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 Siria, maggio 2012 - Nel 2012 l’alleanza tra paesi occidentali, Israele e paesi del Golfo ha portato la guerra di Israele nel cuore della Siria. Il pericolo di questa svolta, avviata con la guerra contro la Libia, sta nel fatto che oramai dei regimi arabi dispotici sono diventati alleati di Israele nella sua guerra contro gli Arabi e che delle bande armate arabe e islamiche si sostituiscono agli eserciti israeliano e statunitense per battersi al loro posto (nella foto, manifestazione a favore del governo siriano) 





www.silviacattori.net, 7 maggio 2012 (trad. Ossin)



Siria: Il popolo siriano fronteggia una guerra imperialista
Nadia Khost


Questioni dolorose

I Siriani capiscono che la distruzione delle infrastrutture, il saccheggio degli ospedali, l’incendio delle fabbriche, delle scuole degli edifici pubblici, l’esplosione delle pipeline e dei tralicci tendono, così come le sanzioni economiche arabe ed occidentali, a rendere loro la vita più penosa!
Capiscono che il sostegno politico, finanziario e militare fornito alle gang armate dai paesi del Golfo e dall’Occidente dà ai miserabili un’opportunità di venir fuori dalla miseria (dando ad essi danaro ed armi). E dà libero corso alle speculazioni che la legge, e la supremazia dello Stato, frenano.
E’ per questo che si formano delle bande che sequestrano e chiedono riscatti: e dei commercianti speculatori che fanno alzare i prezzi.
I Siriani capiscono tutto questo. Perché il progetto politico imperialista sionista è quello di disarticolare la società e spezzettare il paese in emirati su base confessionale, di modo che Israele diventi la sola forza in quella che è una regione strategica.
Ma quello che i Siriani non arrivano a capire, è la crudeltà delle bande armate, l’orrore delle mutilazioni, dello smembramento dei cadaveri ai quali si abbandonano: un ragazzo attaccato ad un’auto e trascinato lungo la banlieue di Damasco, fino alla morte; una ragazza impiccata per avere testimoniato alla televisione dicendo che le gang ammazzano gli innocenti; camere di tortura provviste di ganci come quelli che usano i macellai per appendere i montoni sgozzati; sadici aguzzini che scrivono sul muro: “La brigata libica Khaled Bin el Walid è passata di qui”. Una famiglia intera sgozzata, a eccezione degli ultimi due figli che, dal loro nascondiglio, hanno assistito alla carneficina; i due piccoli orfani hanno raccontato piangendo che gli uomini armati hanno bruciato i cadaveri dei loro genitori.
Gli assassini raccontano, così come si racconta una storia banale, che violentano le donne prima di ucciderle, e filmano questi orrori per diffonderli poi su Al Jazeera.


Queste scene sanguinose, che si svolgono davanti ai nostri occhi a centinaia, suscitano domande scottanti
Come mai questi selvaggi sono improvvisamente comparsi nella società siriana, che è stata educata alla bontà e con le parole d’amore dei poemi di Nizar Qabbani? Come mai non abbiamo visto il feroce wahabismo arrivare e prendere il posto della bontà e della misericordia?
Perché abbiamo immaginato che gli squadroni della morte – che hanno imperversato in America Latina e in Algeria – facevano parte di un’epoca passata?
Ma i veri criminali non sono forse quei politici occidentali che definiscono queste gang come “rivoluzionarie”, e le sostengono pubblicamente con le loro reti di comunicazione (Clinton); o organizzano sedute del Consiglio di Sicurezza invocando l’art. 7 (Juppé), o offrono loro dei santuari alle frontiere e il sostegno dei servizi francese, statunitense, inglese e israeliano. I regimi dispotici del Golfo che finanziano le gang e acquistano le armi non sono responsabili?
I media occidentali che passano sotto silenzio le testimonianze dei feriti scampati alle stragi e i rapporti degli osservatori arabi, questi media che collaborano alla menzogna nella guerra di invasione sionista contro il popolo siriano, non sono anch’essi responsabili?


