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Le Journal Hebdomadaire, n. 424 – 9/16 gennaio 2010


Signori, ci avete mancato di rispetto


Editoriale di Aboubakr Jamai


Dopo la catastrofica vicenda di Aminatou Haidar e l’iter diplomatico che l’ha accompagnata, l’opinione pubblica marocchina si aspettava una reazione da parte della monarchia, che si riprendesse dopo il KO subìto. L’annuncio di un discorso reale “improvviso” e le voci persistenti di un rimpasto ministeriale imminente lasciavano intravvedere un’iniziativa, forse una riconsiderazione, una presa di coscienza, addirittura una rottura con gli eccessi che durano, è il caso di dire, ormai già da qualche tempo.  E che cosa abbiamo avuto invece? Il grado zero della politica.
Ebbene, logica vorrebbe che il piano di autonomia del Sahara fosse il risultato di un piano di regionalizzazione, addirittura di federalizzazione del paese. E invece solo adesso ci viene annunciata una riflessione sulla regionalizzazione, quando abbiamo già presentato un piano di autonomia alla comunità internazionale.
Ma se questa storia della regionalizzazione è un’ennesima incongruenza, il rimpasto ministeriale è una vera tragedia. Il Re ha nominato come ministro della giustizia il suo avvocato. Mohammed Naciri. Che in più è un avvocato d’affari.  Ed ecco che l’uomo che cura gli interessi di Mounir Majidi (segretario particolare del re Mohammed VI, che dirige l’holding Siger, che raggruppa gli interessi economici della famiglia reale, ndt) assume la responsabilità della giustizia del nostro paese. Egli annovera nel suo libro d’oro dei successi anche la condanna a diversi milioni di dirham per danni e interessi e, di conseguenza il sequestro dei beni del giornalista Hassan Alaoui, direttore del giornale “Economie et Entreprises”. Nel momento in cui la comunità internazionale, e l’Unione Europea in particolare, si allarmano per l’assenza di “sicurezza giudiziaria” in Marocco, si assegnano all’avvocato della makhzenizzazione (il makhzen è il sistema di potere della monarchia marocchina, ndt) economica del paese le chiavi del sistema giudiziario.
E naturalmente è ad uno dei dirigenti più eminenti della Giustizia che è stato affidato il Ministero dell’Interno. A cagione della sua vicinanza al Palazzo e agli apparati di sicurezza, Taieb Cherkaoui è stato per lunghi anni l’uomo più potente del Ministero della Giustizia. E’ stato un ingranaggio essenziale di una macchina la cui missione principale era è resta quella dell’asservimento del sistema giudiziario agli obiettivi politici del regime.
Queste due nomine hanno tutta l’aria di una fuga in avanti di una monarchia che si bunkerizza, si rinchiude in un cerchio di amici ciecamente fedeli, dalle competenze incerte.
Ma il peggio resta la nomina di Driss Lachgar, membro dell’Ufficio politico dell’USFP (Unione socialista delle Forze Popolari, ndt), al ministero delle relazioni col Parlamento. Quelli che pensavano che vi fosse un’oncia di sincerità nelle sue sortite mediatiche per chiedere una riforma costituzionale, ipotizzando un’alleanza col PJD (partito islamista moderato, ndt) con l’obiettivo appunto di fare un fronte comune per ottenere queste riforme, fustigando l’autoritarismo di regime, sono rimasti con le pive nel sacco. Driss Lachgar ha preso i marocchini per ingenui. Ciò che voleva era solo un posto nel governo. Lo ha ottenuto.  Ha agitato il drappo rosso del “PID” davanti al toro makhzen e l’affare è stato fatto.  Come sfuggire al paragone con Aminatou Haidar? Da un lato, una madre di famiglia che getta la sua vita sulla bilancia e riesce a piegare il makhzen, dall’altro un uomo di vertice di un partito storico che accorre quando il makhzen suona.  Se il paragone è crudele, lo è perché getta una luce cruda sulla corruzione morale che ci corrode. Si può ben essere in disaccordo con la militante saharawi, ma bisogna comunque riconoscere che ci sono anni-luce di differenza, per coraggio morale e psichico, tra lei e i politici del tipo di Driss Lachgar.
E cosa dire della monarchia? La nomina di Driss Lachgar è un modo scandaloso di raggiungere un obiettivo di bassa politica. Il modo è scandaloso perché premia quello che di vile c’è nella politica: l’ambizione senza principi. E’ stata talmente grossa da essere grossolana. La monarchia perde di spessore morale scambiando un posto di governo, dunque un posto di servitore dello Stato, un posto creato e finanziato per servire gli interessi del popolo, con la neutralizzazione di un uomo che avrebbe potuto rimettere in discussione le sue prerogative. Il messaggio è tanto chiaro quanto indecente, soprattutto all’indirizzo dei politici: “Rinunciate alle vostre idee politiche ed io saprò mostrarmi generoso”. Poi verso i cittadini: “Vedete? Io riesco a manipolare i vostri rappresentanti come voglio”. L’obiettivo della nomina di Driss Lachgar è chiarissimo: si tratta né più né meno che di isolare il PJD. Dopo il ministero degli interni che ha intimidito gli eletti che intendevano allearsi col partito diretto da Abdelilah Benkirane, adesso è il re in prima persona che interviene per fare abortire un possibile riavvicinamento all’USFP.
Questa monarchia non è mai stata un arbitro della politica marocchina. E’ sempre stata la squadra vincente di un gioco del quale si sforza di definire le regole per continuare a regnare come desidera.
La nomina di Driss Lachgar è infine la conferma che nulla è cambiato sotto il nuovo regno. Questa monarchia non si colloca al di sopra del gioco politico, ma vi è inserita pienamente, con l’aggravante di utilizzare i mezzi dello Stato per proteggere i suoi interessi.
Così come è legittimo porre in dubbio la sincerità di uomini politici come Driss Lachgar quando parlano di riforma costituzionale, ci si può anche chiedere di quale superiorità morale la monarchia si valga nel fare la lezione ai partiti politici sulla necessità di creare al loro interno una struttura democratica. Come può ancora chiedere ai Marocchini di andare a votare con un sistema politico ch’essa manipola in modo così manifesto?
La mancanza di saggezza, di ponderazione e di senso morale dei nostri governanti rende indispensabile una reazione ferma e serena. Essi hanno la responsabilità storica di dire “STOP” a questa deriva. Ne pagheranno il prezzo, ma daranno a questo paese una possibilità di rialzare la testa.