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La Schiavitù in Mauritania

di Mohamed Yahya Ould Ciré


La Mauritania è collocata geograficamente tra il mondo arabo e quello africano. Confina al sud con il Senegal, a sud est e ad est con il Mali, al nord con il Sahara occidentale e l’Algeria, a ovest, infine, con l’oceano atlantico. Il paese conta circa 3 milioni di abitanti. Per parlarne, occorre premettere alcuni chiarimenti.

1) di origine nero-africana, gli Haratine hanno subito un transfert di civilizzazione, come gli Antillani o i neri americani. Di conseguenza non conoscono affatto o conoscono poco la loro società di origine. Essendo noi stessi Hartani (un affrancato dalla schiavitù arabo-berbera), ci limiteremo a parlare della società arabo-berbera, che meglio conosciamo.


2) El hor (Movimento per la liberazione e l’emancipazione degli Haratine) è stato creato il 5 marzo 1978 a Nouakchott (capitale della Mauritania). Ma era già nato clandestinamente nel novembre 1974 nell’ENA (Ecole Nazionale d’Administration) di Mauritania. Dal 1974 al 1978 è stato compiuto un lavoro di sensibilizzazione e di coscientizzazione presso le comunità Haratine, studenti, funzionari, lavoratori, etc. Il 5 marzo 1978 non è stato infatti altro che l’avvio di un processo di presa di coscienza da parte delle vittime della schiavitù in Mauritania. Oggi, più che mai, questo lavoro deve essere proseguito.

Haratine (plurale di Hartani) vuol dire “affrancato”. In verità la parola Haratine è impropria perché ci sono, ieri, come oggi, più schiavi che affrancati. C’è approssimativamente un affrancato ogni quattro schiavi. Elhor ha scelto il nome Haratine per le seguenti ragioni:

- Nella società araba di Mauritania, non esiste alcuna differenza tra uno schiavo (abd) e un affrancato (Hartani). Lo status è identico per entrambe le categorie, a prescindere dal fatto che lo sfruttamento economico sia diretto o indiretto.
- L’origine della persona determina il suo statuto a vita. Nella società araba di Mauritania, la gerarchia sociale è rigida.

Come al tempo dell’ancien regime francese, vi sono degli ordini sociali. I guerrieri (Béni hassan), gli stregoni (Zwaya), e gli altri: cantastorie, fabbri, Haratine e schiavi, etc.
I Mauri hanno in proposito un proverbio molto significativo: “la differenza tra uno schiavo e un affrancato è come la distanza che corre tra la parte bassa della coda di una vacca in pedi e la terra. Quando la coda della vacca è lunga, tocca terra”. Significa che, nella considerazione degli schiavisti, e anche degli altri membri della società, non v’è differenza tra uno schiavo ed un affrancato.

Elhor, come movimento politico, non può non muoversi in una prospettiva di liberazione. Così affrancare gli schiavi resta il suo obiettivo principale. Perciò ha scelto la parola Haratine.
Lo status di schiavo infatti è fisso come l’immagine su una fotografia, mentre l’affrancamento apre una prospettiva, una dinamica, un film a suspence che finirà solo quando si avrà una liberazione ed una emancipazione effettiva degli schiavi.

3) Il nome di Mauritania viene dalla parola Mauro. I Mauri sono dei Berberi che hanno regnato su una parte del Maghreb, ma anche altrove, nel sud della Spagna (Andalusia).


4) Arabo è una realtà contemporaneamente etnica e di civilizzazione, ma anche una cultura dominante in Mauritania.
Il significato della parola “arabo” cambia secondo l’uso che se ne fa. Quando uno schiavo o un affrancato parla di un arabo, vuole intendere il suo padrone. Si riferisce alla relazione padrone-schiavo.

Invece tra gli arabo-berberi, quando si parla di un arabo, è per indicare il membro di una tribù araba o le tribù in generale, vale a dire le tribù guerriere o Beni hassan. Quelle giunte in Mauritania nell’8^ o 9^ secolo dopo Cristo costituiscono il nucleo fondamentale di quello che è l’elemento arabo in senso etnico, dunque in questo caso la parola “arabo” indica l’etnia.

