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ProfileCrisi siriana, ottobre 2016 - L’unico modo di salvare Al Qaeda è di cominciare la guerra contro la Russia. Ed è infatti la scelta che l’amministrazione USA è sul punto di fare...

 

The Unz Review, 9 ottobre 2016 (trad. ossin)
 
Fare guerra alla Russia per salvare Al Qaeda?
Israël Shamir
 
Se il poker più rischioso di tutti i tempi dovesse concludersi con un grande slam nucleare, e i sopravvissuti dovessero analizzare le cause che hanno provocato la Terza Guerra Mondiale, ci sarà da morire dal ridere. La Terza Guerra Mondiale serve a salvare Al Qaeda. Sì, cari lettori! Zio Sam ha invaso l’Afghanistan per punire Al Qaeda, e adesso ha cominciato la Terza Guerra Mondiale per salvare Al Qaeda. Indubbiamente una grande relazione, appassionata e ambigua, di amore/odio tra il gentleman statunitense e la ragazza araba, dall’11 settembre fino ad Aleppo
 
 
Per gli storici futuri, la Terza Guerra Mondiale è cominciata con la decisione statunitense di interrompere i negoziati bilaterali con la Russia sulla Siria. «Lasciate parlare le armi», hanno detto. Ecco una rivelazione esclusiva:
 
Gli Stati Uniti hanno deciso di sospendere i negoziati dopo che la Russia ha chiesto il ritiro da Aleppo dei combattenti di Al Qaeda, del Fronte Al-Nusra, ecc. Questo è stato il casus belli.
 
Ho in mio possesso due documenti di dichiarazione di guerra:
 
Primo documento, intitolato Accordo del 2 ottobre. E’ un progetto statunitense di accordo presentato dal segretario di Stato USA John Kerry al ministro russo degli Affari esteri Sergueï Lavrov. Al primo rigo la seguente dichiarazione: «Il 3 ottobre la Federazione di Russia assicurerà un arresto immediato di tutte le operazioni militari offensive, ecc». E’ una rielaborazione del vecchio accordo di breve durata Lavrov-Kerry, con una aggiunta importante: «senza la precedente condizione di riposizionamento delle forze».
 
Secondo documento, chiamato Riduzione della violenza ad Aleppo, consistente aiuto umanitario alla popolazione civile, realizzazione di una «effettiva cessazione delle ostilità» e separazione delle forze dell’opposizione moderata da quelle di Jabhat al-Nusra. Esso è sottotitolato «Bozza di documento di posizione». Si tratta della contro-proposta russa, che riprende l’accordo di Ginevra del 9 settembre 2016.
 
La parte più importante è l’invito a tenere separati i combattenti di Al Qaeda – i terroristi – spingendoli fuori da Aleppo, attraverso un corridoio umanitario sulla strada di Castello.
 
La risposta statunitense a questo documento è stata la chiusura del negoziato.
 
Dunque i Russi volevano cacciare Al Qaeda da Aleppo, perché la città potesse essere nuovamente approvvigionata e riportata in vita. Gli USA sono pronti a riprendere le ostilità contro la Russia, per affermare il diritto di Al Qaeda a restare in città.
 
In altri termini, nemmeno gli Statunitensi credono al mito (che loro stessi hanno creato) dell’esistenza di una opposizione moderata. Essi sanno bene, come d’altronde i Russi, che senza i terroristi l’insurrezione in Siria non ha futuro. E non vogliono lasciare la Siria ad Assad, aiutato dai Russi.
 
Come sempre, hanno fatto un formidabile battage umanitario sulle sofferenze dei bambini di Aleppo. Perché Aleppo e non Mosul, con il suo numero crescente di vittime? Semplicemente perché gli uccisori di Mosul sono sostenuti dagli Stati Uniti? Perché non in Yemen, dove le truppe saudite usano armi statunitensi – comprate distribuendo sontuose tangenti al tesoro di guerra della Fondazione Clinton – per uccidere più bambini di quanti ve ne siano ad Aleppo? Dov’è la grande sostenitrice della signora Clinton, la sua quasi sorella signora Albright (nella foto a destra), resa celebre dalla sua famosa dichiarazione, che la morte di cinquecentomila bambini in Iraq «ne era valsa la pena»?
 
Non v’è alcun dubbio che bambini e adulti di Aleppo soffrono, e vi è un mezzo semplice per far cessare le loro sofferenze: eliminare i terroristi e permettere alle forze più moderate di impegnarsi in un processo politico. Ma in questo modo Assad e i Russi manterranno il controllo sulla maggior parte della Siria.
 
