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 Crisi siriana, luglio 2013 - L'ex consigliere per la Sicurezza Nazionale di Jimmy Carter, Zbigniew Brzezinski, in una intervista rilasciata a The National Interest confessa di non avere ancora capito per quale ragione l'amministrazione Obama abbia deciso, a un certo punto, che il presidente siriano Assad dovesse essere rovesciato. E aggiunge che un intervento militare in Siria sarebbe una follia (nella foto, Zbigniew Brzezinski)








The National Interest, 24 giugno 2013 (trad. ossin)



Zbigniew Brzezinski, intervistato sulla situazione siriana

Un intervento militare in Siria sarebbe una follia

Zbigniew Brzezinski


Heibrunn: siamo entrati nel quinto anno dell’amministrazione Obama e lei dichiara che l’Occidente si dedica ad una “propaganda di massa”. Obama è trascinato nella vicenda siriana perché è troppo debole per resistere allo status quo? Che cosa è successo al presidente Obama perché si arrivasse a questo punto?


Brzezinski:
Io non posso avventurarmi nella psicoanalisi o in qualche forma di revisionismo storico. Con tutta evidenza (Obama) ha tra le mani un problema difficile e tutto questo ha qualcosa di misterioso. Basta vedere la cronologia. Alla fine del 2011, vi sono state delle fiammate di violenza in Siria, provocate dalla siccità e incoraggiate da due autocrazie ben conosciute in Medio oriente: il Qatar e l’Arabia Saudita. Di colpo Obama annuncia che Assad deve dimettersi - apparentemente senza che fosse stato approntato nulla perché ciò potesse accadere - Poi, nella primavera del 2012, l’anno delle elezioni qui, la CIA, nella persona del generale Petraeus, secondo quanto si afferma in un articolo rivelatore apparso sul New York Times del 24 marzo di quell’anno, monta un’operazione su larga scala per aiutare Qatar e Arabia Saudita, collegandole in qualche modo alla Turchia in questa impresa. Era un piano strategico? Perché abbiamo di colpo deciso che la Siria doveva essere destabilizzata e il suo governo rovesciato? Sono mai state fornite delle spiegazioni al popolo degli Stati Uniti? Poi, verso la fine del 2012, più precisamente dopo le elezioni, il vento gira un po’ contro i “ribelli”. E diventa chiaro che alcuni di essi non sono poi tanto “democratici”. E dunque tutta la politica deve essere riconsiderata. Io penso che tutte queste cose debbano essere chiarite, perché si possa avere una comprensione più precisa degli obiettivi della politica USA.


Heilbrunn: Storicamente noi abbiamo spesso aiutato movimenti ribelli – in Nicaragua, in Afghanistan e in Angola, per esempio. Se lei fosse un neoconservatore o un falco progressista, potrebbe dire che si tratta di aiuti destinati a forze che lottano per rovesciare un dittatore. E allora che male c’è a fare un intervento per ragioni umanitarie?


Brzezinski:
In linea di principio non c’è nulla di male. Ma penso si debbano valutare in anticipo i rischi che si corrono. In Nicaragua i rischi erano relativamente minimi, tenuto conto della posizione dominante degli USA in America Centrale e della mancanza di un rivale esterno. In Afghanistan, penso che noi sapessimo benissimo che il Pakistan avrebbe potuto diventare un problema, ma siamo stati costretti a intervenire dopo l’11 settembre. Ma, nell’occasione, a titolo puramente personale, io diedi un consiglio all’allora segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, quando insieme ad altri venni consultato sulla decisione di andare in Afghanistan. Il mio consiglio fu: andate, accoppate i talebani e tornatevene subito. Io penso che il problema in Siria siano gli effetti potenzialmente destabilizzanti e contagiosi – vale a dire la vulnerabilità della Giordania, del Libano, la possibilità che l’Iraq venga coinvolto in un conflitto settario tra sunniti e sciiti, e che possa esservi un grande scontro tra noi e gli Iraniani. Io credo che, per la potenza USA, la posta in gioco sia più grande  e molto meno prevedibile e certamente molto poco suscettibile di essere limitata alla sola Siria.


