Cartamaior.com, 2 giugno 2015


Dobbiamo prepararci ad una implosione degli Stati Uniti come fu con l’URSS? La risposta, per varie ragioni, è sì

L’implosione possibile degli Stati Uniti

Antonio Gelis-Filho


La lunga sequenza dei rovesci economici e geopolitici degli Stati Uniti dall’inizio del secolo si arricchisce oggi di un nuovo elemento: la minaccia di un attacco nucleare sul suolo statunitense da parte dello Stato Islamico. Assurdo? Fino a prova contraria (che, speriamo, non avremo mai) sì, è un completo non senso. Ma la cosa importante, più della possibilità astratta di un simile attacco, è la nonchalance con cui la minaccia è stata fatta. In tutta evidenza, lo Stato Islamico non ha paura degli Stati Uniti


E perché poi dovrebbe? Dopo la decapitazione degli ostaggi statunitensi, dopo avere messo in fuga i soldati iracheni, che pure avrebbero dovuto essere stati bene addestrati da istruttori USA, dopo essersi impossessati di una enorme quantità di materiale militare statunitense e dopo altri fatti ancora più terribili che nessuno saprà mai, oltre il ristretto campo degli operativi, l’orda terrorista può permettersi di minacciare di un attacco nucleare quella che, almeno sulla carta, resta la più grande Potenza del mondo.

Stato Islamico ha espresso con la sua estrema violenza abituale quello che era già percepito dalla maggior parte delle persone: gli Stati Uniti sembrano aver toccato un punto di non ritorno nel loro declino. La Russia ha subito – e vinto – una guerra non dichiarata contro l’Occidente in Ucraina; la Cina occupa oramai la sua Crimea marittima, le isole sud del mar della Cina, dove sta costruendo isole artificiali per militarizzare alcuni atolli reclamati da diverse nazioni rivierasche, ma che essa considera essere parte del suo territorio. Le proteste e gli avvertimenti degli Stati Uniti contro queste iniziative cinesi vengono trattate con disprezzo da Pechino, come un fastidioso ronzio di mosche. La ripresa economica statunitense, promessa per l’ennesima volta alla fine dell’anno scorso, è di fatto scesa allo 0,7% nel primo trimestre del 2015 in valori annualizzati. Dopo tanti falsi annunci di ripresa economica, dopo tutti i fallimenti geopolitici, dopo i segni di disgregazione del tessuto sociale del paese nelle rivolte contro la brutalità della polizia, a Baltimora e Ferguson, è forse il momento di porre la questione impensabile: dobbiamo prepararci ad un’implosione degli Stati Uniti come fu per l’Unione Sovietica?

La risposta, per diversi motivi, è sì. Ciò non significa che essa sia inevitabile e nemmeno probabile. Ma solo il fatto che sia possibile, e le enormi conseguenze potenziali di un tale evento, impongono a qualsiasi governo responsabile di prepararvisi, almeno in termini di scenario strategico.

E perché una simile implosione è possibile? La spiegazione va ricercata nelle ragioni che tengono unito il paese. Gli Stati Uniti non si sono formati su basi etniche, che servono a mantenere le struttura nazionali unificate anche in tempi di crisi. Non vi sono neppure predeterminazioni geografiche: la loro frontiera con il Canada è quasi tutta artificiale. Infatti gli Stati Uniti sono una entità politica artificiale e non una emergenza storica più o meno spontanea. Sono la risultante di un piano di espansione molto ben riuscito. E quale è il fattore unificante unico ed essenziale del paese? Il successo. L’insurrezione confederale del XIX° secolo dimostrò con chiarezza che il potenziale di disgregazione del paese è grande. Ma il successo clamoroso del progetto statunitense ha poi costruito un mostro che si alimenta di successi. E questo mostro si trova adesso ad essere affamato.