Il 28 aprile l’esercito libanese ha fermato una nave carica di 140 tonnellate di armi, provenienti dalla Libia e destinate a gruppi armati siriani. La nave ha navigato sotto lo sguardo della FINUL e degli Israeliani in una zona sotto protezione occidentale e internazionale. Questa violazione del piano di Kofi Annan è stata condannata? E questo intervento della Libia che esporta armi destinate alle gang di AlQaida è stata condannata?
Ancora il 27 aprile un terrorista si è fatto esplodere all’uscita dei fedeli dalla moschea nel quartiere Midane, a Damasco. AlQaida ha rivendicato l’attentato. Nella stessa settimana due terroristi si sono fatti esplodere a Idleb, distruggendo degli immobili di abitazioni. Le gang hanno sequestrato undici ricercatori scientifici e hanno ucciso un medico; hanno attaccato con razzi RPG la banca centrale siriana ed assassinato un candidato alle elezioni presidenziali a Idleb; poi un altro a Deras. Forse che i dirigenti occidentali, o i loro media, hanno condannato gli attacchi contro delle abitazioni e una istituzione civile economica, delle competenze scientifiche e dei candidati alle elezioni legislative?
Esaminando le rovine di Homs,si scoprono le tracce di una vera guerra. Si scopre che il quartiere di Baba Amr, l’emirato islamico che Bernard Henri Levy ha presentato come la culla della rivoluzione, era di fatto un bastione delle gang, con delle prigioni, dei centri di tortura e di terrore e, lungo le strade che le gang avevano conquistato, barricate militari, case svuotate dei loro abitanti e i cui muri interni sono stati demoliti per facilitare il passaggio da un appartamento ad un altro.
Nonostante ciò, i media bugiardi e i leader imperialisti definiscono i criminali come “rivoluzionari” e come “esercito libero”! Alle Nazioni Unite non si parla mai di Israele, che ha commesso i massacri di Qana, di Jenin e di Gaza, e che tiene prigionieri migliaia di Palestinesi, ma si parla della Siria che appoggia la resistenza araba contro Israele. La “comunità internazionale” è furiosa di non essere riuscita a riprodurre il dramma libico in Siria; adesso si accontenta delle cariche esplosive, delle macchine imbottite di dinamite e degli omicidi quotidiani.


Sul piano locale, la Siria deve far fronte al danno inflitto dalle distruzioni delle infrastrutture e la sequenza degli embargo economici. I comuni recensiscono i danni subiti per indennizzare gli abitanti. Ma si possono calcolare i danni rappresentati dalle migliaia di orfani, di vedove e di mutilati? Come misurare il dolore del nostro animo in una società conosciuta per il suo tatto e la sua gentilezza, la sua raffinatezza e il ripudio per la brutalità? Tradizionalmente fondata sulla misericordia, è stata sorpresa dalla efferatezza wahabita.
Una domanda ci salta agli occhi: come abbiamo potuto condividere con questi selvaggi la nostra aria e la nostra acqua? E come mai la vigilanza dei servizi ufficiali e dei partiti non li ha rilevati? Queste domande insanguineranno il nostro cuore a lungo…


C’è un altro dolore. Un dolore politico.


Dalla Siria, dalla seconda metà del secolo scorso, un canto: “Paesi arabi, la mia patria” si è diffuso nei paesi arabi. La Siria ha ispirato i resistenti arabi. La Siria ha lealmente onorato i propri doveri legati alla sua posizione geopolitica: ha accolto mezzo milione di rifugiati palestinesi caciati da Israele. Un milione e mezzo di Iracheni vi si sono rifugiati durante l’invasione statunitense. E migliaia di Libanesi vi si sono rifugiati durante l’invasione israeliana del Libano (nel 2006). La Siria ha accordato loro gli stessi diritti al lavoro, all’assistenza sanitaria, all’educazione e alla casa dei suoi cittadini. Ed ecco che delle istituzioni ufficiali arabe complottano con Israele e gli Stati Uniti contro la Siria; che delle bande arabe e islamiste armate si infiltrano dai paesi arabi vicini e si abbandonano all’assassinio di Siriani. E che la Lega Araba viene utilizzata per realizzare il progetto occidental-sionista in Siria!