Heilbrunn: Siamo forse in procinto di assistere ad una reazione a catena a scoppio ritardato? Il sogno dei neoconservatori, quando hanno invaso l’Iraq, era di creare un effetto domino in Medio Oriente, dove avremmo rovesciato un regime dopo l’altro. Stiamo assistendo ad una macabra realizzazione di questo disegno?


Brzezinski:
E’ vero, potrebbe essere così. I neocons sperano in un certo senso che la Siria riscatterà quello che abbiamo passato in Iraq nei primi tempi. Ma io penso che noi dobbiamo tenere a mente che, nel caso di specie, la situazione regionale nel suo insieme è più instabile di quanto non lo fosse quando hanno invaso l’Iraq e forse il loro punto di vista è ancora influenzato dall’idea, condivisa da certi israeliani di destra, che le prospettive strategiche di Israele saranno meglio servite se tutti i suoi vicini limitrofi saranno destabilizzati. Io credo, per quanto mi riguarda, che si tratti di una soluzione  che, a lungo termine, si rivelerebbe disastrosa per Israele, perché il risultato, se davvero si realizzasse, sarebbe l’eliminazione dell’influenza USA sulla regione, Israele sarebbe allora abbandonata alla sua sorte. Io non credo che ciò sarebbe utile a Israele e, secondo me, più importante ancora, perché io considero le cose dal punto di vista dell’interesse nazionale, che non sarebbe affatto bene per noi.


Heilbrunn:
Lei ha menzionato in un’intervista, credo a MSNBC, l’idea di una conferenza internazionale. Pensa che sia ancora un approccio valido, che gli USA dovranno molto insistere per coinvolgere la Cina, la Russia e altre potenze per cercare una qualche soluzione pacifica a questa guerra civile?


Brzezinski:
Io penso che se noi affrontiamo questo problema solo coi Russi, cosa che comunque dobbiamo fare dal momento che sono già in parte coinvolti, e se lo facciamo appoggiandoci unicamente alle ex potenze coloniali della regione – la Francia e la Gran Bretagna, che sono veramente detestate da quelle parti – le possibilità di successo non saranno tanto elevate di quanto lo sarebbero se riuscissimo a impegnare, in un modo o nell’altro, anche la Cina, l’India e il Giappone, che hanno interesse ad una maggiore stabilità del Medio oriente. In un certo senso questo tocca il punto che lei ha prima sollevato. Questi paesi potrebbero allora forse dare una mano a trovare un compromesso nel quale, almeno in apparenza, non vi saranno vincitori, ma che potrebbe portare con sé qualcosa che io propongo, diversamente formulata, da più di un anno, vale a dire che dovranno svolgersi in Siria delle elezioni sotto controllo internazionale, alle quali chiunque desideri candidarsi potrà farlo, cosa che permetterebbe ad Assad di salvare la faccia in qualche modo, ma che potrebbe anche portare ad un accordo, de facto, nel quale egli potrebbe completare il suo mandato attuale senza ricandidarsi.


Heilbrunn:
Quali sono i rischi? Obama non è visibilmente entusiasta dell’idea di inviare armi ai ribelli siriani, ne ha affidato l’annuncio a Ben Rhodes. La strada è scivolosa, ma fino a qual punto? Pensa che stiamo avvicinandoci ad un intervento militare USA più diretto?


Brzezinski:
Io temo che stiamo avviandoci verso un intervento USA inefficace, ciò che sarebbe ancora peggio. Vi sono delle circostanze nelle quali un intervento non è né la migliore, né la peggiore delle soluzioni. Ma qui stiamo discutendo di dare il nostro aiuto alla meno efficiente tra le forze che si oppongono ad Assad. Dunque, nella migliore delle ipotesi, ciò nuocerà semplicemente alla nostra credibilità. Nella peggiore delle ipotesi, accelererà la vittoria di gruppi che sono molto più ostili verso di noi di quanto Assad non sia mai stato. Io continua a non capire – e torno alla mia prima risposta – perché abbiamo deciso tra il 2011 e il 2012 – un anno elettorale sia detto per inciso – che Assad dovesse essere rovesciato.


