello universale da parte del Comitato per i Diritti Umani dell’ONU, consentire ai tribunali militari di processare civili solleva seri dubbi in relazione ad un’equa, indipendente e imparziale amministrazione della giustizia (Human Rights Committee, Administration of Justice, General Comment No 13 - UN Doc HRI/GEN/1/REV.1 - 1984). Estendere pertanto la giurisdizione militare ai civili costituisce una violazione del diritto fondamentale di ogni individuo ad essere giudicato da un giudice precostituito per legge, che sia competente, imparziale ed indipendente (Durand and Ugarte v Peru [2000] IACHR, 16 August 2000, para 117). Va evidenziato che la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha, in diverse occasioni, ritenuto che un civile portato dinnanzi ad un tribunale penale militare, per presunti crimini commessi contro le forze armate, possa avere il legittimo timore che tale giurisdizione non sia imparziale ed indipendente.
Questo vale anche nei casi in cui un tribunale sia composto, anche solo in parte, da giudici membri delle forze armate.


Specifici caratteri  della Giurisdizione militare marocchina
Va in premessa evidenziato che il Comitato dell’ONU contro la tortura, nel suo rapporto 2011-2012 sul Marocco, ha espressamente chiesto a Rabat di “modificare la sua legislazione in modo che tutti i civili siano sottoposti esclusivamente alle giurisdizioni ordinarie”, in conformità con lo spirito della nuova costituzione votata nel luglio 2011, che stabilisce il primato delle convenzioni internazionali sul diritto interno marocchino.

L’analisi delle disposizioni del codice militare marocchino rivela alcuni caratteri francamente non accettabili di detta giurisdizione, anche dal punto di vista delle vittime:


Non è consentita la costituzione di parte civile

Articolo 9 – La giustizia militare delibera solo ad iniziativa pubblica. Salvo quanto previsto dal successivo art. 125 (caso di revisione del processo, ndr), nessuno può costituirsi parte civile innanzi il Tribunale militare.
Questo Tribunale può peraltro ordinare, a profitto dei proprietari, la restituzione degli oggetti sequestrati o dei corpi di reato, quando non se ne debba ordinare la confisca.
L’azione civile può essere proposta solo in sede di giurisdizione civile, il relativo procedimento resta sospeso fin quando non sia intervenuta una pronuncia definitiva sull’azione pubblica, che sia stata promossa prima o durante il procedimento civile


I giudici sono designati dal Ministro della Difesa

La composizione del collegio militare è stabilita all’articolo 11 che, per quanto riguarda il giudizio sui “crimini”, dispone che il collegio sia  composto da un magistrato ordinario della Corte di Cassazione, come presidente, e quattro giudici a latere militari.
Quando gli imputati sono civili, ai sensi  dell’art. 20, il grado dei giudici a latere deve essere di “comandante o di capitano”.
La nomina dei magistrati militari è affidata all’esecutivo e alle gerarchie militari, come risulta dal disposto dell’art. 21, secondo cui l’elenco dei militari che possono svolgere le funzioni di giudici a latere è redatta dal ministro della difesa, su proposta dei “capi interessati”. La designazione inoltre del giudice civile con funzioni di presidente è adottata su proposta del ministro della difesa.


Il promovimento dell’azione penale spetta al Ministro della Difesa

L’azione penale militare è promossa dal ministro della difesa, alle cui dipendenze opera la polizia giudiziaria militare.
Le funzioni di pubblico ministero sono svolte da un “Commissario di Governo”.
Il grado del commissario di Governo deve essere “almeno” di “comandante della giustizia militare” (art. 24). Possono quindi essere di grado superiore ai giudici a latere.


Non vi è grado di appello e la sentenza è sommariamente motivata

Ai sensi degli articoli 105 e 106, il verdetto viene letto pubblicamente e contiene una sommaria motivazione. Ai condannati è consentito proporre solo ricorso in cassazione nel termine di 3 giorni liberi dalla pubblica lettura del verdetto.

Ciò è francamente inaccettabile specialmente considerando che la pena massima prevista nel caso di specie e la morte.