5) Berberi: vivevano in Mauritania prima dell’arrivo degli arabi. Coabitavano con le popolazioni nere. Le tribù Lemtouna, Massouna, Tagekent, etc sono berbere. Queste ultime si sono arabizzate, sono diventate depositarie, nello stesso tempo, della lingua araba e della religione mussulmana. Queste tribù chiamate Marabutte (Zwaya) –  Marabutto = stregone, guaritore mussulmano) – in Mauritania sono assai più numerose di quelle Béni hassan.
La pretesa di oggi di cancellare ogni traccia della cultura berbera, la lingua Zanaga parlata da molte tribù, è inquietante, perché nega una realtà palpabile. Ricorda, se si consente il paragone, il silenzio che circonda la schiavitù. Si pratica la schiavitù, si vive in schiavitù, ma la schiavitù – si dice – non esiste.
L’Islam delle origini ha incoraggiato la liberazione degli schiavi soprattutto quando erano mussulmani. Malauguratamente, nella pratica, vi è sempre stata una strumentalizzazione della religione mussulmana per giustificare la dominazione dei padroni sugli schiavi. Il fatto che raramente abbiano una istruzione contribuisce al mantenimento di uno stato di ignoranza che impedisce qualunque velleità di emancipazione.

6) Beydane vuol dire bianco, in contrapposizione ai neri che coabitano coi Mauri. Quando dicono “Beydane”, gli Haratine indicano i Mauri.

Le espressioni “Mauri”, “Arabi”, “Berberi” e “Beydane” qui hanno lo stesso significato, perché designano tutte l’elemento arabo o la componente araba o arabo-berbera. Nessuno di questi termini è peggiorativo, perché ciascuno di essi ha un preciso riferimento storico, culturale e di civilizzazione.

Noi non siamo raffinati linguisti. Non siamo specialisti di hassania (il dialetto arabo parlato dagli arabo-berberi della Mauritania), di arabo o di francese. Abbiamo fornito queste spiegazioni solo per far comprendere al lettore il nostro pensiero e, attraverso questo, la realtà della Mauritania.

Gli Haratine, nella stragrande maggioranza, non parlano arabo. Lo parlano solo quelli che lo hanno studiato. In realtà gli Haratine si esprimono soprattutto in hassania, e ne usano una versione molto elementare. La volontà politica è stata e rimane quella di sottrarre gli Haratine a ogni influenza o ad ogni mezzo attraverso il quale possano emanciparsi. Sapere usare un dialetto è una forma di conoscenza. Oggi gli Haratine non ascoltano le informazioni della radio nazionale perché sono in arabo, francese, pulaar, sonninké, wolof, tutte lingue che non comprendono.

A noi è capitato spesso di ascoltare la radio in compagnia di altri Haratine che domandano sempre la stessa cosa: “Cosa ha detto la radio?”

Come si può pretendere di tradurre ogni informazione per qualcosa come un 45% della popolazione? Gli Haratine formano la comunità più marginalizzata della Mauritania. La loro esclusione comporta la privazione di ogni forma di sapere che avrebbe potuto servire alla loro emancipazione. Gli schiavisti si rafforzano per merito di questo stato di ignoranza che alimentano in modi diversi.



 

1. La complessità della schiavitù in Mauritania

Tutte le componenti della società mauritana sono coinvolte nello schiavismo. Cioè gli Arabo-berberi e i Negri-Mauritani (Haal-pulaar, Soninké, Wolof e Barbara). La schiavitù in questi diversi ambienti è vissuta come un problema di coscienza.

A) Da un lato gli Arabi hanno strappato dal mondo negro-africano degli esseri umani che hanno sottoposto e continuano a sottoporre ad uno stato di schiavitù.
Dall’altro hanno trasgredito lo spirito dell’islam, religione che costituisce il fondamento della loro cultura e della loro civilizzazione. L’islam ha sempre incoraggiato la liberazione degli schiavi da parte dei padroni credenti.
Jaen Rouvier, uno dei miei professori di Parigi, diceva: “Quando gli idealisti concepiscono qualche buona idea, arrivano i materialisti a pervertirla”: Questa considerazione non riguarda solo le religioni, ma anche le ideologie di laggiù.

B) Nel passato anche le comunità negro-africane hanno venduto schiavi nel commercio transsahariano. Spetta anche ai discendenti degli schiavi di queste comunità di organizzarsi per la loro emancipazione. In effetti esiste anche nelle società negro-mauritane qualche forma di schiavitù. L’esistenza delle caste comporta oggi , in queste comunità, delle disuguaglianze di status che sono comunemente accettate..
Ogni tentativo di mettere in discussione la schiavitù cozzerà contro interessi economici, giuridici, politici, etc., qualsiasi sia la comunità interessata.
Per gli arabo-berberi si tratta di una questione di sopravvivenza, perché l’economia tradizionale, e anche quella moderna, si fonda sul lavoro degli Haratine.
Se questi ultimi fossero pagati per il loro lavoro e se gli arabo-berberi vivessero dei frutti del loro proprio lavoro, tutto questo produrrebbe dei cambiamenti radicali nella società.
Per i Negro-mauritani la questione non si colloca su di un piano economico, ma al livello dello status riservato agli appartenenti alle caste. La sparizione delle caste permetterà una redistribuzione dei ruoli nella società negro-africana e una migliore partecipazione delle persone appartenenti alle caste ai destini della nazione.


