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ProfileCrisi siriana, novembre 2015 - Il wahabismo saudita è la matrice ideologica di tutte le sfumature di jihad – Daesh incluso. Non è assolutamente possibile vincere Daesh se non si affrontano di petto le questioni dell’ambiguità della Turchia e dell’intolleranza omicida wahhabita (nella foto, le bombe francesi lanciate su Raqqa)

 

Sputniknews, 17 novembre 2015 (trad. ossin)
 
 
La guerre en rose
Pepe Escobar
 

"E’ la guerra”. Il presidente francese François Hollande fa eco, nel 2015, al George W. Bush del 2001. La Francia entra oggi nella sua guerra contro il terrore, completa del suo mini-Patriot (stato di emergenza), contro ISIS/ISIL/Daesh.
 
Scordatevi della “vie en rose”. Entrate nella “guerre en rose”. E la guerra, secondo la definizione di Hollande, sarà “implacabile”.
 
L’establishment francese ha avuto bisogno di un massacro per uscire dal suo splendido torpore. Fino all’11/13 – giorno tragico per Parigi – il Palazzo dell’Eliseo poneva Bachar al-Assad e Daesh sullo stesso piano. Proprio come Poroshenko in Ukraina era il bravo ragazzo contro l’aggressione russa.
 
In effetti l’aggressione russa ha finito con l’essere aggredita – con il disastro dell’Airbus Metrojet nel Sinai, che i servizi segreti russi hanno accertato essere stato causato da una bomba – prima ancora dei frenetici attentati di Parigi.
 
L’aggressione russa aveva già lanciato una seria offensiva contro Daesh, nel quadro della coalizione 4+1 (la Russia, la Siria, l’Iran, l’Iraq più Hezbollah). La Francia, da parte sua, arrangiava qualche attacco bizzarro e negligente come componente della coalizione guidata dagli USA, di rimarchevole inefficacia, promuovendo tra l’altro il ruolo dell’Arabia Saudita e della Turchia, grandi fornitori di armi e facilitazioni finanziarie per i jihadisti salafiti.
 
Il massacro di Parigi ha cambiato tutto. Al G-20 di Antalya, durante un faccia a faccia di 35 minuti, diventato adesso iconico, tra il presidente Putin e il presidente Obama, quest’ultimo sembra finalmente avere compreso il messaggio: sì, ci sarà la guerra. Ma il nemico non è l’aggressione russa; è Daesh.
 
 
Il lutto per le vittime di Parigi
 
 
Insonni fino a Raqqa
 
La Francia marziale fa adesso fuoco e fiamme. Jean-Yves Le Drian, ministro francese della Difesa, “ha invocato l’articolo 42.7”, come ha twittato da Bruxelles. Voleva dire di avere ufficialmente chiesto l’aiuto dei partner europei della Francia. Secondo il trattato di Lisbona, in caso di aggressione armata, i paesi della UE hanno un “obbligo di aiuto e assistenza con tutti i mezzi a loro disposizione”.
 
E’ la prima volta che si chiede l’applicazione di questo articolo dei trattati UE.
 
Dunque l’aggressione armata viene da Daesh; un attore non Stato che si presenta come un califfato avente sede a Raqqa, la sua capitale, nell’est della Siria.
 
Prima ancora di chiedere l’aiuto della UE, la Francia ha bombardato Raqqa, dopo che la Russia lo aveva già fatto per settimane intere. Attualmente il piatto del giorno geopolitico è bombardare Raqqa. Gli esperti di diritto internazionale digrignano i denti sulla legalità di tutto ciò – considerando che gli attacchi aerei russi sono stati, invece, ufficialmente autorizzati da Damasco.
 
Con un eufemismo, la Francia chiede “una maggiore partecipazione militare” degli altri paesi della UE nei teatri operativi selezionati”. Un neologismo brussellese che vuol dire: bombardare Daesh in tutto il Siraq.
 
Visto che siamo già in un’ottica di guerra, la prossima tappa sarà per la Francia quella di invocare l’art. 5 della Carta della NATO – che dice che un’aggressione armata contro un alleato impegna tutti gli altri; acquisendo così il diritto di fare la guerra per motivi di legittima difesa, secondo quanto stabilito dalla Carta delle Nazioni Unite. 
 
L’art. 5 è stato richiamato una sola volta: dagli Stati Uniti dopo l’11 settembre.
 
