Stampa

 

Consortiumnews, 29 ottobre 2019 (trad. ossin)
 
L'America Latina torna a guidare la lotta contro il neoliberismo
Pepe Escobar
 
Le elezioni presidenziali in Argentina hanno visto il popolo opporsi al neoliberismo, e il popolo ha vinto. Quello che succederà in seguito sarà di grandissimo importanza per tutta l'America Latina, e servirà da modello per tutte le lotte del Sud del mondo
 
 
Le elezioni presidenziali in Argentina sono state una svolta e costituiscono una precisa lezione per l'intero Sud del mondo. In poche parole, da un lato c’era il popolo e dall’altro il neoliberismo. Il popolo ha vinto - con il nuovo presidente Alberto Fernandez e l'ex presidente Cristina Fernández de Kirchner (CFK) come suo vicepresidente. 
 
Il neoliberismo era rappresentato da Mauricio Macri: un prodotto di marketing, ex playboy milionario, presidente della leggendaria squadra di calcio Boca Juniors, un fanatico delle superstizioni New Age e un amministratore delegato ossessionato dai tagli di spesa, che venne a suo tempo unanimemente venduto dai media occidentali come il nuovo paradigma di un post-politico moderno ed efficiente.
 
Bene, il paradigma è stato presto cacciato, e ha lasciato dietro di sé una terra desolata: $ 250 miliardi di debito estero; meno di $ 50 miliardi di riserve; inflazione al 55 percento; il dollaro USA a oltre 60 pesos (una famiglia ha bisogno di circa $ 500 da spendere in un mese; il 35,4 per cento degli argentini non arriva a fine mese); e, per quanto incredibile possa sembrare in una nazione autosufficiente, un'emergenza alimentare.  
 
Macri, di fatto il presidente della cosiddetta politica anti-politica in Argentina, era in tutto e per tutto un rampollo del FMI, del cui pieno "sostegno" era beneficiario (e dotato di un enorme prestito di $ 58 miliardi). Le nuove linee di credito, per il momento, sono sospese. Fernandez avrà difficoltà a difendere la sovranità nei negoziati coi creditori stranieri, o "avvoltoi", come li definiscono le masse argentine. Ci saranno ululati a Wall Street e nella City di Londra a proposito del "fiero populismo", del "panico dei mercati", della “sfiducia degli investitori internazionali". Fernandez non vuole ricorrere a un default sovrano, che aggiungerebbe conseguenze ancora più insopportabili per gli Argentini.
 
La buona notizia è che l'Argentina è ora il più importante laboratorio progressista di come ricostruire una nazione devastata, fuori dagli schemi conosciuti e predominanti: uno Stato sprofondato nel debito; élite compradore rapaci e ignoranti; e "impegni" a rimettere in sesto il bilancio sempre a spese degli interessi dei cittadini.    
 
Quello che succederà in seguito avrà un enorme impatto in tutta l'America Latina, per non parlare del fatto che servirà da modello per tutte le lotte del Sud del mondo. E poi c'è il problema particolarmente esplosivo di come influenzerà il vicino Brasile che, al momento, è devastato da un "Capitano" Bolsonaro ancora più tossico di Macri.
 
Monta su quella Clio
 
Ci sono voluti meno di quattro anni alla barbarie neoliberista, messa in atto da Macri, per distruggere virtualmente l'Argentina. Per la prima volta nella storia dell’Argentina, masse di cittadini conoscono la fame.
 
In queste elezioni, il ruolo carismatico dell'ex presidente CFK è stato essenziale. CFK ha impedito la frammentazione del peronismo e dell'intero arco progressista, insistendo sempre, per tutta la campagna elettorale, sull'importanza dell'unità.  
 
Ma il fenomeno più interessante è stato l'emergere di una superstar politica: Axel Kicillof, nato nel 1971 ed ex ministro dell'economia di CFK. Quando ero a Buenos Aires due mesi fa, tutti volevano parlare di Kicillof. 
 