C) Tra queste due forme di schiavitù ci sono similitudini e differenze:

le similitudini possono individuarsi nella negazione, in entrambi i casi, della personalità umana e l’esclusione dello schiavo dall’ambito giuridico, politico, culturale etc. oltre che l’ideologia del disprezzo che giustifica tale esclusione. E’ così nel regime dei rapporti agrari. La situazione dei terreni del lago R’Kiz è indicativa del tipo di rapporti agrari più diffusi nei territori arabi di Trarza. Qui le terre, storicamente considerate indivise, sono assegnate ai gruppi dirigenti delle due tribù della zona, gli Idaw Ali e Idaab Lahcen. Laddove sono state frazionate, la produzione agricola (del miglio in particolare) si basa sull’affitto dei terreni (per un periodo da uno a un massimo di tre anni) contro il pagamento della Zekkat e il conferimento di una parte della produzione agricola, nei termini stabiliti tra le parti contraenti. A causa delle disposizioni dell’ordinanza 83-127 e del suo decreto applicativo, i titolari dei diritti sociali di dominio, per salvaguardare il loro patrimonio, evitano di mantenere i contadini sullo stesso pezzo di terra per più anni.

Si impongono alcuni chiarimenti: la Zekkat è l’elemosina legale (imposta mussulmana). Era versata al Tesoro del Califfato che provvedeva a distribuirla ai poveri. Gli schiavisti arabo-berberi la impongono agli Haratine a loro esclusivo beneficio. Dunque i proventi della Zekkat sono stornati dalla loro destinazione naturale.

1. Gli schiavisti si sostituiscono all’autorità religiosa riconosciuta nella esazione di una imposta
2. Sacralizzano la schiavitù per fare sì che nessuno la contesti. Si tratta dunque di un peccato contro l’Islam
3. Che cosa resta ai lavoratori della terra dopo che hanno pagato la Zekkat e conferito una parte del raccolto?
4. Si vede bene come gli schiavisti violino l’ordinanza 83-127 di riforma agraria, impedendo che i contadini restino sullo stesso pezzetto di terra più di tre anni. Questa violazione della legge dimostra la complicità dello Stato mauritano.

Tra i Negro-Mauritani la locazione delle terre continua. Attualmente l’insieme dei canoni tradizionali è caduta in desuetudine. Continua ancora solo l’ assakal ( una decima a carattere religioso corrispondente a 1/10 del raccolto) e il rem peccen (letteralmente “coltiva e dividiamo” – una forma di mezzadria, attraverso la quale il lavoratore della terra versa una parte del raccolto al titolare del diritto di dominio).

Le differenze: nella società negro-mauritana, gli schiavi sono stati tutti affrancati fin dal decreto del 12 dicembre 1905 che aboliva la schiavitù in Francia e nelle colonie. I negro-mauritani erano sottoposti all’amministrazione diretta della Francia, dunque il decreto del 1905 è stato loro applicato. Invece i Mauri (arabo-berberi) godevano di uno statuto speciale e dunque erano amministrati solo indirettamente dalla Francia. Così si spiega, almeno in parte, come mai la schiavitù in Mauritania esista ancora.

Gli schiavi nella società negro-mauritana non sono né venduti, né regalati, né scambiati. Possono sposarsi anche senza l’autorizzazione dell’ex padrone. Beneficiano dei frutti del loro lavoro, ma non hanno voce in capitolo nell’amministrazione cittadina. Non possono partecipare al consiglio di villaggio. Non possono diventare né capi villaggio né Imam di moschea, salvo forse che in un villaggio abitato solo da schiavi. Dunque sono i paria di questa società.

Nella società arabo-berbera gli schiavi sono venduti, affittati, scambiati, regalati, linciati, picchiati, castrati, violentati, esportati, desocializzati, spersonalizzati, non possono sposarsi senza il consenso del padrone, e cosi di seguito. Oggi ci sono ancora dei mercati di schiavi in Mauritania, soprattutto ad Atar, la città dove è nato il capo dello Stato Ould Taya.

