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Nurit Peled-Elhanan, grande attivista pacifista in Israele, ha perso sua figlia di 14 anni in un attentato kamikaze palestinese. E tuttavia, un anno dopo la guerra di Gaza, critica la politica dello stato ebraico


Gaza, un anno dopo l’aggressione israeliana


Di Nurit Peled-Elhanan, professoressa di letteratura comparata all’università ebraica di Gerusalemme e attivista pacifista in Israele. Discorso pronunciato durante una marcia di protesta a Tel Aviv, il 2 gennaio 2010


Se si fosse posta ai bambini israeliani delle scuole materne la domanda: “Che cosa hai imparato a scuola quest’anno, piccolo mio?” Si sarebbero potute avere diverse risposte. Un bambino informato e dallo spirito critico avrebbe potuto rispondere: “Ho imparato che il sole brilla sempre, che il mandorlo fiorisce e che il macellaio uccide, e nessun giudice li condanna” (Riferimento al celebre poema di Bialik sul Pogrom di Kishinev del  1903). E un bambino meno abituato a teorizzare avrebbe potuto rallegrarsi dicendo: “Io ho imparato come prendere in giro gli Staunitensi, deludere i Palestinesi, uccidere degli Arabi, cacciare delle famiglie dallo loro case e maledire chiunque mi dica che sono uno sporco moccioso quando sono stato uno sporco moccioso ,ed ho imparato che il popolo ebreo è vivo e che Gilad Shalit è vivo, anche lui. Ancora”.  (“AM YISRAEL HAI – il popolo ebreo vive -, espressione tradizionale spesso usata in ambienti nazionalisti). E il nuovo piccolo immigrato, che tarda terribilmente ad essere integrato e ad entrare a far parte della società, potrebbe dire: “Ho imparato chi devo detestare, chi devo uccidere e su chi devo sputare e sono sempre pronto per far questo, in qualsiasi momento vi decidiate a chiamarmi”.
Un bambino sionista-religioso che frequenta un giardino d’infanzia circondato da una recinzione e ben sorvegliato in una colonia potrebbe dire: “Ho imparato a essere un buon sionista, ad amare la terra, a morire e uccidere per difenderla, a cacciare gli invasori, ad uccidere i loro figli, a distruggere le loro case, e a non dimenticare mai che in tutte le generazioni, ed in ognuna tra di esse, ci hanno perseguitato per annichilirci e che tutti i non ebrei sono uguali, che sono tutti antisemiti, che devono essere soppressi. E la cosa più importante è che il sole continui a brillare, che il mandorlo continui a fiorire e presto andremo a realizzare delle piantagioni su tutte le montagne della Giudea e della Samairia e proteggeremo i nuovi alberi contro queste orde di pastori che hanno invaso il nostro paese durante i 2000 anni durante i quali non siamo stati qui per vegliare su di lui”.
Quest’anno i nostri figli hanno imparato che uccidere un non ebreo, qualsiasi sia la sua età, è un grande imperativo. E questo non lo hanno imparato solo dai rabbini, ma anche dai soldati che continuamente si vantano di quello che hanno fatto. E questo è stato ben espresso da Damian Kirilik quando la polizia l’ha arrestato ed accusato di avere ucciso tutta la famiglia Oshrenko (vedere: http://www.jpost.com/servlet/Satellite?cid=1256799068438&pagename=JPArticle%2FShowFull). Quasi con tranquillità ha domandato ai poliziotti : Perché fate tante storie per l’uccisione di bambini? Damian Kirilik è un nuovo immigrante che non comprende le sfumature sofistiche degli insegnamenti dei rabbini per uccidere i bambini non ebrei. Ma questo assassino venuto dall’estero ha compreso presto l’idea generale. E’ che è giunto in un luogo dove l’uccisione di un bambino è considerato con molta leggerezza.