Il neo-liberalismo
Le crisi scoppiano quando le relazioni economiche e sociali si scontrano con i bisogni e le aspirazioni umane e devono allora essere cambiate. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, essendo passato un periodo storico mondiale, i Siriani hanno capito che perdevano un sostegno importante. E i cambiamenti politici ed economici sono apparsi come una evidenza. Malgrado ciò, la Siria ha saputo salvaguardare le proprie conquiste culturali ed economiche: il settore pubblico, e il ruolo dello Stato nel commercio estero e la pianificazione economica, la cultura per tutti, la gratuità dell’insegnamento, i magazzini di Stato, le sovvenzioni per i prodotti di base, il posto dei sindacati operai e agricoli nelle decisioni economiche e politiche. Il piano di “sicurezza alimentare” è stato mantenuto, e sono stati piantati migliaia di olivi nel nord.  La Siria ha attraversato con saggezza il periodo dello sgretolamento del blocco socialista, e non si è allineata al mercato capitalista occidentale.
Ma il settore pubblico è stato occupato dalla corruzione. Ed è sembrato alla classe compradora locale ed all’occidentale che fosse possibile cambiare la struttura economica siriana e la politica estera siriana. I paesi europei hanno fatto credere alla Siria che erano pronti a partecipare alla modernizzazione della sua economia e della sua struttura amministrativa. Abbiamo allora vissuto un periodo detto di “espansione europea”. E’ stato creato un istituto per formare i quadri amministrativi per dirigere le nostre istituzioni alla maniera occidentale, ed è stato preparato un progetto che includeva la Siria nel mercato comune europeo. E Madame Ashton, che oggi minaccia la Siria, era allora sorridente e soddisfatta della sua visita in Siria.
La “fetoue” (1) è stata abolita, che sottintendeva una militarizzazione degli scolari; e sono apparse le ONG. Il settore pubblico è stato pregato di andarsene.

La classe in ascesa ha dimenticato il progetto di Khaled El Azem, esponente della borghesia nazionale negli anni cinquanta del secolo scorso, di creare un immenso settore pubblico con l’aiuto dell’URSS. E i media siriani hanno ignorato, nel corso della sua visita in Siria dell’agosto 2006, il discorso di Hugo Chavez sulla nazionalizzazione delle grandi imprese (2).

Le relazioni politiche ed economiche non convenivano più alla classe compradora influente politicamente e nutrita dalla corruzione. Le riforme erano diventate una necessità, ma in quale direzione? E governate da chi? La riforma dell’insegnamento nel senso di una dinamizzazione delle università e delle scuole? O la creazione di università e scuole private che insegnino in inglese? Epurare il settore pubblico dai corrotti e dall’invischiamento amministrativo, o vendere? Al settore privato il ruolo dello Stato nella gestione economica, e la soppressione delle sovvenzioni per i consumi di base?
Nelle riunioni settimanali del martedì economico, gli economisti hanno criticato la liberalizzazione dell’economia, l’abbandono dell’intervento pubblico, e la preferenza accordata ai servizi e al turismo sulla produzione agricola e industriale. Il ministro del turismo, che rappresentava allora il neo-liberalismo, aveva perfino pianificato lo sfruttamento dei siti archeologici, ed aveva espropriato i frutteti dell’entrata storica di Damasco; per realizzare dei progetti alberghieri internazionali, aveva anche messo le mani sul litorale siriano. Il governatore di Homs aveva, dal canto suo, pianificato la costruzione di terreni di golf, di una cittadella diplomatica, e di grattaceli qatariani, come se preparasse Homs a diventare un emirato indipendente, ignorando del tutto i tunnel scavati sotto terra per preparare l’arrivo delle bande armate! Non gli è stato chiesto conto per avere costruito una piazza ispirata alla piazza dell’olocausto di Berlino.