Ci sono città, villaggi, accampamenti di nomadi dove vi sono luoghi per il linciaggio degli schiavi: vi sono stati collocati dei solidi tronchi d’albero. Ad essi vengono legati gli schiavi destinati al linciaggio. Poi comincia l’operazione. Lo schiavo può morire, o perdere un occhio, o tutti e due, un orecchio, o tutti e due, il naso, può perdere la sua mobilità… La città di Guerrou è un esempio. Guerrou è abitata dalla tribù berbera Tajekant. Un deputato, un senatore, alcuni magistrati e altri dirigenti di questa tribù hanno partecipato ad un linciaggio collettivo nei confronti di alcuni Haratine (schiavi). Questo linciaggio è stato denunciato nel 1999, in una lettera indirizzata al capo dello Stato Ould Taya. Essa è rimasta senza risposta.


 

II. La schiavitù nella società arabo-berbera

A/ Definizione di schiavitù

Si tratta di un sistema che priva l’essere umano dei suoi diritti giuridici, politici, economici, riducendolo allo stato di oggetto, di animale, a disposizione del suo proprietario o padrone.
Il codice negro francese del 1685 evoca il concetto di bene mobile. Lo schiavo può essere venduto o scambiato, lavora senza pagamento, non ha alcun diritto sui propri figli, non può sposarsi senza il consenso del padrone, etc.

Giuridicamente la schiavitù può anche definirsi, in Mauritania o altrove, “il diritto di usare, di disporre e perfino di abusare di una persona che non è libera nell’espressione della sua volontà”.

A differenza del rapporto contrattuale, nel quale l’espressione del consenso e l’incontro delle volontà creano l’obbligazione giuridica, si tratta piuttosto di un impegno dettato dai rapporti di forza storici e materiali, coperto dalla ideologia tradizionale, legittimato dalla mentalità dominante e tollerato dalle autorità dello Stato” ( vedi il documento di SOS Schiavo 1976, ONG mauritano: Che cosa è la schiavitù in Mauritania? pag.2)
In Mauritania c’è la schiavitù. Come ha detto Abram Lincoln: “Se la schiavitù non è cattiva, niente v’è al mondo di cattivo”.

B/ Le forme di schiavitù nella società arabo-berbera

1) schiavitù domestica 

Consiste nel compimento dei lavori di casa, andare al pozzo a prendere l’acqua, fare il pastore, raccogliere la gomma arabica, cogliere i datteri, coltivare i campi e così via.

 

2) schiavitù amministrativa

a. I comportamenti degli alti responsabili mauri.
Nell’amministrazione mauritana, l’hartani, quale che sia la sua competenza e posizione gerarchica, deve sempre stare al servizio del beydane. Resta sempre il “buon schiavo” (abd), il “buon negro”. Questa situazione d’altronde è tanto più grave in quanto prolifera nell’ambito del non detto. Lo schiavo deve saper restare al posto suo: lavorare e non protestare.
Un Mauro non può pretendere da un altro Mauro il compimento dei suoi propri doveri. Per fierezza questi infatti può rifiutarsi. La gerarchia tribale può impedire al superiore di far rispettare la gerarchia amministrativa. Per aggirare questo ostacolo, conviene ricorrere ad un hartani. Il carico di lavoro che gli viene assegnato spesso lo conduce alla follia. Può giungere al punto di non poter beneficiare delle ferie. I compiti che gli sono assegnati hanno gravi conseguenze sulla sua vita.

b. I comportamenti degli schiavisti nei confronti dell’amministrazione mauritano
Gli schiavisti mauritani compongono la clientela politica del potere. Per meglio dire, sono i loro figli a dirigere l’amministrazione. E’ questo a spiegare la loro influenza. Talvolta intervengono a sostenere l’assunzione di un loro haratine, del quale percepiranno poi, in tutto o in parte, il salario spettategli. In ogni caso gli schiavisti godono della complicità dell’Amministrazione. Se l’Hartani rispetta il patto, può restare nella sua funzione, altrimenti sarà licenziato più rapidamente di quanto non sia stato assunto.


 

3) la schiavitù politica

In passato lo schiavismo era utilizzato per i lavori dei campi, per guardare gli animali. Dalla istituzione della apparente democrazia, gli schiavisti monetizzano, sia col partito al potere che con quelli di opposizione, i voti dei loro schiavi.

Il giorno delle elezioni, presidenziali o municipali, il padrone imbarca i suoi schiavi in un camion e li porta al seggio elettorale. Dopo il voto li riporta al luogo di schiavitù.
Ecco una democrazia schiavista , dove l’opinione dello schiavo è quello del suo padrone, espresso con un voto guidato (vedere il documento di SOS Schiavo già citato)
Ecco anche una democrazia tribalista perché è attraverso la tribù che gli Haratine sono inquadrati, controllati, canalizzati e divisi.