Nonostante tutta la retorica intorno agli ideali di libertà, la ragione per la quale la maggior parte degli immigrati è andata negli USA è il benessere materiale. E che cosa potrà mantenere il paese unito quando questo benessere non costituisce più un orizzonte ragionevole?  Mano mano che la coperta si è ristretta, le élite locali degli Stati più ricchi hanno cominciato a pretendere di non pagare più per gli Stati più poveri. Il culto del successo, questa vera e propria religione laica degli Statunitensi, e che alla base della lunga e ricca storia del paese, potrebbe trasformarsi in un fattore di disgregazione. Si sarebbe tentati di pensare che le forze armate sarebbero in grado di evitare un simile esito. Inizialmente questo avrebbe potuto essere vero, ma l’indebolimento economico giunto a un punto critico, mettendo direttamente in pericolo l’interesse delle imprese, invita a sbarazzarsi del peso morto degli Stati più poveri, garantendo più, e non meno, potere alle forze che controllano l’esercito. Con ciò eliminando l’ultimo ostacolo alla divisione del paese.  Qualcosa come ciò che è accaduto in Unione Sovietica.

Una ipotetica implosione degli Stati Uniti sarebbe estremamente più pericolosa per il mondo di quanto non lo sia stata quella dell’Unione Sovietica. Questa era stata costruita intorno ad un nocciolo storicamente di ampie dimensioni, La Russia. Ciò ha permesso che la disgregazione potesse seguire linee storiche predefinite. La stessa cosa è stata per le altre Repubbliche sovietiche. Esse già avevano una struttura istituzionale all’interno dell’Unione Sovietica, così che le linee seguite dalla disintegrazione erano già tracciate. Quando queste linee non erano chiare, la dissoluzione ha prodotto conflitti. Abkhazia e Ossezia del sud si sono battute per l’indipendenza dalla Georgia; l’Armenia e l’Azerbaijan hanno guerreggiato per il controllo dell’Alto Karabakh e di Naxçivan; la Moldavia è stata divisa in due; l’Ucraina e la Russia si sono contese il controllo di Sebastopoli. Conflitti che a tutt’oggi restano irrisolti o aggravati.

Come immaginare cosa potrebbe succedere agli Stati Uniti, un paese dove si stima che il numero di armi da fuoco possedute da civili possa raggiungere i 200 milioni? E’ poco probabile che una tale disgregazione ipotetica possa rispettare le linee degli Stati. Da una parte è vero che alcuni degli Stati hanno una lunga storia, e sono abbastanza ricchi per potersi governare da soli; ma è anche vero che molti di essi includono più o meno arbitrariamente degli enormi territori. Le linee dritte che definiscono i confini di molti Stati occidentali lo dimostrano. Diversi di questi paesi non hanno sbocco sul mare e dipendono da altri per l’esportazione dei loro prodotti. E molte contee limitrofe col Messico hanno una enorme popolazione messicana o mista, che si affretterà a chiedere la protezione delle nazioni del sud in caso di implosione.

Inoltre l’implosione dell’URSS si è verificata in un periodo di grande prosperità dell’Occidente. Assorbire economicamente i frammenti dell’Unione Sovietica appariva naturale e perfino appassionante. Ma, anche a tener conto dei successi economici attuali della Cina, una simile possibilità di assorbimento economico degli Stati Uniti ipoteticamente disgregati non esiste oggi, in una economia mondiale già in pezzi.

Un altro motivo per temere e prepararsi ad una simile eventualità è “l’Impero”, composto da centinaia di basi militari USA in tutto il mondo (più di mille), spesso molto meglio armate dei governi ospitanti. Chi le amministra e come? L’esperienza del crollo sovietico non suggerisce motivi di ottimismo.

E altri immensi problemi vengono dall’enorme arsenale degli Stati Uniti. Al contrario di quanto è accaduto per l’Unione Sovietica, dove Mosca manteneva sufficiente potere sulle forze strategiche per assicurarne il controllo, niente di simile esiste negli Stati Uniti.

Si tratta di ragioni sufficienti perché i decisori politici delle potenze mondiali preparino degli scenari di gestione della situazione, per quanto poco probabile, ma non impossibile, di una implosione di stile sovietico degli Stati Uniti d’America.

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