I sindacati operai erano all’epoca in opposizione rispetto a questi orientamenti. Si sono soprattutto opposti al noleggio dei porti di Tartus e di Lattaquié a società straniere. In questo periodo l’uomo d’affari ha preso il sopravvento sull’intellettuale, e i “liberali” hanno trasformato l’economia di produzione agricola e industriale in economia immobiliare turistica. La cultura dello sfruttamento ha invaso la vita pubblica. Le strade si sono coperte di tabelloni con la pubblicità di auto e abiti importati. Le vetrine dei negozi  si sono coperte di lettere latine; e anche le T-shirt, nonostante le lettere arabe siano graficamente più belle. La povertà si è diffusa, la classe media si è impoverita. I leader politici non hanno fatto caso – dal momento che si muovono solo in auto – che la zona di partenza dei trasporti verso la banlieue svelava una povertà senza precedenti in Siria. E che gli stranieri potevano trarre profitto da questo impoverimento e scontento. Forse l’esercizio del potere ha dato l’illusione che l’espropriazione di terre agricole per realizzare costruzioni residenziali private, o di complessi riservati ai dipendenti statali, sarebbe stata senza conseguenze politiche? Come hanno potuto dimenticare che la corruzione, gli errori e la cattiva gestione producono frutti politici? E che l’ingiustizia è una brace che appicca l’incendio se un vento mortifero l’attizza!

A proposito della riforma economica, il dottor Mounir Al Hamash (3) ha scritto che vi erano due orientamenti. “La prima corrente vuole restituire un ruolo primario allo Stato nella crescita e la riforma del settore pubblico e garantire l’indipendenza delle decisioni economiche. La seconda corrente vuole favorire la libera economia di mercato e l’influenza del settore privato nella direzione dell’economia. Quello che è stato fatto è stata l’applicazione di politiche economiche, finanziarie e commerciali, liberali iscritte nei piani delle istituzioni mondiali: il Fondo Monetario Internazionale (FMI), la Banca Mondiale, l’Organizzazione mondiale del commercio (…). La liberalizzazione del commercio interno e estero e la nascita di banche private hanno prodotto mutamenti sociali ed economici radicali. Queste politiche hanno indebolito il potere giuridico dello Stato e sviluppato un clima di corruzione (…) La direzione economica ha operato in piena consapevolezza ed è riuscita a realizzare il cambiamento della struttura economica in Siria in direzione di una economia più aperta, più competitiva, più legata all’economia mondiale (…) modificando profondamente il ruolo dello Stato. La prova della riuscita di questo progetto è il suo arrivo al punto di non ritorno (4)”.


