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il manifesto del 01 Aprile 2007


Mauritania: mai più schiavitù. La volta buona?


ROSARIO SIMONE

 

«Una legislazione speciale che criminalizzi la schiavitù». Quest'impegno preso da Sidi Mohamed Ould Cheikh Abdallahi potrebbero essere stato decisivo per la sua vittoria al ballottaggio presidenziale del 25 marzo.
Insieme al ripensamento del rapporto con Israele (la Mauritania è uno dei 3 paesi della Lega araba con rapporti diplomatici) e al futuro appoggio di Nouakchott alla guerra al terrorismo intrapresa dagli Usa nell'Africa sub-sahariana, la schiavitù è stata uno degli argomenti più dibattuti della campagna elettorale. La schiavitù è stata abolita 3 volte in Mauritania, l'ultima nel 1980, ma è ancora molto ben radicata soprattutto nelle aree rurali, tanto che lo studioso britannico Kevin Bales, uno dei massimi esperti della schiavitù contemporanea, ha dedicato un capitolo intero al fenomeno mauritano in uno studio pubblicato nel 1999 dal Roehampton Istituite del Surrey.
Nel primo turno delle prime elezioni libere per il rinnovo del parlamento - il 19 novembre scorso - il partito degli ex-schiavi, l' Alleanza progressista popolare, aveva conquistato a sorpresa 7 dei 95 seggi disponibili. Solo due giorni prima del ballottaggio del 25 marzo, quando ciascuno dei due candidati era attestato intorno al 25%, Abdellahi aveva dichiarato di essere a capo di una coalizione con una potenziale maggioranza in parlamento. Costituita anche dai parlamentari dell'App, il cui leader storico Massaoud Ould Boulkheir aveva dato il suo chiaro sostegno ad Abdellahi.
Nei circa 4 mesi intercorsi fra le 2 tornate delle elezioni per il parlamento e il presidente, le forze politiche hanno avuto modo di cementare le diverse compagini che si sono affrontate col ballottaggio di domenica scorsa. Il candidato sconfitto Ahmad Ould Daddah dal canto suo, durante la campagna elettorale aveva promesso delle forme di compensazione per gli ex schiavi e punizioni per coloro che infrangono le leggi sulla schiavitù. Ma queste misure non hanno evidentemente convinto i rappresentanti dell'elettorato e degli attivisti ex schiavi. «La Mauritania può davvero servire da esempio per tutta l'Africa. Soltanto 19 mesi dopo un colpo di stato, qui abbiamo toccato tutte le tappe della transizione verso la democrazia. E' troppo bello per essere vero ma sta succedendo», aveva dichiarato alla fine del ballottaggio Vijay Makhan, inviato speciale per l'Unione africana. I 19 mesi a cui si riferisce Makhan sono quelli trascorsi fra il colpo di stato che il 3 agosto del 2005 aveva messo fine al ventennio al potere di Maaouya Ould Taya ed il ballottaggio di domenica scorsa. La transizione verso la democrazia è stata guidata dal colonnello Ely Ould Mohammed Vall, un militare dai modi gentili, membro del clan degli Awlad Basbaa che proviene da un'area più o meno a 250 km a nord della capitale Nouakchott e che fa parte dell'elite bidan ovvero degli arabo-berberi bianchi al potere fin dall'indipendenza dalla Francia nel 1960.
La ricetta di Vall per questo processo di transizione che nelle intenzioni della sua giunta sarebbe durata due anni, è passata attraverso 4 fasi distinte durante le quali il presidente ha avuto una grande visibilità attraverso i mass media arabi e soprattutto la televisione satellitare Al Jazeera che gli ha dedicato delle lunghe interviste per raccontare la sua vicenda personale e spiegare il suo disegno all'opinione pubblica araba. Primo: il divieto per ciascun membro della sua giunta militare di presentarsi ad alcuna competizione elettorale. Secondo: un referendum costituzionale che il 25 giugno del 2006 ha fatto sì che gli elettori approvassero 8 emendamenti alla costituzione che sancivano fra l'altro il divieto di essere eletto presidente della repubblica per più di due volte e quindi per un massimo di 10 anni. Terzo: l'organizzazione di elezioni municipali e parlamentari che poi si sono tenute fra lo scorso novembre ed oggi e che sono state giudicate regolari dagli osservatori internazionali. Quarto: rafforzare l'imparzialità delle forze armate rispetto a tutto questo processo.
Un principio non da poco data la lunga sequenza di colpi di stato nel paese - almeno 7 dal 1975 al 2005. Uno di questi - nell'ottobre 1987 - era stato organizzato da ufficiali di colore del Fronte di liberazione africano in Mauritania. Nell'89 e nel '91 il paese fu teatro di scontri a carattere razziale che hanno provocato 200 morti e 60.000 espulsioni di afro-mauri.
In questo paese diviso in tre grandi gruppi etnici - i Bidan o arabo-berberi (il 30-40% della popolazione), gli Haratin, ovvero schiavi liberati, e appunto gli afro-mauri, cioè le popolazioni di colore che abitano ai confini con Senegal e Mali - con la scelta del 25 marzo la stragrande maggioranza dei mauritani può sperare di avere voltato pagina.