La provincia di Buenos Aires ospita il 40 percento dell'elettorato argentino. Fernandez ha superato Macri di circa l'8 percento a livello nazionale. Nella provincia di Buenos Aires, tuttavia, i Macristi sono sotto del 16 percento, a causa di Kicillof. 
 
La strategia della campagna elettorale di Kicillof è stata deliziosamente descritta come "Clio mata big data" ("Clio uccide i big data"), che suona alla grande quando viene pronunciata con un accento porteño (degli abitanti di Buenos Aires, ndt). È andato letteralmente dappertutto - 180.000 km in due anni, visitando tutte le 135 città della provincia – a bordo di una modesta Renault Clio del 2008, accompagnato solo dal capo della sua campagna elettorale, Carlos Bianco (l'attuale proprietario della Clio), e dal suo addetto stampa Jesica Rey. E’ stato debitamente demonizzato 24 ore su 24, 7 giorni su 7, da tutto l'apparato mediatico tradizionale. 
 
Quel che Kicillof stava offrendo era l'antitesi assoluta di Cambridge Analytica e Duran Barba - il guru ecuadoriano, drogato di big data, social network e focus group, che per primo ha veramente inventato il Macri politico.
 
Il nuovo presidente argentino, Alberto Fernandez, a destra, con il suo vice presidente, ex presidente Cristina Fernández de Kirchner. (Schermata / YouTube)
 
Kicillof ha svolto un ruolo di educatore, traducendo il linguaggio macroeconomico in prezzi del supermercato e le decisioni della Banca centrale in saldo della carta di credito, il tutto a beneficio dell'elaborazione di un programma governativo praticabile. Sarà il governatore di Buenos Aires, una provincia che rappresenta il nucleo economico e finanziario dell'Argentina, proprio come San Paolo in Brasile.
 
Fernandez, da parte sua, punta ancora più in alto: un patto ambizioso, nuovo, nazionale e sociale - sindacati, movimenti sociali, uomini d'affari, Chiese, associazioni popolari, finalizzato a mettere in atto qualcosa di simile al programma Fame Zero lanciato da Lula nel 2003 .   
 
Nel suo storico discorso della vittoria, Fernandez ha gridato "Lula libre!" ("Lula libero"). La folla è andata in delirio. Fernandez ha detto che avrebbe combattuto con tutti i mezzi per la liberazione di Lula; egli considera affettuosamente l'ex presidente brasiliano come un eroe pop latinoamericano. Sia Lula che Evo Morales sono estremamente popolari in Argentina. 
 
Inevitabilmente, nel vicino Brasile, principale partner commerciale e membro del Mercosur, il neofascista da due soldi che si spaccia per presidente, e che ignora le regole della diplomazia, per non parlare delle buone maniere, ha detto che non si congratulerà con Fernandez. Lo stesso vale per il ministero degli affari esteri brasiliano, distrutto dall'interno, un tempo un'istituzione fiera e rispettata a livello globale, ora "guidata" da uno sciocco irredimibile.      
 
L'ex ministro degli Esteri brasiliano Celso Amorim, un grande amico di Fernandez, teme che "forze nascoste lo saboteranno". Amorim suggerisce un dialogo serio con le forze armate e insiste sullo sviluppo di un "nazionalismo sano". Paragonate tutto questo al Brasile, regredito allo status di dittatura militare semi-mascherata, con la minacciosa possibilità che un Patriot Act tropicale possa essere approvato dal Congresso per consentire essenzialmente ai militari "nazionalisti" di criminalizzare ogni dissenso.
 
Vai lungo il sentiero di Ho Chi Minh
 
Oltre all'Argentina, il Sud America sta combattendo contro la barbarie neoliberista anche nel suo asse cruciale, il Cile, mentre distrugge la possibilità di un irreversibile controllo neoliberista in Ecuador. Il Cile è stato il modello adottato da Macri e anche dal ministro delle finanze di Bolsonaro, Paulo Guedes, un Chicago boy e fan di Pinochet. In un flagrante esempio di regressione storica, la distruzione del Brasile si realizza secondo un modello che attualmente il Cile sta denunciando come un triste fallimento.
 