L’insurrezione in Siria sarebbe terminata da molto tempo se gli Stati del Golfo e gli Stati Uniti non vi avessero iniettato miliardi di dollari, un sacco di armi e carrettate di disoccupati combattenti dai paesi vicini. La cosa potrà essere triste per molti, ma certo non sarebbe una catastrofe per i Siriani. Talvolta le ribellioni vengono sconfitte, non è la fine del mondo.
 
L’insurrezione irlandese del 1916 si è conclusa con una disfatta, ma l’Irlanda è sempre là. Le Tigri Tamil non sono riuscite a prendere il potere in Sri-Lanka. L’annientamento della Confederazione nella guerra civile (di secessione) americana del 1861 è stata sanguinosa e cruenta. Atlanta è stata incendiata e i suoi abitanti cacciati con la forza. Un milione di morti: molti più che in Siria, per quanto la popolazione fosse molto inferiore all’epoca. Potremmo immaginare una forza europea attraccare alle coste americane per portare aiuti ad Atlanta in nome dei diritti dell’uomo e della conservazione della Confederazione. Ma ciò non è avvenuto. Le guerre civili hanno una logica tutta propria. Una sconfitta dei ribelli non è la fine della nazione.
 
Da giovane soldato israeliano idealista, volevo andare in Nigeria e unirmi all’esercito ribelle del Biafra. Pensavo che la tribù Ibo era composta dagli «ebrei dell’Africa» e che bisognasse proteggerla da un eventuale genocidio. Alla fine sono rimasto intrappolato nella guerra di attrito del canale di Suez, e la guerra del Biafra è terminata senza che io intervenissi. A onta delle previsioni apocalittiche, la Nigeria è stata riunificata, e la tribù Ibo si è integrata.
 
Anche la guerra siriana può concludersi con la sconfitta dei “ribelli”. Il governo riprenderà il controllo del territorio, i Siriani faranno le elezioni, e raggiungeranno finalmente un minimo di coesistenza. Temete che le elezioni con Bachar al-Assad non saranno affidabili? Gli Stati Uniti potranno mettere a disposizione la signora Debbie Wasserman-Schultz (1) per controllare il processo elettorale e potrete stare sicuri che le chances di Assad non saranno migliori o peggiori di quelle della signora Clinton nelle elezioni statunitensi.
 
Le forze di Al Qaeda (continuo ad usare questo nome, dal momento che cambiano continuamente la loro denominazione ufficiale, era al-Nusra, poi Ahrar al-Sham, e probabilmente presto l’Unione degli scoiattoli per le noci siriane, ma restano sempre quello stesso buon vecchio al-Qaeda che ha bombardato New York l’11 settembre e che è stato poi bombardato in Afghanistan, in Iraq e in Libia) sono sul punto di essere sconfitte. Se gli Statunitensi sono così entusiasti di loro, se li vadano a prendere con dei voli diretti Aleppo-Washington, dal momento che quest’ultima città sembra essere il luogo più filo-Al Qaeda che esista, a parte le grotte di Tora Bora. Facile che il Partito democratico plauderà al loro arrivo e il presidente Obama conferirà loro la cittadinanza USA.
 
L’unico modo di salvare Al Qaeda – a parte quello che ho appena descritto – è di cominciare la guerra contro la Russia. Ed è infatti la scelta che l’amministrazione USA è sul punto di fare.
 
Supponendo che non sia possibile che gli Stati Uniti mettano a rischio la sopravvivenza dell’umanità per salvare Al Qaeda, siamo costretti a cercare una spiegazione più convincente. Io non sono troppo attaccato alle tesi cospirative, «per amore di Israele», o per i gasdotti.
 

Per carità, non sono tesi campate in aria. Lo sappiamo che gli Stati Uniti appoggiano il piano del Qatar di costruzione di un gasdotto a partire dai campi di gas qatarini verso l’Europa, per indebolire l’economia russa e attenuare la dipendenza europea dal gas russo. Sappiamo anche che Hillary Clinton ha promesso di distruggere la Siria «per amore di Israele», come lei stessa ha scritto in una mail rivelata da Wikileaks.
 
E insomma, queste sono razionalizzazioni. Io vi dirò quali sono le vere ragioni.
 
