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 Siria, settembre 2011 - Io penso che non vi sarebbe stata crisi in Siria – almeno adesso – se i paesi della NATO non si fossero sentiti sorpassati dalle rivoluzioni arabe di Tunisia ed Egitto (nella foto, manifestazione di sostegno al presidente siriano, Bachar al-Assad)







Algerie Network, 20 settembre 2011


Intervista a Gilles Munier sulla Siria
Kinan Al Kourdi


1) Signor Munier, lei rientra da un viaggio in Siria, su invito degli industriali siriani, nel corso del quale si è recato a Damasco e ad Hama. Qual è l’atmosfera generale in queste due città, una delle quali, Hama, è stata teatro di un’insurrezione? Che idea si è fatta della consistenza del sostegno a Bachar El Assad, da un lato, e all’opposizione dall’altro, tra la popolazione siriana?


L’invito in Siria mi è stato fatto direttamente da un’associazione di industriali siriani, impegnati a colmare un deficit in materia di comunicazione sulla situazione nel loro paese. Questi uomini d’affari che viaggiano molto sanno bene che non è adottando la strategia dello struzzo che si può rispondere ad una campagna di demonizzazione. Un centinaio di personalità, dei giornalisti venuti un po’ da tutto il mondo, hanno risposto all’appello. Evidentemente l’iniziativa era sostenuta dal governo siriano ma non si trattava di un viaggio organizzato dal ministero dell’informazione, come ne ho visti molti, in Iraq e altrove, a partire dagli anni ’70.
Damasco era come l’ho sempre conosciuta. Vi sono giunto alle 2 del mattino. Non vi erano misure di sicurezza rafforzate in aeroporto, un solo check point – ma fluido – all’ingresso della capitale. L’indomani me ne sono andato a zonzo senza accompagnatore e non ho notato alcun particolare spiegamento di forze, né agli incroci, né davanti agli edifici del governo. Nel souk Hamadiyé, cuore di Damasco, la vita seguiva il suo corso abituale. Non ho visto una presenza poliziesca anomala vicino alla moschea degli Omeyyade o intorno alla tomba di Salah Eddine, come riferiscono i comunicati dell’opposizione all’estero.
Ma ad Hama l’atmosfera è diversa. A me ha dato l’impressione che il tempo vi fosse sospeso. Io penso che la mia percezione della città è stata falsata da quanto avevo sentito a proposito della sollevazione organizzata nel 1982 dai Fratelli Mussulmani, duramente repressa. Il governatore, fautore del negoziato, aveva ordinato alle forze di sicurezza e all’esercito di lasciare la città. Non è comunque riuscito a impedire la sommossa e i saccheggi che sono seguiti, ed è stato sostituito. Il suo successore, Anas Naem, ha ripreso la situazione in mano. Vi sono stati scontri di piazza, morti ed arresti. Il video che ci ha fatto proiettare testimonia dei parapiglia e delle distruzioni, ma la Siria non si è affatto “incendiata dal sud al nord, dall’est all’ovest”, come va predicando il “facebookista” Rami Abdelrahman, direttore dell’oscuro Osservatorio siriano per i diritti dell’uomo (OSDH), ufficio filo-Nato con sede a Londra.
Io penso che la maggioranza dei Siriani  non siano fautori della politica del peggio. Essi non vogliono l’irachizzazione del loro paese. In linea generale, Bachar al-Assad è sostenuto da coloro che temono che i disordini sanguinosi attuali conducano al caos. La consistenza del sostegno di cui gode dipende in gran parte da questa presa di coscienza. L’opposizione all’estero galleggia sull’ondata di malcontento manipolata dai servizi segreti occidentali, sauditi, giordani, turchi. L’opposizione interna, più nazionalista, in sintonia con la realtà del paese, è in generale per una soluzione negoziata della crisi. Essa risponde dunque favorevolmente alle offerte di dialogo del regime, ritiene che le riforme proposte vadano nella giusta direzione, anche se le giudica insufficienti, cosa che è normale da parte di una opposizione.