Il popolo siriano difende la sua patria
Il liberalismo ha devastato l’economia al fine di cambiare l’orientamento politico. Ma la sua realizzazione è stata impossibile, perché la posizione politica siriana è intimamente legata ai valori nazionali tradizionali, al suo ruolo di guardiano patriottico della causa palestinese; questa posizione è connessa all’esistenza stessa della Siria. Per esempio, nel 1911, i deputati siriani hanno denunciato in Parlamento l’infiltrazione di ebrei occidentali in Palestina. Hanno dimostrato che gli Ettihadiyyn (5) consegnavano lo Stato ottomano alle banche ebraiche occidentali e vendevano la Palestina. Essi si sono uniti alla dichiarazione di indipendenza della Siria nel 1920 e hanno rifiutato di consegnare la Palestina ai sionisti. Nel 1936 volontari siriani hanno partecipato alla rivoluzione palestinese; hanno anche partecipato nel 1948 alla resistenza contro l’occupazione sionista della Palestina. Ma dove sono oggi le forze politiche che possono contrastare il grande complotto occidental-arabo? La crisi economica ha dimostrato il pericolo che viene dalla lontananza delle forze politiche dal popolo e l’errore commesso dal fronte nazionale progressista di porre limitazioni all’attività dei partiti tra gli studenti ad eccezione del partito Baath.
Il fatto rilevante è che il popolo siriano è sceso in piazza non appena ha compreso che non si trattava di una questione di mutamento di regime o di riforme, ma che si voleva cancellare la posizione patriottica siriana e distruggere l’unità del paese. Il popolo è sceso in piazza e in prima linea c’erano le donne, che non avevano mai prima partecipato all’attività politica. Ha manifestato la sua ripulsa per l’ingerenza araba e straniera. Queste massicce manifestazioni hanno posto fine alle ridicole manifestazioni che si svolgevano all’uscita delle moschee il venerdì. Il giorno in cui una massiccia manifestazione è partita della moschea degli Omayyadi    a Damasco, è stato il segno di una decisiva posizione popolare. E’ il popolo siriano che ha difeso la sua patria, che ha incoraggiato l’esercito e che ha capito che esso era la colonna vertebrale della sicurezza e della coesione nazionale. I religiosi cristiani e mussulmani si sono associati. E’ così che il popolo siriano è andato oltre i suoi leader politici e che, grazie a lui, è stato possibile alla Russia e alla Cina di levarsi in difesa della Siria.


L’isolamento dei partiti politici

Il Fronte nazionale progressista è stato fondato nel 1972. Raggruppava 7 partiti, tra cui il partito Baath, il partito comunista e il partito nazionale siriano. Il suo programma aveva ad oggetto il modello economico socialista in contrapposizione all’economia di mercato. Allontanandosi da questo orientamento, il Congresso del partito Baath del 2005 si è collocato in contrapposizione al documento fondante del Fronte nazionale, e in più si è posto contro la Costituzione.
Quando ho chiesto a Youssef Faycal, presidente del partito comunista e membro della direzione centrale del Fronte nazionale progressista: “Non si oppone all’economia di mercato?” ha risposto: “Ci opponiamo sì, ma non serve a niente, non ci ascoltano”. La controversia era dunque di principio. Nonostante ciò il partito comunista non si è ritirato dal Fronte. E’ stata solo la posizione politica patriottica della Siria che l’ha trattenuto?

I Siriani accusano i partiti di stravaccarsi nei loro privilegi: auto lussuose, uffici, impieghi. Quello che è successo è disastroso: l’economia di mercato ha aperto la Siria alle merci turche, cosa che ha rovinato le fabbriche di mobili della banlieue di Damasco e le officine tessili, ha fatto infiammare i prezzi, ha consegnato la costa siriana a pochi ricchi, legati alle monarchie del Golfo, ha abusato dei diritti dei cittadini e sprecato i beni pubblici. Forse che il liberalismo ha potuto ingannare i partiti del Fronte, facendo loro credere che la politica patriottica siriana poteva continuare, anche se l’economia si era trasformata?
Prima e dopo l’avvento del liberalismo, il Fronte ha relegato i partiti politici negli uffici, lontano dal popolo, ed essi si sono uniformati. Circola una storiella: un membro del partito comunista appende un cartello sulla porta della sede del suo partito: “Partito comunista siriano”. Quando si volta e si vede osservato, aggiunge in fretta: “Il suo padrone, il partito Baath arabo socialista”. E’ un peccato che i leader non abbiano analizzato questo genere di storielle e tenuto conto dell’opinione del popolo. Sembra che la fiducia nel patriottismo, la saggezza e la pazienza del popolo siriano, oltre che il sentimento dei partiti di essere i protettori del popolo, abbiano favorito il loro allontanamento dal popolo.
Il Fronte ha adottato una politica i cui effetti nefasti non finiscono di manifestarsi. Ad ogni partito è attribuito un tot di posti nei ministeri, oltre ad uffici esecutivi nei sindacati e comitati. E’ gente che ha beneficiato di privilegi; sono stati scelti su base parentale o di rapporti di amicizia e non per le loro competenze, cosa che li allontana ancora di più dal popolo. La crisi che attraversa il paese ha posto in evidenza il pericolo di questa situazione. Se i politici avessero avuto qualche influenza sugli strati sociali poveri e sfavoriti, essi si sarebbero orientati verso un’azione politica forte di un programma nazionale. E invece sono gli sceicchi retrogradi delle moschee, i wahabiti, gli agenti del Qatar, il Mossad e l’Arabia Saudita che ne hanno approfittato. Hanno distribuito danaro e idee. E al momento opportuno hanno fornito armi. Il politico patriottico Bassam Al Shakaa, ex sindaco di Nablus, che ha perso entrambe le gambe quando Israele ha imbottito di esplosivo la sua macchina, ma ha confidato: “Il problema sta nel fatto che i resistenti sono diventati dei funzionari”. Parlava dei Palestinesi, ma l’analisi si può applicare anche alla Siria.


