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Le sfide del “presidente che rassicura”

di Maria-Pierre Olphand

 

 

Fonte: Afrique Asie, maggio 2007 - traduzione a cura di Ossin

 

 

Nouakchott – Di cosa sarà capace l’uomo di consensus? Oggi è questa la domanda principale che si pongono i Mauritani. Alla vigilia del primo turno, Sidi ould Cheikh Abdalahi non ha voluto parlare di scontro: “Non credo di essere né il candidato della continuità, né quello dell’alternativa. Credo solo di avere capito che abbiamo due problemi fondamentali: l’instaurazione dello Stato di diritto e il rafforzamento dell’unità nazionale. La gente vuole il cambiamento senza traumi, non il cambiamento che scuota il paese”.

 

 

Su di un piatto d’argento

Durante tutta la campagna elettorale, Sidi ould Cheikh, sostenuto dalla ex-maggioranza di Ould Taya e, dopo il secondo turno, anche da Messaoud ould Boulkheir, uno dei pezzi grossi dell’opposizione, non ha dato affatto l’impressione di battersi per il potere. “Aspetta che glielo consegnino su di un piatto d’argento”, ha commentato scherzando un giornalista dell’agenzia mauritana di informazione (Ami) durante una conferenza stampa. Ora, nessuno si nasconde che ha avuto il sostegno di diversi militari e in particolare del numero due del Consiglio militare per la giustizia e la democrazia (CMJD), il colonnello Ould Abdelaziz, parente di sua moglie. Un diplomatico ha confidato:”Il ritorno di Sidi ould Cheikh Abdalahi al potere è stato preparato nei dettagli, si ha la sensazione che sia stato tutto programmato fin dall’inizio della transizione”.

In queste condizioni, il nuovo uomo forte di Nouakchott avrà la forza di affrancarsi dalla tutela dei militari, e provare che non è una marionetta nelle loro mani? Anche se l’opposizione lo definisce un uomo di paglia, dovrà cercare di assumere decisioni forti, per rassicurare tutti coloro che lo considerano troppo debole per imporsi.

Uno dei banchi di prova sarà lo scioglimento del Basep, il battaglione della sicurezza presidenziale creato all’inizio degli anni ‘90 da Ould Taya, ma che ha finito con l’essere all’origine del suo rovesciamento. Il Basep è oggi comandato da quello stesso Ould Abdelaziz (che ha  sostenuto l’elezione del nuovo presidente). “Bisogna che ci sia un solo esercito – sussurra uno dei colonnelli al potere durante la transizione – capace di garantire la sicurezza del capo dello Stato, non un esercito diviso e inaffidabile”.

E’ difficile trovare qualcuno che metta in dubbio le competenze del nuovo presidente. Più volte ministro, soprattutto nel governo del padre della Nazione, Moktarould Daddah, ha lavorato diversi anni per il Fondo kuwaitiano, prima di essere nominato consulente del governo nigeriano. “Però è circondato da un bel gruppo di canaglie, è questo il suo problema”, racconta un mauritano, riferendosi al gruppo eterogeneo che lo circonda, come i baroni del regime rovesciato, gli ex ministri di Ould Taya e i notabili che hanno contribuito alla sua elezione. Tutto sta a non farsi fagocitare da quelli che vogliono soltanto riconquistare i privilegi perduti dopo il colpo di Stato del 3 agosto 2005.

Quale posizione prenderà sua moglie? E’ un’altra delle domande che ci si pone più spesso nelle discussioni, generalmente in forma affermativa, tanto sembra scontata la risposta. Quella che tutti chiamano solo col suo nome, Khattou, è menzionatissima nella stampa satirica e rende inquieti i più ferventi sostenitori di Sidi ould Cheikh Abdalahi. Temono la sua autorità e le velleità di ingerenza negli affari di Stato.

Quanto tempo il nuovo capo dello Stato occuperà la sua poltrona di presidente? Molti divinano che non terminerà il suo mandato di cinque anni, ma che passerà la mano nel corso di uno o due anni, sia per stanchezza – ha sessantanove anni e mostra talvolta dei segni di debolezza fisica – sia per un possibile accordo segreto, per restituire il potere a quelli che glielo hanno consegnato.

 

 

Governare nel consensus

Tutte queste domande e retroscena, per quanto bizzarre siano, dimostrano la difficoltà che hanno i Mauritani a credere in un altro Mauritano e in un altro modo di governare. Hanno scelto il nuovo presidente attraverso una consultazione da tutti auspicata, ma ciò nonostante non lo gratificano di una fiducia totale. Tenuto anche conto che più del 47% dei votanti ha optato per il suo sfidante – e amico – Ahmed ould Daddah, storico oppositore di Ould Taya.