Associazione per delinquere e resistenza aggravata

Agli imputati vengono di fatto contestati gli omicidi in danno degli appartenenti alle forze dell’ordine  marocchine, che hanno trovato la morte nel corso degli incidenti seguiti allo smantellamento del campo di Gdeim izik.
Formalmente, tuttavia, essi non sono accusati di omicidio, bensì di associazione per delinquere (art. 293 codice penale) e di violenze contro le forze dell’ordine, violenze poi sfociate in plurimi omicidi (art. 267 codice penale).
Sembra evidente che lo scopo di questa scelta apparentemente bizzarra sia l’assenza di qualsiasi prova a carico dei singoli accusati in relazione agli omicidi stessi. Così gli stessi vengono accusati di generici atti di violenza, sfociati in omicidi che sono stati evidentemente compiuti da altre persone non identificate.
E tuttavia la responsabilità degli accusati starebbe nell’avere approvato, preventivamente, l’uccisione di appartenenti alle forze dell’ordine. Sarà così possibile considerare colpevole anche il presunto capo della banda, Ennaama Asfari, che pure era stato arrestato nella serata precedente allo smantellamento del campo e, dunque, non ha potuto in alcun modo partecipare ai disordini.


Profili di diritto internazionale

L’intervento in forza delle forze dell’ordine marocchine, stato che occupa il territorio non autonomo del Sahara occidentale, per smantellare il campo di Gdeim Izik e per reprimere una manifestazione sociale e politica del popolo saharawi potrebbe configurare una violazione dell’accordo di “cessate il fuoco” stipulato nel 1991 tra il Marocco e il Polisario (l’organizzazione politica del popolo saharwi). Ma tale profilo esula dalla competenza degli scriventi.


Alla luce di quanto osservato, i sottoscritti ritengono che il processo in corso dinanzi il Tribunale militare di Rabat contro 24 militanti saharawi per i fatti di Gdeim izik non risponda ai caratteri universalmente riconosciuti di equità e
garanzia per gli imputati e le vittime del reato


Napoli, 8 febbraio 2013

Anna Grillo, Nicola Quatrano, Francesco Romanetti

 


 

I detenuti scandiscono all'ingresso in aula slogan per l'indipendenza



Udienze dell'8 e 9 febbraio 2013

Osservatori  
Francesco Marco de Martino (ricercatore universitario e avvocato)
Antonio Del Vecchio (avvocato)
Assistiti da
Naceur Ben Jalel (interprete)

1. Udienza del giorno 8 febbraio:

Alla presenza di trentadue osservatori internazionali si è svolta l’udienza, come da programma, per i fatti del “Campo della dignità”.

Le famiglie degli imputati, non ammesse in udienza,  hanno denunciato una serie estesa di violazioni di diritti umani e civili a carico dei detenuti, tra cui elettroshock e stupri.

Analoga denunzia è stata rivolta dagli avvocati al procuratore generale ed al tribunale, senza sortire né l’avvio di una indagine, né alcun effetto sul processo.

Sempre gli avvocati hanno poi sollevato diverse questioni preliminari che hanno occupato il tribunale per l’intera udienza . La stessa si è protratta sino in tarda serata, impegnata, dalle 20 alle 22, dalla lettura del rapporto dell’accusa.

Fra le principali questioni dedotte in udienza vengono in rilievo: il difetto di competenza del tribunale militare, in uno con la inutilizzabilità di tutti gli atti relativi alle deposizioni degli imputati, essendo state esse sottoscritte con l’impronta digitale piuttosto che con la sottoscrizione degli stessi. La cosa ha creato un certo stupore negli osservatori internazionali essendo essi a conoscenza della formazione di alcuni imputati presso le università francesi. 

Più in dettaglio la prima eccezione (competenza) ha riguardato l’incapacità di un tribunale militare a giudicare fatti di reato commessi da civili. Ancora, la contrarietà alla nuova costituzione marocchina del suddetto incardinamento di competenza, avendo la carta fondamentale soppresso i tribunali speciali.

La seconda (utilizzabilità degli atti), come detto, ha riguardato la sottoscrizione dei verbali, ottenuta, secondo la difesa, solo grazie alle violenze ed alle torture condotte dalla polizia ai danni degli imputati, costretti sotto minaccia di stupro e con gli occhi coperti da bende.

Tutte le questioni sono state rigettate. Quelle relative alla competenza, sia sulla base del rilievo che la nuova costituzione, pur contenendo il divieto delle celebrazioni delle udienze innanzi a tribunali speciali, di fatto, non potrebbe essere invocata per difetto di norme attuative della stessa; sia perché la normativa marocchina prevede la competenza del tribunale militare anche nei casi in cui persona offesa sia un militare od appartenente alle forze dell’ordine.

L’utilizzabilità degli atti, come detto, ha seguito le sorti delle altre eccezioni, avendo il tribunale riservato ogni valutazione allo scrutinio del merito.