Il fenomeno del Fronte del cambiamento
Tra gli strati più sfavoriti della società, l’opposizione politica non ha influenza. Le gang hanno approfittato di questo vuoto. Perché l’opposizione politica locale è composta da persone di culture ed ideologie diverse, senza un progetto coerente, che sono comparsi all’inizio della crisi, ma senza un percorso politico conosciuto dal popolo. E’ in questo contesto che si comprende la popolarità del Fronte del cambiamento che riunisce oggi il partito di Qadri Jamil, “La volontà popolare”, il partito di Ali Haydar, “il nazionalista sociale siriano”, oltre a personalità indipendenti, tra cui il signor Naiseh e un giovane prete. Questo fronte si distingue per la sua ferma posizione contro l’ingerenza straniera, per il suo dinamismo e la sua indipendenza. Nel suo programma elettorale parlamentare ha inserito il “processo alla grande corruzione”. Alcuni dicono di Qadri Jamil che è figlio della vecchia tradizione comunista, ed è vero. Ha fatto la sua esperienza politica in un partito che ha svolto un ruolo patriottico, ha tratto profitto dall’analisi della crisi. Dietro la politica ufficiale nazionale, ha visto il pericolo della caduta della Siria nel neo-liberalismo; ha dunque incluso nel suo programma elettorale parlamentare un fronte economico che mettesse in guardia contro le conseguenze di questa politica. Ha concretizzato, attraverso l’alleanza con giovani forze politiche, il suo obiettivo di un cambiamento che preservi le conquiste nazionali e la posizione siriana di sostegno della Resistenza contro Israele. Trae vantaggio da i suoi vecchi legami con la Russia nel senso che i Russi auspicano: una opposizione realista che voglia le riforme e che rifiuti l’ingerenza straniera e la violenza armata. Una delegazione del Fronte del cambiamento si è già recata due volte in Russia. (6)
Questo Fronte del cambiamento è testimone del cattivo funzionamento della vecchia vita politica. Di solito si cerca di neutralizzare gli avversari e di gettare fango su di loro. Ma Qadri Jamil non ha fatto così; ha formato una coalizione di comunisti riempendo il vuoto lasciato dai politici tra gli indipendenti. E, durante la crisi, si è associato in un unico fronte con Ali Haydar e i patrioti siriani non rappresentati nel Fronte nazionale ufficiale. Ha posto questa questione: perché nel corso dei decenni scorsi i partiti hanno perso le loro competenze, perso quello che avevano di meglio?