2. Quali pensa siano le cause e l’origine della crisi attuale in Siria? Vi intravvede gli effetti di un piano di destabilizzazione dall’estero o un fenomeno spontaneo di decomposizione dei vecchi sistemi autoritari nel mondo arabo?

Io penso che non vi sarebbe stata crisi in Siria – almeno adesso – se i paesi della NATO non si fossero sentiti sorpassati dalle rivoluzioni arabe di Tunisia ed Egitto. Ciò che era in causa era l’asservimento della maggior parte dei regimi di questi paesi ai desiderata politici ed economici occidentali, e la loro incapacità di riformarsi dall’interno.
Tutti si aspettavano che un giorno la collera dei popoli sarebbe esplosa contro l’ingiustizia, la miseria, la disoccupazione, l’impossibilità di esprimersi liberamente. Da molto tempo negli Stati Uniti vi sono dei think tanks che lavoravano su scenari di gestione delle crisi future. Gli stage offerti a giovani originari dei paesi arabi per formarli alle tecniche di influenza via internet e Facebook lo provano. Ma lontana da me l’idea che le reti sociali siano all’origine delle “Primavere arabe”… I messaggi ripresi dalla stampa occidentale sono spesso concepiti fuori dai paesi interessati, da agenzie specializzate!
Un esempio… Prendiamo il caso di Rami Abdelrahman, agitatore siriano del quale ho appena parlato. Non si conosce la sua vera identità. Nessuno l’ha mai incontrato, La France Presse l’ha intervistato, ma per telefono. Si dice che sarebbe stato formato a Stoccolma alle tecniche di sovversione tramite reti sociali e internet, dall’Istituto svedese, una istituzione finanziata dallo Stato che organizza dei corsi per “plasmare l’opinione pubblica” nel mondo arabo. Egli afferma di dirigere una rete di “200 corrispondenti” in Siria, che dispongono di materiali di comunicazione sofisticati e gli rendono conto “di ora in ora” dello stato della situazione…! Nessun media si è preso la briga di fare una inchiesta su questa macchina da guerra “per i diritti umani”, e tuttavia tutti riprendono i suoi comunicati senza porre domande. Curioso no?
Più minaccioso è il gioco dei Fratelli mussulmani siriani. Le loro relazioni con il servizio di intelligence MI6 risalgono agli anno ’40, quelle con la CIA agli anni ’50. Il sollevamento organizzato a Deraa, città sita presso la frontiera con la Giordania, che ha dato origine alla crisi attuale, ricorda l’”Operazione straggle”, organizzata nel 1956 dagli anglo-americani con l’aiuto dei servizi segreti giordani e dei Fratelli Mussulmani, per sbarazzarsi di un governo siriano che non piaceva loro. Uno degli organizzatori del complotto era Kermit Roosvelt junior, l’uomo che ha rovesciato il dottor Mohammand Mossadegh nel 1953 in Iran.
In Siria gli Stati Uniti hanno acceso dei controfuochi per poter salvare, almeno provvisoriamente, i regimi che sono loro asserviti. Niente fa pensare che vi riusciranno. Il panico del re Abdallah di Arabia, rientrato d’urgenza dal Marocco dove si trovava in convalescenza per soffocare a colpi di miliardi di dollari il malcontento nel paese, è un segnale che non può ingannare.


3. Quali sono secondo lei le condizioni necessarie perché si esca dallo stato di crisi in Siria? E, all’inverso, quali i rischi di un intervento della NATO in Siria, in uno scenario di tipo libico. Le sembra possibile?

Io non credo ad uno scenario di tipo libico in Siria. Come ha detto Nicolas Sarkozy: “Non è necessario, di fronte a differenti realtà politiche, di agire ogni volta alla stessa maniera”! Ma non bisogna farsi illusione, la NATO andrà fino agli estremi del suo disegno.
Per contro, un intervento israeliano in Libano, che coinvolga la Siria nel conflitto, è nell’ordine delle possibilità. Un mandato internazionale dell’ONU consentirebbe allora alla NATO, Francia in testa ovviamente, di intervenire. Al fondo della sua anima, Sarkozy sogna forse di entrare a Damasco, di posare il suo piede sulla tomba di Salah Eddine e di ripetere quanto già detto dal generale Gouraud nel luglio 1920: “Svegliati Saladino, noi siamo tornati. La mia presenza qui consacra la vittoria della croce sulla mezzaluna!”