 

4) La schiavitù moderna

I beydane in questo possiedono una abilità ed un cinismo senza pari e mostrano una grande capacità di adattamento. Il vecchio schiavo di campagna è diventato oggi un autista, un meccanico, un lavoratore agricolo o un operaio di fabbrica. Resta tuttavia sempre non pagato o mal pagato. La vittima non fa rivendicazioni, perché la schiavitù è prima di tutto e soprattutto mentale.
Se per azzardo, si ribella, viene subito condotto alla polizia, alla gendarmeria a alla Guardia nazionale, può essere picchiato o abbandonato in cella. La vittima preferisce spesso la condizione di schiavo, piuttosto che trovarsi nelle mani della polizia.
In questo modo i beydane, anche senza schiavi, si concedono, con la complicità delle forze dell’ordine, dei domestici senza pagarli.
In proposito succede che dei Senegalesi, dei Maliani, dei Bissau-Guineiani, etc. siano vittime dei medesimi trattamenti. E’ sufficiente essere neri per essere disprezzati e diventare vittima del razzismo.

 

5) La neo-schiavitù

Lo schiavo affrancato si chiama Hartani. Come si diventa Hartani?

Succede spesso che per ottenere la sua liberazione, lo schiavo contragga un debito nei confronti del suo padrone. E’ il caso più frequente. Ci sono poi quelli che fuggono e  si sottraggono così alla schiavitù diretta.
Il padrone può diventare povero e non essere più in grado di sostenere i bisogni elementari dello schiavo, a questo punto lo affranca per poterlo sfruttare in altro modo.

Lo schiavo affrancato diventa lo schiavo di tutti. In questo caso lo sfruttamento diventa facile in virtù di una convinzione religiosa ed errata. Gli Haratine pensano che i beydane siano degli chérifs (discendenti del profeta Maometto) o discendenti delle famiglie marabutte (guaritori islamici), rappresentanti di Allah sulla terra, ciò a cagione del sapere che essi detengono.

La differenza tra un  abd (schiavo) e un Hartani (affrancato) si situa sulla linea di confine tra una schiavitù diretta ed una schiavitù indiretta. Il primo costa più o meno caro al padrone per il nutrimento, i vestiti e la sorveglianza. Il secondo non costa niente e frutta molto. In effetti lo schiavo affrancato vive del suo lavoro ma nello stesso tempo mantiene da lontano il suo o i suoi padroni. Paga al padrone la Zekkat (imposta legale), la saddagha (elemosina), la hadya (dono). Se il padrone vuole utilizzare l’Hartani o un membro della sua famiglia per un lavoro occasionale o duraturo, lo può fare. “Si inculca nello schiavo l’idea che la sua salute dipende dal padrone, che il suo ingresso in Paradiso dipende dall’obbedienza al suo padrone. Di colpo la sottomissione dello schiavo viene trasformata in dovere religioso”.

Acquistare la libertà o sfuggire alla schiavitù non equivale ad un affrancamento mentale. L’affrancato non sa per quale motivo ha acquistato la libertà. Lo Stato non glielo spiega. Nemmeno le istituzioni religiose. “La schiavitù è una ideologia di dominazione che produce una mentalità. Lo schiavo è portatore di questa mentalità, tanto più che non è stato fatto alcuno sforzo per aiutare le vittime a comprendere e superare questa mentalità di dipendenza”. Essendo la schiavitù permessa dall’Islam, gli schiavisti rifiutano di dare contratti di affrancamento agli schiavi. Gli Haratine e gli schiavi continuano ad accettare la schiavitù perché è autorizzata dall’Islam. Nell’ambito della schiavitù indiretta, gli Haratine che hanno a loro volta degli schiavi sono sfruttati dai loro ex-padroni. Così il Mauro padrone di schiavi sfrutta l’Hartani padrone di schiavi. E l’Hartani sfrutta il suo schiavo (abd). Ma dato che “lo schiavo del tuo schiavo è tuo schiavo”, il Mauro sfrutta lo schiavo dell’Hartani e l’Hartani medesimo.

La schiavitù è un crimine contro l’umanità, non si giustifica che la comunità internazionale circondi di silenzio la schiavitù in Mauritania. La schiavitù transsahariana ha preceduto la schiavitù transatlantica, la seconda è sparita, la prima resta.


 

C/ Stato e schiavitù in Mauritania

La Francia ha abolito la schiavitù in Mauritania col decreto del 12 dicembre 1905. La prima costituzione della Mauritania indipendente del 1961 stabilì il principio di uguaglianza tra i cittadini. La nuova costituzione del luglio 1991, nel suo preambolo, parla del diritto all’uguaglianza. Tuttavia nessuna delle due costituzioni parla esplicitamente di schiavitù.