Perché la guerra? Per il piacere. I leader statunitensi amano il filo del rasoio, mi ha detto un iniziato alle cose statunitensi assai importante. Si tratta di un tratto umano. I bambini amano camminare sul bordo del precipizio. E’ il loro modo di dimostrare di essere migliori dei loro compagni. Gli adulti fanno lo stesso, per la stesse ragioni.
 
La pratica del filo del rasoio consiste nel provocare una situazione pericolosissima pur di ottenere i risultati che si vogliono, spiega un dizionario troppo razionale, ma nella vita reale delle élite, l’espressione «pur di ottenere i risultati che si vogliono» è stata dimenticata. E’ l’arte pura, il filo del rasoio fine a se stesso.
 
Da un bel po’ di tempo, i leader statunitensi sono all’affannosa ricerca di come stuzzicare il più possibile l’orso russo, portando il mondo più vicino all’orlo dell’abisso. Perché? Solo perché sta là, come disse Sir Edmund Hillary a proposito della sua scalata dell’Everest. Forse per la sua grandezza, per l’ostentata goffaggine – «colosso dai piedi d’argilla» –, per la sua vicinanza, la Russia suscita un desiderio suicida nel cuore dei leader potenti, da Napoleone a Hitler.
 
Le ragioni pratiche, quasi razionali, sono sempre state deboli, e di solito riguardavano la volontà di salvare il popolo russo da governanti cattivi, che si trattasse dei giudeo-bolscevichi o dello Zar del knut (una frusta russa, ndt) - L’intervento umanitario non è una invenzione recente! -. Oggi si tratta di salvare i bambini di Aleppo.
 
Sicuramente i bambini di Aleppo potrebbero essere salvati dal ritiro dei combattenti dalla città, ma questo non conta nel gioco del filo del rasoio.
 
I Russi capiscono il gioco. Tentano di salvare la Siria, e le loro posizioni in Siria; in precedenza hanno tentato di salvaguardare le proprie posizioni nelle loro immediate vicinanze conquistando la Crimea, dopo il colpo di Stato organizzato dall’Ovest a Kiev. Ogni volta, hanno sempre tentato di mantenersi ragionevoli. Essi non amano quello che fanno loro, ma ci hanno convissuto.
 
Adesso, sono finalmente arrivati alla conclusione che gli Stati Uniti non la smetteranno di stuzzicarli fino a quando la sfida non sarà raccolta. Devono arrendersi o sarà la guerra. Anche se dovessero lasciare la Siria – e non hanno alcuna intenzione di farlo – gli Statunitensi troveranno altri motivi per stuzzicarli.
 
Ecco perché Putin ha pubblicato i decreti sul plutonio e l’uranio. Essi simboleggiano la fine dell’era Gorbaciov-Eltsin e negano la «vittoria delle guerra fredda» degli Stati Uniti sull’URSS. Negli anni 1980, le due superpotenze dell’epoca avevano toccato il potenziale militare MAD (Reciproca Distruzione Assicurata) ma, a partire dal 1986, Gorbaciov e poi Eltsin hanno abbandonato le posizioni risse. Molti missili sono stati smantellati, delle ogive nucleari sono state distrutte e spedite negli Stati Uniti per essere utilizzate come fonti di energia per i reattori statunitensi.
 
Gli scienziati e gli esperti russi hanno lamentato il fatto che il costosissimo plutonio e l’uranio arricchito siano stati venduti in cambio di noccioline, e che dei missili mortali ed efficaci siano stati distrutti, riducendo la capacità russa di contrastare il nemico. Ma il governo russo aveva dichiarato che la Russia non aveva nemici, che gli Stati Uniti sono amici e che i missili e le testate nucleari non erano più necessarie.
 
Da qualche anno, Putin ha lentamente cominciato a ripristinare e ammodernare l’arsenale nucleare. Lo ha fatto quasi troppo tardi, quando già i dottor Stranamore statunitensi avevano cominciato a propugnare un primo attacco nucleare su una Russia ormai debole. Dicevano che non ci sarebbero state rappresaglie, perché l’armamento nucleare russo era troppo vecchio e poteva essere intercettato dai nuovi sistemi anti-missile statunitensi. In ogni caso la Russia ha rispettato gli accordi stipulati da Gorbaciov ed Eltsin, debitamente trasferendo plutonio e uranio arricchito a Ovest. Questi accordi hanno messo in sicurezza gli Stati Uniti, e mantenuto la Russia vulnerabile.
 