Il prosieguo dell’udienza è stato fissato al giorno successivo, ore 9.


2. Udienza del giorno 9 febbraio:

L’indomani, 9 febbraio, tutta la giornata, iniziata alle ore 9 e conclusasi alle 22.25, è stata impegnata dell’esame degli imputati; in tutto 5.

La gran parte dei lavori, dalle nove fino alle sedici circa, è stata dedicata all’esame del primo imputato, Ennaama Asfari. Si tratta di una posizione gravata da diversi capi di imputazione e presente in tutte le pagine del rapporto dell’accusa.


Enaama Asfari


L’imputato si è difeso asserendo anzitutto la sua totale assenza dal campo nel giorno dell’intervento delle forze dell’ordine. Infatti, lo stesso ha sostenuto di essere stato “preso in ostaggio” già il giorno 7 novembre, da sedicenti appartenenti alle forze dell’ordine, e solo successivamente, dopo diverse torture (fra cui quella di averlo privato quasi del tutto di acqua e cibo per 5 giorni), consegnato alla polizia. Il detenuto ha tenuto ha precisare la sua condizione di ostaggio, più che di detenuto, essendo egli stato privato della libertà personale di gran lunga al di fuori delle regole della procedura penale.

Ciò nonostante, l’accusa gli ha contestato di aver organizzato le operazioni di resistenza violenta all’arrivo della polizia al campo di Gdeim Izik e quindi di aggressione alle forze dell’ordine.

Sorprendendo l’aula, l’imputato, rivolgendosi al tribunale, ha descritto la sua condizione evocando quella del protagonista del “Processo” di Kafka, essendo stato egli privato della libertà senza conoscere le accuse, condotto in un luogo segreto, torturato e senza possibilità alcuna di contestare nell’immediatezza dei fatti il suo stato di privazione della libertà.

Provocatoriamente, poi, il detenuto ha ringraziato la giustizia marocchina, la quale, avendolo costretto per ben due anni nelle loro carceri, gli ha consentito almeno di leggere e fare suo il famoso romanzo; avanzando espressamente dubbi sulla conoscenza dell’opera da parte degli arbitri del suo destino.

L’imputato inoltre si è detto molto sorpreso, denunciando con ciò l’assurdità delle accusa, anche dalla contestazione secondo cui egli stesso, insieme ad altre ventitré persone ne avrebbe costrette 40.000 all’interno del campo contro la loro volontà. In merito l’imputato ha spiegato al tribunale come l’accampamento, formula innovativa e pacifica di manifestazione di dissenso politico, rapidamente estesasi in altri continenti, fosse stato un movimento senza capi, e assolutamente spontaneo.

Nel prosieguo dell’esame il detenuto, più volte invitato dal presidente a restare ai fatti di causa, senza divagare su temi di carattere politico, ha sempre con fermezza ribadito che la vera questione non è difendersi dagli atti falsi della polizia, ma lottare, nella legalità e secondo le determinazioni delle Nazioni Unite, per l’autodeterminazione del popolo saharawi. A questo punto il presidente, visibilmente contrariato, ha interrotto l’udienza, disponendone la sospensione.

Alla ripresa, dopo circa un’ora, il detenuto, denunciando le omissioni e le distorsioni delle traduzioni degli interpreti nominati dal tribunale, ha ritenuto di tradurre egli stesso dall’arabo al francese quanto sino a quel momento dichiarato.

Anche l’esame degli altri quattro imputati è stato caratterizzato dalle medesime argomentazioni (inesistenza degli addebiti, torture e falsità dei rapporti della polizia).

In un caso, addirittura, il presidente, compulsato in ciò dalle difesa, ha dovuto necessariamente prendere atto della effettiva falsificazione di un verbale della polizia ad opera della stessa. Come pure la dimostrazione di evidenti segni di tortura sul corpo di uno dei primi cinque imputati.

Complessivamente gli osservatori hanno constatato che il processo, nonostante il formale rispetto di un generale di principio di equità, si colloca agli antipodi della giustizia europea, laddove

1) dei verbali di interrogatori palesemente falsi, mai avrebbero consentito l’instaurazione di un processo;

2) i segni delle torture subite dai detenuti negli interrogatori avrebbero determinato l’immediata apertura di una inchiesta
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Antonio Del Vecchio  - Francesco Marco de Martino (l’osservazione del processo è stata possibile grazie all’interprete di lingua araba Naceur Ben Jalel)