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Perchè Riyad ha attaccato lo Yemen?


La crisi in cui si dibatte da tempo lo Yemen è sfociata ufficialmente in un nuovo conflitto regionale in Medio Oriente nella mattinata di giovedì in seguito ai bombardamenti aerei condotti dall’Arabia Saudita e dalle altre monarchie assolute del Golfo Persico nel più povero dei paesi arabi.

L’obiettivo della “coalizione”, messa assieme dai sauditi e appoggiata dagli USA, sono gli Houthi che dallo scorso autunno hanno progressivamente preso il controllo delle istituzioni dello stato yemenita, estromettendo dal potere il burattino di Washington e Riyadh, ovvero il presidente Abd Rabbu Mansour Hadi.

La portata dell’impegno militare in Yemen è stata descritta dal network saudita Al Arabiya. La campagna di Riyadh conta su 100 velivoli da guerra, ben 150 mila soldati e altre unità navali. Le incursioni nelle prime ore di giovedì avrebbero già fatto alcune vittime tra i leader Houthi. Lo Yemen, intanto, ha chiuso i principali aeroporti sul proprio territorio e lo spazio aereo del paese è sotto il completo controllo saudita.

Della “coalizione” fanno parte i paesi dell’ultra-reazionario Consiglio di Cooperazione del Golfo Persico (GCCP) - tranne l’Oman - cioè Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Qatar, più l’Egitto, la Giordania, il Marocco, il Pakistan e il Sudan. Alcuni di questi ultimi paesi avrebbero già manifestato la disponibilità a inviare truppe di terra in Yemen.

Poco dopo l’annuncio dell’avvio delle manovre belliche da parte dell’ambasciatore saudita a Washington, Adel al-Jubeir, l’amministrazione Obama ha comunicato il proprio sostegno all’alleato saudita, con la portavoce del Consiglio per la Sicurezza Nazionale, Bernadette Meehan, che ha confermato come il presidente abbia “autorizzato il supporto logistico e d’intelligence alle operazioni militari” dirette dal GCC.

L’aggressione dello Yemen dovebbe essere il tentativo di fermare l’avanzata degli Houthi, ritenuti ingiustamente una forza al servizio degli obiettivi strategici dell’Iran. La giustificazione formale dell’attacco sarebbe la richiesta presentata qualche giorno fa dal presidente yemenita Hadi alle Nazioni Unite per intervenire a favore della “legittima autorità” del suo paese e respingere la minaccia degli Houthi, minacciosamente vicini alla città di Aden, sulla costa meridionale. Qui, lo stesso presidente, costretto ad annunciare le dimissioni nel mese di gennaio, si era rifugiato dopo la fuga dalla capitale, Sanaa, dove era tenuto in stato di semi-prigionia dagli Houthi.

L’ennesima guerra esplosa in Medio Oriente rappresenta in primo luogo una nuova débacle per gli Stati Uniti e la loro sconsiderata strategia per il dominio del mondo arabo sotto forma di “guerra al terrore”. La disintegrazione della società di questo paese della penisola arabica appare tanto più eclatante alla luce del fatto che, solo pochi mesi fa, il presidente Obama aveva celebrato pubblicamente la validità del modello yemenita nell’esecuzione della strategia anti-terroristica americana.

Nelle ultime settimane si è assistito piuttosto all’avanzata di una marea che ha travolto il regime del presidente Hadi e, con esso, i piani degli USA per lo Yemen. La stessa presenza della rappresentanza diplomatica americana, delle forze speciali e della CIA in questo paese è stata spazzata via con una serie di umilianti ordini di ritiro, culminati con la recente conquista da parte degli Houthi della base di Al Anad, quartier generale delle missioni di morte con i droni condotte dagli Stati Uniti ufficialmente contro i membri di Al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP).

Proprio l’intervento americano in Yemen ha causato l’aggravamento delle tensioni settarie e il risentimento di ampie fasce della popolazione nei confronti di un regime percepito correttamente al servizio dell’imperialismo a stelle e strisce. Secondo varie fonti, i droni americani avrebbero fatto più di mille vittime in Yemen, tra cui un numero imprecisato di civili innocenti.

La guerra appena iniziata rischia così di infiammare ancor più il Medio Oriente, in considerazione soprattutto della possibile reazione dell’Iran. Il ministro degli Esteri della Repubblica Islamica ha condannato giovedì l’iniziativa saudita, con la portavoce Marziyeh Afkham che ha ricordato la necessità di implementare gli accordi mediati dalle Nazioni Unite per giungere a una risoluzione pacifica del conflitto interno allo Yemen.

I negoziati tra le parti in lotta erano di fatto saltati nel mese di gennaio, a detta degli Houthi a causa della mancata accettazione da parte del governo dei termini concordati per attuare un piano di integrazione nelle istituzioni dei leader del movimento che rappresenta le tribù sciite del nord dello Yemen dopo decenni di repressione e marginalizzazione.

Riguardo all’Iran, è significativo e con ogni probabilità tutt’altro che casuale che l’operazione militare saudita prenda le mosse a pochissimi giorni dall’ultima data utile per il raggiungimento di un accordo internazionale preliminare sul nucleare di Teheran. Riyadh, assieme a Israele e alle altre monarchie medievali del Golfo Persico, si oppone fermamente alla risoluzione della crisi sul nucleare iraniano, temendo che una certa rappacificazione tra Teheran e Washington possa consentire alla Repubblica Islamica - vale a dire il proprio rivale storico - di giocare un ruolo di primo piano in Medio Oriente, riducendo l’influenza saudita.

Trascinando l’Iran in una guerra aperta nello Yemen, secondo la propaganda ufficiale in appoggio a una milizia sciita “ribelle” che intende rovesciare un governo e un presidente legittimi, l’Arabia Saudita spera di assestare un colpo mortale alle trattative in atto sul nucleare e di mantenere Teheran nello stato di isolamento in cui si è trovato in questi anni.

Proprio la vicinanza di un accordo con le potenze internazionali per risolvere l’annosa questione del proprio programma nucleare, però, dovrebbe convincere l’Iran a mantenere un atteggiamento prudente sullo Yemen, per lo meno nel breve periodo, nonostante il relativo appoggio garantito finora agli Houthi.

Le potenzialità esplosive del nuovo conflitto rischiano però seriamente di allargare il fronte delle ostilità, tanto più in presenza di altri gravissimi scenari di crisi in Medio Oriente. Gli stessi militanti Houthi hanno già fatto sapere di avere radunato i propri uomini nel governatorato di Saada, lungo il confine con l’Arabia Saudita, e di avere intenzione di valutare una “risposta adeguata” all’aggressione dei paesi del Golfo Persico.