L’ordinanza del 5 luglio 1981 ha abolito la schiavitù su tutto il territorio nazionale. Gli Haratine sono dunque giuridicamente soggetti di diritto, almeno sulla carta. Tuttavia la loro situazione non è migliorata per due ragioni .

Per prima cosa l’ordinanza non ha trovato un effettiva applicazione.
In secondo luogo il potere, dal 1960, è impegnato in una camuffamento politico e consente ai padroni di continuare a sfruttare gli schiavi. I conservatori hanno sempre avuto un peso preponderante nella classe politica mauritana, così non è stato fatto alcuno sforzo per sradicare la schiavitù. Al contrario si fa di tutto per provocare divisioni nel fronte di quelli che lottano per la liberazione degli schiavi. Oggi, in seno al Elhor, ci sono almeno cinque correnti (Elhor baasista, patriota, radicale, seguaci di Koné Mahmoud, seguaci del capitano Breika). Questa atomizzazione danneggia la causa Haratine.

Gli Haratine sono d’altro canto vittime di una strumentalizzazione cinica e vergognosa da parte del Potere contro i Negro-Mauritani. Così è successo nel 1966, 1979 e 1989, quando i più sfruttati, i più alienati (Haratine) sono stati usati contro altri dominati che rivendicavano il riconoscimento dei loro diritti. Resta tuttavia che i Negro-Mauritani non devo sbagliare nell’individuare il loro vero nemico.

La complicità dello Stato Mauritano nel mantenimento della schiavitù è evidente. “Né il Comitato, né alcuna autorità di governo hanno approntato programmi di sviluppo economico, sociali o di educazione, per assistere gli schiavi sedicenti liberati con i decreti del 1901, del 1905, 1961 e quello dell’8 ottobre 1981. Non hanno neppure avviato delle campagne di sensibilizzazione dirette ad informare i neri ancora allo stato servile dell’esistenza di tutte queste ordinanza di emancipazione. Le autorità locali, in particolare gli Hakem (prefetti provinciali) e i Wali (governatori delle Regioni) rifiutano di ricevere e registrare le denunce depositate dagli schiavi. Secondo Boubacar Messaoud “questi comportamenti equivalgono ad una forma di complicità con i proprietari di schiavi, come se si trattasse di un problema inesistente e che quindi non ha bisogno di essere risolto, esattamente come una malattia immginaria che non può essere curata”. Fonte di questa complicità è la Costituzione mauritana. “Così i Cadis (giudici di diritto mussulmano) continuano, legittimati da una discutibile interpretazione delle prescrizioni islamiche, a tenere conto delle pratiche schiaviste nelle questioni di eredità come nella valutazione delle testimonianze. I giudici di formazione tradizionale accettano spesso le rivendicazioni dei padroni di schiavi. Profittano dell’ambiguità del preambolo della Costituzione che cita l’Islam come unica fonte del diritto nel paese. Così, essendo la tradizione mussulmana non chiaramente codificata, gli si può far dire quello che si vuole”.

 

III. La specificità Haratine

Gli Haratine sono di origine negro-africana e di cultura arabo-berbera. Per i colore della pelle si avvicinano alla loro origine negro-africana, per assimilazione hanno adottato la cultura arabo-berbera. Ciò crea una affinità culturale coi Mauri. E tuttavia, gli Haratine non sono arabi.


1. L’hassania, dialetto parlato dai Mauri (Arabi e Berberi) ha subito sicuramente l’influenza della lingua araba, ma anche di altre lingue: quella berbera zanaga, ma anche le lingue negro-mauritane (hal pulaar, soninké, ouolof e bambara).


2. Gli Haratine che sono sfuggiti alla schiavitù arabo-berbera e che si sono installati in parte nel sud della Mauritania per lo più abitato dai negro-mauritani, non parlano tutti l’hassania. Usano sia il soninké, che l’hal pulaar o il wolof. Per esempio gli Haratine di Oulad Benioug a Rosso, parlano piuttosto il wolof che l’hassania.


3. In quanto schiavi, gli Haratine non hanno mai avuto il tempo materiale di parlare un hassania di buon livello. Vivono tra di loro, senza contatti coi loro padroni, hanno finito col parlare un hassania deformato. Si tratta infatti di un “creolo haratine”. In proposito i Mauri per divertirsi si fanno beffe del modo di parlare degli haratine. In tanto buonumore dimenticano però che essi sono i soli responsabili di questa situazione.
Per essere arabi sono indispensabili due condizioni:
- appartenere all’etnia araba
- essere di cultura araba.
L’elemento culturale non è in sé una prova del carattere arabo degli Haratine. Si può essere arabi e appartenere nondimeno ad un’altra cultura. Per esempio i figli degli emigrati maghrebini in Francia si considerano spesso come arabi, anche se non parlano più l’arabo e lo parlano molto poco. Oramai conoscono solo il francese, ma questa appartenenza culturale non cancella la loro origine. Così l’origine negro-africana degli Haratine non può essere cancellata o ignorata, nonostante tutti i molteplici tentativi di falsificazione dei dati storici.