Se gli Stati Uniti avessero giocato le loro carte in tutta sicurezza e in modo equo, questa situazione avrebbe potuto durare per un lungo periodo. Fino ad oggi i Russi hanno timidamente risposto al crescendo di minacce e accuse della NATO. Ma adesso, in una sola settimana i media occidentali hanno accusato la Russia di molteplici crimini di guerra, d’avere abbattuto l’aereo di linea malese in Ucraina e bombardato un convoglio umanitario in Siria [oltre alle accuse di pirateria informatica nei confronti del partito democratico USA, NdT].
 
I Russi affermano che queste accuse sono infondate. Meno dell’8% dei Russi pensano che siano stati i loro soldati ad attaccare l’aereo di linea malese. Pensano che esso sia stato abbattuto dagli Ucraini che lo avevano scambiato per un jet di Putin. Quanto al convoglio umanitario, il video della BBC mostra chiare tracce di munizioni termobariche Hellfire, utilizzate dal drone USA Predator. Un drone di questo tipo è stato osservato sul luogo della tragedia, dicono.
 
Putin è stato demonizzato come lo furono Milosevic e Saddam, paragonato a Hitler e perfino (oh, orrore!) a Trump. L’editoriale del New York Times ha descritto la Russia come uno Stato fuori legge. Questa azione concertata ha avuto un impatto. Non si sa mai fino a dove ci si può spingere prima che sia troppo tardi. Per i Russi, è oramai troppo tardi.
 
Hanno quindi cominciato a smantellare il sistema di accordi concluso dopo il crollo sovietico. E così come in una lite coniugale la persona esasperata dal congiunto isterico prende una pila di piatti e la fracassa al suolo, adesso la guerra nucleare è diventata probabile, a meno che i governanti USA non ritornino alla ragione.
 
I Russi non sono preoccupati di un’eventuale guerra. Non c’è né panico, né paura, solo l’accettazione stoica di quanto dovrà accadere. Questa settimana, una quarantina di milioni di persone hanno partecipato ad una grande esercitazione di difesa civile. I rifugi di Mosca e di altre città sono stati riaperti e riparati. Non vogliono la guerra, ma se viene essi la aspettano. I Russi hanno combattuto diverse guerre contro l’Occidente; non hanno mai cominciato una guerra, ma l’hanno sempre combattuta fino alla fine.
 
Un attacco statunitense sulle basi siriane o russe potrebbe essere il punto di partenza della valanga. Io sono davvero sbalordito per il morale russo: è assai più alto di quando non lo fosse all’epoca della guerra di Corea, della guerra del Vietnam o della crisi di Cuba. A quei tempi essi avevano paura della guerra ed erano pronti a fare sacrifici per evitare l’apocalisse. Adesso non più.
 
Questo essere preparati all’Armageddon (il giudizio finale, ndt) è la caratteristica più inattesa e tremenda che ho potuto osservare. Tanto più inattesa, adesso che il livello di vita del Russo medio è molto migliorato. La Russia non ha mai probabilmente vissuto meglio di adesso. Hanno molto da perdere; è solo la sensazione di esservi costretti ingiustamente che li spinge a reagire in questo modo.
 
Le richieste azzardate di Putin [per il ripristino degli accordi sul plutonio] : levare tutte le sanzioni, pagare i danni provocati da queste ultime e dalle contro-sanzioni, ritirare le truppe e i carri dagli Stati baltici, dalla Polonia e da altri paesi recentemente integrati nella NATO, dimostrano che la posta è effettivamente elevata. I leader statunitensi non sono gli unici a poter camminare sul bordo del precipizio: i Russi possono mostrare loro l’arte del filo del rasoio. Dopo l’umiliazione totale subita negli anni 1990, i Russi non sono disposti a allontanarsi per primi dalla rotta che spinge i due mastodonti nucleari l’uno contro l’altro a grande velocità.
 
C’è qualche segnale che gli Statunitensi possano tornare alla ragione. «Il presidente ha discusso in dettaglio del perché l’azione militare contro il regime di Assad per tentare di risolvere la situazione di Aleppo non raggiungerà probabilmente gli obiettivi che molti attualmente auspicano in termini di riduzione della violenza laggiù», ha detto il portavoce della Casa Bianca Josh Earnest, giovedì ai giornalisti.
 
E perfino il migliore amico dei guerrafondai, il New York Times, ha pubblicato un appello: «Non interveniamo in Siria».
 
Allora forse vivremo un po’ di più.
 
 
(1) Presidente del Partito democratico USA, costretta alle dimissioni, dopo che Wikileaks ha rivelato le trame poste per favorire Hillary Clinton nel corso delle primarie