La crisi che attraversa il paese pone un’altra questione: il controllo assoluto del partito Baath sull’attività pubblica è stata utile all’interesse nazionale? Questo controllo assoluto non è stata la ragione dell’allontanamento dei Siriani dalla vita pubblica fino a quando il pericolo corso dal paese non li ha di nuovo mobilitati? Nell’assenza dei partiti tradizionali, lo spazio della rivendicazione popolare è oggi occupato da gruppi di giovani, da organismi nuovi e diversi che hanno come comun denominatore la difesa della patria e il ripudio dell’ingerenza straniera. Svolgono striscioni di centinaia di metri per raccogliere  firme, rimettono a posto i giardini devastati dalle gang, visitano i feriti negli ospedali e le famiglie dei martiri nelle zone soggette agli attacchi delle bande armate, fanno collette per venire in aiuto ai Siriani sfollati. Il presidente e sua moglie hanno anche loro un giorno partecipato a queste azioni. Questi gruppi cominciano bene: lavorano tra la gente e non negli uffici.
I religiosi mussulmani e cristiani occupano anche loro la scena pubblica con i loro incontri e le loro preghiere comuni dedicate ai martiri, ricevono delegazioni. Alcuni sono stati assassinati; tra essi un imam della moschea di Midane e un religioso cristiano.
La coscienza siriana appare mirabilmente nelle imponenti manifestazioni delle donne che gridano dopo ogni attentato: “E’ questa la democrazia e la libertà che vogliono?”. Se è questa “selmiyyeh selmiyyeh” (pacifica, pacifica) (7) che Dio li maledica. Le donne si occupano di attività delle quali non si occupavano prima della crisi. Ieri per esempio sono stati esposti dei cartelli sulla rivoluzione siriana del 1925 per iniziativa di un gruppo di signore; hanno dipinto dei frutteti, dei cavalli e delle fontane damaschine decorate, allineandosi in una memoria storica nazionale e sfidando anche le bande armate che si servono dei frutteti per nascondervi le armi.
Le tribù arabe che si spostano tra la Siria, l’Iraq, la Giordania e l’Arabia Saudita, organizzano grandi riunioni per condannare il malefico complotto ordito dall’Occidente e i regimi arabi dispotici.

Il 2 maggio il figlio di Ali Haydar è stato assassinato. Il padre ha dichiarato: “Non venite a presentarmi le vostre condoglianze; mio figlio non è che uno delle migliaia di martiri siriani”. E’ probabile che fosse proprio il padre l’obiettivo, così come la lista del cambiamento per la quale era candidato alle elezioni. Sembra che le elezioni si svolgeranno sotto il fuoco dei cecchini e delle cariche esplosive.

Il contrasto non è mai stato sulle riforme o sulla democrazia. Agli inizi degli avvenimenti Netanyahou aveva dichiarato: “Perché le azioni armate si arrestino in Siria, bisogna che essa modifichi il suo atteggiamento nei confronti di Israele”. Non c’è bisogno di Netanyahou per sapere che la ragione della guerra contro i Siriani è che essi hanno fermamente mantenuto la loro posizione politica: il nemico è l’imperialismo e Israele. La storia dei partiti in Siria testimonia del loro attaccamento ai valori nazionali. Il presidente Hafez El Assad aveva riesumato questo atteggiamento tradizionale, rispondendo, quando gli avevano chiesto di visitare Israele: “Nessun siriano accetterà una cosa del genere, nessun siriano può farlo”.
La questione è: con quale struttura politica ed economica reggiamo questi grandi valori nazionali?


Conclusioni
Nel 2003 l’invasione dell’Iraq ha annientato una forza araba, che Israele aveva chiesto di liquidare. Nel 2006 la guerra di Israele contro il Libano, sostenuta dagli Stati uniti, ha tentato di annientare la resistenza libanese. Nel 2008/2009 la guerra israeliana contro Gaza ha voluto spezzare la resistenza palestinese. Nel 2011 la guerra diretta dalla NATO contro la Libia, sostenuta dai sionisti, ha spezzato una forza araba patriottica. Nel 2012 l’alleanza tra alcuni paesi occidentali, Israele e alcuni paesi del Golfo ha portato la guerra di Israele nel cuore della Siria. Il pericolo di questa svolta, avviata con la guerra contro la Libia, sta nel fatto che oramai dei regimi arabi dispotici sono diventati alleati di Israele nella sua guerra contro gli Arabi e che delle bande armate arabe e islamiche si sostituiscono agli eserciti israeliano e statunitense per battersi al loro posto.