Le prime settimane del nuovo mandato del presidente Sidi, come lo chiamano familiarmente i Mauritani, sono le più incerte. Non si sa se si caratterizzeranno per un impegno riformatore lungo il solco delle novità di questi ultimi mesi o per l’immobilismo,  o addirittura un ritorno indietro. Molto prudente nelle sue dichiarazioni, si è rimproverato al candidato, fino all’elezione, di non avere alcun opinione su alcuni argomenti, come quello delle relazioni con Israele. Il futuro presidente mauritano non ha mai preso posizioni nette su una questione così appassionante – nel 1999 sono state avviate relazioni diplomatiche con lo Stato ebraico, contro la volontà di una parte dei Mauritani. Conformemente alla espressa volontà di governare nel consensus e di non operare cambiamenti traumatici, ha detto solo che vorrebbe consultare la popolazione a questo proposito. Nel corso di una intervista pubblicata all’inizio di aprile dal quotidiano arabofono algerino El-Khabar, si è impegnato a organizzare un pubblico dibattito ed a sottoporre la questione al Parlamento, alla classe politica ed alla società civile per la discussione.

L’obiettivo principale di Sidi ould Cheikh Abdalahi è di realizzare un vero Stato di diritto, per mettere fine al clientelismo. Si tratta di una vera e propria sfida, viste le resistenze che ci sono nel paese e nel suo stesso entourage politico, in parte responsabile della situazione in cui si trova il paese e delle cattive pratiche clientelari. Sul piano economico, Sidi ould Cheikh Abdalahi dovrà garantire una migliore ripartizione delle ricchezze. Da un anno la Mauritania è diventata un paese produttore di petrolio e molti vorrebbero approfittarne. Altro lavoro urgente, la riforma della scuola, da anni in condizioni molto difficili.

In questo ultimo mese è stata data priorità alla riforma della giustizia ed alle elezioni. Sidi Mohamed ould Boubacar, primo ministro della transizione, non nasconde che: “Le realizzazioni sono meno numerose di quello che non abbiamo avuto il tempo di fare. L’educazione è un problema che condiziona lo sviluppo del nostro paese e, sfortunatamente, il tempo non è stato sufficiente a mettere in campo qualche miglioramento”.

Uno dei primi dossier da affrontare dovrà essere quello dei diritti dell’uomo, dal momento che i militari non se ne sono fatti carico. In testa alle questioni sensibili c’è la necessità di fare i conti con episodi anche recenti di violazione dei diritti umani, come l’espulsione di decine di migliaia di Negro-Africani e la sparizione di 500 militari Neri nell’esercito tra il 1989 e il 1991. Alcuni chiedono l’apertura di una inchiesta perché sia fatta luce, altri delle scuse, il riconoscimento dei diritti delle vittime, o ancora un dibattito nazionale.

 

 

Lotta contro la schiavitù

Altra questione a lungo considerata un tabou è quella della lotta alla schiavitù. Nel periodo di transizione, sono state organizzate delle giornate di riflessione, ma nessuna nuova misura è stata adottata. Spetta dunque al nuovo eletto di affrontare la questione. Il fenomeno tocca tutte le comunità del paese, mauri e negro-africani. In città la pratica è meno visibile, ma diventa più evidente all’interno del paese, specie nei campi, come afferma Baubacar Messaoud, presidente dell’associazione SOS schiavi. Ufficialmente la schiavitù è stata abolita nel 1981, ma non è mai stato emanato il regolamento di applicazione di questa legge. Il regime precedente ha rifiutato sempre di riconoscere la persistenza della schiavitù, limitandosi a riconoscere l’esistenza di fenomeni residuali. Oggi i militanti dei diritti dell’uomo si augurano che una legge intervenga finalmente a definire e punire la schiavitù come un crimine. Chiedono anche la realizzazione di strutture per aiutare le vittime e reclamano l’apertura di una inchiesta per conoscere l’ampiezza del fenomeno. Secondo Boubacar Messaoud, è anche importante permettere agli haratines – i discendenti di schiavi – di emanciparsi sul piano economico, diventando per esempio proprietari delle terre che coltivano per conto dei loro antichi padroni.

E’ indispensabile un’azione di sensibilizzazione che dovrà essere svolta anche dai media. E perché non anche da media privati? Non ci sono radio né televisioni private in Mauritania. Il dossier non è stato affrontato dai militari. E’ compito del nuovo presidente aprire il paesaggio audiovisivo.