Il Pentagono, che dirige la NATO, è entusiasta in modo incomprensibile solo agli sciocchi. Il capo del Pentagono, Ash Carter si è lasciato scappare: “Noi cerchiamo di fare di più, noi siamo alla ricerca di qualsiasi occasione per entrare là e andare contro (Daesh), ma abbiamo bisogno che anche gli altri….entrino in gioco”.
 
“Entrare in gioco” può significare qualsiasi cosa. E pensare che il povero Ash si dispera tanto per fare una guerra. La Russia? Troppo rischioso. Hanno missili e un sacco di altri affari che non ci si immagina. Allora un’ammucchiata di imbecilli nel deserto? Ecco, meglio questi. Shock and Awe me, baby (Cara, fammi paura, fammi male).
 
Dunque adesso i veri uomini vanno a Raqqa. Attenzione, uno shock NATO re-mixato Awe sarebbe naturalmente accompagnato da tutti gli optional, esplosivi, con conseguenze impreviste di una complessità da impazzire.
 
 
Che ne diciamo delle matrici (ideologiche)?
 
Bombardare Raqqa per riportarla all’età della pietra non potrà aiutare né la Francia, né la NATO, né la UE, né la Russia. Una guerra aerea non potrà mai annientare Daesh. Niente cambierà, se la Turchia e l’Arabia Saudita, componenti della coalizione statunitense, non cesseranno di aiutare i ribelli 

islamisti.

Ankara, nella migliore delle ipotesi, ignora l’esistenza delle vie di approvvigionamento di Daesh nel nord della Siria, o volge gli occhi altrove.
 
Dopo la conquista, da parte dei peshmerga curdi, di Sinjar, il via vai di Daesh sulla rotta Mossul (in Iraq) e Raqqa è stato bruscamente stoppato. Il GPJ curdo, da parte sua, controlla la frontiera siro-turca del nord, fino all’Eufrate, e una zona a nord-ovest di Azaz.
 
Ma in mezzo c’è un buco importante, tra Azaz e Jarablus. Ecco esattamente dove Ankara vuole creare ciò che chiama una zona di sicurezza, di fatto una base avanzata turca di più di 30 chilometri di profondità in territorio siriano, teoricamente per collocarvi centinaia di migliaia di rifugiati che non sarebbero autorizzati a fuggire verso l’Euroland.
 
La Turchia sta operando una delicata operazione di ricatto nei confronti della UE. Ankara vuole tre cose da Bruxelles: 1) molto danaro, almeno 3 miliardi di euro; 2) l’abolizione del visto di ingresso per cittadini turchi che vadano in Europa; 3) la zona di sicurezza, che di fatto è il sogno di Erdogan, che diventi poi una zona di interdizione aerea nel nord della Siria. Si tratta di un’operazione contro il governo siriano; consentirà di mantenere intatti i corridoi di approvvigionamento di Daesh.
 
Per imporre la zona di sicurezza, Ankara vuole una copertura diplomatica da parte della NATO, di cui è membro. Ma quello che Ankara davvero vuole è un intervento di terra che, praticamente, significa una invasione della NATO.
 
Ecco dove i voti del Pentagono potranno finalmente essere esauditi, mentre è già in vigore una cooperazione militare tra Ankara e Washington.
 
Entra la Russia. Mosca non accetterà mai una invasione NATO. Come la mettiamo con la terrificante possibilità di vedere le forze della NATO scontrarsi sul campo – sia pure accidentalmente – con le forze della coalizione russa “4+1”?
 
La casa dei Saud pone un problema supplementare al doppio gioco della Turchia. Occorre ricordare che Bandar Bush (si fa riferimento al principe saudita Bandar al Sultan, già capo dei servizi sauditi e intimo amico della famiglia Bush, ndt) venne incaricato dalla casa dei Saud di gestire l’operazione di rovesciamento del governo in Siria. La sua strategia era quella di rafforzare una avanguardia rivoluzionaria di macchine per uccidere: ISIS/ISIL/Daesh, che fino allora aveva avuto un ruolo marginale.
 
Il wahhabismo puro e duro praticato da Daesh ha finito col trasformare tutti i ribelli moderati di Siria in unicorni (immaginari). E i donatori proverbiali del Golfo, ricchi di petrodollari, hanno continuato ad alimentare il mostro, che ha promesso di liberare non solo Siraq, ma anche La Mecca e Medina.
 
Il wahhabismo saudita è la matrice ideologica di tutte le sfumature di jihad, Daesh incluso. Non è assolutamente possibile vincere Daesh se non si affrontano di petto le questioni dell’ambiguità della Turchia e dell’intolleranza omicida wahhabita.
 
Ora torniamo alla guerre en rose.