4. L’intervento in Libia è stata l’occasione di un’alleanza militare di nuovo stile tra le monarchie arabe del CCG (con il Qatar in prima fila) e la NATO. Quali sono gli interessi che cementano questa alleanza che attualmente sta mettendo Damasco sotto pressione?

L’interesse della NATO, invischiata nel teatro bellico libico, e del Consiglio di cooperazione del Golfo (CCG) è quello di impedire che le “rivoluzione arabe” rovescino un emiro o un re arabo. Temendo l’effetto domino, essi hanno subito soffocato le manifestazioni di malcontento in Bahrein e in Kuwait. Gli Emirati arabi, l’Arabia, sono dittature oscurantiste create, nella maggioranza dei casi, dai governi delle Indie Britanniche e l’Intelligence Service, sostenute dalla CIA dopo la seconda guerra mondiale. I re e gli Emiri arabi sanno che avrebbero dovuto essere le prime vittime del movimento di contestazione. Essi mettono Damasco sotto pressione per ritardare la loro caduta, consegnando armi ai ribelli, finanziano i terroristi e fanno di Al-Jazeera un canale di propaganda occidentale, mentre nei loro paesi la libertà di parola non esiste affatto. Il peggio è che essi sanno che gli Stati Uniti non esiterebbero a mollarli se i loro interessi fossero minacciati…


5. Si sa che il governo iracheno di Nouri al-Maliki (sciita), che subisce la contradditoria influenza dell’Iran e degli Stati Uniti, è vicino a Damasco. Peraltro taluni indizi mostrano che Damasco ha sostenuto un tempo certi gruppi dell’insurrezione sunnita (il Baas clandestino di al-Douri, soprattutto). Quale è stato il gioco politico siriano in Iraq dopo il 2003?

La Siria sostiene come può la resistenza irachena, pur intrattenendo buone relazioni col regime di Bagdad. Non sostiene solo il Baas clandestino guidato da Izzat al-Douri, ma anche delle correnti baasiste dissidenti. Non bisogna dimenticare che il Comando nazionale (panarabo) baasista con sede a Damasco comprende un rappresentante iracheno dopo la scissione storica intervenuta con l’allontanamento dalla Siria del fondatore del partito, Michel Aflak. Dall’ aprile 2003, io credo che a Damasco si sia coscienti che l’opposizione bassista non ha speranze di tornare al potere se non per via parlamentare. Ma per arrivare a ciò il Baas iracheno deve cambiare.
Nouri al- Maliki, rifugiato a Damasco all’epoca di Saddam Hussein, aveva dei problemi con Bachar al-Assad quando lo ha accusato di sostenere il terrorismo, ma tutto è rapidamente rientrato su pressione dell’Iran. Oggi le organizzazioni baasiste irachene e il governo di Nouri al-Maliki sostengo ufficialmente Bachar al-Assad.


6. Per chiudere, ci può dire qualche parola sulle conseguenze del movimento di rivolta araba in Iraq, paese che lei conosce bene?

Dall’invasione del 2003, gli iracheni resistono ad una doppia occupazione straniera, USA e iraniana. Essi manifestano nelle grandi città del paese tutti i venerdì, fin da febbraio, reclamando migliori condizioni di vita, la fine dell’occupazione, elezioni veramente democratiche. Nouri al-Maliki e Massoud Barzani fanno sparare sui manifestanti. Bilancio: decine di morti e feriti. Un giornalista, uno dei principali organizzatori delle “giornate della rabbia irachena”, è stato ultimamente assassinato a casa sua con due proiettili al capo, dopo essere stato minacciato di morte da agenti del regime. Negli Stati Uniti e in Europa i media non gridano allo scandalo, Alain Juppé non parla di crimini contro l’umanità, perché i tiranni locali servono al momento gli interessi occidentali. Immaginate se fatti del genere fossero successi in Siria…