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Middle East Eye, 17 gennaio 2018 (trad.ossin)
 
Il programma israeliano di espulsione di massa dei rifugiati africani
Tessa Fox
 
Quarantamila richiedenti asilo eritrei e sudanesi in Israele sono posti di fronte all’alternativa tra accettare un biglietto d’aereo verso paesi pericolosi, o essere imprigionati a tempo indeterminato
 
Togod Omar attende la decisione sulla sua riciesta d'asilo da cinque anni (Tessa Fox/MEE)
 
Togod Omar, attivista sudanese, ha lottato cinque anni per la democrazia e i diritti dei lavoratori al suo paese, fino a quando la dittatura sudanese non è venuta a conoscenza della sua attività.
 
« [Il governo] ha cominciato ad attaccarci e ad uccidere i nostri amici, all’università. Quando hanno ammazzato un mio amico davanti ai miei occhi, è finita. Ho capito che dovevo nascondermi », ha raccontato Omar a Middle East Eye.
 
« La mia vita era minacciata ». Si è nascosto per dieci mesi.
 
I Servizi di sicurezza che lo cercavano andavano spesso a casa sua. « Chiedevano a mia madre : "Dov’è Togod ? Lo stiamo cercando” ». Le forze di sicurezza fermavano anche il fratello di Omar quando tornava da scuola e gli chiedevano dove si trovasse.
 
Omar aveva due opzioni : unirsi ai ribelli e battersi contro l’esercito, o abbandonare la patria. « Ho molto riflettuto su cosa avrebbe significato per me prendere un’arma e ammazzare delle persone. Ho deciso che non era una soluzione per me ».
 
Non avendo un passaporto, Omar ha chiesto allo zio di aiutarlo a comprarne uno falso. Nel 2011 se ne è servito per entrare in Egitto e, dopo, in Israele, dove vive da sette anni.
 
L’allontanamento o la prigione
 
Israele progetta di espellere, a partire dal prossimo aprile, 40 000 richiedenti asilo africani che hanno una storia simile a quella di Omar.
 
Potranno scegliere tra accettare 3.500 dollari e un biglietto aereo per un paese non precisato o essere imprigionati per una durata indeterminata.
 
La maggior parte dei richiedenti asilo è entrata in Israele tra il 2006 e il 2012, prima che fosse costruita una barriera che adesso blocca la strada alla frontiera egiziana.
 
 
Secondo la Hotline per i rifugiati e i migranti, in media solo lo 0,15 % di quelli che fanno richiesta d’asilo viene riconosciuta come rifugiato in Israele. La maggior parte dei richiedenti asilo in Israele – 73 % – proviene dall’Eritrea e il 19% è originario del Sudan.
 
In origine Omar non aveva previsto di andare in Israele, ma pensava che avrebbe rischiato l’espulsione se avesse chiesto asilo in Egitto. 
 
« Nel 2005, il governo egiziano ha ammazzato molti giovani Sudanesi tentando di espellerli verso il Sudan. Il nostro paese coopera col loro governo. Vi espellono se parlate a voce alta contro il governo sudanese », ha detto Omar, spiegando che cosa lo ha spinto a proseguire il cammino e ad attraversare il Sinai.
 
« Laggiù ci hanno torturato. Ci hanno lasciato senza cibo e acqua per diversi giorni », ha raccontato Omar, descrivendo il suo viaggio verso Israele. « Molti amici sono morti lungo il cammino. Era difficilissimo in Sinai. La strada verso Israele non è semplice ».
 
Un’esistenza temporanea
 
Omar si prepara a dare il suo corso settimanale di lingua ebraica ad altri richiedenti asilo in un centro sociale di Tel Aviv, dietro la stazione centrale degli autobus.
 
Questa è la stazione di destinazione del biglietto di sola andata che tutti i richiedenti asilo che attraversavano la frontiera egiziana ricevevano al loro arrivo in Israele. 
 
Dror Sadot, portavoce della Hotline per i rifugiati e i migranti, ha dichiarato che la maggior parte dei richiedenti asilo continuano a restare nello stesso settore senza che venga dato loro accesso ai servizi.
 
« Non ricevono alcun aiuto sociale, non viene loro riconosciuto alcun diritto né assicurazione. La vita è difficilissima », ha detto Sadot a MEE.
 