I nostri bambini hanno imparato quest’anno che tutti i degradanti attributi che gli antisemiti riservano agli ebrei si manifestano oggi tra i nostri leader: frode e raggiro, cupidigia e assassinio di bambini. Nel momento in cui viene accusato di traffico di organi da trapianto, il governo di Israele, imperturbabile, si impegna nel traffico di esseri umani tutti interi, per il momento. Si può prevedere che presto, e per molti anni, mentre molte auto ostentano l’autoadesivo “Gilad, nato per essere libero” (lo slogan “Ron Arad, nato per essere libero” si riferisce al pilota israeliano Ron Arad. Per la sua liberazione il governo israeliano rifiutò di liberare dei prigionieri palestinesi e libanesi ed è considerato oramai morto), i capitani di questa nave pirata che è Israele continueranno le loro macchinazioni e mercanteggeranno ancora per sapere quanti chili di carne ebrea, probabilmente rinsecchita, può essere scambiata con quanta carne palestinese, che non è più come era, secondo quanto si è appreso sui furti di pelle e cornee al Centro Forensic di Abu Kabir (vedere: http://www.guardian.co.uk/world/2009/dec/2israeli-pathologists-harvested-organs).
E continueranno a uccidere in nome di Gilad e ad affamare e strangolare in nome di Gilad per distruggere il popolo palestinese, lentamente ma inesorabilmente, e allo stesso tempo incoraggiano le “male erbe” palestinesi che sempre legittimano la prosecuzione degli assassinii.
Come in tutte le società marce e corrotte la parola “Valori” si ripete ancora e ancora in tutti i discorsi di tutti i politici, specialmente di quelli che sono indagati. I valori del sionismo, i valori del giudaismo e i valori dell’esercito israeliano. I valori del sionismo sono stati ben sottolineati quest’anno in tutta la loro gloria in occasione dell’espulsione delle famiglie dalle loro case a Sheikh Jarrah. Il valori della Democrazia e della forza del Diritto si esprimono pienamente nei confronti dei Palestinesi sospettati di aver commesso atti di violenza e assassinati senza altra forma di processo nelle loro case in presenza dei loro figli mentre i terroristi ebrei beneficiano di una completa impunità da parte del sistema giudiziario.
E’ questo che i nostri figli imparano nello Stato ebreo democratico. Ci si può dunque stupire del supposto choc, espresso di fronte alla violenza nelle scuole e nelle discoteche, nelle vie e nelle strade. Dopo tutto questa violenza non è null’altro che la messa in pratica dei valori dell’esercito, un corso di addestramento di base per le attività e le operazioni che questi giovani dovranno compiere in futuro. E’ l’occasione per questi giovani di mostrare ciò che hanno imparato dai genitori e dai fratelli maggiori, dai loro professori e delle loro guide. Il solo problema che, apparentemente, preoccupa le autorità, sia quelle preposte all’educazione che quelle che presiedono all’ordine pubblico, è che non ci sono Palestinesi nelle scuole ebraiche e nelle discoteche ebraiche e nelle strade ebraiche. Per questo motivo i giovani ebrei sono costretti a rivolgere la loro violenza gli uni contro gli altri e questo non dovrebbe succedere, un ebreo non dovrebbe ferire un altro ebreo. La violenza dovrebbe essere canalizzata e disciplinata, guidata da cieca obbedienza alle leggi razziali e diretta solamente e esclusivamente contro quelli che non sono ebrei.
E noi che manifestiamo ogni settimana, ogni mese, in occasione di ogni massacro e nell’anniversario di ogni massacro, quale è la nostra forza? Nessuna. Il nostro destino in questo paese è solo il lutto e l’insuccesso. Giovedì 31 dicembre, siamo rimasti alle porte di Gaza, disciplinati e rispettosi delle condizioni poste dall’autorizzazione di polizia, felici di incontraci e di constatare che siamo vivi, scandendo a voce alta i nostri slogan davanti ad una parterre di poliziotti e soldati simili a robot, completamente incapaci di capire cosa stavamo dicendo. Ma non siamo riusciti a far cadere il Muro. Non siamo riusciti a salvare nemmeno un solo bambino dall’epidemia di meningite che ha colpito Gaza da diversi mesi.