Heilbrunn:
La sua risposta precedente a proposito di Israele era affascinante. Lei pensa che, se nella regione vi fosse un rivolgimento più profondo, con una diminuzione della influenza degli USA, Israele vi vedrebbe un’occasione per consolidare le sue posizioni, o addirittura assumere iniziative più radicali se l’incendio dovesse scoppiare anche in Giordania?


Brzezinski:
Sì, capisco dove vuole arrivare. Io penso che nel breve periodo ciò rafforzerebbe senz’altro la roccaforte Israele, perché non vi sarebbe più nessuno in grado di opporsi ad essa, per così dire. Ma questo richiederebbe, prima di tutto, un bagno di sangue (in diversa proporzione a seconda del campo), con perdite considerevoli anche da parte israeliana. Ma la destra israeliana riterrebbe che si tratti di una questione di sopravvivenza.

Ma nel lungo periodo, una simile regione ostile non potrebbe essere controllata, nemmeno da Israele che è dotata dell’arma nucleare. Questa situazione farebbe a Israele quello che certe guerre hanno prodotto a noi, su scala minore. La logorerebbe, la stancherebbe, la minerebbe, la demoralizzerebbe, provocherebbe l’emigrazione degli elementi più brillanti, per finire in un cataclisma impossibile da prevedere ora perché non sappiamo nel momento fatale chi saranno gli attori. E, dopo tutto, l’Iran è vicino. Potrebbe avere una certa capacità nucleare. Supponiamo che gli Israeliani riescano a farlo cadere. Che succederebbe in Pakistan o altrove? L’idea che si possa controllare una regione a partire da un paese molto forte e motivato, ma abitato da soli sei milioni di abitanti, è semplicemente un sogno folle.


Heilbrunn: Penso che la mia ultima domanda, se lei ritiene di poter affrontare questo argomento, è… lei è in qualche modo all’opposizione in questo momento. Il discorso dominante tra gli intellettuali e i media sembra essere una invasione di tendenze “falco progressista” o neo conservatore, un appello moralistico a passare all’azione in Siria, fondato sull’emozione. Come mai, anche dopo la sconfitta in Iraq, il dibattito sulla politica estera resta ancora così falsato negli Stati Uniti?


Brzezinski:
(ride) Io credo che lei conosca la risposta a questa domanda meglio di me, ma se posso offrire un punto di vista: questo paese è buono, è mosso da buoni sentimenti. Ma è anche un paese capace di una comprensione assai semplicistica delle vicende del mondo, e sempre molto fiducioso nella capacità degli Stati uniti di vincere, usando la forza se necessario. Io penso che in una situazione complessa, le soluzioni semplicistiche proposte da persone che sono, o dei demagoghi, o abbastanza intelligenti da offrire i loro consigli al contagocce, è qualche cosa che la gente può comprendere. Supponiamo che qualche tipo di arma consenta di raggiungere gli obiettivi, ottenere una vittoria per una buona causa, ma senza comprendere che le complessità nascoste ci trascineranno sempre più lontano, che rischiamo di essere coinvolti in una grande guerra regionale, con alla fine una regione ancora più ostile verso di noi di quanto non lo sia attualmente, cosa che potrebbe essere una catastrofe per noi. Ma questa non è una prospettiva che lo Statunitense medio, che non è tanto informato sui fatti del mondo, riesce veramente a capire. E’ un paese di buoni sentimenti, ma con una scarsa conoscenza del resto del mondo.


Heilbrunn: Bene, la ringrazio. Sono totalmente d’accordo.     


Fonte: http://nationalinterest.org/commentary/brzezinski-the-syria-crisis-8636