Nessuna sorpresa, considerando che in Brasile vi sono radicate diseguaglianze. L'economista irlandese Marc Morgan, discepolo di Thomas Piketty, in un articolo di ricerca del 2018, ha dimostrato che l'1 percento brasiliano controlla non meno del 28 percento della ricchezza nazionale, rispetto al 20 percento degli Stati Uniti e all'11 percento della Francia. 
 
Axel Kicillof nel 2014. (2violetas, CC BY-SA 3.0, Wikimedia Commons)
 
Il che ci porta, inevitabilmente, all'immediato futuro di Lula - ancora sospeso e ostaggio di una Corte suprema pochissimo affidabile. Persino gli uomini d'affari conservatori ammettono che l'unica cura possibile per la ripresa politica del Brasile - per non parlare della ricostruzione di un modello economico incentrato sulla distribuzione della ricchezza - è rappresentata da "Free Lula".
 
Quando ciò accadrà, finalmente il Brasile e l’Argentina saranno un vettore chiave del Sud globale verso un mondo multipolare post-neoliberale.    
 
In Occidente, i soliti noti hanno cercato di imporre la narrazione secondo cui le proteste, da Barcellona a Santiago, sarebbero state ispirate da Hong Kong. Questa è una sciocchezza. Hong Kong è una situazione complessa, molto specifica, che io ho analizzato, ad esempio, qui, in cui si mescolano rabbia, non rappresentanza politica e un'immagine spettrale della Cina.
 
Ciascuna di queste proteste - Catalogna, Libano, Iraq, Gilets Jaunes da quasi un anno oramai – è dovuta a ragioni molto specifiche. Libanesi e iracheni non prendono di mira in particolare il neoliberismo, quanto piuttosto una cruciale trama secondaria: la corruzione politica.
 
Le proteste sono tornate in Iraq, comprese le aree a maggioranza sciita. La costituzione dell'Iraq del 2005 è simile a quella del Libano, approvata nel 1943: il potere è ripartito in base alla religione, non alla politica. Questa fu un’idea del colonizzatore francese per mantenere il Libano sempre dipendente, ed è stata copiata dagli Eccezionalisti (Statunitensi, ndt) in Iraq. Indirettamente, le proteste sono anche contro questa dipendenza.
 
I gilet gialli stanno prendendo di mira essenzialmente l'intento del presidente Emmanuel Macron di attuare il neoliberismo in Francia – di qui la demonizzazione del movimento da parte dei media egemonici. Ma è in Sud America che le proteste vanno dritte al punto: è l'economia, stupido. Siamo strangolati e non ce la facciamo più. Una grande lezione può essere tratta prestando attenzione al vicepresidente boliviano Alvaro Garcia Linera.
 
Per quanto Slavoj Zizek e Chantal Mouffe possano sognare un populismo di sinistra, non ci sono segni di rabbia progressista che si vada organizzando in tutta Europa, a parte i gilet gialli. Il Portogallo può essere un caso molto interessante da considerare, ma non necessariamente progressista.  
 
Discettare del "populismo" non ha senso. Quello che sta succedendo è l'Era della Rabbia che esplode in geyser seriali che semplicemente non possono essere contenuti dalle stesse, vecchie, stanche, corrotte forme di rappresentanza politica permesse da questa finzione di democrazia, che è quella liberale occidentale.
 
Zizek ha parlato di un difficile compito "leninista", di come organizzare tutte queste eruzioni in un "movimento coordinato su larga scala". Non accadrà presto. Ma alla fine si farà. Allo stato attuale, prestate attenzione a Linera, prestate attenzione a Kiciloff, aspettate che una serie di insidiose, rizomatiche, strategie sotterranee si intreccino. Lunga vita al sentiero post-neoliberista di Ho Chi Minh.
 
 

Ossin pubblica articoli che considera onesti, intelligenti e ben documentati. Ciò non significa che ne condivida necessariamente il contenuto. Solo, ne ritiene utile la lettura