4. Se gli Haratine fossero arabi, sarebbe assurda la necessità di affermarlo. Anzi essi non sarebbero affatto sottoposti alla schiavitù, perché nessuna tribù araba, nessuno Stato arabo sottopone gli arabi alla schiavitù.

5. Se l’elemento culturale fosse determinante per attribuire il carattere arabo, i Berberi di Algeria, del Marocco e della Tunisia non avrebbero rivendicato la loro lingua, la loro cultura, la loro specificità rispetto agli arabi. E tuttavia i Berberi hanno assimilato la cultura araba. In Algeria la lingua berbera è ufficialmente riconosciuta. La lingua zanaga (lingua dei berberi della Mauritania) è ancora parlata in certe contrade. Questa lingua è andata in declino dopo la guerra di Shuur Bubbue (1644-1677), che ha visto contrapposti i guerrieri Beni Hassan (cioè gli arabi) e gli Zwaya (marabutti, cioè i Berberi di Mauritania). I vincitori arabi hanno imposto la loro lingua e i vinti hanno subito. Peggio, è stato vietato ai Berberi di parlare la loro lingua zanaga. Questo esempio dimostra, se ve ne fosse bisogno, che la lingua araba è stata una lingua di colonizzazione e di dominazione. I Berberi ne sono stati vittime così come gli Haratine. La differenza è che i Berberi praticavano la schiavitù anche prima dell’arrivo degli arabi e continuano a farlo ancora oggi. Utilizzano l’islam come fondamento della schiavitù.
 
Lo Stato mauritano ritiene che gli Haratine siano arabi. I nazionalisti arabi (Baasismo e Nasserismo) anche. La posizione dei dirigenti di El Hor (di tutte le tendenze) meraviglia di più, perché anche essi affermano che gli Haratine siano arabi. Questa tesi è infondata. Gli Haratine non hanno affatto scelto la cultura araba, imposta loro con la forza a causa della schiavitù. Strappati al loro livello sociale originario (etnia), gli Haratine sono stati costretti ad imparare l’hassania che è diversa dall’arabo. Nessuno schiavo, nessun Hartani parla l’arabo, a meno che non l’abbia imparato a scuola. Gli schiavisti (Emirati, Immamati, capi religiosi, capi consuetudinari, Stato…) mantenevano e mantengono gli Haratine al di fuori di ogni influenza che potrebbe contribuire ad una loro presa di coscienza. Mentre un mussulmano deve conoscere, almeno, la prima sura del Corano per attendere alle sue preghiere quotidiane, i Marabutti hanno vietato ai loro schiavi di impararla. E’ un peccato in più verso l’islam.

Se è la lingua a determinare il carattere arabo, allora tutti quelli che parlano l’arabo dovrebbero essere arabi. Si sa bene che così non è.

Cosa diventerebbero gli Haratine se i Berberi della Mauritania ottenessero il riconoscimento del loro carattere berbero (cosa che è possibile che accada) e l’avessero vinta? In tal caso gli Haratine sarebbero arabi, berberi o tutte e due le cose?

Dunque gli Haratine sono Mauritani, ma non sono arabi.

Una organizzazione (El Hor) che non rivendicasse le sue radici, perderebbe la sua personalità, la sua originalità, la sua fierezza e, di conseguenza, la lotta politica contro i tentacoli della schiavitù. Il carattere arabo degli haratine è solo un modo di soffocare le loro rivendicazioni. Non è una dimensione di libertà, è una dimensione di schiavitù. I Movimenti neri degli Stati Uniti d’America contro la schiavitù, la segregazione razziale e i diritti civili, hanno tutti rivendicato le loro origini africane. Lo stesso vale per i Neri Colombiani e così via.