Che cosa possiamo fare con la nostra impotenza e i nostri fallimenti? Che cosa possiamo fare con un sistema educativo che chiede ai suoi diplomati una identificazione assoluta con i combattenti della guerriglia ebraica che furono giustiziati prima del 1848 dagli Inglesi con l’accusa di “terrorismo” e nello stesso tempo una identificazione totale coi loro aguzzini? Identificarsi alle vittime di Auschwitz e nello stesso tempo comportarsi con una crudele indifferenza verso le sofferenze di chiunque non appartenga alla nostra razza? Che cosa possono fare il Militanti della Pace in un paese governato dall’esercito le cui scuole sono infestate di criminali di guerra che vengono a inoculare i loro insegnamenti e dove gli studenti  sono obbligati ad un esperimento di una settimana premilitare di “Gadna” (Brigate di giovani) e ad ascoltare i discorsi eroici dei criminali del massacro di Gaza, e per i quali tutte le possibilità offerte, sia psicologiche, sia sociali o educative, hanno come obiettivo di trasformarli in ingranaggi della macchina per uccidere?
Essi sono i nostri figli e le nostre figlie e noi non abbiamo alcuna voce in capitolo nell’ambito del sistema che dirige le loro vite. Dove è lo spazio che ci è riservato per trasmettere loro uno o due dei nostri propri valori? Quali valori di bellezza e bontà possiamo far trapelare in un simile sofisticato apparato di lavaggio del cervello e distorsione della realtà?
Sembra che il solo valore che siamo ancora in grado di instillare e che ha ancora qualche senso è il valore del rifiuto. Imparare a dire NO. Insegnare ai nostri figli che non sono stati ancora avvelenati a resistere al lavaggio del cervello, a respingere il virus che hanno iniettato nel loro spirito. E’ un’impresa dura, una fatica di Sisifo, ma è la sola strada per riaffermare la nostra umanità. Dire NO al male, NO all’ambiguità, NO all’inganno, NO al traffico di esseri umani, NO al razzismo che si espande qui come un incendio selvaggio , un razzismo che non si ferma né al checkpoint di Kalandia né al checkpoint di Erez ma che si estende come un cancro fino ai vergognosi centri di accoglienza degli immigrati, alle scuole che proclamano l’integrazione praticano la segregazione, a tutte le culture e a tutte le credenze del paese. Se noi non impariamo a rifiutare e respingere il male, le leggi e gli obblighi del male, ci ritroveremo a rifiutare e respingere noi stessi e la nostra verità interiore più essenziale. Noi dobbiamo rifiutare il sentimento di far parte di una minoranza dispersa, rifiutare la paura, l’apprensione e l’alienazione che ci sono imposte, rifiutare di esserne complici. Solo il rifiuto può salvarci dalla capitolazione, dal fallimento, dalla disperazione. Noi siamo qui oggi come degli stranieri, come una minoranza di stranieri odiati e perseguitati, Ma insieme, coi nostri amici che cercano la Pace dall’altra parte del Muro, dall’altra parte delle barriere di reticolato, posiamo diventare una maggioranza. Solo il rifiuto di capitolare davanti a Muri ed ai checkpoint può aprire le porte del nostro ghetto perché possiamo abbattere i muri e i loro ghetti. Per vedere infine che c’è un mondo oltre le barriere, che vi sono regioni tutto intorno che il Fondo nazionale ebreo non ha ancora distrutto, che c’è una cultura e che ci sono altri popoli che vale la pena di incontrare, di conoscere e di farsi amici, di apprendere da loro cose su questo paese in cui viviamo come stranieri residenti e ricordarci che questa terra può essere di una bellezza senza eguale. (Il termine ebraico utilizzato “Yefe Nof” è tratto dal poema di nostalgia per Gerusalemme, scritto dal poeta medioevale spagnolo Yehuda Halévy: “O luogo di bellezza senza eguale/gioia della terra intera”).