La battaglia di Siria evidenzia i seguenti punti:
- Rimettere al giusto posto il conflitto centrale contro Israele è una necessità per difendere l’esistenza dei popoli arabi
- I regimi del Golfo che sono nati sotto la protezione di accordi di occupazione con gli Stati Uniti sono incaricati di dividere le grandi società arabe forti di tradizioni patriottiche e storiche
- L’islam estremo si pone al servizio di Israele
- Il patriottismo è un valore progressista nella difesa della sovranità, ma non può vincere senza battersi anche per la giustizia sociale e senza mobilitare il popolo con le libertà e un pluralismo politico nazionale

La Siria ha guadagnato da questi avvenimenti:
1) La riappropriazione da parte del popolo del ruolo che i suoi leader gli avevano confiscato
2) La riconquista da parte dei Siriani della libertà di parola; ogni siriano intervistato da giornalisti si lancia in analisi politiche sul piano locale e internazionale
3) Le donne hanno sopravanzato gli uomini nelle manifestazioni e nelle analisi politiche
4) I giovani hanno trovato lo spazio nel quale dinamizzarsi; hanno scoperto la gioia del lavoro volontario e patriottico
5) Si è manifestato un ripudio nazionale dell’ingerenza araba e straniera
6) Gli avvenimenti in Siria hanno attirato i pensatori e politici arabi che non si sono fatti corrompere dal denaro del Qatar, perché hanno compreso che l’esito della lotta in Siria deciderà del destino della regione e dell’avvenire della resistenza araba.

Queste conclusioni presuppongono che i leader analizzino il loro passato percorso, i loro metodi di lavoro, la causa della loro assenza dalle regioni in cui si è manifestata la crisi; e che ne rendano conto al popolo siriano che difende la sua patria.


La dottoressa Nadia Khost, romanziera siriana, abita a Damasco. Ella è autrice di numerose opere, saggi e novelle che trattano della storia, l’architettura, la conservazione e la protezione del patrimonio della Civiltà araba.


Note:

(1) Si tratta di una educazione civica patriottica, che era dispensata in tenuta kaki (il solo aspetto “militare” di questa educazione).
(2) Il presidente venezuelano Hugo Chavez sostiene il popolo siriano nella sua resistenza contro Israele e il diritto della Siria a recuperare il Golan. Si è recato in Siria nel 2006, 2009 e 2010.
(3) Il dottor Mounir al Hamash è economista e direttore di un centro di studi e di ricerche.
(4) “Il rapporto tra rivendicazioni e situazione economica”, del dott. Mounir al Hamash, pubblicato nel giornale Al Nour, aprile 2012.
(5) Componenti del Comitato Ittihad ve tarakki (Comitato Unione e progresso) in turco, o CUP. Questa associazione segreta fondata a Salonicco sotto l’ala dei framassoni ha invitato alla libertà e all’uguaglianza e ha organizzato un colpo di stato militare che ha rovesciato lo stato ottomano. Ha governato tra il 1906 e il 1918 e ha impegnato l’Impero nella 1° guerra mondiale. Ha ceduto le finanze alle banche europee e ha giustiziato, nel 1915 e 1916, gli esponenti della borghesia araba nazionale che si opponevano alla cessione della Palestina al sionismo. Ha realizzato il massacro degli Armeni nel 1915-1916.
(6) La Russia ha svolto dei pourparler con diversi correnti dell’opposizione; una delegazione di questo Fronte di opposizione si è recata in Russia, così come l’opposizione del Consiglio Nazionale siriano, presieduto da Burhan Ghalioun e i Comitati di coordinamento.
(7) Lo slogan “pacifico pacifico” era intonato agli inizi delle manifestazioni (marzo 2011). Non era ancora evidente a tutti che queste manifestazioni considerate pacifiche erano strumentalizzate da provocatori armati. Questo slogan è stato a lungo rivendicato come segno di non violenza da quelli che non ne riconoscevano il carattere armato.