Per ottenere che siano riconosciuti agli Haratine i loro diritti politici, economici e sociali, El Hor, che li rappresenta, deve rivendicare la loro propria identità: la loro situazione di schiavi e la loro origine. Non si può fare a meno di ricordare quello che ha detto Jean-Paul Sartre: “L’importante non è tanto quello che la Storia fa di noi, quanto piuttosto quello che noi facciamo di ciò che la Storia fa di noi”.
Posizionarsi in relazione alla propria origine e cultura non significa affatto che gli Haratine debbano prendere posizione a favore degli Arabo-Berberi o dei Negro-Mauritani. Io credo che gli Haratine costituiscano una componente a sé stante, che deve emanciparsi nei confronti degli uni e degli altri. Una tale posizione di neutralità permetterà loro, a lungo termine, di recuperare una autonomia di pensiero e di comportamenti. Nel 1989, Haratine strumentalizzati da Mauri e da elementi della polizia sono stati scagliati contro i Negro-mauritani con l’obiettivo di sterminarli. Cose del genere potranno ancora succedere, perfino tra gli Haratine stessi, se i democratici Mauritani non fanno niente per aiutarli a prendere coscienza.

Perché gli Haratine dovrebbero scegliere tra i Negro-Mauritani e gli Arabo-Berberi?  Succede infatti che qualcuno ingiunga loro di dichiararsi neri e di unirsi ai Negro-Mauritani oppressi (perché di origine Barbara o di altre etnie fino a poco fa razziate ed asservite), altri invece li invitano a dichiararsi bianchi  e Arabi (perché parlano la lingua degli ex padroni).
Prima di tutto sia le componenti arabo-berbere che quelle negro-africane hanno partecipato alla tratta transatlantica e transsahariana. Come si può scegliere tra i discendenti dei mercanti di schiavi? Ricordo che gli aristocratici negro-africani (re, capi consuetudinari, capi religiosi) hanno venduto i loro fratelli di sangue ai Berberi, agli Arabi, agli Europei.

Inoltre anche attualmente gli Arabo-Berberi praticano la schiavitù nelle sue forme più inumane e mantengono la metà della popolazione mauritana sotto il loro dominio. I Negro-Mauritani anche. Gli affrancati dalla schiavitù negro-mauritana sono diventati una casta e sono esclusi dalla gestione pubblica. E’ per questo motivo che nessuna delle due comunità merita la fiducia e la solidarietà degli Haratine. Fino ad ora la storia della Mauritania, antica e moderna, è stata fatta dagli aristocratici Arabo-Berberi e Negro-Mauritani, che sono stati sempre alleati tra di loro. Questa alleanza è stata costruita a danno degli schiavi e delle comunità.

Infine oggi gli Haratine costituiscono una forza politica a causa del loro peso demografico. Sono diventati la posta più importante nella competizione tra i diversi partiti politici e movimenti – a scapito delle loro proprie rivendicazioni – perché rappresentano demograficamente circa il 45 % della popolazione totale.

Questo ritorno di interesse verso la comunità Haratine mira a due obiettivi:

1) la divisione e l’indebolimento degli Haratine
2) la loro utilizzazione nel gioco della conservazione e della presa del potere. E’ un classico: le tribù Maure si sono sempre fatte la guerra tra loro usando gli schiavi. Lo stesso vale per le etnie negro-mauritane. La sola differenza è che oggi questo lavoro viene fatto da movimenti e partiti politici che si dichiarano democratici. Si tratta di un neo-schiavismo politico.

 

IV La Francia e la schiavitù in Mauritania

La Francia ha pacificato la Mauritania nel 1904 e vi ha abolito la schiavitù col decreto del 12 dicembre 1905. Il 28 novembre 1960, la Mauritania ha conquistato la propria sovranità politica. La Francia è rimasta in questo paese per altri cinquantacinque anni, dopo l’abolizione della schiavitù, senza che le autorità dell’epoca abbiano fatto niente per sradicare le pratiche schiaviste. Un accordo tacito legava la Francia agli schiavisti, che accettandone la dominazione pretendevano che quella non applicasse il decreto del 1905.

Per concludere, possiamo dire che la questione degli Haratine pone un problema di cittadinanza. La questione Haratine deve essere vista dal punto di vista della integrazione di cittadinanza. La liberazione dovrà tendere alla emancipazione dell’individuo dal giogo della appartenenza alla comunità. Si tratterà di avviare una impresa che riguarda tutti i Mauritani, la cui vita è oggi condizionata dal grado di obbedienza al gruppo tribale o etnico.

Il riconoscimento da parte della Francia della schiavitù come un crimine contro l’umanità deve spingere le autorità francesi ad impegnarsi, nelle relazioni con le autorità mauritane, perché il Potere mauritano opti seriamente per lo sradicamento effettivo di questo flagello e delle sue conseguenze.


(Articolo scritto in occasione della Conferenza alla Sorbonne – Parigi IV – il 1 giugno 2002 sul Razzismo e la Schiavitù in Sudan e Mauritania)