Finché non viene completato l’esame della loro domanda, i residenti asilo in Israele ottengono solo un visto di protezione temporaneo, o quello che Israele definisce un « rinvio temporaneo di espulsione ».
 
Secondo l’organizzazione, si tratta di uno « status giuridico che li priva di ogni diritto, salvo quello di restare in Israele fino a quando non si renda possibile la loro espulsione ».
 
Un programma di lunga data
 
Sadot ha detto che Israele tenta dal 2014 di adottare il medesimo programma di espulsione di oggi, proponendo la stessa somma di denaro in cambio di un allontanamento volontario.
 
Nel 2015, il governo israeliano ha rincarato la dose. « O se ne vanno in un altro paese, o vanno in prigione », ha spiegato.
 
Il nuovo programma, ha spiegato Sadot, è girato alla Corte Suprema per due anni, fino all’annuncio di una decisione alla fine dell’anno scorso.
 
« Ha stabilito che Israele potrebbe teoricamente avviare questa procedura, ma solo se i paesi terzi siano disposti ad accettare queste persone contro la loro volontà », ha detto Sadot.
 
In base all’accordo precedente, il Ruanda per esempio non accettava persone se non col loro consenso.
 
Adi Drori-Avraham, coordinatrice degli avvocati dell’ASSAF (« Organizzazione di aiuto ai rifugiati e ai richiedenti asilo in Israele »), ha confermato che questa nuova strategia era da tempo sul tavolo.
 
« E’ solo una escalation politica. Oggi si tratta di costringere queste persone a salire negli aerei », ha dichiarato Drori-Avraham a MEE.
 
« Due volte rifugiati »
 
I paesi verso I quali I richiedenti asilo saranno espulsi restano classificati segreti. Varie ipotesi suggeriscono che siano stati firmati accordi col Ruanda e con l’Uganda, per quanto questi paesi neghino ogni coinvolgimento.
 
Sadot nutre forti preoccupazioni a proposito dell’espulsione dei richiedenti asilo verso paesi pericolosi.
 
Attraverso testimonianze raccolte dalla Hotline per i rifugiati e i migranti e da diversi altri gruppi di difesa dei rifugiati, Sadot mostra che alcune persone precedentemente arrivate in Ruanda e in Uganda, in virtù dell’accordo con Israele, siano stati costretti nuovamente a lasciare clandestinamente il paese.
 
« Vengono loro sottratti tutti i documenti; [la gente nei paesi terzi] sa che arrivano coi soldi che Israele ha dato loro, allora li costringono a pagare dei trafficanti per farli uscire nuovamente da quel paese, perché lì non viene loro concesso permesso di lavoro, né status di rifugiato », a spiegato Sadot. 
 
Il tristemente elebre centro di detenzione israeliano di Holot, nel deserto del Néguev (AFP)
 
« Non c’è sicurezza lì. Devono ricominciare il loro viaggio da zero. Oramai sono due volte rifugiati, perché nessuno ha accordato loro uno status legittimo ».
 
Anche se l’Uganda nega l’accordo, Hotline per i rifugiati e i migranti sa che « quel paese ha ricevuto diverse migliaia di persone negli ultimi anni », ha dichiarato.
 
Seduto in un caffè, a due passi dalla stazione centrale degli autobus di Tel Aviv, Teklit Michael, un richiedente asilo eritreo, ha definito il programma di espulsione di Israele che prevede somme di denaro per gli Africani affinché lascino il paese come un « traffico legale di esseri umani ». 
« Io ho pagato i trafficanti, o oggi Israele paga per farmi tornare clandestino. Io lo so come funziona questa cosa », ha dichiarato Michael a MEE.
 
« Non espelletemi in un altro paese », ha chiesto Michael, come rivolgendosi ad un ufficiale israeliano.
 
« Bisogna ricominciare tutto dall’inizio, ripartire da zero. Aspettate che torni la sicurezza nel mio paese e poi espelletemi verso il mio paese di origine. Io ho la mia famiglia e i miei amici laggiù ».
 
Il ritorno al paese, non un'opzione
 
Per il momento è fuori questione per Michael di tornare in Eritrea. « Per me sarebbe la morte, perché sono un attivista e perché parlo », ha spiegato Michael.  
 
Privo di sistema giudiziario, l’Eritrea non ha mai organizzato elezioni democratiche, mentre i cittadini sono costretti a fare un servizio militare di durata indeterminata.
 
« Sono reclute a vita, a detto Sadot. Assomiglia più alla schiavitù. Alcuni passano da venti a quaranta anni senza vedere la famiglia. Non sono pagati. Non è che ci sia una guerra in Eritrea attualmente, dunque non fanno altro che costruire strade ».
 
Ogni mese, più di 1 000 soldati fuggono dal servizio militare e dalla loro patria, l’Eritrea.
 
Amnesty ha sostenuto che questo sistema assomiglia di più al « lavoro forzato su scala nazionale ».
 
Michael è stato costretto a entrare nell’esercito a 17 anni. « Io volevo continuare gli studi e a fare sport. Non hanno voluto, volevano che diventassi un soldato e uno schiavo », ha spiegato.
 
A 19 anni, Michael ha abbandonato la base militare per tentare di attraversare la frontiera sudanese. « [L’esercito] mi ha sparato tre volte contro, ma io correvo e mi hanno mancato », ha raccontato Michael.
 
In tutto ha pagato 2 000 dollari ad alcuni trafficanti per attraversare la frontiera egiziana e poi per entrare in Israele. Sono oramai dieci anni che Michael vive in Israele.
 
Richieste d’asilo ignorate
 
Israele attualmente ha deciso che le persone che scappano dal servizio militare non sono rifugiati, ma piuttosto dei disertori, spiega Sadot. Così tutte le richieste di asilo eritree vengono automaticamente respinte.  
 
Per casi analoghi, la maggior parte dei paesi al mondo accorda lo stato di rifugiato al 90% degli Eritrei, secondo la Hotline per i rifugiati e i migranti.
 
Michael ha chiesto asilo quattro anni fa e aspetta ancora una risposta.
 
Teklit Michael, scappato dall'Eritrea dieci anni fa, è ancora in attesa di una decisione sulla sua richiesta di asilo (Tessa Fox/MEE)
 
Omar ha depositato la sua richiesta d’asilo cinque anni fa. « All’inizio pensavo che Israele potesse essere un paese democratico. Fino ad oggi non ho avuto risposta dal governo », ha dichiarato Omar, sottolineando il trattamento riservato sistematicamente ai rifugiati in Israele.
 
Solo nel 2013 Israele ha consentito alle persone originarie dell’Eritrea e del Sudan di chiedere asilo.
 
« Vediamo però che Israele ignora queste domande sistematicamente », ha affermato Sadot, raccontando gli anni di incertezza vissuti da queste persone.
 
Al momento, sia Michael che Omar sembrano in qualche modo al riparo da un’espulsione. « Chiunque abbia una richiesta d’asilo in corso è temporaneamente protetto », ha precisato Drori-Avraham.
 
Questa notizia non è però rassicurante, tenuto conto dell’alto tasso di rigetti e della possibilità che la procedura venga accelerata, adesso che Israele dispone di uno strumento di espulsione.
 
« Una questione di colore della pelle »
 
« Al momento io non sono toccato, ma vogliono espellere tutti gli Africani. E’ il loro piano. E’ una questione di colore della pelle. Tutto il sistema qui si fonda sul razzismo », ha sostenuto Michael.
 
Omar non si sente rassicurato dalla momentanea situazione di eccezione. « Possono colpire tutti », ha affermato.
 
Ha spiegato che ciascun migrante aveva lo stesso visto temporaneo, che avesse chiesto asilo o meno. « Sono visti molto variabili: a volte di tre mesi, a volte di due mesi, a volte di una settimana ».
 
Come Michael, anche Omar parla delle intimidazioni contro la comunità africana che proseguono da diversi anni. « Ogni volta che vai a rinnovare il visto, ti dicono che questo non è il tuo paese e che devi tornartene in Africa », ha detto Omar.
 
I richiedenti asilo e i migranti africani si dicono stanchi della situazione in Israele. « Molti sono contro di noi », si è lamentato Omar.
 
« Non posso dire di essere felice qui. Forse posso sorridere, ma non posso ridere ».
 
Omar pensa che la maggioranza dei Sudanesi della diaspora aspetti il crollo del governo di Khartoum per ritornare a casa. « Non si può essere felici se non nella propria patria. Io non ho futuro qui, in Israele ».